sabato 31 gennaio 2009

Suor Elisabetta e Pietro Pacciani

Il 1° novembre 1994 Pietro Pacciani fu condannato all’ergastolo. Quello che segue è il dialogo tra Pietro Pacciani e Suor Elisabetta raccolto da Vittorio Monti e pubblicato dal Corriere della Sera dopo un giorno di carcere.
Pietro Pacciani: "Non ce la faccio più ".
Suor Elisabetta: "Prima o poi il Signore farà giustizia".
Pacciani: "Gli è il maligno che l' ha vinto, m' ha fatto il trucco. E ci hanno creduto".
Suor Elisabetta: "Un giorno si capirà chi è il colpevole".
Pacciani: "Ma non ci sarò più io. M' hanno ammazzato da innocente. Gesù mi ha abbandonato".
Suor Elisabetta: "Gesù non abbandona mai nessuno".
Pacciani: "Ma la mì moglie adesso starà sola, chi ci pensa? L' è una donna che ha bisogno di tutto".
Suor Elisabetta: "Pietro, avrei pensato di portarti qualcosa per passare il tempo, lo faccio appena mi danno il permesso. Va bene un album da disegno?".
Pacciani: "La ringrazio, pitturare resta sempre la mì passione".
Suor Elisabetta: "Il calendario con i pensierini continui a leggerlo?".
Pacciani: "L' ultimo diceva: "Cristo abita per mezzo della nostra fede nei nostri cuori". Leggo e poi stacco il fogliettino del giorno e lo faccio volare via nell' aria".
Suor Elisabetta: "Diventa come un aeroplanino, un piccolo aquilone".
Suor Elisabetta: "Pietro, la speranza c'è sempre. Verrà l' appello, speriamo".
Pacciani: "Chissà se ci arrivo".
Suor Elisabetta: "Tanta gente sta dalla tua parte".
Pacciani: "M'hanno dipinto come un diavolo dell' inferno ma non è vero. Ho sempre cercato di aiutare i miei fratelli. Una volta, sotto Natale, incontro un vecchio di ottant' anni che nemmeno conoscevo bene, ma l' era giù perche' aveva due figli lontani e l' era rimasto solo. Allora l' ho portato a casa mia a mangiare. Mi sentivo un peso sullo stomaco a vederlo abbandonato da tutto il mondo".
Suor Elisabetta: "Pietro, per i danni alle vittime cosa si potrebbe fare? Mi e' venuta un' idea: magari si chiede di mandare all' asta la casa dove sta l' Angiolina".
Pacciani: "E la mì povera moglie dove la va a finire, la si butta nell' acqua della Greve? Tutti ' sti soldi del risarcimento non so proprio dove andarli a prendere".
Suor Elisabetta: "Dovrebbero chiederli al vero mostro".
Rif.1 - Corriere della Sera - 3 novembre 1994 pag.13

Luciano Malatesta

Figlio di Maria Antonietta Sperduto e Renato Malatesta. Al capo della squadra mobile, Michele Giuttari, il 7 marzo 1996, e al Pubblico Ministero, il 19 marzo 1996, riferì che negli anni precedenti la morte del padre, aveva visto, più volte, Giovanni Faggi passare davanti casa con "una grossa berlina scura, (...) sembrava spiare..."

venerdì 30 gennaio 2009

Antonio Andriaccio

 
Cognato di Maria Antonietta Sperduto con cui ebbe anche una storia prima di sposarsi. Fu indagato assieme a Filipponeri Toscano per la morte di Renato Malatesta. Il 13 giugno 1994, durante il Processo Pacciani, in merito alla morte di Renato Malatesta dichiarò: "Vidi che pendeva dalla trave, aveva i piedi un poco sollevati da terra. Lì vicino c'era una panca. Ci sarà montato sopra per poi buttarsi sotto". Negò di conoscere Pietro Pacciani. Durante l'udienza emerse quanto segue:
P.M.:"Come mai sua cognata racconta il contrario, dice che un giorno suo marito fu picchiato proprio da Pacciani, mentre lei lo teneva stretto?".
Antonio Andriaccio:"Quella e' una donnaccia che non immaginate. Dice delle porcherie. Giuro che questa e' una gran bugia".
P.M.:"Anche la figlia del morto lo conferma".
Antonio Andriaccio:"Perche' e' una nipotaccia. Peggio ancora di sua madre".
P.M.:"Ha mai avuto discussioni col morto?".
Antonio Andriaccio:"Una volta si' , perche' aveva preso il coltello e lui, il povero Renato, voleva ammazzare mia cognata. Se gli avessi lasciato dare quella coltellata era meglio".

Gina Manfredi

Prostituta. Lorenzo Nesi, dichiarò, al capo della squadra mobile, Michele Giuttari d'aver sentito parlare della Gina da Mario Vanni che la elogiava per le prestazioni orali. Raccontò inoltre un episodio che gli era capitato: "In una occasione lasciai Vanni dalla Gina e andai a sbrigare delle pratiche. Tornai a prenderlo dopo una mezz'oretta e non lo trovai in strada. Salii allora a casa della donna. Non trovai nessuno nella sala d'aspetto e, convinto che Vanni fosse ancora nella camera da letto con Gina, aprii la porta. Vidi che c'era una persona con un mantello nero (Salvatore Indovino ndr), di quelli che indossano i magistrati, e vidi pure che c'era una lampada di forma rotondeggiante che emanava una fievole luce rossa. Questa persona mi sembrò un mago. Era solo e alla mia vista ebbe un gesto di stizza. Chiusi subito la porta e andai via. In strada adesso accanto al furgone c'era Vanni che mi stava aspettando. Gli raccontai l'accaduto dicendogli che non sarei più tornato da Gina".
Gina Manfredi morì il 4 agosto 1981 cadendo dalle scale.
Rif.1 - Il mostro pag.192

giovedì 29 gennaio 2009

Renato Malatesta

Bracciante agricolo, marito di Maria Antonietta Sperduto da cui ebbe i figli: Luciano, Laura e Milva. Negli anni '70 avevano abitato a Sambuca si erano poi trasferiti a San Casciano negli anni '80. Gabriella Ghiribelli dichiarò che era un suo cliente abituale e fece verbalizzare: "sembrava un uomo disperato ed era sempre pieno di lividi e botte". Lorenzo Nesi raccontò al PM, Paolo Canessa, che Mario Vanni gli confidò che Renato Malatesta dormiva con un falcetto nascosto sotto il cuscino poichè temeva d'ssere ucciso nel sonno. Il 24 dicembre 1980 fu trovato impiccato nella stalla dell'abitazione in Via Chiantigiana, da Antonio Andriaccio, che dichiarò: "Vidi che pendeva dalla trave, aveva i piedi un poco sollevati da terra. Lì vicino c' era una panca. Ci sarà montato sopra per poi buttarsi sotto". La figlia, Laura, raccontò ai carabinieri di San Casciano d'aver visto più volte Pietro Pacciani picchiare il padre minacciandolo: "T'impiccherò, t' ammazzo, ti ritroverò da solo". La moglie e il figlio di Malatesta, Luciano, confermarono. Il 19 luglio 2007 fu disposta dalla Procura della Repubblica, nelle persone di Paolo Canessa e Alessandro Crini, la riesumazione del cadavere ed il 24 luglio all'istituto di medicina legale di Careggi i medici legali, Aurelio Bonelli e Gianaristide Norelli, con il tossicologo forense, Francesco Mari, effettuarono l'autopsia sul corpo mummificato, di Renato Malatesta. Lo ioide, l'osso che si trova presso la laringe, risultò integro ed una frattura al naso confermarono le perplessità circa il suicidio. Dell'omicidio furono indagati Antonio Andriaccio e Filipponeri Toscano

Mario Robert Parker

Nacque nel 1954 nel New Jersey da madre italiana e padre americano. Fu stilista per Gucci e Prada. Abitò a Villa La Sfacciata e fu interrogato dai carabinieri nel 1983 dopo la morte di Rusch Uwe Jens e Horst Meyer poichè una Fiat 126 di colore bianco, come la sua, fu vista, il 10 settembre, da un testimone, Giancarlo Menichetti, accanto al furgone dei due ragazzi tedeschi. Mario Robert Parker disse che era andato ad abitare "nella via di Giogoli 2/6, il 19 ottobre di quell'anno e che aveva in disponibilità l'autovettura Fiat 126, personal 4, di colore bianco, targata LI 22....., appartenente alla madre, dalla prima decade del mese di ottobre 1983, per cui l'auto notata non poteva essere la sua".
Fu introdotto nuovamente nelle indagini sul "mostro di Firenze" da Mario Vanni quando il 30 giugno 2003, in un colloquio nel carcere di Pisa con Lorenzo Nesi disse:
Mario Vanni:"Pacciani gli era nel bosco con le pistole... ma i morti gli ha fatti il nero"
Lorenzo Nesi:"Il nero chi?"
Mario Vanni:" Uli, Ulisse, (...) è stato questo Ulisse a ammazzà questa gente. Sedici persone, mica discorsi, eh? Questa bestia feroce..."
Il 10 luglio 2003 fu chiesto a Gabriella Ghiribelli se Giancarlo Lotti avesse frequentato un uomo di colore americano: "Certo, era Ulisse. Giancarlo lo chiamava Uli non era di colore ma aveva un orecchino al lobo sinistro ed era considerato un po' strano".
Mario Robert Parker è morto di AIDS l'11 agosto 1996.
Rif.1 - La Repubblica - 19 dicembre 2004 pag.5
Rif.2 - Corriere della Sera - 17 dicembre 2004 pag.15

mercoledì 28 gennaio 2009

Paolo Riggio e Graziella Benedetti

Sabato 21 gennaio 1984 furono uccisi da 5 colpi calibro 22, mentre si trovavano all'interno di una 132 a Sant'Alassio (Lucca) vicino al fiume Serchio. L'assassino aveva sparato dal finestrino anteriore destro uccidendo i due fidanzati, aveva quindi rovistato nella borsa di Graziella prelevandone il borsellino. I bossoli, calibro 22, trovati sul luogo del delitto avevano impresso sul fondello la lettera "L" (Lapua) e la perizia balistica stabilì che le impronte sui bossoli non erano quelle della Beretta che aveva firmato i duplici omicidi nella periferia fiorentina. Rif.1 - La leggenda del Vampa pag.203 Secondo l'avvocato Nino Filastò anche questo omicidio è da attribuire al cosiddetto "mostro di Firenze" (Storia delle merende infami pag.424).

Gina Cencin

Nel corso del processo contro Pietro Pacciani, fu sentita nell'udienza del 26 maggio 1994, avendo abitato con i genitori ed il fratello fino al 1969, anno dei suo matrimonio, a S.Casciano sulla via Chiantigiana accanto all'abitazione di Maria Antonietta Sperduto ed avendo continuato a frequentare anche successivamente con assiduità, almeno fino a dopo il 1980, la casa paterna. Confermò senza incertezze in aula di aver riconosciuto nella foto di Giovanni Faggi quella persona che aveva visto più volte a S.Casciano in compagnia del Pacciani e del Vanni, e qualche volta anche dalla Sperduto. Questa testimonianza, come quella rilasciata da Luciano Malatesta, contraddice le dichiarazioni di Pietro Pacciani e Giovanni Faggi, che descrissero la loro frequentazione come episodica ed occasionale.
Rif.1 - Compagni di sangue pag.145
Vedi anche:  
Gina Cencin - Deposizione del 26 maggio 1994

martedì 27 gennaio 2009

Paolo Ciampi

Nel 1982, quando avvenne il duplice omicidio di Antonella Migliorini e Paolo Mainardi, aveva iniziato da poco a fare il volontario presso la Croce d'oro. Durante il processo a carico di Mario Vanni, il 19 dicembre 1997, dichiarò d'esser giunto sul luogo dell'omicidio e d'aver notato Paolo Mainardi in stato incosciente sul sedile posteriore con la testa che toccava il cadavere di Antonella Migliorini. Disse d'aver estratto il ragazzo dall'auto assieme a Lorenzo Allegranti e Silvano Gargalini.
Rif.1 - Storia delle merende infami pag.397

Sebastiano Indovino

Alla fine degli anni '70, frequentava assieme al fratello Salvatore il bar sito in Piazza Mercatale di Prato, noto ai più come Bar dei sardi, poichè frequentato da Francesco e Salvatore Vinci ma soprattutto da Mario Sale, Giovanni Farina, Virgilio Fiore, che negli anni '80 diedero vita all'organizzazione criminale: anonima sequestri. Nello stesso bar si incontravano anche: Filippa Nicoletti, Domenico Agnello e Gabriella Ghiribelli. La Ghiribelli raccontò d'aver conosciuto Salvatore Indovino grazie al fratello Sebastiano con cui aveva avuto dei rapporti sessuali all'interno di un furgone.
Il 30 dicembre 1995, sentito dagli inquirenti dichiarava: "Mi vengono chieste notizie sui miei rapporti con mio fratello Indovino Salvatore e sulle sue amicizie e frequentazioni. Ho frequentato mio fratello Salvatore soprattutto negli ultimi anni di vita; soprattutto i fine settimana e cioè il sabato e la domenica, ero solito andare a trovarlo a San Casciano insieme alla mia famiglia."
Rif.1 - Compagni di sangue pag. 61
Rif.2 - Sentenza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze contro Francesco Calamandrei del 21 maggio 2008
Nella foto Mario Sale.

lunedì 26 gennaio 2009

Ugo Fornari

Medico psichiatra e analista, è professore ordinario di psicopatologia forense presso l’Università di Torino e direttore del Centro di Psicologia giudiziaria attivato presso la cattedra da lui diretta; Il 16 settembre del 1996, la Procura della Repubblica chiese al professor Fornari ed al medico specialista in psicologia e ordinario di Psicologia giudiziaria Marco Lagazzi, una consulenza tecnica per cogliere al meglio il profilo psicologico di Giancarlo Lotti. Nella relazione si legge: "(...) in estrema sintesi la realtà clinica del periziando può essere identificata in quella di un uomo apparentemente immune da patologie somatiche e psichiatriche di rilievo, ma orientato in senso omosessuale e connotato da forti istanze di carattere perverso, sicuramente tali da essere parte della sua personalità, delle sue scelte e della sua stessa interazione con l'esterno".

Silvano Gargalini

Nel giugno del 1982, quando avvenne il duplice omicidio di Antonella Migliorini e Paolo Mainardi, era l'unico infermiere diplomato che giunse a bordo dell'ambulanza della Croce d'oro. Durante il processo a carico di Mario Vanni, il 19 dicembre 1997, dichiarò d'esser giunto sul luogo dell'omicidio e d'aver notato Paolo Mainardi in stato incosciente sul sedile posteriore accanto ad Antonella Migliorini. Disse d'aver forzato la portiera dell'auto con una leva per estrarre il ragazzo assieme a Lorenzo Allegranti e Paolo Ciampi e d'aver constatato un seppur flebile battito cardiaco appoggiando le dita sulla sua giugulare.
Rif.1 - Storia delle merende infami pag.396

domenica 25 gennaio 2009

Il mostro di Firenze - Fumetti

Autore: Trevisanello Liri e De Pieri Erika
Prima edizione: Becco Giallo - 2007 - 144pp - Brossurato
 
SINOSSI
14 settembre 1974, sabato sera. È buio, e in uno spiazzo appartato, a una cinquantina di chilometri a nord di Firenze, c'è parcheggiata una Fiat 127. A bordo ci sono un ragazzo e una ragazza, appena maggiorenni. All'improvviso un'ombra, davanti al finestrino. Cinque proiettili colpiscono il ragazzo e lo uccidono sul colpo. La ragazza viene ferita e trascinata fuori dall'auto. Picchiata, massacrata a colpi di pugnale. 96 sferzate, molte delle quali rivolte al pube. È solo il primo di una serie infinita di feroci agguati a coppie che si appartano nei dintorni di Firenze per un momento di intimità. I delitti del Mostro, verranno chiamati. Il Mostro di Firenze, che fino al 1985 si è accanito nella zona di Scandicci e del Mugello.

Il mostro di Firenze - Intervista a Francesco Bruno

Intervista a cura di Fabio Biagini, pubblicata il 09 febbraio 2004 su Vertici Network di Psicologia e Scienze Affini.

Mentre ci stavamo accordando per effettuare questa intervista, che avrebbe dovuto riguardare tutt'alto argomento, si è verificata un'incredibile coincidenza che potrebbe far pensare ad una ottima trovata pubblicitaria (se solo fosse stata voluta) quando invece altro non è che una coincidenza, appunto, del tutto fortuita: dopo molto tempo, infatti, si torna a parlare del Mostro di Firenze. A questo punto non posso esimermi dallo stravolgere la "scaletta" già preparata e chiederle qualcosa a riguardo. Innanzitutto, può spiegare quale è stato il suo ruolo nell'ambito del caso del cosiddetto "Mostro di Firenze"?
Il mio ruolo nell'inchiesta del Mostro di Firenze è un ruolo che è iniziato nel 1984, credo, all'epoca del penultimo delitto. Io allora ero un funzionario del SISDE e siccome questi delitti avevano provocato un grosso allarme sociale venni incaricato di analizzare questa vicenda: feci quindi delle indagini in base ai dati disponibili in quel momento e stesi un rapporto. Successivamente ci fu l'ultimo delitto a seguito del quale io ottenni ulteriori dati, ulteriori elementi e stesi un secondo rapporto. Questi rapporti furono poi illustrati al Direttore del Servizio, che allora era Parisi, il quale gli dedicò grande interesse e li mandò a Firenze. Dopo di che, da allora, non ho saputo più nulla e non me ne sono più occupato se non privatamente per l'interesse che, dal punto di vista criominologico, riveste il caso. Il Mostro di Firenze era, in fondo, il primo serial killer serio che agiva indisturbato in Italia e quindi ciò fece sì che lo seguissi con molta attenzione.
Questo avveniva nel 1984, ma poi lei passò nella vicenda da un atteggiamento super partes ad uno "di parte", mutando il suo ruolo: sostanzialmente mentre prima, come facente parte del SISDE, aveva una funzione investigativa e quindi principalmente accusatoria, successivamente, in qualità di CTP, si collocò in una situazione opposta, difensiva appunto. Sto facendo riferimento alla sua partecipazione al processo Pacciani.
Sì, dieci anni dopo ci fu il processo a Pacciani. Nel frattempo, infatti, era stato individuato appunto Pacciani come possibile autore dei delitti (e per me capro espiatorio di questa vicenda): io mi resi conto che questo Pacciani non poteva avere niente a che fare con i delitti del Mostro e cercai di difenderlo pubblicamente sui giornali. Successivamente, quando ci fu il Processo a Pacciani io venni nominato dalla difesa come Consulente di Parte, mi occupai seriamente ed in prima persona della difesa di Pacciani e partecipai ai processi, non da solo, con grande impegno. Quindi abbiamo difeso Pacciani tecnicamente e con successo perché, mentre nel processo d'Assise Pacciani venne condannato, nel processo d'Appello venne assolto. Contemporaneamente, però, venne fuori la vicenda dei cosiddetti "Compagni di Merende", nella quale, oltre a Pietro Pacciani, sono stati coinvolti Lotti e Vanni. Attualmente Pacciani e Lotti sono morti e sopravvive Vanni, successivamente condannato, nonostante la richiesta assolutoria della Pubblica Accusa, per aver partecipato ai delitti in qualità di esecutore. Quella sentenza, la sentenza di corte d'Appello che lo condannò, disse però che, a parere dei giudici, quei signori che erano stati condannati erano solo gli esecutori e che era necessario pensare ad un mandante: quindi si sollecitava la Polizia a cercare questi mandanti.
Ecco, ma secondo lei è verosimile tale ipotesi, ovvero che ci siano dei mandanti e degli esecutori?
No. Non è assolutamente verosimile perché i delitti del Mostro di Firenze sono dei delitti da serial killer "vero" che ha partecipato lui stesso all'esecuzione di tali delitti: non è pensabile che un serial killer faccia degli omicidi per altri visto egli prova un piacere fisico nel eseguire questi delitti. Sarebbe come se una persona che non può più fumare dicesse ad un'altra "fumati una sigaretta così io posso provare piacere..."
Senta, per quanto riguarda Francesco Calamandrei, il farmacista coinvolto recentemente nelle indagini, si è venuto a sapere che egli sarebbe stato già perquisito nel 1998, anche se non in qualità di indagato. Secondo lei, cosa può essere emerso di nuovo per spingere la Magistratura a riesaminare la sua posizione ed addirittura ad accusarlo?
Non so quali carte abbia la Magistratura, quali elementi abbia a disposizione, ne senso che, ovviamente, c'è un segreto a riguardo. Io ritengo, tuttavia, che già nel 1998 ci furono delle lettere anonime, ci furono delle voci di popolo che spinsero a fare quella perquisizione, quella perquisizione come anche altre: anche quella di Pacciani fu motivata da lettere anonime, che lo indicavano come il Mostro. Ci furono delle lettere che lo indicavano come possibile Mostro e subì delle perquisizioni già nell'85. Io, quindi, credo che i cittadini perquisiti nell'ambito dell'inchiesta sul Mostro di Firenze, a cominciare dagli anni '70, siano stati tantissimi a Firenze e dintorni: le lettere anonime sono un brutto vizio e continuano ad esserci. Su questi signori probabilmente c'erano voci popolari, in quanto erano dediti a questioni esoteriche. Cosa è successo di nuovo non lo so; quello che io so con certezza è che la Squadra Mobile, come stimolata dalla sentenza della Corte d'Appello sui "compagni di merende", ha incominciato a svolgere un'attività investigativa volta a scoprire il cosiddetto "secondo livello", cioè quello dei mandanti, indirizzandosi finalmente su persone non del ceto sociale della tipologia di Pacciani e dei compagni di merende, ma su persone dotate di un alto livello culturale e sociale, avvicinandosi in questo senso a quello che io avevo già scritto vent'anni prima sia riguardo la presenza di possibili sette sataniche o esoteriche come humus in cui il Mostro poteva essere cresciuto, sia circa l'alto livello di ceto sociale del Mostro.
Quindi, in questo caso, sia Narducci che Calamandrei sono figure compatibili con quelle di "secondo livello" che si stanno cercando, sono vittime di dicerie di popolo, farebbero parte della cerchia che gravita intorno alle sette esoteriche e sono quindi due personaggi che ben si attagliano all'identikit che gli investigatori hanno fatto del Mostro: ma al di là del fatto che abbiano qualcosa a che fare con i delitti del Mostro di Firenze, lei ritiene che ci siano elementi tali da lasciar pensare che Calamandrei possa aver avuto qualcosa a che fare con la morte "misteriosa" di Narducci?
Del fatto che ci fosse un medico perugino che aveva delle caratteristiche tali da far pensare al Mostro, io lo so non so più da quanto tempo, credo da sempre, da quando il Mostro agiva, da quando se ne parlava molto più di oggi...
Ecco, da quanto mi sembra di capire, lei fa sempre una distinzione tra l'essere compatibili con l'identikit che è stato fatto del Mostro, come accade Narducci e Calamendrei, e l'essere effettivamente il Mostro di Firenze...
Esatto: questo signore, mi riferisco a Narducci, era sicuramente una persona che aveva un profilo assolutamente compatibile con quello del Mostro, perché su di lui c'erano delle voci popolari, molto diffuse ed insistenti, perché si dedicava a questioni esoteriche e sataniche, perché aveva evidentemente degli aspetti caratteriali congruenti, perché era medico e c'era questo pregiudizio che il Mostro fosse un medico (cosa sulla quale non concordo): in sostanza costui aveva molti aspetti che potevano far pensare al Mostro. Inoltre alla fine si è dimostrato anche che morì in modo misterioso e questa morte misteriosa ha reso queste voci che c'erano sul suo conto qualcosa di più importante.
A tal proposito, ultimamente, si parla di un ruolo della massoneria nella la morte di Narducci: Narducci sarebbe stato appunto coinvolto nei delitti del Mostro di Firenze ma, al momento della sua morte, la massoneria avrebbe deciso di non far trapelare nulla su questo suo coinvolgimento per evitare che venissero "tirati in ballo" altri personaggi legati al mondo massonico. Le ritiene che sia credibile un'ipotesi del genere anche indipendentemente dal fatto che Narducci avesse a che fare con il Mostro?
No, non è molto credibile. Perugia come tutti sanno, è un luogo in cui la massoneria è molto forte, dove ci sono molte logge con persone rispettabilissime che ne fanno. Probabilmente Narducci, come il padre e altri membri della famiglia, faceva parte di quest'associazione, se così la vogliamo chiamare, ma questo però non c'entra nulla. E' come dire che Narducci aveva studiato all'Università di Perugia come il padre e come tanti altri. Quello che poi lui ha fatto penso sia assolutamente indipendente dalla massoneria. La massoneria può essere intervenuta riguardo alla questione che ultimamente si sta dibattendo, ovvero riguardo il fatto che venne impedita l'autopsia ne caso di Narducci.
Allora le chiedo questo: si è scoperto solo due anni fa che i rilievi vennero effettuati su un corpo che non era quello di Narducci in quanto il corpo di Narducci sarebbe stato trovato, ed occultato, il giorno dopo la sua sparizione (cioè l'8 ottobre) e non nella data in cui vennero effettuati i rilievi (ovvero il 13 ottobre); da ciò consegue l'ipotesi di un eventuale coinvolgimento di funzionari di Polizia nell'insabbiamento e, addirittura, nello scambio di cadaveri. A suo avviso è possibile che alle soglie del 2000 in un paese come l'Italia sia possibile che avvengano fatti come quello appena descritto?
Purtroppo la realtà supera spesso la fantasia, anche quella del giallista più scaltro...Quindi tutto è possibile e sicuramente è possibile che ci sia stato uno scambio di corpi. Ma io non credo che le cose siano andate così, possono essere andate anche in modo diverso. Evidentemente c'era qualcuno che non aveva interesse a che Narducci fosse sottoposto all'autopsia. Però chiunque fa il medico sa che molto spesso i parenti rifiutano che si faccia l'autopsia e quindi questa cosa non è una cosa così rara. Certo che poi si arrivi a violare la legge, a poter disporre di un atro cadavere...
In ogni caso non bisogna pensare che sia una cosa difficilissima: in qualsiasi obitorio si possono trovare dei cadaveri anche se tutto ciò sicuramente implica una serie di complicità su cui infatti, mi pare, si stanno movendo attivamente i responsabili dell'investigazioni sia a Perugia che a Firenze. Il problema, invece, è questo: è tutta questa misteriosità a far aleggiare la figura del Mostro. Probabilmente però è molto più credibile che tutto ciò non abbia nulla a che fare con queste cose, anche se è plausibile anche il contrario, ovvero che il Mostro effettivamente abbia a che fare con tutto ciò. Il problema vero, però, secondo me è capire oggi se il Mostro sia stato ucciso, come è possibile pensare, e quando, dove e perché...
A questo punto però mi viene spontaneo chiederle: se l'autopsia non è stata fatta sul corpo di Narducci, perché seppellire poi il "vero" cadavere di Narducci in modo tale che, al momento di riesumare il cadavere, come è avvenuto, ci si accorga palesemente che il corpo sul quale è stata fatta l'autopsia non è quello che appartiene alla vittima?
Il corpo è stato sostituito perchè si doveva fare un'autopsia e si doveva dare la certezza di una morte avvenuta per affogamento. Questa azione era finalizzata chiaramente a lasciare aperte le porte ad un'ipotesi diversa a quella dell'omicidio, facendo pensare invece ad un suicidio. Tuttavia, però, il fatto che si sia scoperto che il corpo seppellito sia quello di Narducci ci da la certezza, innanzitutto, che esista il cadavere di Narducci (che oggi sappiamo essere morto per omicidio) e che tale cadavere sia stato fatto sparire al momento dell'autopsia: tutto la vicenda comunque ci fa pensare che la sua colpa fosse quella di sapere qualcosa e di poter parlare.
Sempre a proposito di Narducci: sono emerse solo ultimamente alcune testimonianze che riferiscono di aver assistito al ritrovamento del vero cadavere di Narducci e riportano che tale cadavere avesse i polsi e le mani legate. Se così fosse d'avvero, non sarebbe un metodo un po' grossolano per disfarsi di un cadavere da parte di un assassino accorto e ben organizzato come ha dimostrato di essere nel corso degli anni il Mostro di Firenze?
Le ipotesi sono due: Narducci sa troppo e quindi è il Mostro ad ucciderlo, oppure Narducci è il Mostro e qualcuno lo uccide perché a questo punto potrebbe essere eccessivamente pericoloso perché, diciamo, ha esagerato. Allora, non è facile dare una risposta a queste domande, anche se, volendo restare con i piedi per terra, dobbiamo semplicemente ipotizzare che Narducci fosse implicato in qualcosa di losco e che fosse stato ucciso da criminali comuni.
Si riporta sui giornali che uno dei difensori di Pacciani, Fioravanti, avrebbe rivelato che lo stesso Pacciani gli avrebbe detto che accusavano lui ingiustamente proprio perché sapevano che i veri colpevoli erano il farmacista ed il medico.
Pacciani, a differenza dei suoi accusatori, leggeva bene i giornali, e sapeva bene quello che succedeva intorno a lui: sapeva bene soprattutto ciò che avveniva nei dintorni di San Casciano ed aveva notizie su coloro che gravitavano intorno a San Casciano. Quindi lui disse semplicemente all'avvocato, come disse a me tante volte, "perché ce l'hanno con me quando invece hanno anche altre piste come, ad esempio, quella del farmacista e del medico di Perugia?". Recentemente si sarebbe scoperto che l'ultima coppia uccisa dal Mostro si sarebbe trovata in Toscana per partecipare ad alcuni incontri esoterici e che sarebbe poi rimasta vittima di un rito satanico...I riti esoterici non si fanno solo a Firenze ed in Toscana e comunque quest'ipotesi deriverebbe da una delle tante testimonianze che esistono, Naturalmente ora viene seguita con attenzione perché adesso è emersa questa pista dei riti esoterici. Ma non abbiamo alcuna prova di questo: in ogni caso, l'ultimo delitto è un delitto anomalo rispetto agli altri ed è un delitto che può anche essere stato eseguito per scopi diversi, ad esempio per far credere che il mostro era ancora vivo e che colpiva ancora mentre, in realtà, il Mostro era già stato ucciso. Si possono fare anche altre ipotesi, però lo studio oggettivo del delitto ci porta a dire che è un delitto simile, se non uguale, a quelli compiuti in precedenza, e quindi non capisco perché questa volta sarebbero stati presi questi due ragazzi francesi per praticare riti satanici e le volte precedenti invece personaggi di Firenze che, invece, non erano coinvolti con le sette sataniche.
Le chiedo un ultimo parere riguardo due testimonianze emerse negli ultimi giorni: la prima fa sempre capo a Narducci e riguarda l'intercettazione di una minaccia rivolta da alcuni strozzini alla loro vittima in cui essi gli avrebbero detto "se non paghi ti facciamo fare la fine del medico del Trasimeno".
E' da qui che sono partiti gli investigatori e quindi mi pare che questo quadro sia un quadro diverso da quello delle sette sataniche, cioè sia un quadro che ha a che fare con criminali, strozzini personaggi che hanno a che fare con la criminalità comune, o almeno così mi pare.
La seconda testimonianza, che riguarderebbe sempre Narducci, ci riporterebbe invece come alcune persone avrebbero riferito che, recandosi a casa di Narducci per cause che esulano assolutamente dalle indagini, avrebbero trovato nel frigorifero della casa abitata proprio da Narducci dei reperti umani, dei feticci che egli avrebbe conservato, fatto che ovviamente lo indicherebbe come Mostro di Firenze.
Qui bisogna stare molto attenti a distinguere tra le testimonianze dirette e le voci popolari che girano. Una cosa è dire "il giono x, all'ora x ero presente in casa e c'erano dei reperti che ho trovato, non so, nel frigorifero", un'altra cosa è dire "mi hanno detto che nel frigorifero del signor x ci fossero dei pezzi di carne umana". In questo secondo caso, ovviamente, non abbiamo alcuna prova. O andiamo in loco e troviamo che ci sono tracce di questo tipo oppure queste testimonianze non ci dicono nulla, in effetti, di reale. Comunque che i reperti, i feticci che il Mostro di Firenze si portava via possono essere trovati io lo ritengo possibile, a meno che non siano stati distrutti da chi ha avuto la possibilità di uccidere il Mostro stesso. Il problema è capire che fine ha fatto il Mostro di Firenze e, se è morto, se è morto di morte naturale, ed allora i reperti si possono trovare, o se è stato ucciso per chiudere una storia di cui qualcuno era a conoscenza, ed allora, in questo secondo caso, non penso ci si potrà mai arrivare...

sabato 24 gennaio 2009

Francesco Verdino

  

Mago di origini siciliane meglio noto come Manuelito (o Manolito), il mago del Messico abitava nel centro storico di Firenze. Disse di lui Norberto Galli: "Manolito era amico di Salvatore Indovino. Aveva un bellissimo camper di quelli molto grandi. Pare avesse lo studio nella zona di piazza San Marco a Firenze. A proposito del suo lavoro, quando me lo presentarono mi disse che aveva guadagnato molto bene con una signora ricca di Tavarnelle". Gabriella Ghiribelli lo indicò come uno dei frequentatore della casa di Salvatore Indovino, dove avevano luogo sedute spiritiche e messe nere, riferì inoltre: "Manolito aveva una relazione con Milva Malatesta, la ragazza uccisa nell' agosto del 1993 con il bambino Mirko, nei boschi di Poneta". Durante una perquisizione gli furono trovati in casa, un sacchetto di plastica al cui interno vi era la foto di un ragazzo ed un paio di slip per uomo sporchi, ed altri oggetti che confermavano che il Mago Manuelito praticasse riti magici. Il 20 febbraio 1996, dopo essere stato interrogato per 5 ore, il capo della squadra mobile commentò: "E' stato un colloquio interessante, siamo davvero soddisfatti". Rif.1 - La Repubblica - 20 febbraio 1996 pag.18

venerdì 23 gennaio 2009

Alessandra Bartalesi

Nipote di Mario Vanni. È nata e risiede tuttora a San Casciano. A causa di una aneurisma cerebrale nel 1985 si è dovuta sottoporre ad una lunga riabilitazione psicofisica. Di questa esperienza ha scritto nel libro "Speranza di vita" pubblicato dalla piccola casa editrice Ibiskos di Empoli. Nel luglio del 1995 lo zio le fece conoscere Giancarlo Lotti. Iniziò un' amicizia ed una reciproca frequentazione. Nell'agosto del 1995 Giancarlo Lotti ed Alessandra Bartalesi pranzarono insieme in un locale in località Scopeti, nel primo pomeriggio si appartarono nella piazzola dove era avvenuto il duplice omicidio di Nadine Mauriot e Jean Michel Kravechvili, dopo alcune effusioni, Alessandra si accorse che Giancarlo aveva problemi di erezione e amareggiata, si era fatta riaccompagnare a casa. Giancarlo Lotti propose più volte ad Alessandra di fidanzarsi con lui ma scoperta l'impotenza, Alessandra, seppur favorevolmente colpita dalle sue premure e gentilezze, aveva sempre rifiutato. Durante gli interrogatori del Pubblico Ministero, Alessandra Bartalesi dichiarò: "Un giorno passammo da Baccaiano, dove era stata uccisa la coppia, e io ricordando quell'episodio dissi a Giancarlo di passare velocemente senza fermarsi. Giancarlo mi rispose «non aver paura quando sei con me, il mostro non c'è!» io gli risposi Non si sa mai. Il discorso morì lì".
"Ho capito che sia mio zio che Giancarlo avevano disponibilità di molto denaro. Era come se per loro il denaro non finisse mai. Anche i miei familiari non capivano come mai i due avessero tanti soldi da poter spendere tutte le sere. Anche Lotti mi chiedevo come faceva ad avere tutti quei soldi, ma non gli chiesi niente perchè ero solo un'amica. Ho visto più volte che nel portafoglio aveva solo pezzi da cento e cinquantamila lire e una volta mi disse: «Fa pari col tuo che è vuoto!»"
Rif.1 - Il mostro pag.236

giovedì 22 gennaio 2009

Domenico Agnello

Originario di Catania. Pluripregiudicato. Venditore ambulante di frutta e verdura a Mercatale. Abitava con la moglie a Prato. Il 4 agosto 1994, uscì di casa dicendo di recarsi al bar, non fece mai ritorno. La sua Alfa 164 fu trovata bruciata in un bosco del Mugello. Amico del mago Salvatore Indovino, negli anni '80 aveva frequentato la casa di Via di Faltignano dove Gabriella Ghiribelli rivelò avessero luogo riti magici ed esoterici.
Rif.1 - La Repubblica - 20 febbraio 1996 pag.18

Diego Frigoli

Psichiatra e Psicosomatista, Presidente dell'Associazione Nazionale di Ecobiopsicologia, ha insegnato come ricercatore all'Università degli Studi di Milano. Fu sentito in merito al quadro "Un sogno di fatascienza" erroneamente attribuito a Pietro Pacciani. Nella perizia si legge: "Una personalità molto disturbata, con un inconscio molto primordiale, popolato di fantasmi di morte e in continuo conflitto tra le spinte che provengono dall'esterno - eccitazione, bisogni e desideri improvvisi, quasi raptus - e la necessità di gestire tutto questo".
Rif.1 - Grandi gialli della storia pag.291

mercoledì 21 gennaio 2009

Carlo Nocentini

Psicologo della Regione Toscana. Nel 1981 il giudice istruttore presso il Tribunale di Prato, Salvatore Palazzo, chiese una sua consulenza per delineare un profilo psicologico dell'ipotetico assassino delle coppiette. Il dottor Nocentini usufruì dei rilievi di Polizia e medico legali relativi al duplice delitto di Susanna Cambi e Stefano Baldi e di notizie perlopiù giornalistiche riguardanti i delitti precedenti, fatta eccezione per l'omicidio di Barbara Locci ed Antonio Lo Bianco che ancora non era stato attribuito al "mostro di Firenze". Nel profilo psicologico prodotto si legge: "Esiste probabilmente nel soggetto un fatto traumatico che ha agito da fondante del quadro paranoico. (...) Le donne, vengono uccise e sfregiate nella dislocazione di un raptus che tende a simboleggiare la figura materna, per cui l' evento traumatico ipotizzabile si lega a un comportamento vissuto come altamente frustrante da parte della stessa (abbandono reale o affettivo, episodi visti, con i quali il comportamento materno ha distrutto l' immagine che il soggetto s' era precostituito della madre...)."

Silvia

 

Il 9 luglio 1994, durante il processo a Pietro Pacciani si era recata in Questura, dove aveva riferito in merito ad un evento accadutole tra il 1980 ed il 1985. In quegli anni, Silvia, cercava casa a San Casciano e si era fermata in Via di Faltignano, incuriosita da una abitazione su cui era posto il cartello "VENDESI". Apprese che la casa era abitata dal mago di San Casciano: Salvatore Indovino, celebre per la preparazione di filtri d'amore. Fu il mago stesso a raccontarle che per unire una coppia in eterno era necessario disporre di uno scampolo di un vestito dell'uomo, di una sua foto, nonchè di secrezioni vaginali e di peli pubici della donna. L'uomo e la donna avrebbero dovuto accoppiarsi in un luogo aperto in auto, comunicando al mago la sera il luogo e il tipo di auto usata dalla coppia. Avendo letto sui giornali il modus operandi del "mostro di Firenze" si era sentita in dovere di riferire quanto raccontatole dal mago Indovino. 

Rif.1 - Compagni di sangue pag.56

martedì 20 gennaio 2009

Salvatore Indovino

Originario di Catania si era trasferito ad Alessandria dove, nel 1976, lavorava come operaio presso una azienda di bibite, qui aveva conosciuto Filippa Nicoletti, insieme erano andati a stare per un breve periodo in Sicilia dopodichè nel 1978 avevano traslocato a Prato e quindi a San Casciano in Via di Faltignano. Aveva quindi persuaso la Nicoletti a prostituirsi nelle strade attigue alla stazione ferroviaria di Firenze ed era stato arrestato per sfruttamento della prostituzione ed altri reati minori e quindi detenuto presso il carcere Le Murate dal 26 luglio 1981 al 4 dicembre dello stesso anno. Uscito di carcere era andato a stare per alcuni giorni a Prato presso l'abitazione dell'amica, Gabriella Ghiribelli, era quindi tornato a San Casciano in via di Faltignano assieme alla Nicoletti. Durante la detenzione si era convinto d'avere doti profetiche: «la mia sorte è nel mio nome», aveva scritto in una lettera alla Nicoletti ed uscito di carcere aveva iniziato a preparare filtri d'amore tanto da diventare noto come il "mago di San Casciano". Secondo le dichiarazioni di Gabriella Ghiribelli dal 1984 al 1985 la casa del Mago Indovino era divenuta il teatro di sedute spiritiche che grazie all'alcool si trasformavano in orge di sesso tra i partecipanti. Riferì la Ghiribelli: "Ogni domenica mattina, nell' appartamento dei due c' erano i resti di messe nere, vedevo cose strane, c'erano inequivocabili tracce di cosa era successo il sabato sera e la notte. Nella stanza appena si entrava, c' erano ceri spenti, una stella a cinque punte disegnata in terra con il carbone, una indicibile sporcizia e confusione dappertutto, preservativi, bottiglie di liquori vari vuote, nonchè un cartellone appoggiato sul tavolo contenente tutte le lettere dell'alfabeto e numeri con all'estremità di questo cartellone, che era di forma ovale, due cerchi con scritte in uno SI e nell'altro NO. Nel mezzo di questo cartellone c'era un piattino da caffè sporco di nero"(Un cartellone simile era stato rinvenuto presso l'abitazione di Pietro Pacciani). Sulle lenzuola del letto grande c' erano tracce di sangue. Erano macchie larghe quanto un foglio di carta da lettera". Filippa Nicoletti, al capo della squadra mobile, Michele Giuttari, riferì che in quegli anni la casa era frequentata da Milva Malatesta, il suo convivente Vincenzo Limongi, Domenico Agnello ed il mago Manuelito che Salvatore Indovino aveva conosciuto in carcere. Gabriella Ghiribelli aggiunse ai partecipanti dei festini a luci rosse anche Mario Vanni e Pietro Pacciani.
Il 28 agosto 1985, pochi giorni prima il duplice omicidio di Nadine Mauriot e Jean Michel Kravechvili, Salvatore Indovino denunciò ai carabinieri di San Casciano il furto con effrazione presso la sua abitazione di un coltello da cucina ed una lente di ingrandimento.
Salvatore Indovino morì di cancro il 15 agosto 1986.
Rif.1 - La Repubblica - 18 febbraio 1996 pag. 9 Rif.2 - Compagni di sangue pag. 47

Giuseppina Bassi

 
Giuseppina Bassi, detta Pinuccia, originaria di Rovigo, si era trasferita a Firenze nei primi anni sessanta. Fu trovata strangolata il 27 luglio 1984 da Umberto Cirri, un amico, distesa a terra nella camera da letto, completamente nuda, con le gambe divaricate ed un echimosi sul collo. Ex indossatrice, da alcuni anni aveva iniziato a prostituirsi presso la garconniere in via Benedetta, 2, nel centro storico fiorentino.
L'autopsia fu eseguita dai medici legali Mario Graev e Mauro Maurri.
Come per Giuliana Monciatti, Anna Milvia Mattei, Luisa Meoni e Clelia Cuscito non furono trafugati nè oggetti nè denaro.

lunedì 19 gennaio 2009

Lorenzo Moncarelli

Il 12 marzo 1996, Giancarlo Lotti dichiarò che Mario Vanni gli aveva detto che le cartucce calibro 22 venivano fornite da Toscano Filipponeri, costui aveva a sua volta riferito d'aver acquistato il 7 gennaio 1985 una pistola Beretta calibro 22 long rifle matricola A01017U ed il relativo munizionamento da Lorenzo Moncarelli. Moncarelli dichiarò d'essersi procurato la pistola presso il poligono di tiro delle Cascine a Firenze che risultò aver frequentato negli anni: 1972, 1973, 1974. 1975, 1978. Non risultò traccia alcuna della compravendita delle cartucce da parte del Moncarelli.
Rif.1 - Compagni di sangue pag.102

Lorenzo Allegranti intervista su Visto

Lorenzo Allegranti: "Si, io ho parlato con il Mostro. Diverse volte. Al telefono. Era lui che mi chiamava. Lo ha fatto dal 1982 al 1985, poco prima dell'ultimo duplice delitto agli Scopeti. Poi è sparito. Quando ha smesso di uccidere ha smesso anche di telefonarmi. Ma quella voce non la dimentico. Saprei riconoscerla, ancora oggi, tra mille. Una voce unica, dal timbro inconfondibile, senza inflessioni, parlava un italiano perfetto. La voce di una persona istruita. Insomma non era la voce di uno zoticone. (...) Quella sera ero di turno alla Croce d'Oro. Poco dopo le 23 arrivò una chiamata. Azionai la sirena e partii a gran velocità con l'ambulanza. In pochi minuti arrivai a Baccaiano. C'era un buio pesto. (...) Sono stato io ad aprire lo sportello, dal lato del passeggero. Ho tirato in avanti i sedili anteriori e, facendo luce con una torcia, ho visto i due giovani entrambi seduti sul sedile posteriore. Lei, Antonella, era composta, vestita, con le mani sulle gambe e la testa reclinata all'indietro. Sembrava dormisse. Aveva solo un piccolo foro in fronte. Le ho sollevato la testa per capire se respirava ancora e la nuca mi si è sfaldata fra le mani. Il proiettile era penetrato e poi esploso all'interno, provocando uno sfacelo. Per lei non c'era più niente da fare. Paolo invece respirava ancora. Anche lui era seduto con la testa reclinata verso il finestrino. L'ho sollevato e ho sentito un fiotto di sangue. Ho cercato di tamponare la ferita e poi con grande fatica, l'ho tirato fuori dalla macchina. L'ho adagiato in ambulanza e portato all'ospedale di Empoli (...) ho cercato di comunicare, via radio e poi con il telefono, con la sede della Croce d'Oro. Ma non ci sono riuscito. Tutte le linee erano mute. E' stato così per oltre due ore (...) Al lunedì sono stato ai funerali dei due ragazzi: li conoscevo bene. Alle due del mattino dopo sono stato svegliato da una telefonata. Ho risposto e ho sentito quella voce: «Allegranti, se parla lei è un'uomo morto. Farò una strage. Si ricordi: il Mostro colpirà ancora». E ha riattacato. Una sera dopo cena, mi ha telefonato e mi ha detto: «Sono della magistratura. Siccome lei ha messo a verbale cose diverse da quelle riferite dagli altri testimoni, voglio che mi racconti esattamente tutto quello che sa». E io ho risposto: se vuole questo mi convochi in Procura o dai carabinieri. Al telefono non le racconto un bel niente."
Giornalista: "Ma perche' signor Allegranti lei ha detto al magistrato cose diverse dagli altri?"
Lorenzo Allegranti: Perche' i magistrati sono convinti che sia stato Paolo Mainardi a tentare la fuga e finire in un fossato. Tutto nasce dal fatto che i due ragazzi passati sul posto in motorino hanno riferito di avere visto nell'auto un uomo con la testa reclinata sul volante. Per i magistrati non poteva che essere Mainardi. Ma non è così, perchè sono stato io ad aprire per primo la portiera della Seat. Antonella e Paolo erano entrambi sul sedile posteriore. I corpi li ho estratti io, e so quanta fatica ho fatto perchè quell' auto ha due sole portiere e non ha i sedili reclinabili. Quindi non posso essermi sbagliato. Al volante non c'era nessuno e se davvero c'era, la spiegazione è un' altra: al posto di guida si era messo il Mostro per spostare l' auto in una zona riparata, ed invece è finito in una cunetta. (...) Al processo il pm Paolo Canessa ha sostenuto che io dicevo il falso. Gli ho risposto per le rime tanto che è dovuto intervenire il presidente per calmarmi. Ma io sono stato chiaro: mi arresti pure in aula ma io non cambio versione. Racconto solo quello che ho visto.
Nella foto l'auto di Paolo Mainardi

domenica 18 gennaio 2009

Luigi e Roberto Scherma

Padre e figlio. Negli anni '80 possedevano a Ponterotto, vicino a San Casciano, una cava di sabbia, ciottoli e granulati. Giancarlo Lotti era stato un loro dipendente, aveva fatto il cavatore di inerti per una decina d'anni ed aveva abitato in una porzione della loro colonica disabitata ubicata vicino alla cava. Durante il processo ai presunti complici del "mostro di Firenze" l'abitazione non fu perquisita; Roberto Scherma fu ascoltato nell'udienza del 17 marzo 1998 dove riferì: "Lotti ha lavorato con me, mi pare fino nell'87, abitava accanto a me, la 124 blu la comprò dall'officina Bellini, l'ho pagata Lire 800.000, sarà stato nell'85, nell'83, non me lo ricordo. Ci siamo andati assieme, questi soldi o gliel'ho dati subito al meccanico, sennò gli ho detto -te li do io, la macchina gliela puoi dare- un me lo ricordo, la macchina l'ha ritirata dopo, davanti a me la macchina non l'ha ritirata. La macchina 128 rossa scodata la teneva davanti a casa sua, c'erano tutte e due le macchine, usava la macchina nuova, la 124 blu, l'altra no, un gli andava più, gliel'ho vista lì davanti per un pò di tempo e poi chiamò il demolitore, è venuto con il granchio a metterla sul camion. Le 800.000 gliele ritiravo un pò alla volta, un 200.000 per volta".
Rif.2 - Sentenza della Corte di Assise del 24 marzo 1998

Clelia Cuscito

 
Prostituta, ex infermiera, il 14 dicembre 1983 fu trovata morta nella sua abitazione in via G.P. Orsini, 64 a Firenze, dal fratello Bruno.. Il cadavere fu rinvenuto nella camera da letto con le gambe divaricate, indossava una maglia che era stata sollevata fino alle spalle ed un paio di scaldamuscoli. Era stata torturata con un'arma da taglio che aveva provocato ferite al collo e al ventre ed infine era stata soffocata con il filo del telefono. Nel pugno del cadavere fu trovato un ciuffo di capelli "strappati e non caduti di colorito castano tagliati recentemente all'apice, abbastanza robusti, con bulbo sottile, allungato e circondato da numerose fibre" appartenenti ad una persona con gruppo sanguigno di tipo B. La perizia rivela: "Hanno i caratteri morfologici indicativi di un loro brusco distacco dal cuoio capelluto ed è pertanto possibile che si siano trovati nella mano della vittima perchè strappati dalla capigliatura dell'aggressore in un ipotetico e disperato tentativo di difesa". Tutti i reperti furono distrutti e non fu possibile compararli successivamente con eventuali indagati. Dalle testimonianze rilasciate da Lorenzo Nesi emerse che Mario Vanni aveva frequentato la prostituta.

sabato 17 gennaio 2009

Andrea Ceri

Guardiacaccia. Collega di lavoro di Gianni Zoppi. Il primo ottobre 2001, davanti al capo della squadra mobile, Michele Giuttari, raccontò d'aver notato a Sesto Fiorentino, nei pressi della piazzola che aveva ospitato Nadine Mauriot e Jean Michel Kravechvili prima che si spostassero a Scopeti, dei cerchi di pietra. Aveva spiegato che: "Tali specie di frangifuoco erano così fatti: costruzioni circolari, tutte di diametro di 90 cm perfetti (così come ebbi modo di accertare personalmente utilizzando una ruota metrica in mio possesso), tutte aperte nel senso che la circonferenza era in tutte interrotta per un tratto di 10/15 cm. La costruzione appariva accurata nel senso che le pietre utilizzate per la loro costruzione erano tutte di medie/piccole dimensioni incastrate tra loro come se fosse un vero e proprio mosaico".
Rimasto incuriosito da simili costruzioni le aveva fotografate e mostrate ad una esperta di esoterismo di nome Rosetta. Il primo ottobre 1985, intorno alle ore 15,00 si era nuovamente recato alla piazzola dove aveva trovato una cartuccia calibro 22 serie H che aveva consegnato al commissariato di Polizia di Sesto Fiorentino. Il 17 luglio 1992 aveva inviato un fax al dottor Perugini, direttore della SAM, rendendosi "disponibile a riferire circa alcuni particolari per l'omicidio della coppia dei francesi" ma non era mai stato ricontattato.
Rif.1 - Il mostro pag.290

Luciano Calonaci

Piccolo imprenditore, fu sentito il 12 dicembre 1997 su richiesta della difesa di Mario Vanni. Raccontò d'essere uscito di casa intorno alle ore 23:00, il 6 giugno 1982, per recarsi in chiesa a seguire la messa prima della processione che avrebbe percorso tutto il paese di Cerbaia. Dalla strada che giunge fino a Firenze vide provenire un'auto della polizia che procedeva verso Baccaiano, "pareva in perlustrazione", disse Calonaci; a bordo solo il guidatore, una persona robusta, che indossava una camicia azzurrina. Gli era stato possibile scorgere certi dettagli poichè le strade per la procesione erano illuminate a festa. Il guidatore, accortosi che Calonaci lo osservava, fece come per nascondersi e scivolò sul sedile. "Pareva fosse stato scoperto a rubare in chiesa" aggiunse Calonaci.

 Rif.1 - Storia delle merende infami pag. 428. Nel libro citato si dice che l'auto fu vista passare "tre quarti d'ora al massimo prima del duplice delitto" ma Antonella Migliorini e Paolo Mainardi furono uccisi nella notte del 19 giugno 1982.

venerdì 16 gennaio 2009

Un uomo abbastanza normale

Autore: Ruggero Perugini
Prima edizione: Arnoldo Mondadori Editore - 1994 - 260pp - Cartonato
SINOSSI
Dal 1968 al 1985 i dintorni di Firenze sono stati il teatro della più impressionante serie di delitti mai registrata in Italia: sedici vittime, otto coppie sorprese nel buio, uccise con una pistola calibro 22, i cadaveri delle donne mutilati con un coltello per prelevarne macabri souvenir. Risultò ben presto evidente che dietro i duplici omicidi doveva esserci una sola mano, il serial killer soprannominato subito "il mostro di Firenze": stessa scena, stessa pistola e soprattutto, stesso rituale officiato dall'assassino dopo ogni delitto. Ma chi era il mostro? Come catturarlo, in mancanza di un qualsiasi movente "ragionevole" che lo potesse collegare ai singoli episodi? Dopo una sequela di false piste e di errori giudiziari che portarono in carcere persone in seguito rivelatesi estranee, nel 1984 venne costituita una squadra investigativa speciale: la SAM, squadra antimostro. Un anno più tardi l'indagine fu affidata al commissario Ruggero Perugini.

Piero Becherini

Poco dopo le 23:00 di domenica 29 luglio 1984, la madre di Claudio Stefanacci non vedendolo rincasare aveva iniziato a cercarlo. Prima si era recata al bar poi dagli amici. Infine aveva svegliato l'amico del figlio, Piero Becherini, che conoscendo le sue abitudini si era avviato verso un viottolo che si dipartiva dalla Via Sagginalese. Un posto frequentato da coppie desiderose di appartarsi. Scorse la Panda azzurra di Claudio ed il cadavere dell'amico sul sedile posteriore. Furono chiamati i carabinieri, la polizia e tutto il pool degli investigatori fiorentini con in testa i magistrati Carlo Bellitto e Paolo Canessa. 
Rif.2 - La leggenda del Vampa pag.210 Nel libro "Il mostro" a pag. 40 i cadaveri dei due giovani furono trovati grazie ad una segnalazione anonima.

giovedì 15 gennaio 2009

Filipponeri Toscano


Ex appuntato dei Carabinieri, deceduto il 7 dicembre 2013. Fu indagato per alcuni delitti del mostro e per la strana morte di Renato Malatesta. Dalle dichiarazioni di Giancarlo Lotti fu accusato d'essere il fornitore delle cartucce calibro 22: "...procurava i proiettili per la pistola... uno di San Casciano... era un carabiniere... faceva servizio a San Casciano... il nome è Toscano... era al corrente che li adoperavano per fare gli omicidi... Toscano dava i proiettili al Vanni, che poi li faceva avere a Pietro... Sono racconti che ha fatto il Vanni.". Il 18 marzo 1996, durante una perquisizione ,gli furono trovate in casa, in un armadietto metallico, numerose armi e 200 cartucce Winchester calibro 22 con la lettera "W" impressa sul fondello. Dalle indagini successive era emerso che "il suddetto carabiniere aveva detenuto un revolver calibro 22 marca Guerrini, a quattro colpi dal 19 ottobre 1973 al 25 febbraio 1975; che aveva acquistato alla stessa data del 25 febbraio 1975, una pistola Beretta calibro 22 Long Rifle dall'armeria di Nesi Aldo di San Casciano, arma che aveva poi detenuto fino al 29 settembre 1984, data in cui l'aveva ceduta a tale L.M.; aveva acquistato in data 7 gennaio 1985 da tale Lorenzo Mencarelli una pistola Beretta, calibro 22 modello '76, arma ugualmente denunciata con un atto di denuncia che recava in calce la seguente aggiunta: (Nota bene, numero 100 cartucce calibro 22 Long Rifle) ; Aveva ancora acquistato in data 2 settembre 1990 una carabina calibro 22 da tale M.S. , arma pure denunciata con un atto di denuncia che recava in calce l'analoga aggiunta di cui sopra" (cit. Sentenza Vanni/Lotti 24.03.98).
Toscano dichiarò di non essersi mai occupato del caso del "mostro di Firenze" ma il capo della squadra mobile, Michele Giuttari, appurò che aveva prestato servizio presso la caserma dei carabinieri di San Casciano, il cui organico aveva contribuito alle indagini su Pietro Pacciani. Negli archivi dell' Arma fu inoltre trovato un fonogramma, firmato da Toscano, spedito al comando provinciale, alle dieci del 24 dicembre 1980, in cui riferendosi alla morte di Renato Malatesta, si segnalava "un sicuro caso di suicidio".
Rif.1 - Compagni di sangue pag.102
Rif.2 - La Repubblica 19 marzo 1996 pag.22
Rif.3 - La Repubblica - 11 aprile 1996 pag.19

Francesco Cellai

Guardiacaccia. Collega di lavoro di Gianni Zoppi. Interrogato nell'ottobre del 2001, dal capo della squadra mobile, Michele Giuttari, confermò le dichiarazioni del compagno di lavoro ed aggiunse che la zona da cui avevano allontanato i due giovani francesi era nota per essere frequentata da guardoni.
Rif.1 - Il mostro pag.289

mercoledì 14 gennaio 2009

Mauro Poggiali

Operatore ecologico. Amico di Pia Rontini. Il 17 aprile 1993 fu ascoltato dal capo della squadra mobile, Michele Giuttari. Raccontò che nelle settimane precedenti l'omicidio aveva riaccompagnato Pia a casa diverse volte al termine del turno serale. In un paio di occasioni aveva notato una auto che li aveva seguiti fin dalla piazza adiacente al bar dove la ragazza lavorava. Si trattava di un'auto di media cilindrata, dal colore non chiaro, amaranto, forse rosso sbiadito. Gli fu quindi mostrata la foto della Fiat 128 coupè di proprietà di Giancarlo Lotti, Poggiali aggiunse: "la macchina che mi fate vedere in una fotocopia in bianco e nero mi sembra, nella parte posteriore, simile a quella da me notata nelle circostanze riferite. Nel suo insieme, però, quest'auto mi da l'impressione, guardandola nella fotocopia, che sia più grande di quella in questione. Dovrei vederla personalmente per poter essere più sicuro. Comunque questa macchina mi fa un certo effetto e la parte posteriore, ripeto, mi sembra simile anche perchè vedo che non ha la luce laterale nella parte posteriore e io, quando ho visto di profilo quella macchina, ho appunto notato che nella sua parte posteriore laterale non aveva la luce."

Detenuto M.R.

Detenuto per reati contro la persona ed il patrimonio. Nel 1991 era recluso a Sollicciano nella cella n.12, adiacente alla n.11 occupata da Pietro Pacciani. Aveva frequentato Pacciani anche nel maggio e nel giugno 1994 durante la comune detenzione. Nel maggio del 1996, una volta scarcerato, si recò presso la caserma dei carabinieri di Rufina dove raccontò che Pacciani gli aveva confidato di essere l'assassino delle coppietti ed altri particolari che furono immediatamente trasmessi al Pubblico Ministero e al capo della squadra mobile. Interrogato da Michele Giuttari, rivelò che Pacciani gli aveva chiesto, qualora fosse uscito di carcere prima di lui, di commettere un duplice omicidio per scagionarlo. Avrebbe dovuto usare una pistola nascosta dentro "una borsa di pelle chiusa in un posto" a Mercatale e cercare una coppietta nella zona di Pontassieve, Rufina, Borgo San Lorenzo. Pacciani gli chiese inoltre aiuto per uccidere una persona che lo aveva deluso ed imbrogliato, un amico che si era rifiutato di uccidere una coppia per scagionarlo e farlo uscire di carcere. Pacciani, in cambio dei suoi servigi, lo avrebbe ripagato con una casa e dei soldi.
Rif.1 - Compagni di sangue pag.184

martedì 13 gennaio 2009

Gianni Zoppi

Guardiacaccia. Il 10 settembre 1985, dopo che i giornali si erano occupati del duplice omicidio di Nadine Mauriot e Jean Michel Kravechvili, fece verbalizzare le seguenti dichiarazioni: "Avendo appreso dai quotidiani la notizia dell'omicidio commesso a San Casciano V. di P., in merito desidero far presente che i volti delle persone pubblicati oggi da La Nazione li ho visti a Sesto Fiorentino in via di Carmignanello e per l'esattezza alle ore 7:15 del 4 settembre mentre mi trovavo in servizio di vigilanza venatoria all'altezza di una villa molto all'interno della campagna. Su di uno spiazzo frequentato da coppie ho visto la tenda canadese e una Golf bianca con targa francese, mi sono avvicinato e con educazione ho chiesto agli occupanti di uscire e di mostrarmi i documenti perchè in quella zona vige il divieto di campeggio. Senza esitazione mi esibivano i loro documenti dei quali non veniva annotato alcun dato perchè era solo per il riconoscimento, dopo di che gli stessi sono stati invitati ad allontanarsi. Dopo 15 minuti sono tornato sui miei passi e ho notato che si erano allontanati. Questa mattina dai giornali ho riconosciuto i loro volti apprendendo anche che sono stati uccisi. Al momento del controllo l' uomo era in costume mentre la donna aveva solo le mutandine. Nei giorni precedenti nella stessa zona ho notato una moto di grossa cilindrata di colore bianco, presumibilmente Bmw o Moto Guzzi, alla cui guida c' era un uomo alto circa un metro e 75 di robusta costituzione, capelli corti scuri e stempiato, viso tondo, carnagione scura. Vestiva una camicia bianca aperta sul davanti, mi pare avesse una catenina al collo, peli sul petto, indossava pantaloni scuri credo jeans e scarpe sportive. La moto era equipaggiata con due borse laterali. Devo precisare che l'ho visto mentre saliva sulla moto proveniente dal vicino bosco. La moto era sicuramente targata Firenze. Desidero ulteriormente precisare che i turisti parlavano in lingua francese e il colloquio con loro è avvenuto in questa lingua perchè la conosco abbastanza bene. In mia compagnia e per lo stesso servizio si trovava la guardia venatoria Francesco Cellai".

Giancarlo Baronti

Professore dell'istituto di etnologia e antropologia culturale dell'Università di Perugia. Dei delitti del cosiddetto mostro di Firenze escludeva l'ipotesi sessuale, privilegiando un "delirio di giustizia" con una forte caratterizzazione moralistica: "lo chiamerei anche delirio di potenza: uccidendo, infatti, l'assassino riduce le sue vittime nella condizione di non potere reagire, e questo lui lo avverte come una affermazione della propria individualità e della propria potenza. Nella seconda fase del delitto, dopo l'uccisione, si rivelano anche elementi di feticismo che si concretizzano con i segni sul ventre e con l'asportazione del pube della donna. Non penso che ci sia un elemento di sadismo, che sarebbe collegato all'erotismo e al piacere, ma vedo emergere elementi sacrificali-punitivi. Elementi, del resto, cui l'assassino è finalizzato. La donna, si rilevi, viene sempre «punita» nel momento in cui esercita una attività sessuale. Lo scopo finale dell'azione dell'assassino è il rituale sul corpo della donna. Lui parte quando è spinto da questa pulsione. Probabilmente è un elemento che vive nella zona dei delitti; da scartare (comunque non sarebbe un fatto non influente) che egli conoscesse le sue vittime; c'è da pensare che si tratti di un individuo che nella sua vita quotidiana non è un violento; insomma potrebbe apparire nella vita di tutti i giorni un elemento assolutamente insospettabile. È comunque un individuo che ha un'altissima considerazione di se stesso, ma che, magari, è frustrato nella vita familiare e nell'ambiente di lavoro e che poi si erge a giudice giustiziere, a dio e sacerdote di una divinità che poi è lui stesso. Dopo il rito si sente liberato, soddisfatto."
Rif.1 - Il mostro di Firenze pag.69

lunedì 12 gennaio 2009

Walter

Il 4 ottobre 1985 si recò alla caserma dei carabinieri di San Casciano per consegnare un "fazzolettino di carta intriso di sangue con un capello" e dei guanti di tipo chirurgico taglia 7 rinvenuti a Scopeti in una siepe non distante il luogo in cui era stato trovato il cadavere di Jean Michel Kravechvili. Dalla perizia eseguita dal professor Cagliesi emerse che il sangue era umano ed appartenente al gruppo B (come quello relativo all'omicidio della prostituta Clelia Cuscito). La formazione pilifera era lunga 2 cm, appartenente alla specie umana, di colore castano, liscio.
Rif.1 - Il mostro pag.335
Rif.2 - La Repubblica - 25 marzo 2007 pag.10

domenica 11 gennaio 2009

Bruno Corsini e Armando Cavani

Pensionati. Venerdì 23 ottobre 1981, intorno alle 11,00, come ogni mattina, si recarono presso il proprio orto in località Bartoline a Calenzano. Notarono immediatamente la golf nera parcheggiata sul sentiero ed avvicinatisi scorsero due cadaveri. Si recarono presso la locale caserma dei carabinieri dove raccontarono che in quel campo si trovavano "almeno due morti". Gli inquirenti alcune ore dopo appresero i nomi dei due ragazzi uccisi: Susanna Cambi e Stefano Baldi.
Sul quotidiano "La Città" il contadino che scoprì i cadaveri dei due giovani si chiama Arnolfo Corsani.
Rif.1 - La leggenda del Vampa pag.161
Rif.2 - La Città - 24 ottobre 1981 pag.5

sabato 10 gennaio 2009

Don Cubattoli

San Donato in Poggio, 24 settembre 1922 – Firenze, 2 dicembre 2006. Per trent'anni è stato cappellano delle carceri, Murate, Santa Verdiana e Sollicciano dove conobbe Pietro Pacciani. Il 21 giugno 1996 davanti al capo della squadra mobile, Michele Giuttari, dichiarò d'essersi recato in data 2 gennaio 1992 con Giuseppe Sgangarella e Antonio Rescigno a Mercatale a casa di Pacciani per cercare di mettere in moto una sua auto che si trovava nel garage di Piazza del popolo. Dichiarò che Pacciani era in buoni rapporti con Sgangarella, tanto da avergli promesso in dono una delle sue case. Rivelò d'aver conosciuto anche Francesco Vinci, detenuto sempre a Sollicciano e di averlo visto disperato per essere imputato nei delitti del "mostro di Firenze" tanto che "si batteva anche il capo al muro". Il 25 febbario 1998 officiò la funzione funebre di Pietro Pacciani assieme al parroco don Fulvio nella chiesa di Santa Maria a Mercatale.

Luisa Meoni

 
Il 13 ottobre 1984 fu trovata morta nel suo appartamento in Via della Chiesa 42 a Firenze da Adriana Semplicini, che si occupava delle pulizie nell'appartamento. La Meoni era originaria di Lastra a Signa, dove era nata il 15 giugno 1938. Il cadavere indossava tutti gli indumenti (mutande, collant, gonna maglioncino), era disteso a terra supino e giaceva nella camera da letto; le braccia erano legate sul corpo mediante una giacca di lana. L'assassino l'aveva soffocata spingendole un batuffolo di cotone nella bocca e nel naso. Non furono trovate tracce di violenza sessuale. Come per Giuliana Monciatti, Anna Milvia Mattei, Giuseppina Bassi, e Clelia Cuscito non risultarono trafugati nè oggeti nè denaro. Tra i vari oggetti repertati fu rinvenuta una ricevuta fiscale emessa il 21 ottobre 1982 dalla ditta «P.I.C. Pronto Intervento Casa» il cui legale rappresentante risultò essere Salvatore Vinci, che fu sospettato dell'omicidio. Il delitto rimase irrisolto.

Rif.1 - Rapporto giudiziario relativo all'omicidio in pregiudizio di Meoni Luisa del 31 ottobre 1984

venerdì 9 gennaio 2009

Claudio Marucelli De Biasi

Squilibrato, fanatico di armi. Il 15 aprile 1973 aveva sparato ad una coppia che si trovava in auto in un campo appena fuori Firenze. Aveva creduto di scorgere la propria moglie tra gli occupanti dell'auto ed aveva sparato 7 colpi di rivoltella al presunto amante. Detenuto presso il carcere delle Murate a Firenze, scrisse alla madre di Susanna Cambi: "Io conosco il mostro e mi sento un pò colpevole di questi assurdi omicidi perchè io sparai a una coppietta e sembra che il mio gesto abbia dato vita a questi omicidi. (...) Ammise d'essere stato un guardone, d'aver visto il mostro in volto e che questi nel 1968 gli aveva rubato una Beretta calibro 22. "Lui praticava spesso il campo delle Bartoline, poi l'ho visto dopo le Croci di Calenzano. Lo rividi dalle parti di Scarperia e una volta nei pressi del paese La Lisca per andare a Montelupo e l'ultima volta che lo vidi fu nel '76 tramite una licenza che mi diede il carcere di Firenze". Rif.1 - Il mostro di Firenze pag.97

Pacciani Innocente

Autore: Nino Filastò
Prima edizione: Ponte alle Grazie - 1994 - 196pp - Cartonato
SINOSSI
La controversa condanna di Pietro Pacciani dovrebbe aver posto il suggello alle tristi imprese del "mostro di Firenze". Eppure l'ombra inquietante del dubbio sembra tormentare ancora le coscienze. E se Pacciani fosse innocente, come sostiene l'autore del libro, chi sarebbe allora il vero mostro? Nino Filastò analizza il processo a carico di Pacciani ed il lungo iter investigativo che ha accompagnato la vicenda delle uccisioni delle coppie, individuando una costante. Qualcuno pare intervenire sistematicamente sulle indagini per indirizzarle in varie direzioni: un deus ex machina misterioso che accusa e scagiona un personaggio dominato da un catastrofico sentimento di onnipotenza. E' forse lui che ha creato le suggestive coincidenze che accusano Pacciani? E gli indizi a carico dell'agricoltore del Mugello sono genuini o sono il frutto della contaminazione della prova? Ma soprattutto: il misterioso personaggio che lega e che scioglie, che scrive lettere anonime, che dialoga a distanza con gli inquirenti è l'autentico mostro di Firenze? Il saggio di Filastò non rappresenta solo una difesa di Pietro Pacciani supportata da un'analisi critica del "proceso all'italiana" ma avvince come un thriller, conducendo il lettore sulle tracce di un assassino che l'Autore insegue a filo di logica da dodici anni.