Nacque a San Casciano Val di Pesa il 16 settembre 1940, il padre, Primo, forte bevitore, era deceduto nel 1966 a 67 anni, la madre era deceduta nel 1975 all'età di 74 anni. Raccontò di lei Giancarlo Lotti: "L'ho portata troppo tardi in ospedale. Anche lì ho passato momenti non troppo belli. Ricordo che mia madre si fissava sulla luce, prendeva la notte per il giorno. (...) Io posso solo dire che i miei genitori non mi hanno mai dato uno schiaffo. Mi hanno sempre tenuto molto chiuso, specie mio padre; mi guardava un pò troppo; se arrivavo un pò tardi di sera, lui veniva a riscontrarmi. Mia madre invece un pò meno. Anche come famiglia eravamo un pò isolati; le persone erano un pò astiose con noi, non so perchè. Mia madre era una donna molto religiosa; io invece non sono mai stato religioso." Della sorella riferì: "è come neppure ci fosse. Lei non mi parla e poi siamo due caratteri un pò diversi. Io ne ho sofferto molto, perchè sono un fratello, mica un barbone di strada! Anche mia nipote non mi guarda. Cosa le ho fatto io? Io non ho mica fatto niente a tutti loro..."
Dopo la IV elementare aveva smesso di frequentare la scuola "perchè studiare non mi interessava e perchè non si imparava nulla. A 14 anni ho smesso. Leggere, leggo, mi arrangio. (...) Prima dei vent'anni aiutavo mio padre in campagna, saltuariamente. Poi mi sono messo a fare quello che trovavo. Al massimo ho preso 1.300.000 lire al mese per il mio lavoro. Pochi per mantenere la macchina, mangiare, bere, dormire e andare a donne una volta a settimana". Conseguì la patente di guida nel 1978, all'età di 38 anni, dopo diversi tentativi: "La patente l’ho presa mica con tanta facilità; se non mi aiutavano non ce la facevo. Non mi andava più di andare con il motorino e poi con la macchina puoi andare dove e come vuoi. Mi piaceva guidare la macchina. Adesso ho un 131 Fiat 1600. Di macchine ne ho avute tante: una 850 Fiat special bianca; una Mini Morris 1100 gialla; due 124 Fiat una celeste e l’altra gialla; un 128 coupé rosso, una 131 Fiat rossa 1300 e infine una 131 Fiat rossa 1600. Tutte macchine usate, perché non avevo la possibilità di comprarne una nuova. Le macchine che più mi sono piaciute sono state le due 124. (...) Da ragazzo ero molto riservato e parlavo poco. Amici ne avevo a S. Casciano, ma non di tutti mi fidavo; e non è neppure che ne avessi tanti. Un po’ scherzavo e qualche volta mi arrabbiavo. Non sono mai andato a ballare. I miei non volevano che io uscissi di sera, specie mio padre, non so neppure io perché."
Per alcuni anni aveva vissuto in una porzione della colonica di proprietà dei signori Scherma, titolari di una cava ubicata in località Ponterotto, vicino a San Casciano, presso cui Giancarlo Lotti aveva fatto il cavatore di inerti. "Poi sono andato a vivere per quattro anni con un prete (Don Fabrizio Poli) in una Comunità, dove pagavo solo la luce. Con il mio lavoro, mi compravo il mangiare e i vestiti. Per il dormire non pagavo niente. Io in quella Comunità stavo male, perché non potevo parlare con nessuno; non capivo cosa dicevano (erano quasi tutti extracomunitari). Ogni tanto mi arrabbiavo e il prete mi rimproverava. Avessi avuto i soldi, mi sarei preso una casa per me, invece niente. Non ho mai trovato modo di dividere una casa con qualcuno, anche perché non sai... ". (...) Io so fare tutto in casa; perciò non ho bisogno di una donna che mi faccia le cose in casa. Certo che la solitudine è brutta, anche se ormai ci ho fatto l’abitudine."
Per alcuni anni aveva vissuto in una porzione della colonica di proprietà dei signori Scherma, titolari di una cava ubicata in località Ponterotto, vicino a San Casciano, presso cui Giancarlo Lotti aveva fatto il cavatore di inerti. "Poi sono andato a vivere per quattro anni con un prete (Don Fabrizio Poli) in una Comunità, dove pagavo solo la luce. Con il mio lavoro, mi compravo il mangiare e i vestiti. Per il dormire non pagavo niente. Io in quella Comunità stavo male, perché non potevo parlare con nessuno; non capivo cosa dicevano (erano quasi tutti extracomunitari). Ogni tanto mi arrabbiavo e il prete mi rimproverava. Avessi avuto i soldi, mi sarei preso una casa per me, invece niente. Non ho mai trovato modo di dividere una casa con qualcuno, anche perché non sai... ". (...) Io so fare tutto in casa; perciò non ho bisogno di una donna che mi faccia le cose in casa. Certo che la solitudine è brutta, anche se ormai ci ho fatto l’abitudine."
Fu sentito dalla polizia giudiziaria durante le indagini preliminari del procedimento contro Pietro Pacciani il 19 luglio 1990. Confermò la sua conoscenza e frequentazione con Pietro Pacciani e Mario Vanni senza fornire ulteriori motivi di indagine ed il Pubblico Ministero non lo inserì tra i testi da ascoltare al dibattimento. Fu nuovamente sentito informalmente in Questura il 21 luglio 1994 mentre si svolgeva il processo contro Pietro Pacciani. Alle 15,30 del 15 dicembre 1995 fu nuovamente convocato presso la Questura di Firenze ed interrogato dall'allora capo della squadra mobile, Michele Giuttari. Riferì della sua conoscenza con le prostitute Filippa Nicoletti e Gabriella Ghiribelli e confermò la frequentazione di Mario Vanni e Pietro Pacciani. In seguito alle dichiarazioni di Fernando Pucci, che riferì d'aver partecipato come osservatore, assieme a Giancarlo Lotti, al duplice omicidio di Scopeti, l'11 febbraio 1996 dinanzi al P.M Pier Luigi Vigna, ai Procuratori Paolo Canessa e Alessandro Crini e a Michele Giuttari e F.Vinci rispettivamente dirigente e funzionario addetto della squadra mobile di Firenze, fu interrogato Giancarlo Lotti. Questi confermò le precedenti dichiarazioni ed anche le parole dell'amico Pucci senza però palesare i nomi degli esecutori del duplice omicidio. Il pomeriggio stesso fu organizzato un confronto tra Lotti e Pucci, alle 18,45 entrarono entrambi nella stanza del Procuratore, nella mezz'ora di interrogatorio che seguì, i due testi rivelarono d'aver visto, la sera dell'8 settembre 1985, Pietro Pacciani e Mario Vanni compiere il duplice omicidio che aveva avuto luogo a Scopeti. Al termine dell'interrogatorio la Procura della Repubblica richiese, al capo della Squadra mobile, l'attuazione di misure di protezione nei confronti di Giancarlo Lotti, che divenendo formalmente "collaboratore di giustizia" era soggetto allo speciale programma di protezione gestito dal Servizio Centrale di Protezione, istituito presso la Direzione Centrale della Polizia Criminale, un programma solitamente applicato nei processi di mafia e terrorismo e che prevede un modesto stipendio ed una abitazione.
Il giorno successivo il giudice per le indagini preliminari ordinò la custodia cautelare per Mario Vanni. La Procura di Firenze tentò quindi di inserire i nuovi testimoni nel processo di appello a Pietro Pacciani e per esigenze investigative celò i nomi di Fernando Pucci, Giancarlo Lotti, Gabriella Ghiribelli e Norberto Galli dietro le lettere dell'alfabeto greco: alfa, beta, gamma, delta. La fase dibattimentale si era però già conclusa ed il Presidente della Corte di Assise di Appello, Francesco Ferri, respinse la richiesta di ascoltare testi non identificati. Furono quindi eseguiti alcuni sopralluoghi con Lotti e con Pucci a Scopeti e a Vicchio. Giancarlo Lotti fu poi risentito il 13, il 17 ed il 21 febbraio 1996 ma anche il 4, il 6, l'11, ed il 12 marzo dello stesso anno, riferì d'aver partecipato anche agli omicidi avvenuti a Baccaiano, Giogoli e Vicchio. Proseguì poi con le proprie dichiarazioni il 26 aprile, il 12 giugno ed il 15 luglio. Il 16 settembre 1996 la Procura della Repubblica chiese ai professori Ugo Fornari, medico specialista in psichiatria e Marco Lagazzi, medico specialista in psicologia, un profilo psicologico di Giancarlo Lotti, per apprendere se il soggetto fosse affetto da impotenza sessuale, quali ne fossero stati gli eventuali motivi, quale ruolo la stessa impotenza avrebbe esercitato sulla dinamica dei reati attribuitigli. Giancarlo Lotti riferì ai medici: "Pacciani l’ho conosciuto nell’80 circa, dopo Vanni. Io lo frequentavo poco; non mi era simpatico. Mario invece lo andava a trovare anche a casa. Allora Pacciani abitava in una frazione di Montefiridolfi; lì io l’ho conosciuto, casualmente, attraverso Mario Vanni che era il postino di zona. Pacciani era uno che aveva la voce un po’ alta e un po’ prepotente. Poi aveva fatto delle cose brutte con le figlie e la moglie; sicché non c’era da fidarsi mica tanto. Non mi andava proprio bene frequentarlo. Voleva essere superiore agli altri. Con Mario c’era confidenza, era educato e mi dava anche i soldi per la benzina, quando si faceva portare da qualche parte. Con Pacciani, invece, non c’era confidenza; non mi andava. Non potevo parlare tranquillamente con lui, per cui preferivo stare zitto. Quando si giocava a carte, voleva vincere sempre. Quando si andava fuori, Pacciani non pagava mai; o pagava Mario o pagavo io. I soldi li aveva, ma li teneva stretti. Ad andare con lui, anche quando si facevano le merende insieme, non mi andava mica tanto bene. Come faceva Vanni a sopportarlo, non lo so proprio. Pacciani ha cercato di coinvolgermi, per farmi stare zitto, nel senso che ha continuato a portarmi con sé dopo l’82. La prima volta non sapevo mica cosa si andasse a fare. Non è mica stata una cosa molto bella. Non mi piacque niente vedere le armi e me ne tornai in macchina. Allora Pacciani ha incominciato a minacciarmi: ormai ero dentro e dovevo andare avanti. Io avevo paura che Pacciani, se dicevo di no, mi poteva fare qualcosa di male. Era un violento, suvvia, diciamolo. Pacciani comandava anche Vanni. Adesso io più che arrabbiato con Pacciani, sono preoccupato, perché non so come finirà questa storia. Pacciani è uno che ha detto che nemmeno mi conosce; io invece lo conosco benissimo e se dirà contro di me, saprò bene io come difendermi. Inoltre Pacciani è uno che sa e che, se verrà condannato, verranno fuori altri nomi. Se non dicevo nulla, ero bell’e che dentro. Mi hanno messo davanti a dei contrasti e io ho dovuto ammettere qualche cosa, altrimenti me ne sarei andato in carcere."
Nel novembre del 1996 consegnò una lettera manoscritta al dottor Vinci, funzionario della Questura di Firenze, in cui confessò d'aver preso parte all'omicidio di Giogoli sparando alcuni colpi d'arma da fuoco contro il furgone dei giovani tedeschi. Nell'interrogatorio che seguì spiegò d'aver preso parte attiva all'omicidio poichè ricattato da Pietro Pacciani che lo aveva sorpreso con un amico durante una rapporto omosessuale. Nella medesima occasione spiegò che i feticci asportati alle vittime venivano consegnati da Pacciani ad un dottore dietro lauto pagamento. In un interrogatorio successivo fornì dettagli circa un rapporto omosessuale impostogli da Pietro Pacciani prima dell'omicidio di Baccaiano. L'11 gennaio 1997, il Pubblico ministero inviò al giudice per le indagini preliminari la richiesta di rinvio a giudizio per Mario Vanni e Giancarlo Lotti. Il 19 febbraio 1997 il pubblico ministero interrogò Giancarlo Lotti tramite incidente probatorio, questi fu difeso dall'avvocato Stefano Bertini, lo avevano preceduto nel 1996 il difensore Neri Pinucci e nel 1997 l'avvocato Alessandro Falciani. Il giorno successivo ebbe luogo l'udienza preliminare a conclusione della quale il Giudice per le indagini preliminari rinviò a giudizio gli imputati fissando la data del dibattimento per il 20 maggio 1997. Il 23 febbraio 1998, il pubblico Ministero Paolo Canessa, chiese al termine della propria requisitoria la condanna all'ergastolo per Mario Vanni e 21 anni di carcere per Giancarlo Lotti. La sentenza fu emessa il 24 marzo 1998, Mario Vanni e Giancarlo Lotti furono ritenuti colpevoli del reato di concorso, assieme a Pietro Pacciani degli omicidi avvenuti dal 1982 al 1985 attribuiti al cosiddetto "mostro di Firenze". Mario Vanni fu condannato a scontare la pena dell'ergastolo, Giancarlo Lotti 30 anni di carcere. Il processo di appello si concluse il 31 maggio 1999, fu confermata la pena per Mario Vanni, fu ridotta a 26 anni quella di Giancarlo Lotti. Lo stesso esito ebbe la sentenza della Corte di Assise del 26 aprile 2000.
Il 30 marzo 2002 Giancarlo Lotti morì presso l'ospedale San Paolo di Milano per un tumore al fegato. Il 15 marzo era uscito dal carcere di Monza per un ricovero d'urgenza.
Rif.1 - Compagni di sangue pag.222
Rif.2 - Storia delle merende infami pag.202
Vedi anche:
-Don Fabrizio Poli
-Colloquio telefonico tra Giancarlo Lotti e Filippa Nicoletti
-Perizia su Giancarlo Lotti
-La lettera spontanea di Giancarlo Lotti
-Giancarlo Lotti - Dichiarazioni dell' 11 marzo 1996
-Giancarlo Lotti - Verbale di informazioni testimoniali - 19 luglio 1990
Il giorno successivo il giudice per le indagini preliminari ordinò la custodia cautelare per Mario Vanni. La Procura di Firenze tentò quindi di inserire i nuovi testimoni nel processo di appello a Pietro Pacciani e per esigenze investigative celò i nomi di Fernando Pucci, Giancarlo Lotti, Gabriella Ghiribelli e Norberto Galli dietro le lettere dell'alfabeto greco: alfa, beta, gamma, delta. La fase dibattimentale si era però già conclusa ed il Presidente della Corte di Assise di Appello, Francesco Ferri, respinse la richiesta di ascoltare testi non identificati. Furono quindi eseguiti alcuni sopralluoghi con Lotti e con Pucci a Scopeti e a Vicchio. Giancarlo Lotti fu poi risentito il 13, il 17 ed il 21 febbraio 1996 ma anche il 4, il 6, l'11, ed il 12 marzo dello stesso anno, riferì d'aver partecipato anche agli omicidi avvenuti a Baccaiano, Giogoli e Vicchio. Proseguì poi con le proprie dichiarazioni il 26 aprile, il 12 giugno ed il 15 luglio. Il 16 settembre 1996 la Procura della Repubblica chiese ai professori Ugo Fornari, medico specialista in psichiatria e Marco Lagazzi, medico specialista in psicologia, un profilo psicologico di Giancarlo Lotti, per apprendere se il soggetto fosse affetto da impotenza sessuale, quali ne fossero stati gli eventuali motivi, quale ruolo la stessa impotenza avrebbe esercitato sulla dinamica dei reati attribuitigli. Giancarlo Lotti riferì ai medici: "Pacciani l’ho conosciuto nell’80 circa, dopo Vanni. Io lo frequentavo poco; non mi era simpatico. Mario invece lo andava a trovare anche a casa. Allora Pacciani abitava in una frazione di Montefiridolfi; lì io l’ho conosciuto, casualmente, attraverso Mario Vanni che era il postino di zona. Pacciani era uno che aveva la voce un po’ alta e un po’ prepotente. Poi aveva fatto delle cose brutte con le figlie e la moglie; sicché non c’era da fidarsi mica tanto. Non mi andava proprio bene frequentarlo. Voleva essere superiore agli altri. Con Mario c’era confidenza, era educato e mi dava anche i soldi per la benzina, quando si faceva portare da qualche parte. Con Pacciani, invece, non c’era confidenza; non mi andava. Non potevo parlare tranquillamente con lui, per cui preferivo stare zitto. Quando si giocava a carte, voleva vincere sempre. Quando si andava fuori, Pacciani non pagava mai; o pagava Mario o pagavo io. I soldi li aveva, ma li teneva stretti. Ad andare con lui, anche quando si facevano le merende insieme, non mi andava mica tanto bene. Come faceva Vanni a sopportarlo, non lo so proprio. Pacciani ha cercato di coinvolgermi, per farmi stare zitto, nel senso che ha continuato a portarmi con sé dopo l’82. La prima volta non sapevo mica cosa si andasse a fare. Non è mica stata una cosa molto bella. Non mi piacque niente vedere le armi e me ne tornai in macchina. Allora Pacciani ha incominciato a minacciarmi: ormai ero dentro e dovevo andare avanti. Io avevo paura che Pacciani, se dicevo di no, mi poteva fare qualcosa di male. Era un violento, suvvia, diciamolo. Pacciani comandava anche Vanni. Adesso io più che arrabbiato con Pacciani, sono preoccupato, perché non so come finirà questa storia. Pacciani è uno che ha detto che nemmeno mi conosce; io invece lo conosco benissimo e se dirà contro di me, saprò bene io come difendermi. Inoltre Pacciani è uno che sa e che, se verrà condannato, verranno fuori altri nomi. Se non dicevo nulla, ero bell’e che dentro. Mi hanno messo davanti a dei contrasti e io ho dovuto ammettere qualche cosa, altrimenti me ne sarei andato in carcere."
Nel novembre del 1996 consegnò una lettera manoscritta al dottor Vinci, funzionario della Questura di Firenze, in cui confessò d'aver preso parte all'omicidio di Giogoli sparando alcuni colpi d'arma da fuoco contro il furgone dei giovani tedeschi. Nell'interrogatorio che seguì spiegò d'aver preso parte attiva all'omicidio poichè ricattato da Pietro Pacciani che lo aveva sorpreso con un amico durante una rapporto omosessuale. Nella medesima occasione spiegò che i feticci asportati alle vittime venivano consegnati da Pacciani ad un dottore dietro lauto pagamento. In un interrogatorio successivo fornì dettagli circa un rapporto omosessuale impostogli da Pietro Pacciani prima dell'omicidio di Baccaiano. L'11 gennaio 1997, il Pubblico ministero inviò al giudice per le indagini preliminari la richiesta di rinvio a giudizio per Mario Vanni e Giancarlo Lotti. Il 19 febbraio 1997 il pubblico ministero interrogò Giancarlo Lotti tramite incidente probatorio, questi fu difeso dall'avvocato Stefano Bertini, lo avevano preceduto nel 1996 il difensore Neri Pinucci e nel 1997 l'avvocato Alessandro Falciani. Il giorno successivo ebbe luogo l'udienza preliminare a conclusione della quale il Giudice per le indagini preliminari rinviò a giudizio gli imputati fissando la data del dibattimento per il 20 maggio 1997. Il 23 febbraio 1998, il pubblico Ministero Paolo Canessa, chiese al termine della propria requisitoria la condanna all'ergastolo per Mario Vanni e 21 anni di carcere per Giancarlo Lotti. La sentenza fu emessa il 24 marzo 1998, Mario Vanni e Giancarlo Lotti furono ritenuti colpevoli del reato di concorso, assieme a Pietro Pacciani degli omicidi avvenuti dal 1982 al 1985 attribuiti al cosiddetto "mostro di Firenze". Mario Vanni fu condannato a scontare la pena dell'ergastolo, Giancarlo Lotti 30 anni di carcere. Il processo di appello si concluse il 31 maggio 1999, fu confermata la pena per Mario Vanni, fu ridotta a 26 anni quella di Giancarlo Lotti. Lo stesso esito ebbe la sentenza della Corte di Assise del 26 aprile 2000.
Il 30 marzo 2002 Giancarlo Lotti morì presso l'ospedale San Paolo di Milano per un tumore al fegato. Il 15 marzo era uscito dal carcere di Monza per un ricovero d'urgenza.
Rif.1 - Compagni di sangue pag.222
Rif.2 - Storia delle merende infami pag.202
Vedi anche:
-Don Fabrizio Poli
-Colloquio telefonico tra Giancarlo Lotti e Filippa Nicoletti
-Perizia su Giancarlo Lotti
-La lettera spontanea di Giancarlo Lotti
-Giancarlo Lotti - Dichiarazioni dell' 11 marzo 1996
-Giancarlo Lotti - Verbale di informazioni testimoniali - 19 luglio 1990
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