lunedì 31 maggio 2010

Francesco Calamandrei - Intervista su la Nazione - 16 luglio 2005

Il 16 luglio 2005, il quotidiano La Nazione, pubblicò l'intervista che segue a Francesco Calamandrei.

Dottor Calamandrei, di quale malattia soffre?
Sono affetto da una depressione bipolare molto grave. Questa indagine certo non mi giova. E' una malattia di tipo nervoso.
Può spiegare come, dal suo punto di vista, è nata l'indagine che la coinvolge?
E' partita da più denunce fatte dalla mia ex moglie, Mariella Ciulli, che è affetta da parafrenia, nota anche come delirio lucido. Quando ha cominciato a fare le denunce era gia da anni in cura. Oggi si trova in una casa di cura, lo è da quando aveva 50 anni per sua sicurezza. Dal 1992 è in cura al dipartimento di igiene mentale.
Lei conosceva Narducci?
No. Non lo conosco affatto e mi chiedo chi l'abbia visto a San Casciano.
Lei è appassionato d'arte e di libri?
Mi hanno sequestrato Il risorgimento esoterico, che è un libro d'arte, poi un mio quadro, diari con
miel pensieri e appunti soprattutto di viaggio. Non credo vi abbiano mai trovato alcun riferimento al Mostro. Hanno anche preso la cartina dove c'è il lago Trasimeno. Era assieme ad almeno una cinquantina di carte.
Le piace la pittura?
Sì certo, mi piace la pittura, io stesso dipingo, faccio quadri: il mio modello di riferimento è il movimento informale. Nel dettaglio sarebbe Alberto Burri, artista scomparso una decina d'anni fa. La mia arte, i quadri che conservo si ispirano a questo stile.
Diceva che sta vivendo un incubo. Quanto le pesa questa vicenda?
Con il nuovo avviso di garanzia, le indagini potranno andare avanti per altri due anni. Io sto male.
Per fortuna i sancascianesi in questi anni non mi hanno mai fatto sentire colpevole, sono riconoscente ai miei concittadini.
Chi conosceva dei cosiddetti compagni di merende?
Pacciani mai visto. Lotti una volta da lontano, ma non ci ho mai parlato. Vanni, il postino, veniva a prendere le medicine in farmacia e l0 conoscevo solo di vista. Non conosco per nulla neppure le prostitute di cui mi hanno chiesto.
Può esprimere una speranza?
Ho fiducia nella magistratura. Sto male e non ho fatto nulla di quello per cui sono indagato.
Rif.1 - La Nazione Toscana & Liguria - 16 luglio 2005 pag.1

sabato 29 maggio 2010

Udienza del 20 maggio 1999 - 20

Quella che segue è una sintesi dell'udienza del 20 maggio 1999 relativa al Processo d'appello per i delitti del "mostro di Firenze" davanti alla prima sezione della Corte d'Assise d'Appello di Firenze.

Segue dalla parte 19
Avvocato Curandai: Avvocato Curandai per Milca Malitti Rontini che è la figlia erede legittima di Laura Rontini, deceduta nel corso del processo di primo grado. Signori della corte, mi rendo perfettamente conto che la parte civile, come diceva Carnelutti, è un'escrescenza processuale, la pubblica accusa in genere, in qualsiasi procedimento penale, fa e deve fare la parte del leone, come si dice, c'è già il procuratore generale che rappresenta ovviamente lo stato, che protegge le ragioni delle parti offese, tuttavia non bisogna dimenticare che in certi processi aventi ad oggetto fatti particolarmente tragici, qualora come in questo caso il procuratore generale concluda, come ha concluso, per l'assoluzione dei principali imputati allora ecco che, a mio avviso, diventa quasi, sotto certi aspetti, necessaria non voglio dire, ma acquista un certo rilievo, la difesa di pate civile. Io non pretendo assolutamente signor presidente, signor giudice a latere, signori della corte, di apportare un contributo determinante, un contributo causale, pretendo esclusivamene di rassenerare, sotto certi aspetti, il vostro animo, cioè di contribuire in qualche modo alla ricerca della verità perchè anche una piccola goccia, in un processo come questo, può far pendere la bilancia da una parte o dall'altra, quindi nessuna pretesa di avere in mano la verità ma l'unico scopo della parte civile, in questo caso, sia proprio quello di una disanima distaccata, anche breve sotto certi aspetti, perchè qui il pericolo è quello di ripetere argomenti già trattati, informazioni già fornite alla corte, di ripetere gli argomenti del pubblico ministero in queso caso non vi è alcun pericolo perchè egli ha concluso, come ripeto, di contrarioavviso, per l'assoluzione. L'unico pericolo è quello di tediare la corte su argomenti già trattati, quindi io cercherò e non è un compito semplice di fornire nuove informazioni e di usare nuovi argomenti per quanto possibile. Brevissimamente, anzi dirò di più che noi non abbiamo depositato memorie scritte però esiste la trascrizione di quegli interventi che noi abbiamo fatto nel corso del processo di primo grado e cioè fascicolo 93 pagina 1.89 e fascicolo 110 in sede di replica pagina 62.141, quindi io fondamentalmente mi riporto a quelle argomenazioni ed invito la corte ad una attenta lettura di quelle carte. Quindi mi sento più tranquillo perchè posso fare una selezione degli argomenti. Ciò premesso, brevissimamente, innanzitutto per quanto riguarda l'argomento genesi di questo procedimento penale perchè gli argomenti fondamentalmente sono tre, un processo complesso ma non mi sembra particolarmente complicato, genesi Lotti e gli altri elementi di prova oltre a Lotti, questi sono gli argomenti fondamentali ed o li toccherò brevemente, non vi preoccupate. Genesi. Primo argomento. Ecco qui nell'immaginario collettivo ci può essere questa falsa interpretazione sull'origine di questo processo, vale a dire esiste un villaggio, Montespertoli, probabilmente cosa ha fatto la polizia? E' andata a Mercatale, Montefiridolfi, San Casciano, cosa ha fatto la polizia? E' andata in questo villaggio è ha detto - vediamo un pochino chi sono gli scemi del villaggio? Gli scemi del villaggio sono due Lotti e Pucci - E allora con promesse molto allettanti, un bicchier di vino, un bel pranzo, tante belle promesse, noi inquirenti cercheremo di strappare quella verità che a noi fa piacere, è questo che si pensa come presupposto quando si affronta questo tipo di processo. E questo perchè? perchè vi è una sentenza di primo grado la quale ha detto: signori voi dovete ricercare i correi di Pacciani e allora la polizia è andata in questo villaggio a cercare gli scemi del villaggio. Ora questa impostazione, questo sospetto è assolutamente infondato e smentito dalla genesi di questo processo perchè la polizia che cosa ha fatto? Ha inserito nell'occhio del ciclone due soggetti, di cui uno era già stato indagato, sotto certi aspetti, non formalmente, il Vanni e la Nicoletti, la Nicoletti è un personaggio nuovo, il Vanni non dico era stato indagato ma pedinato, il Lotti era già stato sentito nel 1990 per la questione della macchina che avrebbe prestato una macchina al Pacciani eccetera, eccetera. Il Vanni invece era entrato un pò nell'ambito dei sospetti della polizia, precedentemente, vedi dichiarazioni Perugini in questo processo al dibattimento. A questo punto, il Vanni, fra l'altro era stato pedinato durante la famosa maxi-perquisizione nei confronti di Pacciani, perchè, lo dice Perugini, l'ha detto qui davanti alla corte di assise di primo grado perchè durante la perquisizione all'interno dell'abitazione di Pacciani, sospettando che ci potessero essere delle microspie, costoro si incontravano nella Piazza di Mercatale, erano stati pedinati. Quindi Vanni era già noto, l'altro personaggio che entra nell'occhio del ciclone degli inquirenti dopo la sentenza di primo grado contro Pacciani, che aveva condannato Pacciani è la Nicoletti, la prostituta che aveva ricevuto delle confidenze da coloro che sarebbero poi stati i personaggi principali di questo processo e la Nicoletti viene sentita, quindi il Lotti ancora è fuori da questo procedimento. I primi due personaggi sono Vanni e la Nicoletti. La Nicoletti a un certo momento dice - ma c'è un certo Giancarlo Lotti il quale tutte le volte che vengo interrogata mi telefona e mi chiede - ma perchè t'interrogano? Ma quando t'interrogano? Che cosa ti hanno chiesto? Ma io non ne posso più. Che cosa ti hanno chiesto? - Scusate se sono un pò minuzioso ma preferisco l'analisi piuttosto che la sintesi perchè sono concetti ai quali questo difensore attribuisce particolare rilievo. A questo punto viene sentito il Lotti e ci sono tutti gli interrogatori di Lotti, interrogatori come teste e quindi egli risponde ad una primordiale esigenza difensiva dicendo tutte quelle balle che racconta all'inizio; è un teste, non vuole essere coinvolto, però fa il nome di Ghiribelli perchè dice, per tanti motivi, voi avete letto le dichiarazioni di Lotti e dice fra l'altro per quanto riguarda la Ghiribelli - Anche la Ghiribelli è stata sentita, dovrà essere sentita, anzi un giorno voleva che io l'accompagnassi in Questura ma poi c'è andata la Nicoletti - perchè le due sono amiche e s'è risolto così il problema, allora ecco che per la prima volta viene fuori un altro nome, Nicoletti il primo, Ghiribelli il secondo, la seconda novità del processo. Allora sotto controllo il telefono di Ghiribelli e di Nicoletti, ci sono le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche schiaccianti, ad un certo momento addirittura la Ghiribelli dice, mi ricordo questo, - e Ferdinando? Come mai Ferdinando non è stato tirato in ballo? - La polizia dice Ferdinando? O Carneade, chi era costui? - E vanno ad indagare e vedono che il nome Ferdinando coincide a quello di Pucci, terzo personaggio noto. Poi avremo Galli e quindi ecco che abbiamo il quadro di Alfa, Beta, Gamma e Delta di cui s'è tanto parlato. Galli è lo sfruttatore di Ghiribelli, il carcerato e condannato per sfruttamento della prostituzione, come lui stesso ha ammesso al dibattimento. Ecco quindi, dico io, è importante notare come viene fuori il nome di Lotti, non è che la polizia vada a cercare il Lotti, là dove abita, viene fuori attraverso questi passaggi, però Lotti non parla, il Lotti non dice nulla, all'inizio, il Lotti tace, chi parla è il Pucci. Ecco il primo vero testimone e sotto certi aspetti è colui che da l'input a queste indagini perchè evidentemente fino a quel momento, fino alle dichiarazioni di Lotti non si sa niente di più di ciò che dirà poi il Pucci. Si sa soltanto che c'è questo giro, si sa soltanto che ci sono delle persone sospettabilissime e invece il Pucci inizia a parlare e il Lotti invece nega, tant'è vero che a questo punto viene fuori un atto processuale di cui con nostra grande meraviglia il procuratore generale non ha mai parlato: il confronto tra Lotti e Pucci, che è stato trascritto con perizia, disposta dal tribunale di Firenze, Corte di Assise di primo grado. Andiamo a leggere, cosa dice Pucci quando si trova di fronte a Lotti - a me mi sembrava uno il Pacciani e uno come si chiama, il Vanni, a me mi sembrava Mario quello col coltello - e Lotti nega ovviamente, eccetera, eccetera poi si parla anche della 128 - e da chi sarò stato io a casa, dalla Gabriella, di domenica - il Lotti e ci aveva la 128 - ci avevo la 128? - Si tu ci avevi la 128 rossa, quella rossa, si quella rossa. -

venerdì 28 maggio 2010

Pietro Fioravanti - Dichiarazioni

L'avvocato Pietro Fioravanti il 5 dicembre 2002 fu sentito dal capo della squadra mobile, dott. Michele Giuttari. Alla domanda: "Cosa ci sa dire su un ipotizzabile significato esoterico o magico dei duplici omicidi di Firenze, considerato che anche tra i motivi di appello alla sentenza Pacciani ha fatto riferimento, al primo punto, a rituali satanici?" rispose: "Ho trattato quel tema dopo essermi documentato, anche contattando alcuni esperti, ma soprattuto dopo averne parlato col mio cliente, il quale diceva che queste storie sono minestre del diavolo, questi omicidi sono studiati a tavolino e la storia di questi omicidi è dentro lo spirito guida, intendendo per “spirito guida” la magia. (...) Mi ricordo che di questo me ne parlò Pacciani, ma ne parlò anche un’altra persona, mi aveva detto... mi aveva parlato delle riunioni magiche nella casa di Indovino, chiedendomi che la difendessi in un processo; quando seppe che avevo difeso Pacciani non si fece più vedere; si tratta della prostituta che poi venne a testimoniare nel processo contro Vanni e i suoi compagni, tale Ghiribelli, che mi contattò in un arco di tempo collocabile tra la fine del processo Pacciani e l'inizio di quello dei suoi compagni. Tornando alla notizia che avevo appreso, ricordo bene che Pacciani mi parlò del farmacista di San Casciano, il cui nome è Calamandrei, come persona interessata a questi discorsi di magia, chiaramente facendo riferimento ai delitti del “Mostro”, nonché di un medico di Firenze che non era buono a trombare e che faceva l’ortopedico. Nei discorsi che mi fece mi parlò per l’appunto di riti e di magia legati agli omicidi del “Mostro di Firenze” e mi spiegò che il Pacciani c’entrava con questa storia perché riordinava la villa dopo che avevano fatto i festini. Non mi fece i nomi dei partecipanti a questi festini, ma mi disse che c’era anche qualche avvocato, che c'era anche qualche giudice, concludendo che comunque erano persone importanti . Voglio consegnarvi una fotocopia di una lettera anonima consegnatami da Pacciani per il dottor Perugini."
Il 17 dicembre 2002 fu nuovamente sentito dalla Polizia Giudiziaria. In questa occasione gli fu mostrata una lettera manoscritta di Pietro Pacciani indirizzata allo stesso Fioravanti rinvenuta presso l'abitazione del suo assistito. La lettera riportava il testo che segue: "Avvocato Pietro Fioravanti, lei sta facendo tutti imbrogli di raggiri, di parole, rovesciamenti, accusando ora questo ora quello, mettendo calunnie, zizzanie da ogni parte. Si può sapere che strada percorre? (...) Lei si è presentato in Procura insieme alla Carlizzi e non ha risolto un fico secco. Lei ha parlato di sensitive e ne ha interrogate molte e ne ha fatto i nomi, streghe, messe nere e tante altre buffonate. E ora ha citato che a ...omissis... si fanno queste messe nere. Lei le ha inventate. Fu lei, avvocato Fioravanti, a parlare di queste sette sataniche che si recavano a Roma, che c’è un tempio: ha parlato di streghe e di magia nera, del processo dei sardi. Non è stato lei che ha parlato anche di sensitive e ne ha interrogate una decina? C’ho le lettere. E ci ha messo di mezzo pure il PR (forse riferito al Procuratore della Repubblica) e poi tutti in bianco... E' stato lei avvocato Fioravanti, che ha mandato tutte calunnie addosso alla gente...
In merito alla lettera mostratagli riferì: "Ricordo bene questa lettera che in effetti ho ricevuto. L’avevo portata con me anche in occasione della precedente assunzione di informazioni in questi uffici il decorso 5 dicembre, ma non c’è stata l’occasione di mostrarvela".
Il 22 gennaio 2003 dichiarò: "Ricordo che quando si preparava il processo di primo grado tra i primi del '93 e l’inizio del '94, avendo chiesto se avesse sentito parlare del Narducci, il Pacciani mi rispose testualmente: «Ma questo è quel medico che aveva una villa in affitto a Vicchio e a San Casciano», il Pacciani sottolineava in particolare il ruolo del farmacista di San Casciano, il dottor Calamandrei. A questo proposito, anche durante il primo processo il Pacciani, nel mese di maggio '94, verso le diciannove di sera, dopo che era venuta a trovarmi la moglie del Calamandrei, su indicazione di un giornalista mi telefonò in studio il marito, chiedendomi: Narducci, a quanto riferitomi dal Pacciani, era inserito in questo ambiente e questo l’ho saputo anche per degli accertamenti che ho fatto di mia iniziativa, ma sempre nell’ambito della difesa Pacciani.(...) Oggi sono sicuro, rivedendo tutto in maniera retrospettiva, che le indagini sulla morte del Narducci furono bloccate dall’alto, sia a Firenze che a Perugia, e a Firenze forse anche per un intervento esterno. Sono successe cose piuttosto strane, molto strane, nelle indagini sui duplici omicidi attribuiti al "Mostro di Firenze".(...) Posso riassuntivamente dire la mia impressione: posso dire, posso dire questo: le mie fonti sono state le parole del Pacciani... si dice che ormai nei luoghi dei fatti sono sulla bocca di molti...(...) Circa il coinvolgimento nei fatti del Narducci e del farmacista ho già riferito che cosa mi aveva detto Pacciani ho anche capito che i discorsi del Pacciani sul punto li fanno ora in molti a San Casciano e molti parlano di medici coinvolti nella storia e in particolare del medico di Perugia. Ho sentito, sia nei discorsi in giro, sia al Ristorante "Da Nello" a San Casciano, che da persone che l’hanno saputo, da gente che praticava la farmacia di San Casciano. (...) A questi discorsi mi riferivo quando al dottor Mignini ho detto, quando sono stato sentito, che avevo fatto una mia attività di verifica.
In un'annotazione del 22 novembre 2004, della Polizia Giudiziaria, a firma del sovrintendente Borghi, si evince: "Continuaudo a parlare il Fioravanti raccontava che stava preparando un libro sui fatti del "Mostro di Firenze". Il legale riferiva inoltre di essere a conoscenza che Francesco Narducci aveva in sua disponibilità due stanze all’interno di Villa Corsini. Inoltre aggiungeva che qualcuno avrebbe dovuto spiegargli, oltre al fatto appena citato, anche le motivazioui della frequentazione del Narducci nel retro farmacia Calamandrei".
Tra gli atti vi è anche il verbale, in forma riassuntiva, dove Fioravanti sosteneva che il Narducci era stato visto insieme al farmacista Calamandrei, avendolo sentito dire in bar e in ristoranti della zona, aggiungendo: "Durante il processo ho tentato di parlare del Corsini ma il Presidente Ognibene mi riprese (...) Nel 1991 la ex moglie (Mariella Ciulli n.d.r.) del farmacista mi ha parlato di giubbotti insanguinati, di freezer e nella circostanza credo c'era pure il figliolo. E quindi praticamente io mi sono occupato della parte storica e l’avvocato Bevacqua della parte tecnica. Riguardo alla denuncia che ho preso dall’avvocato Zanobini, in cui durante la difesa Pacciani ho accusato il farmacista, devo dire che il farmacista si accusa da solo. Ricordo anche un episodio in cui il farmacista di San Casciano mi invitava a casa sua presso le Terme. Tale circostanza è avvenuta dopo che la sua ex moglie era venuta nel mio studio e mi aveva parlato di giubbotti insanguiuati. La moglie del farmacista in quella occasione mi apparve del tutto cosciente e in perfetto stato mentale".
Rif.1 - Sentenza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze contro Francesco Calamandrei del 21 maggio 2008

giovedì 27 maggio 2010

Michele Giuttari

Originario di Messina, dopo la laurea in giurisprudenza il 15 gennaio 1978 si arruolò presso la Polizia di Stato dove collaborò con la squadra mobile di Reggio Calabria per poi passare a dirigere la Squadra mobile di Cosenza. Prestò quindi servizio presso la Direzione Investigativa Antimafia di Napoli e Firenze. Dal 1995 al 2003 è stato il Capo della Squadra Mobile di Firenze per cui ha seguito la vicenda del "mostro di Firenze". Durante il processo a Vanni e Lotti depose nelle udienze del 23,25,26 e 27 giugno 1997. Nel 1998 con Carlo Lucarelli scrisse Compagni di Sangue, pubblicato da Le lettere e Bur. Nell'agosto del 1998 gli fu proposta la promozione a vicequestore vicario e lo spostamento in altra sede, Michele Giuttari rifiutò è continuò ad indagare sul "mostro di Firenze". Una nuova proposta dal ministero dell'Interno, anche questa respinta, gli giunse nell'agosto del 1998, in questo caso avrebbe dovuto rivestire il ruolo di vicequestore vicario presso la Questura di Pesaro. Il 5 agosto del 1999 un decreto ministeriale del 14 luglio lo trasferiva da capo della squadra mobile a dirigente dell'ufficio stranieri per "emergenti esigenze di servizio della Questura di Firenze". Michele Giuttari non svolse mai questa funzione, si mise in aspettativa ed il 2 dicembre 1999 il tribunale di Firenze accolse il suo ricorso sospendendo il provvedimento di trasferimento. Il 28 febbraio 2000 è nuovamente capo della squadra mobile di Firenze ma il 25 marzo il ministero dell'interno emette un nuovo provvedimento di trasferimento immediato presso l'Ufficio stranieri. Venne nuovamente fatto ricorso ma il Tar respinse la richiesta. In appello, il ricorso venne accolto ed il 27 luglio il provvedimento fu sospeso.
Nel dicembre del 2001 pubblicò con Panorama "Assassini a Firenze". Dal 2003 al 2007 gestì il Gides, Gruppo Investigativo Delitti Seriali, volto ad individuare i possibili mandanti del Mostro di Firenze e per indagare sulla morte del medico perugino Francesco Narducci. Nel 2005 ha pubblicato il romanzo "Scarabeo" per Bur, per lo stesso editore nel 2006 ha pubblicato "La loggia degli innocenti" e "Il mostro" che aggiorna e rivede i contenuti del libro "Compagni di sangue". Nel settembre del 2006 con il PM, Giuliano Mignini segnalò alla procura di Genova una serie di episodi che, a suo giudizio, provavano la volontà del capo della procura di Firenze, Ubaldo Nannucci, di ostacolare le indagini sui mandanti dei delitti del mostro. L' inchiesta della procura di Genova si concluse con una richiesta di archiviazione per infondatezza di tutte le ipotesi di reato. Il giudice per le indagini preliminari condivise le conclusioni della procura ed il caso fu archiviato. Scrissero i magistrati genovesi: "Addebitare al procuratore della Repubblica di avere reiteratamente abusato del proprio ruolo e dei poteri connessi alla funzione per ostacolare l' attività della polizia giudiziaria e dei propri sostituti in un' indagine per omicidio, e ciò al fine di favorire amici personali, non è accusa da prospettarsi a cuor leggero (...) Accuse di tale gravità dovrebbero fondarsi su elementi di prova particolarmente solidi e incontrovertibili".
Dal 2007 presta servizio all’Ufficio Centrale Ispettivo del Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Nello stesso anno per Biblioteca Universale Rizzoli esce il romanzo "Il basilisco".
Nel 2009 pubblica con Rizzoli "La donna della 'ndrangheta", The Times lo definisce “il principale scrittore italiano di polizieschi”.
Il 22 gennaio 2010 è stato condannato a un anno e sei mesi di reclusione dal tribunale di Firenze per abuso d’ufficio in relazione a un’inchiesta collegata proprio al mostro di Firenze. Insieme al pm di Perugia Giuliano Mignini, Michele Giuttari avrebbe "svolto indagini illecite su alcuni funzionari di polizia (l'ex questore di Firenze Giuseppe De Donno e l’ex direttore dell’ufficio relazione esterne Roberto Sgalla n.d.r.) e giornalisti (Vincenzo Tessandori, Gennaro De Stefano e Roberto Fiasconaro) con intento punitivo o per condizionarli nel loro lavoro, perché avrebbero tenuto atteggiamenti critici riguardo il comportamento di Giuttari con la stampa o riguardo l’inchiesta sulla morte del medico perugino Francesco Narducci".
Nel maggio 2010 ha pubblicato, per il piccolo editore Plus, il libro "L'investigazione". Il 27 ottobre 2010 ha pubblicato con Rizzoli il "Le rose nere di Firenze".
Il 22 novembre 2011 la Corte d'Appello di Firenze ha annullato la sentenza di primo grado dichiarando la procura fiorentina territorialmente non competente.
Rif.1 - La Repubblica - 21 maggio 2006 - pag. 6
Rif.2 - Il mostro pag.275
Vedi anche:
-Michele Giuttari - Intervista su L'Unità - 23 ottobre 2006
-Michele Giuttari - Intervista su L'Unità - 12 febbraio 2004
-Speaker's corner

mercoledì 26 maggio 2010

Ferruccio Farroni

Direttore della Asl 3 di Perugia, professore a contratto della scuola di specializzazione di gastroenterologia ed endoscopia digestiva dell’Università degli Studi di Perugia. Amico e collega di Francesco Narducci. Il 13 ottobre 1985 si recò sul molo di Sant'Arcangelo quando fu data notizia che il corpo di Francesco Narducci era emerso dal lago Trasimeno. Descrisse il cadavere dell'amico come "enormemente edematoso, con il volto cianotico e l'aspetto di un pallone, sfigurato, sembrava l'omino della Michelin". Dichiarò d'aver seguito la salma dal pontile fino alla villa di proprietà della famiglia Narducci e di aver visto adagiare il corpo su delle coperte per poi essere ripulito e vestito. Riferì d'aver "litigato furiosamente con il padre Ugo Narducci" pur di convincerlo a far eseguire l'autopsia. Il padre di Francesco fu però irremovibile e non vi fu modo di fargli cambiare idea. Interrogato nel 2003 dichiarò d'essersi recato l'11 ed il 12 ottobre 1985, con Pierluca Narducci, fratello di Francesco, presso l'abitazione di un sensitivo, dalle parti di Monte Tezio, tra Umbria e Toscana, questi gli disse che Francesco era morto e che l'indomani "gonfio e irriconoscibile" sarebbe riemerso dalle acque antistanti Sant'Arcangelo.
Rif.1 - La strana morte del dr.Narducci p.25

martedì 25 maggio 2010

La traslazione

Autore: Eriberto Storti
Prima edizione: Lalli Editore - 1990 - 128 pp - brossurato

Dalla prefazione: "Ho scritto questo libro non per riproporre alla vostra attenzione la storia dei feroci omicidi perpetrati dallo sconosciuto «mostro di Firenze», ma per dimostrare come in ogni essere umano, anche nel più insospettabile, possa nascondersi la «bestia» del male. Da ciò anche il titolo di chiara origine freudiana, «La traslazione».
Nel libro, psicologia e storia del costume si fondono però, necessariamente, con la più profonda aberrazione, non potendosi in alcun modo disegnare i lineamenti di una così eccezionale vicenda se non attraverso la ricostruzione, cruda e sanguinante, dei sedici omicidi addebitati al «mostro». Questo atroce aspetto del “reale” è stato tratto dalle cronache dedicate dagli organi di informazione ai sedici delitti, da ufficiali documentazioni e inoltre in modo particolar dal rapporto «Identikit di un mostro» di Riccardo Catola e dai servizi pubblicati dai settimanali «Panorama» il 24 novembre e il 1° dicembre 1985 a firma di Laura Grimaldi e Marco Tropea.
Il resto è evidentemente una costruzione della mia fantasia, anche se in qualche misura corrisponde a talune ipotesi cadute dopo gli accuratissinii accertamenti delle autorità inquirenti.
Ad esse e ai magistrati che hanno condotto (e conducono ancora, perché anche se formalmente chiuso un caso come questo resterà sempre aperto) le difficilissimne indagini esprimo il mio più incondizionato apprezzamento, convinto della assoluta pecularietà di questa criminale vicenda, non paragonabile in alcun modo ad altri casi resi famosi dalle cronache e dalla letteratura, dal cinema e dal teatro.
Alle famiglie delle povere vittime chiedo perdono, se mi sono permesso di riaprire nel loro ricordo piaghe ancora sanguinanti."

lunedì 24 maggio 2010

Mario Rotella - Intervista su La Nazione - 28 gennaio 1984

Il 28 gennaio 1984, il quotidiano La Nazione, pubblicò l'intervista a Mario Rotella che segue.
Durante l'interrogatorio Mucciarini e Giovanni Mele si sono dichiarati innocenti ma lei ha spiccato lo stesso i mandati di cattura. Allora ci sono prove certe?
Voi pensate che uno ammazza due persone per quindici anni la fa franca e quando arriva il giudice istruttore dicono: sono stato io. Ma vi sembra possibile? Ho emesso il mandato di cattura per il duplice delitto del 1968 poichè ci sono sufficienti indizi di reità per tre persone. Non posso dire per gli altri se si tratta di una o più persone. Il collegamento logico con gli altri delitti è la pistola ma non l'abbiamo trovata. La noce del delitto, lo ripeto, è nel '68 e questo è risolto.
Ma insomma questa pistola calibro 22 che fine ha fatto?
E' evidente che qualcuno sa dov'è. Dopo il 1968 può anche esser stata restituita o ceduta a altri. E' possibile che la pistola spari ancora.
Ma perchè è più credibile questa ultima ricostruzione dei fatti e non l'altra?
Guardate il delitto del '68. Non è difficile pensare questa soluzione a cui siamo arrivati. Stefano Mele era già stato accusato di calunnia e se mentiva doveva proteggere qualcuno. Ora ci sono delle prove documentali, dei riscontri. Vinci non ha nulla a che fare. Ma bisogna fare un passo alla volta. Si sono scoperte prove a carico di persone vicine al Mele. Ho acquisito le prove e emesso i mandati di cattura. Ma non parlate di mostro. E' una parola che demonizza e qui si tratta di una serie di omicidi. Nel 1994 non è il modo per aumentare le vendite dei giornali. Ci sono dei giovani la cui vita può essere distrutta da questa cosa. Voglio anche aggiungere che sono molto irritato per la pubblicazione delle foto dei due arrestati: potrebbero distruggere aventuali ricognizioni.
Ma insomma questi due arrestati sono coinvolti in tutta la catena dei delitti?
La perizia mi dice che la pistola usata nel 1968 è la stessa degli anni successivi. Gli altri delitti sembrano una reiterazione. Ci sono anche altri elementi. Non ve li posso dire, non posso violare il segreto istruttorio. Queste persone inoltre hanno diritto alla massima serenità del giudice.
Ma dottor Rotella c'è un'attesa che ha bisogno di risposte, a Scandicci la gente è scesa per strada.
Non vedo perchè a Scandicci si allarmano tanto. Solo un cretino poteva non capire che la risposta era nel giro di cinque chilometri da Firenze. Tutto si è svolto nel giro di cinque chilometri. L'epicentro non poteva essere che lì.
Ma c'è un'intera città che è appesa a lei, vogliono sapere.
Io faccio il magistrato da quattordici anni. Di casi clamorosi come questo non ne capitano tanti. Ma di casi altrettanto gravi, di omicidi, ne capitano. E io ho istituito altri casi. Sono stato sette anni a Brescia, in Basilicata. Dovete capire: il massimo della cautela è il minimo che si possa pretendere da me. L'istruttoria è scritta e segreta. L'opinione pubblica saprà tutto al momento del dibattimento.
Si prevedono sviluppi a breve termine?
Continuo le indagini ma ora devo aspettare che cali il clamore della stampa.
Rif.1 - La Nazione - 28 gennaio 1984 pag.2

sabato 22 maggio 2010

Udienza del 20 maggio 1999 - 19

Quella che segue è una sintesi dell'udienza del 20 maggio 1999 relativa al Processo d'appello per i delitti del "mostro di Firenze" davanti alla prima sezione della Corte d'Assise d'Appello di Firenze.

Segue dalla parte 18
Avvocato Fusi: Avvocato Fusi per la sorella di Pia Rontini, Marzia. Concludo come hanno concluso tutte altre parti civili ovverosia per la conferma della sentenza di primo grado, non credo di poter aggiungere nient'altro di più sui fatti e sulle questioni sia procedurali che fattuali così come già enunciate dai miei colleghi che molto meglio di me le hanno potute esprimere perchè vi hanno partecipato, hanno vissuto questo processo che ormai, fra la parte contro Pacciani, contro i cosiddetti compagni di merende, dura da circa 10 anni, quindi lo conoscono meglio di me, mi riporto interamente alle loro conclusioni e alle loro indicazioni, voglio soltanto aggiungere una cosa sul punto della credibilità del signor Lotti. Il procuratore generale ha detto di non essere credibile sul punto perchè ha sempre una risposta pronta, in particolar modo ha cambiato, secondo me, la sua opinione dopo averlo sentito in aula qui perchè l'auto non poteva andare, perchè doveva essere rotta, per questo benedetto contrassegno, non dico niente di più di quello che hanno già detto a parte che un auto rotta, io, sarà forse perchè conosco dei contadini particolarmente bravi, ma ne vedo viaggiare di macchine rotte che è un piacere, con contrassegno, senza contrassegno, addirittura senza targa per le mie conoscenze, quindi su questo io non aggiungo niente di più perchè per me quella macchina era circolabile per un contadino, soprattutto in una zona di campagna. Voglio soltanto aggiungere quella che può essere stata la mia di esperienza. I fatti per i quali si parla si sono svolti fino a 15 anni fa ovverosia io avevo ed avrei l'età circa di Pia Rontini quindi mi ricordo perfettamente i fatti come successi allora, quella che era allora l'opinione pubblica, quello che si riteneva e che ritenevano i ragazzi e i genitori dei ragazzi su questi fatti, ciò che è successo, ciò che non è successo per molti ragazzi per la paura di poter incontrare certi signori, sulla rinuncia quindi che è stata fatta sullo stato d'animo che questi signori avevano. Secondo il procuratore generale quindi Lotti si sarebbe trovato a parlare di questi episodi, inventandoseli, perchè non lo ritiene credibile, solo al fine di evitare la carcerazione. Bhe, io se mi ricordo quello stato d'animo in quel periodo, una persona che si autoaccusava o che comunque veniva accusata di questi fatti rischiava ben oltre che la semplice carcerazione per qualche mese. Una persona che riteneva e si considerava assolutamente innocente e fuori dai fatti prima di autoaccusarsi di essere il mostro, perchè forse non è un termine molto giuridico questo ma è il termine che avevamo tutti sulla bocca in quel periodo, chi aveva fatto questi fatti era considerato un mostro, quei fatti erano consideratti fatti compiuti solo da una persona che non poteva essere un essere umano o che comunque non poteva essere considerato tale e quindi prima di autoaccusarsi di un fatto tanto infamante come questo, che avrebbe forse rischiato se fosse stato preso da un gruppo di persone addirittura conseguenze molto più gravi della semplice deenzione, che forse sarebbe stao, in quel momento, anche auspicato da chi era veramente il reo, che mi fanno fortemente dubitare che una persona, per quanto malata, per quanto limitata, potesse anche solo pensare di autoaccusarsi senza motivo di tali fatti .E' lo stesso procuratore generale che ieri ha riconosciuto come le dichiarazioni del Lotti siano state spontanee perchè non ha comunque alcun interesse ad accusare chicchessia ed in particolar modo i suoi amici, quindi sono dichiarazioni spontanee che non possono invece essere dettate, come invece alla fine, stamattina, ha ritenuto il procuratore generale, dalla paura di evitare qualche mese di carcerazione. In quel periodo, quando sono state fatte, in conseguenza di quei fatti, chi veniva accusato o addirittura si autoaccusava di questi fatti e che quindi la coscienza popolare era decisamente il reo, rischiava molto di più, non credo quindi pertanto che una persona, oltretutto indicando tutti gli episodi, tutti i passaggi, così come ha fatto Lotti in primo grado e anche in questa fase confermandoli, non credo si sia inventato tutto, perchè, ripeto, in quel momento rischiava molto di più. Quindi concludo chiedendo la conferma della sentenza di primo grado e la rifusione delle spese di parte. Grazie.
Presidente: Grazie.
Segue...

giovedì 20 maggio 2010

Giancarlo Lotti

Nacque a San Casciano Val di Pesa il 16 settembre 1940, il padre, Primo, forte bevitore, era deceduto nel 1966 a 67 anni, la madre era deceduta nel 1975 all'età di 74 anni. Raccontò di lei Giancarlo Lotti: "L'ho portata troppo tardi in ospedale. Anche lì ho passato momenti non troppo belli. Ricordo che mia madre si fissava sulla luce, prendeva la notte per il giorno. (...) Io posso solo dire che i miei genitori non mi hanno mai dato uno schiaffo. Mi hanno sempre tenuto molto chiuso, specie mio padre; mi guardava un pò troppo; se arrivavo un pò tardi di sera, lui veniva a riscontrarmi. Mia madre invece un pò meno. Anche come famiglia eravamo un pò isolati; le persone erano un pò astiose con noi, non so perchè. Mia madre era una donna molto religiosa; io invece non sono mai stato religioso." Della sorella riferì: "è come neppure ci fosse. Lei non mi parla e poi siamo due caratteri un pò diversi. Io ne ho sofferto molto, perchè sono un fratello, mica un barbone di strada! Anche mia nipote non mi guarda. Cosa le ho fatto io? Io non ho mica fatto niente a tutti loro..."
Dopo la IV elementare aveva smesso di frequentare la scuola "perchè studiare non mi interessava e perchè non si imparava nulla. A 14 anni ho smesso. Leggere, leggo, mi arrangio. (...) Prima dei vent'anni aiutavo mio padre in campagna, saltuariamente. Poi mi sono messo a fare quello che trovavo. Al massimo ho preso 1.300.000 lire al mese per il mio lavoro. Pochi per mantenere la macchina, mangiare, bere, dormire e andare a donne una volta a settimana". Conseguì la patente di guida nel 1978, all'età di 38 anni, dopo diversi tentativi: "La patente l’ho presa mica con tanta facilità; se non mi aiutavano non ce la facevo. Non mi andava più di andare con il motorino e poi con la macchina puoi andare dove e come vuoi. Mi piaceva guidare la macchina. Adesso ho un 131 Fiat 1600. Di macchine ne ho avute tante: una 850 Fiat special bianca; una Mini Morris 1100 gialla; due 124 Fiat una celeste e l’altra gialla; un 128 coupé rosso, una 131 Fiat rossa 1300 e infine una 131 Fiat rossa 1600. Tutte macchine usate, perché non avevo la possibilità di comprarne una nuova. Le macchine che più mi sono piaciute sono state le due 124. (...) Da ragazzo ero molto riservato e parlavo poco. Amici ne avevo a S. Casciano, ma non di tutti mi fidavo; e non è neppure che ne avessi tanti. Un po’ scherzavo e qualche volta mi arrabbiavo. Non sono mai andato a ballare. I miei non volevano che io uscissi di sera, specie mio padre, non so neppure io perché."
Per alcuni anni aveva vissuto in una porzione della colonica di proprietà dei signori Scherma, titolari di una cava ubicata in località Ponterotto, vicino a San Casciano, presso cui Giancarlo Lotti aveva fatto il cavatore di inerti. "Poi sono andato a vivere per quattro anni con un prete (Don Fabrizio Poli) in una Comunità, dove pagavo solo la luce. Con il mio lavoro, mi compravo il mangiare e i vestiti. Per il dormire non pagavo niente. Io in quella Comunità stavo male, perché non potevo parlare con nessuno; non capivo cosa dicevano (erano quasi tutti extracomunitari). Ogni tanto mi arrabbiavo e il prete mi rimproverava. Avessi avuto i soldi, mi sarei preso una casa per me, invece niente. Non ho mai trovato modo di dividere una casa con qualcuno, anche perché non sai... ". (...) Io so fare tutto in casa; perciò non ho bisogno di una donna che mi faccia le cose in casa. Certo che la solitudine è brutta, anche se ormai ci ho fatto l’abitudine."

Fu sentito dalla polizia giudiziaria durante le indagini preliminari del procedimento contro Pietro Pacciani il 19 luglio 1990. Confermò la sua conoscenza e frequentazione con Pietro Pacciani e Mario Vanni senza fornire ulteriori motivi di indagine ed il Pubblico Ministero non lo inserì tra i testi da ascoltare al dibattimento. Fu nuovamente sentito informalmente in Questura il 21 luglio 1994 mentre si svolgeva il processo contro Pietro Pacciani. Alle 15,30 del 15 dicembre 1995 fu nuovamente convocato presso la Questura di Firenze ed interrogato dall'allora capo della squadra mobile, Michele Giuttari. Riferì della sua conoscenza con le prostitute Filippa Nicoletti e Gabriella Ghiribelli e confermò la frequentazione di Mario Vanni e Pietro Pacciani. In seguito alle dichiarazioni di Fernando Pucci, che riferì d'aver partecipato come osservatore, assieme a Giancarlo Lotti, al duplice omicidio di Scopeti, l'11 febbraio 1996 dinanzi al P.M Pier Luigi Vigna, ai Procuratori Paolo Canessa e Alessandro Crini e a Michele Giuttari e F.Vinci rispettivamente dirigente e funzionario addetto della squadra mobile di Firenze, fu interrogato Giancarlo Lotti. Questi confermò le precedenti dichiarazioni ed anche le parole dell'amico Pucci senza però palesare i nomi degli esecutori del duplice omicidio. Il pomeriggio stesso fu organizzato un confronto tra Lotti e Pucci, alle 18,45 entrarono entrambi nella stanza del Procuratore, nella mezz'ora di interrogatorio che seguì, i due testi rivelarono d'aver visto, la sera dell'8 settembre 1985, Pietro Pacciani e Mario Vanni compiere il duplice omicidio che aveva avuto luogo a Scopeti. Al termine dell'interrogatorio la Procura della Repubblica richiese, al capo della Squadra mobile, l'attuazione di misure di protezione nei confronti di Giancarlo Lotti, che divenendo formalmente "collaboratore di giustizia" era soggetto allo speciale programma di protezione gestito dal Servizio Centrale di Protezione, istituito presso la Direzione Centrale della Polizia Criminale, un programma solitamente applicato nei processi di mafia e terrorismo e che prevede un modesto stipendio ed una abitazione.
Il giorno successivo il giudice per le indagini preliminari ordinò la custodia cautelare per Mario Vanni. La Procura di Firenze tentò quindi di inserire i nuovi testimoni nel processo di appello a Pietro Pacciani e per esigenze investigative celò i nomi di Fernando Pucci, Giancarlo Lotti, Gabriella Ghiribelli e Norberto Galli dietro le lettere dell'alfabeto greco: alfa, beta, gamma, delta. La fase dibattimentale si era però già conclusa ed il Presidente della Corte di Assise di Appello, Francesco Ferri, respinse la richiesta di ascoltare testi non identificati. Furono quindi eseguiti alcuni sopralluoghi con Lotti e con Pucci a Scopeti e a Vicchio. Giancarlo Lotti fu poi risentito il 13, il 17 ed il 21 febbraio 1996 ma anche il 4, il 6, l'11, ed il 12 marzo dello stesso anno, riferì d'aver partecipato anche agli omicidi avvenuti a Baccaiano, Giogoli e Vicchio. Proseguì poi con le proprie dichiarazioni il 26 aprile, il 12 giugno ed il 15 luglio. Il 16 settembre 1996 la Procura della Repubblica chiese ai professori Ugo Fornari, medico specialista in psichiatria e Marco Lagazzi, medico specialista in psicologia, un profilo psicologico di Giancarlo Lotti, per apprendere se il soggetto fosse affetto da impotenza sessuale, quali ne fossero stati gli eventuali motivi, quale ruolo la stessa impotenza avrebbe esercitato sulla dinamica dei reati attribuitigli. Giancarlo Lotti riferì ai medici: "Pacciani l’ho conosciuto nell’80 circa, dopo Vanni. Io lo frequentavo poco; non mi era simpatico. Mario invece lo andava a trovare anche a casa. Allora Pacciani abitava in una frazione di Montefiridolfi; lì io l’ho conosciuto, casualmente, attraverso Mario Vanni che era il postino di zona. Pacciani era uno che aveva la voce un po’ alta e un po’ prepotente. Poi aveva fatto delle cose brutte con le figlie e la moglie; sicché non c’era da fidarsi mica tanto. Non mi andava proprio bene frequentarlo. Voleva essere superiore agli altri. Con Mario c’era confidenza, era educato e mi dava anche i soldi per la benzina, quando si faceva portare da qualche parte. Con Pacciani, invece, non c’era confidenza; non mi andava. Non potevo parlare tranquillamente con lui, per cui preferivo stare zitto. Quando si giocava a carte, voleva vincere sempre. Quando si andava fuori, Pacciani non pagava mai; o pagava Mario o pagavo io. I soldi li aveva, ma li teneva stretti. Ad andare con lui, anche quando si facevano le merende insieme, non mi andava mica tanto bene. Come faceva Vanni a sopportarlo, non lo so proprio. Pacciani ha cercato di coinvolgermi, per farmi stare zitto, nel senso che ha continuato a portarmi con sé dopo l’82. La prima volta non sapevo mica cosa si andasse a fare. Non è mica stata una cosa molto bella. Non mi piacque niente vedere le armi e me ne tornai in macchina. Allora Pacciani ha incominciato a minacciarmi: ormai ero dentro e dovevo andare avanti. Io avevo paura che Pacciani, se dicevo di no, mi poteva fare qualcosa di male. Era un violento, suvvia, diciamolo. Pacciani comandava anche Vanni. Adesso io più che arrabbiato con Pacciani, sono preoccupato, perché non so come finirà questa storia. Pacciani è uno che ha detto che nemmeno mi conosce; io invece lo conosco benissimo e se dirà contro di me, saprò bene io come difendermi. Inoltre Pacciani è uno che sa e che, se verrà condannato, verranno fuori altri nomi. Se non dicevo nulla, ero bell’e che dentro. Mi hanno messo davanti a dei contrasti e io ho dovuto ammettere qualche cosa, altrimenti me ne sarei andato in carcere."
Nel novembre del 1996 consegnò una lettera manoscritta al dottor Vinci, funzionario della Questura di Firenze, in cui confessò d'aver preso parte all'omicidio di Giogoli sparando alcuni colpi d'arma da fuoco contro il furgone dei giovani tedeschi. Nell'interrogatorio che seguì spiegò d'aver preso parte attiva all'omicidio poichè ricattato da Pietro Pacciani che lo aveva sorpreso con un amico durante una rapporto omosessuale. Nella medesima occasione spiegò che i feticci asportati alle vittime venivano consegnati da Pacciani ad un dottore dietro lauto pagamento. In un interrogatorio successivo fornì dettagli circa un rapporto omosessuale impostogli da Pietro Pacciani prima dell'omicidio di Baccaiano. L'11 gennaio 1997, il Pubblico ministero inviò al giudice per le indagini preliminari la richiesta di rinvio a giudizio per Mario Vanni e Giancarlo Lotti. Il 19 febbraio 1997 il pubblico ministero interrogò Giancarlo Lotti tramite incidente probatorio, questi fu difeso dall'avvocato Stefano Bertini, lo avevano preceduto nel 1996 il difensore Neri Pinucci e nel 1997 l'avvocato Alessandro Falciani. Il giorno successivo ebbe luogo l'udienza preliminare a conclusione della quale il Giudice per le indagini preliminari rinviò a giudizio gli imputati fissando la data del dibattimento per il 20 maggio 1997. Il 23 febbraio 1998, il pubblico Ministero Paolo Canessa, chiese al termine della propria requisitoria la condanna all'ergastolo per Mario Vanni e 21 anni di carcere per Giancarlo Lotti. La sentenza fu emessa il 24 marzo 1998, Mario Vanni e Giancarlo Lotti furono ritenuti colpevoli del reato di concorso, assieme a Pietro Pacciani degli omicidi avvenuti dal 1982 al 1985 attribuiti al cosiddetto "mostro di Firenze". Mario Vanni fu condannato a scontare la pena dell'ergastolo, Giancarlo Lotti 30 anni di carcere. Il processo di appello si concluse il 31 maggio 1999, fu confermata la pena per Mario Vanni, fu ridotta a 26 anni quella di Giancarlo Lotti. Lo stesso esito ebbe la sentenza della Corte di Assise del 26 aprile 2000.
Il 30 marzo 2002 Giancarlo Lotti morì presso l'ospedale San Paolo di Milano per un tumore al fegato. Il 15 marzo era uscito dal carcere di Monza per un ricovero d'urgenza.
Rif.1 - Compagni di sangue pag.222
Rif.2 - Storia delle merende infami pag.202
Vedi anche:
-Don Fabrizio Poli
-Colloquio telefonico tra Giancarlo Lotti e Filippa Nicoletti
-Perizia su Giancarlo Lotti
-La lettera spontanea di Giancarlo Lotti
-Giancarlo Lotti - Dichiarazioni dell' 11 marzo 1996
-Giancarlo Lotti - Verbale di informazioni testimoniali - 19 luglio 1990

mercoledì 19 maggio 2010

Francesco Trio

Nel 1985 era questore a Perugia. Il 13 ottobre 1985 si recò sul pontile di Sant'Arcangelo quando fu recuperato il presunto corpo di Francesco Narducci. Raccontò così ai magistrati quella giornata: "Quando giunsi sul molo del lago Trasimeno, dove era stato portato il cadavere di Narducci, non ebbi il minimo sospetto che ci fosse stato qualcosa di irregolare. Tutti gli adempimenti formali e sostanziali erano stati compiuti. Il dirigente della squadra mobile mi riferì che quella mattina, il 13 ttobre, il corpo era stato trovato e portato sul molo. Il comandante della stazione dei Carabinieri competente aveva chiamato un medico, il quale aveva eseguito l'ispezione cadaverica dopo che i colleghi di Narducci lo avevano riconosciuto formalmente, come risulta dal relativo verbale. Il magistrato, mi venne riferito, aveva quindi parlato telefonicamente con il medico, ordinando la riconsegna del corpo ai familiari. Uno scenario che presentava una grande regolarità".
Nel luglio del 2008 fu accusato di associazione per delinquere assieme ad Ugo Narducci, Pierluca Narducci, Alfredo Brizioli, Luigi De Feo e Adolfo Pennetti Pennella e fu chiamato a rispondere dalla procura perugina di vilipendio, distruzione e uso illegittimo di cadavere "relativamente al corpo di uomo caucasico rimasto sconosciuto, morto per cause ignote, in epoca anteriore e prossima al 13 ottobre 1985, immerso nel lago Trasimeno, fatto riemergere con i documenti di Narducci e infine definitivamente soppresso o sottratto per accreditare il decesso per annegamento di Narducci, morto in realtà per omicidio nel pomeriggio dell’8 ottobre 1985".
Rif.1 - La strana morte del dr.Narducci p.31

martedì 18 maggio 2010

TOSCANA delitti e misteri

Antologia a cura di: Graziano Braschi
Prima edizione: Carlo Zella Editore - 2000 - pp 192 - brossurato

Dalla presentazione: La Toscana, Firenze e dintorni, le tante e caratteristiche province di una delle regioni più ricche di storia, così naturalmente noir e con frequenti zone d'ombra, di non detto, e di misteri. Tanto che sorge spontaneo chiedersi perché non ispirarsi alla Toscana come ambientazione fissa nella sua varietà per tante storie rigorosamente gialle. L'idea per l'appunto l'ha avuta sul serio Graziano Braschi, esperto del genere, che per l'Editore Zella ha allestito "Toscana delitti e misteri", un'intrigante antologia di quindici racconti gialli scritti da altrettanti scrittori, tutti toscani d'anagrafe o d'adozione. La squadra all'opera in questa raccolta è quanto mai varia: si va dai giornalisti (Luigi Carletti, Riccardo Cardellicchio, Mazio Spezi), ai medici (Giuseppe Noferi, Enrico Solito), per arrivare agli insegnanti (Linda Di Martino, Riccardo Parigi & Massimo Sozzi) ed agli esperti del settore (l'ex consulente mondadoriana Laura Grimaldi, l'editore Roberto Pirani); chiudono il gruppo la storica dell'arte Lucia Bruni, il tappezziere ed ex impiegato Alberto Eva, l'avvocato penalista Nino Filastò e gli scrittori tout court (Stefano Martinelli, Claudio Pellegrini, Giampaolo Simi).
(n.d.r. contiene "Maniac" di Nino Filastò)

lunedì 17 maggio 2010

Ruggero Perugini - Intervista su La Nazione - 17 gennaio 1993

Il 15 luglio 1992, il quotidiano La Nazione, pubblicò l'intervista al dott. Ruggero Perugni che segue.
Dottor Perugini, quando ha cominciato a credere che il Pacciani fosse il maniaco delle coppiette, l’inafferrabile assassino?
Quando ho visto che non riuscivo a trovare nessun elemento per escluderlo, mi sono chiesto se era lecito non fare tutto per cercare gli elementi della sua colpevolezza.
Pacciani come mostro: è credibile?
Non esiste un’immagine del mostro, esiste un identikit psicologico dell’autore dei delitti che ha le caratteristiche riferibili a tutti i “serial killer” e che è totalmente difforme dall’immagine collettiva.
Quali sono queste caratteristiche?
Ne posso citare solo alcune: il basso livello culturale, il fatto che si tratti di un selfmademan, un uomo che fa mille mestieri e nessuno in particolare, una persona spinta dalla sua stessa mania a essere superficiale. Una persona per la quale la mania è il solo interesse. Ecco dunque l’influenza negativa che possono aver avuto gli stereotipi. C’è voluto molto tempo infatti per liberarci di queste immagini preconfezionate e lavorare finalmente sui dati scientifici obiettivi e su prove provate.
Dottor Perugini, esistono gli insospettabili in un’inchiesta come questa e, se esistono, chi sono?
In genere la gente crede che quelle persone siano i più diretti interessati, medici, avvocati, professionisti, che in realtà sono proprio i primi ad essere sospettati. Chi è più insospettabile, infatti, di una persona come Pacciani, così lontana dall’immagine che la collettività si è creata del mostro di Firenze?
Un’indagine come questa costa sacrifici?C’è un altissimo prezzo personale da pagare per immedesimarsi in una certa personalità e comprenderla a fondo. Ma è un prezzo che, per una vicenda crudele come questa, per un investigatore, non è possibile non pagare. E si paga anche in una moneta preziosa come il tempo: per ben tre anni, ancor prima di essere incaricato della Sam, ho studiato la vicenda dal punto di vista criminologico facendo avanti ed indietro con Modena tutti i fine settimana. Non si tratta di parapsicologia, ma di arida tecnica professionale. Ma tutto questo comporta ripercussioni anche nella sfera del privato.
Quando è divenuto capo della Sam era ottimista o pessimista?
Ho sempre cercato solo prove, concentrando gli sforzi per non avere rimorsi.
Ma alla fine è riuscito ad entrare un pò nella mentalità e nel modo di pensare di Pacciani?
C’è una massima di Confucio che spiega abbastanza bene come sono andate le cose. Suona all’incirca così: "Osserva un uomo nei fatti e non nelle parole. Quando avrai capito qual’è lo scopo della sua vita, lo avrai capito". Abbiamo cercato, tutti noi della Sam, di averla sempre presente questa massima e di non lasciarci neanche sfiorare dalle sin troppo facili suggestioni.
Tre aggettivi per definire Pacciani.Raro, multiforme, dissimulatore.
Rif.1 - La Nazione - 17 gennaio 1993 pag.x

sabato 15 maggio 2010

Udienza del 20 maggio 1999 - 18

Quella che segue è una sintesi dell'udienza del 20 maggio 1999 relativa al Processo d'appello per i delitti del "mostro di Firenze" davanti alla prima sezione della Corte d'Assise d'Appello di Firenze.

Segue dalla parte 17
Avvocato Saldarelli: Questo è il tipico protopostulato che da noi tante volte è stato avvisato, non poteva non sapere, non poteva non rendersi conto, non poteva che essere, allora io cercherò, nei limiti del mio possibile, di dire perchè dovendo discutere in ordine alla responsabilità di più soggetti coautori di questi reati relativamente ai quali Lotti Giancarlo invoca l'attenuante di cui all'art 114 codice penale affermando la sua minima partecipazione al fatto perchè questi soggetti non possono che essere quanto meno ed almeno gli attuali imputati. Oserei dire qualcosina di più. Bhe, gli atti del processo sono pieni di comunivazioni nell'ambito degli esercizi sessuali e di altre cose analoghe, questa da sola non sarebbe però una indicazione sufficiente, perchè come ho già detto, la chiamata in correità ha necessità di un riscontro, voglio essere chiaro sul punto con la corte, un solo riscontro è sufficiente, perchè qui siamo in presenza di una confessione ritenuta attendibile dallo stesso signor procuratore generale, da una corte di assise, siamo in presenza di una chiamata in correità che non soffre di altre indicazioni, quali ad esempio malanimo, vendetta, litigio, quindi sostanzialmente immotivata nel suo mendacio, allora è sufficiente un solo elemento di riscontro per poter dare, a questa chiamata in correità, quel valore di prova che la corte di assise di primo grado ha inteso dare a questa chiamata di correità, prescindendo per un momento e non ci tornerò neppure più sopra, sulle contraddizioni, sulle difficoltà espositive del Lotti, addirittura su quel processo di progressivo adeguamento che Giancarlo Lotti ha palesato a fronte delle contestazioni che gli venivano mosse perchè, non deve dimenticare la corte, che si discute di fatti accaduti 15 anni fa, perchè non deve dimenticare la corte, la sovrapposizione dei ricordi, soprattutto ad opera di chi, come Giancarlo Lotti, ebbe a partecipare a più di un omicidio, a più di un gesto efferato, perchè non deve dimenticare la corte, le ridotte capacità intellettuali di un Giancarlo Lotti che se da un lato lo rendono potenzialmente suggestionabile dall'altro lo rendono anche inadatto al mendacio. Certi si è, perchè il dato mi pare sia emerso in maniera inconfutabile, che Giancarlo Lotti non aveva nessun motivo di accusare Mario Vanni, forse astrattamente avrebbe avuto un motivo per accusare Pietro Pacciani, essendo rimasto vittima di quella sodomia, in epoca pregressa, ma non so quanto vittima o quanto consenziente ma il fatto è importante perchè sta a dimostrare quel legame perverso e costante nel tempo tra questi soggetti, cementato da pratiche sicuramente anomale che determinano inevitabile complicità e succubanza, quindi il dato è di lettura incerta o essa stessa contraddittoria, certi si è che è agli atti come qualmente il Lotti avesse instaurato una amicizia con un familiare del Vanni, motivi di risentimento non ce ne sono, non esistono, allora astrattamente non c'è da fare quella scelta iniziale di campo che in molti processi è necessaria, quando per esempio ci si trova di fronte a chiamate in correità che palesano il livore, il risentimento lo spirito di vendetta, la voglia di nuocere più che quella di far conoscere ed apprezzare la verità. Non siamo certamente nel caso di Giancarlo Lotti, il quale confessa le sue responsabilità, non le confessa in un momento di debolezza o abbandono ma perchè si vede in qualche modo incastrato, parole che lui stesso userà, e che successivamente racconterà, per quanto è a sua memoria e nel suo bagaglio di ricordi, i fatti ai quali ha assistito o dei quali ha sentito parlare. Allora cerchiamolo questo elemento di riscontro. Ripeto e sottolineo, elemento di riscontro, che può avere apparentemente valenza insignificante da un punto di vista probatorio ma che per certo deve stare a dimostrare una cosa e cioè che i compagni, nell'esecuzione di questi efferati crimini, di Lotti Giancarlo non potevano che essere Vanni Mario, Pietro Pacciani salvo se altri, perchè è pacifico agli atti che il Lotti Giancarlo non frequentasse altre persone, è pacifico in atti che Lotti Giancarlo avesse solo queste relazioni, è pacifico in atti che Lotti Giancarlo era legato a queste persone da quei vincoli ai quali poc'anzi ho fatto cenno. Certo l'elemento sul quale ci siamo intrattenuti a lungo, l'elemento della famosa 128 rossa a coda tronca che apparentenmente viene ritenuto decisivo ma che a parere di questo difensore altro non è se non un indizio, che ha portato nell'ambito della fase delle indagini preliminari condotte dalla polizia giudiziaria ad individuare nel Giancarlo Lotti un soggetto che lì era quella sera nella quale avvenne l'omicidio degli Scopeti, ha trovato poi un riscontro oggettivo nel fatto che Giancarlo Lotti ha dovuto dire -Si c'ero- ma non lo dirà solo alla polizia lo dirà anche alla Ghiribelli in quella famosa telefonata, che è un elemento altrettanto ponderoso perchè è esterno, che non ha nulla a che vedere con le indagini, ma insomma, è una telefonata che è di una significanza processuale fondamentale in questo processo e non si può negare valore a questo elemento, che è un elemento di riscontro esterno, il tenore di quella telefona è in atti, ma insomma, Lotti dirà sono stato incastrato, Lotti dirà -ma non si può fermare uno a fare un bisogno corporale?- Recito a memoria, non dirà proprio questo, userà il termine volgare ammettendo in maniera chiara ed esplicita due circostanze cioè il fatto che era lì e il fatto che era lì quella notte con un terzo soggetto estraneo al processo che certamente non ha alcun interesse a riferire cose che non corrispondono alla verità. Ma è forse questo l'elemento esterno al quale questo difensore intende fare riferimento? No, perchè in questo processo c'è ben altro. In questo processo c'è un dato talmente forte e talmente drammatico per gli imputati che consente di chiudere quella proposizione dubitativa che poc'anzi avevo fatto e cioè posto ed essendo certo che Giancarlo Lotti è autore di questi omicidi, chi era o chi erano i compagni esecutori di questi omicidi? Ce lo dice Vanni perchè, veda la Corte di assise di secondo grado, mi si deve spiegare perche Lotti Giancarlo andrà a parlare proprio a Vanni Mario di quella visita fatta alla piazzola di Vicchio, la famosa Panda celestina, questo non lo dice Lotti Giancarlo perchè se lo dicesse Lotti Giancarlo -ho parlato con Vanni di questa mia ispezione- rimarrebbe una dichiarazione di un imputato confesso chiamante in correità ma la corte di assise di secondo grado deve porre mente ad un dato fondamentale di questo processo: che Vanni Mario non si difenderà mai perchè si rifiuterà di rispondere dopo aver fatto questa fondamentale ammissione, cioè che Lotti Giancarlo ebbe con lui un colloquio sull'individuazione della coppietta nella piazzola di Vicchio. E allora io chiedo alla corte ma perchè ne ha parlato a Vanni Mario? Perchè era un amico? Dagli atti risulterebbe un mero conoscente, perchè si va a parlare a Vanni Mario, per l'appunto, di questa particolare iniziativa, di quello che può essere definito un vero e proprio giro ispettivo. "Il lotti di questa piazzola me ne ha parlato ma io non ci sono mai stato... ...c'erano due che facevano all'amore, lì in una panda celestina... ...non me lo ricordo, preciso ma a me non mi pare che mi dicesse tutte queste cose. La strada per endare a questa piazzola io non gliel'ho chiesta". Rileggetele queste dichiarazioni, ma è una richiesta o una confidenza che gli ha fatto Lotti Giancarlo o non è piuttosto un ricordo individuale nello stesso Mario Vanni che a distanza di ben 16 anni, perchè questo esame lo renderà di fronte al gip il 23 marzo 96, ricorderà i termini di un colloquio per lui stesso del tutto indifferente e li ricorderà con termini così precisi e così vivi da affermare che si trattava di una panda celestina, nella quale c'erano due che facevano all'amore. Dopo di che opportunamente Mario Vanni, com'è suo diritto, si sottrarrà all'esame anche in sede dibattimentale, allora per tornare alla premessa che mi sono permesso di fare perchè nonostante tutto, vedano signori della corte, questo è un processo molto semplice, primo perchè è difficile che in un processo vi sia una confessione sopratutto in un processo come questo, in secondo luogo perchè è abbastanza difficile che chi confessa renda anche dichiarazioni così diffuse sulla responsabilità di altri soggetti, terzo perchè credo che raramente come in questo processo si sia proceduto alla riceca di riscontri con l'unica difficoltà che questa ricerca è avvenuta dieci anni dopo, ben oltre dieci anni dopo dai fatti dei quali è processo. Ma il processo resta semplice nella sua complessità perchè quella domanda che mi ero posto inizialmente e che è il frutto delle conseguenze logiche giuridiche proprio delle conclusioni formulate dal signor procuratore generale, è una risposta obbligata in questo processo, ma non perchè Vanni Mario sia imputato in questo processo o perchè Pietro Pacciani fosse imputato nell'altro processo ma perchè per escludere la partecipazione di questi soggetti agli efferati crimini dei quali certamente è stato responsabile Lotti Giancarlo voi dovreste avere addirittura delle prove positive mentre invece avete dei riscontri seri, precisi, univoci, su questi elementi, non vi ho citato testiminanze, non mi interessa del Pucci, non mi interessa del Nesi, sono i fatti che parlano da soli, la personalità di questi soggetti, la loro forte unione nella scelleratezza comportamentale, testimoniata da reperimenti oggettivi e non da discorsi, l'indicazione precisa di corresponsabilità. Mi ero imposto, come necessità giuridica, l'individuazione di almeno un elemento di riscontro e la corte per dire che Mario Vanni non ha nulla a che vedere con Lotti Gianca, deve dare una spiegazione a quella conversazione su Vicchio ma me la deve dare convincente, mi deve dire cioè che si trattava di due illustri cattedratici che parlavano astrattamente di sesso o di fatti di anomalia comportamentale e non piuttosto di soggetti interessati a quello, dal che nasce la complicità, dal che nasce il reciproco interesse, dal che nasce quella correità alla quale ho fatto poc'anzi riferimento, che individua negli attuali imputati o meglio nel signor Mario Vanni insieme al defunto Pietro Pacciani i motori di questa scellerata congrega, della quale Lotti ha fatto parte, forse con quei limiti invocati dal suo difensore e sui quali il signor procuratore generale si è dichiarato remissivo ed anzi ha assentito ma certo si è che gli elementi di questo processo consegnano alla responsabilità per questi fatti di sangue imputato Mario Vanni non solo e non tanto perchè chiamato in correità da Giancarlo Lotti, sicuramente attendibile con riferimento alla sua confessione e alla stessa chiamata in correità ma perchè questa chiamata in correità trova quei riscontri oggettivi uno dei quali di natura confessoria ai quali ho fatto pocanzi riferimento. Si impone conseguentemente la conferma dell'impugnata sentenza quantomeno in punto di affermazione di responsabilità degli imputati, in tal senso sono le mie conclusioni scritte che rassegno alla corte. Grazie.
Presidente: Grazie a lei avvocato.
Segue...

venerdì 14 maggio 2010

Giancarlo Lotti - Dichiarazioni dell' 11 marzo 1996 - Seconda parte


L'11 marzo 1996 Giancarlo Lotti chiese di poter parlare con il capo della squadra mobile Michele Giuttari, questi, autorizzato dal Pubblico Ministero Paolo Canessa, raccolse le dichiarazioni che seguono.
Segue dalla prima parte.
Giancarlo Lotti: "A questo punto voglio precisare alcuni dettagli relativi al delitto degli Scopeti avvenuto nel 1985; dettagli che non ho riferito prima nei precedenti interrogatori perchè, come vi ho detto, ero "bloccato" e temevo che potesse pensarsi ad un mio coinvolgimento in questo delitto. Voglio precisare quanto segue: Tre o quattro giorni prima di questo delitto, mi trovavo al bar Centrale di San Casciano e sentii gli avventori che parlavano di una tenda e di una macchina che si trovavano nella piazzola degli Scopeti. La gente si meravigliava e diceva che era pericoloso stare lì e ricordo anche che i carabinieri di pattuglia dicevano agli avventori che avevano fatto presente a quella coppia di andare via perchè era pericoloso. Si diceva anche che quella coppia voleva trovare una pensione per stare e non trovando posto si erano accampati lì. Il giorno dopo aver sentito questi discorsi al bar, incontrai Mario nel piazzone di San Casciano e gli riferii quanto avevo sentito dicendogli che non ero sicuro se ancora la tenda fosse lì. Mario mi disse: "andrò a fare un giro io per vedere se c’è", ma non mi precisò quando e come sarebbe andato. Ebbi conferma che Mario era stato in quel posto quando il giorno dopo mi disse che la tenda era ancora lì. Il giorno innanzi al delitto, Mario, che incontrai sul piazzone di San Casciano, mi disse: "sei pronto?" ed io gli risposi: "pronto per che cosa?" Mario mi disse "si deve andare con Pietro a fare un lavoretto a quella coppia". Io domandai: "come quello là di Vicchio?" e Mario mi disse "te non ti preoccupare che a te non succede nulla". Io quindi gli domandai: "a che ora andate da quelle parti?" e lui rispose: "verso le 11 di sera" e aggiunse: "tu passi di li, fai finta di fare pipì e guardi verso la strada e stai attento che non venga nessuno, se no Pietro se vede qualcheduno si incazza". Io gli diedi assicurazioni che avrei fatto come mi aveva chiesto. Così il giorno in cui avvenne il delitto, prima di venire a Firenze con Fernando, mi fermai di fronte alla piazzola degli Scopeti per controllare il posto e vidi che c’era la tenda e la macchina accanto. Rimasi fermo in quel posto per un pò di tempo e dissi a Fernando che li c’erano due persone. Fernando mi rispose: "son fermi là che ti danno noia? Lasciali stare". Allora spiegai a Fernando che quella sera Mario e Pacciani li avrebbero uccisi. Fernando non ci credette e mi disse: "tu dici così per farmi paura". Allora gli spiegai il fatto di Vicchio, ma Fernando non credeva a quello che gli dicevo. Io gli dissi "tu vedrai stasera quando si passa e ci si ferma". Lui rimase un pò male e credeva che scherzassi. Poi venimmo a Firenze e non se ne parlò più. Ne riparlammo sulla via del ritorno, la sera, quando gli dissi che ci saremmo fermati per fare “un pò d’acqua” nella piazzola di Scopeti. Lui mi disse: "perché proprio lì" ed io gli dissi che avevo preso accordi con Mario e se lui aveva paura poteva rimanere alla macchina. Lui mi disse che si sarebbe avvicinato un pò anche lui a vedere ma mantenendosi più distante di me perché aveva paura. Giunti sul posto, ho fermato la macchina nel posto già indicato e siamo scesi salendo verso la piazzola. A questo Pacciani e Vanni ci videro e fui rimproverato perché avevo portato un’altra persona che era in macchina. Pacciani era proprio imbestialito e mi minacciò dicendomi che mi avrebbe ammazzato se avessi detto io o Pucci qualcosa. Egli disse anche che di me aveva ormai fiducia perchè ero stato coinvolto nel delitto di Vicchio ed aveva avuto la prova che ero stato zitto, mentre adesso non era sicuro per Pucci. Io lo assicurai dicendogli che Pucci era riservato e non avrebbe detto nulla. Entrambi mi dissero: "E' meglio per te se non parla perchè ci rimetti te". Mario era arrabbiato ma non come Pacciani che quando vide che c'era un'altra persona con me aveva "gli occhi di fuori" dalla rabbia. Quando dissi nei precedenti interrogatori che Pacciani e Vanni ci minacciarono venendo verso di noi fu in effetti perchè videro che non ero solo, in quanto aspettavano solamente me in quel posto. Assistetti quindi alla scena del delitto così come l'ho già descritta e vidi che Mario non aveva lo spolverino di Vicchio ma era vestito normale. Mentre ero in quel posto, ho notato alcune macchine passare per la strada, ma non si sono fermate e se lo avessero fatto le avrei mandate via. Ricordo che qualche macchina anche rallentò passando sotto la piazzola ma vedendo ferma la mia macchina ed il Pucci fermo nei pressi proseguirono la strada. Voglio precisare che, dopo il delitto, prima di andar via dal posto, vidi Pacciani e Vanni andare verso il bosco e tornare indietro dopo circa 15 minuti, quindi li vidi scendere in giù, attraversare la strada degli Scopeti e salire sulla macchina del Pacciani, la Ford che era posteggiata dietro il muro accanto al cancello che si trova di fronte all’ingresso della stradina che conduce alla piazzola. Quando uscirono dal bosco nel venire in giù verso di noi vidi che Vanni e Pacciani si strofinavano le mani come per asciugarsele. Li vidi poi andare via in macchina ed io, dopo aver accompagnato il Pucci, andai a casa. Il Pucci rimase scioccato e mi disse: "ma tu sapevi veramente tutto" ed io risposi: "te l'avevo detto e tu non ci avevi voluto credere". Mi disse poi effettivamente di andare dai carabinieri ma gli risposi di no. Voglio precisare anche che Mario mi disse che le parti della donna che lui aveva asportato li aveva portati a casa Pietro per nasconderli nel garage mettendoli in un involto. Mario mi disse che Pacciani voleva farli mangiare alle figliole ma non so se effettivamente lo abbia fatto."

giovedì 13 maggio 2010

Giancarlo Lotti - Dichiarazioni dell' 11 marzo 1996 - Prima parte


L'11 marzo 1996 Giancarlo Lotti chiese di poter parlare con il capo della squadra mobile Michele Giuttari, questi, autorizzato dal Pubblico Ministero Paolo Canessa, raccolse le dichiarazioni che seguono.
Giancarlo Lotti: “Voglio precisare che quando partii da San Casciano per andare a Vicchio, alla piazzola, non seguii la macchina di Pacciani, sulla quale vi era anche il Mario Vanni, a loro insaputa, come ebbi a dire nell’ultimo interrogatorio. I fatti si svolsero diversamente ed ho molto riflettuto in questi giorni. Intendo dire tutta la verità perché voglio collaborare con la giustizia e se non ho detto queste cose prima nella loro chiarezza, è stato perché, mi dovete capire, ho trovato grosse difficoltà poichè mi sentivo “bloccato” ed avevo paura che, dicendo i fatti come realmente li ho vissuti, potesse configurarsi una mia partecipazione al delitto, che, in effetti, vi prego di credermi, non c’è stata. Io sono un buono e tutte le persone che mi conoscono lo sanno e non avrei fatto mai e poi mai quelle brutte cose alle quali ho assistito.
I fatti si sono, quindi, svolti nel seguente modo: La sera pnma di andare alla piazzola di Vicchio, incontrai Mario nel piazzone di San Casciano e questi mi disse di tenermi disponibile per la sera successiva per andare insieme a lui e a Pacciani nella piazzola di Vicchio per guardare la coppietta con la Panda celestina di cui io gli avevo parlato nei giorni precedenti. Gli dissi che sarei andato, ma con la macchina mia perchè non mi garbava andare sulla macchina di Pacciani. Lì per li pensai che tale richiesta della mia presenza fosse stata determinata dalla necessità di trovare con sicurezza il posto che io avevo indicato a Mario. La sera successiva andai all’appuntamento che mi era stato dato per le ore 22 al piazzone di San Casciano e, prima di partire, Mario mi disse che si andava a Vicchio per un lavoro che lui e Pietro avrebbero dovuto fare nella piazzola. Chiesi che tipo di lavoro dovevano fare e Mario mi rispose: "sappiamo noi il lavoro che dobbiamo fare". Mi disse anche "noi la strada non si sa bene; vieni anche tu.” Partimmo e fui io a fare con la mia macchina la strada sino alla piazzola di Vicchio. Lungo il tragitto ci fermammo al bar di Galluzzo, che ho già detto, e tutti e tre scendemmo per prendere un caffè. Poi proseguimmo sino alla piazzola facendo l'itinerario che ho già spiegato al P.M. La sera prima di andare alla piazzola di Vicchio, incontrai Mario nel piazzone di San Casciano questi mi disse di tenermi disponibile per la sera successiva per andare insieme a lui e a Pacciani nella piazzola di Vicchio per guardare la coppietta con la Panda celestina. Gli dissi che sarei andato, ma con la macchina mia perché non mi garbava andare sulla macchina di Pacciani. Li per lì pensai che tale richiesta della mia presenza fosse stata determinata dalla necessità di trovare con sicurezza il posto che io avevo indicato a Mario. La sera successiva andai all’appuntamento che mi era stato dato per le ore 22 al piazzone di San Casciano e prima di partire, Mario mi disse che si andava a Vicchio per un lavoro che lui e Pietro avrebbero dovuto fare nella piazzola. Chiesi che tipo di lavoro dovevano fare e Mario mi rispose: “sappiamo noi il lavoro che dobbiamo fare”. Mi disse anche “noi la strada non si sa bene; vieni anche tu”. Partimmo e fui io a fare con la mia macchina la strada sino alla piazzola di Vicchio. Giunti alla piazzola, Vanni e Pacciani entrarono con la macchina dentro la piazzola, mentre io rimasi un pò in disparte e mi avvicinai a piedi dove erano loro per vedere ciò che facessero. Il Pacciani la macchina la fermò di traverso davandi alla Panda allo scopo di evitare che l’autista di questa potesse scappare; in pratica l’aveva “bloccata” non consentendo quindi un’eventuale via di fuga. A questo punto vidi che una persona dentro la macchina si era alzata per guardare perché aveva sentito e visto la macchina del Pacciani. Vidi poi che il Pacciani, che ne frattempo si era avvicinato a piedi alla Panda velocemente è tornato alla propria auto, ha preso la pistola dalla parte destra sotto il sedile e dopo ha raggiunto di corsa la Panda ed ha sparato alcuni colpi di pistola. Quindi Mario, che vidi tirar fuori dalla macchina del Pacciani uno spolverino di quelli che si mettono gli operai per non sporcarsi e che durante il viaggio non aveva addosso, lo indossò e armato di un coltello, tirò fuori la ragazza che ancora era viva perché strillava e la trascinò sul prato chinandosi su di essa e colpendola con il coltello piu volte per come potei vedere dal movimento del suo braccio. A quel punto ebbi paura e mi allontanai un pò rimanendo sempre a vista dei due. Dopo il fatto sentii che Mario diceva a Pacciani:” ma quell’altro che dirà adesso; dopo parla...” E Pacciani rispondeva:” no, non dice nulla perché ora c’è anche lui insieme a noi, sicché non può dire nulla sennò si ammazza anche lui”. Quindi, prima di andar via., Pacciani e Vanni mi dissero di stare zitto altrimenti mi avrebbero ucciso. Io li rassicurai che non avrei parlato e in effetti sono stato zitto tutti questi anni. Poi li ho fatti partire e con la mia macchina sono andato dietro. Prima di lasciare il posto vidi che Pacciani e Vanni scesero al fiume proprio dirimpetto la piazzola e si lavarono le mani ed il coltello. Io rimasi in macchina e non scesi. Vidi anche che Vanni si levò lo spolverino e lo mise in macchina. Quindi partirono ed io andai dietro loro. Dopo pochi minuti presero una strada sterrata che Pietro mi disse bisognava fare per evitare il passaggio a livello ed io andai dietro di loro seguendoli a breve distanza e ricordo che riuscivo a vedere poco perché la macchina di Pacciani alzava parecchia polvere. Dopo questo tragitto in terra battuta, che sarà durato 5/10 minuti, abbiamo ripreso la strada normale verso Dicomano per tornare a casa e li seguii sino a San Casciano dove arrivammo tardi sicuramente dopo la mezzanotte. A San Casciano, vidi che Pacciani prese verso Borgo Sarchiani per lasciare Mario; io mi fermai alla fine di Borgo Sarchiani e vidi passare, dopo circa 10 minuti, Pacciani da slo. A quel punto me ne andai a casa. Il giorno dopo, come pure nei giorni seguenti, Mario mi minacciò di non parlare, dicendomi che dovevo stare zitto e che Pacciani era un violento e mi avrebbe senz’altro ucciso. Lo assicurai che sarei stato zitto. Chiesi anche a Mario che cosa facevano con la parti della donna che lui aveva tagliato e che io avevo visto avevano messo in una specie di sacchetto, Mario mi rispose che non me lo poteva dire, però devo dire che quella notte vidi che Pacciani e Vanni si chinarono a qualche metro di distanza dalla Panda e vidi che nascosero qualcosa in quel posto. Ricordo che vi era un fossetto e i due gettarono sopra della terra per coprire quanto vi avevano nascosto. Vidi anche che nell’andare via avevano messo le armi in macchina. Sono in grado di indicare il posto ove fecero la buca se dovessi essere portato sul posto. Devo dire anche che quando andai a casa di Mario, vidi lo spolverino da lui indossato quella sera e lo teneva nel ripostiglio all’ingresso dove tiene la legna. L’ultima volta che andai a casa di Mario fu circa due anni fa. Era uno spolverino sul celestino chiaro e Mario se lo metteva per fare le pulizie. Non so dire però dato il tempo trascorso se fosse quello stesso indossato quella sera a Vicchio; era comunque come quello. Può darsi che anche Pucci Fernando abbia visto questo spolverino a casa di Mario perché mi risulta che Fernando fu chiamato da Mario a fare lavori di pittura nella sua abitazione e credo che l’ultima volta che lo ha chiamato è stato circa due anni fa."

Segue...
Rif.1 - Il mostro pag.204

mercoledì 12 maggio 2010

Antonio Morelli

Nel 1985 era primario di Gastroenterologia presso l'ospedale di Monteluce di Perugia. Amico di famiglia di lunga data era stato testimone di nozze di Francesco Narducci e Francesca Spagnoli. Il 13 ottobre 1985 intervenne sul molo di Sant'Arcangelo per il riconoscimento del cadavere rinvenuto. Riferì: "Era irriconoscibile, edematoso, aveva il volto cianotico ed era talmente gonfio che i bottoni della camicia tiravano a dismisura, con pochi capelli come appiccicati, la fronte molto prominente. Aveva il volto "batraciano'' per prominenza delle parti laterali. (...) Vidi la patente di Francesco spuntare dal giubbotto o dai pantaloni. Mi colpì perché era ben conservata, pur non essendo plastificata. La cosa mi stupì molto perché un documento cartaceo rimasto in acqua per cinque giorni difficilmente si sarebbe conservato in quel modo". Tutt'altra impressione ebbe il giorno successivo, il 14 ottobre, presso la villa di San Feliciano: "Non so dire in che modo, ma quel cadavere aveva qualcosa di diverso da quello che avevo visto sul molo. Questo assomigliava di più a Francesco".
Relativamente alle frequentazioni di Francesco Narducci dichiarò: "Sapevo che Narducci, insieme al dottor Farroni, frequentavano e uscivano con donne. So anche, perché me lo ha raccontato un mio collaboratore, che Narducci aveva delle frequentazioni particolari, tipo delle orge, alle quali aveva partecipato anche lui, una dalle quali era subito scappato non appena avevano iniziato a togliergli i pantaloni. Ed aveva uno strano modo di fare sesso, con un comportamento violento e con urla".