venerdì 30 aprile 2010

Amelia De Giorgio

Convivente di Franco Martelli, figlio di Martino, proprietario di Villa La Sfacciata.
"All'epoca abitava nella villa "La Sfacciata", il cui muro di cinta costeggiava la via di Giogoli dirimpetto al punto in cui era stato commesso il duplice omicidio, ha narrato di aver visto fermo all'intemo del cancello della villa che immetteva sulla via Volterrana, qualche giorno prima dell'accaduto, un motorino di vecchio tipo (alla P.G. aveva detto anche: "scalcagnato"), con un serbatoio rigonfio sul davanti, di un colore rosso sbiadito simile a quello che appariva sul telaio del ciclomotore sequestrato al Pacciani, là dove era stata grattata la vernice superficiale azzurra e che ricordava detto motorino anche per la forma complessiva."
Il 30 luglio 2003 fu sentita dagli inquirenti. Quello che segue è il verbale delle sue dichiarazioni.
-Ci risulta che ha abitato negli anni 80 a Villa La Sfacciata ci può dire quanto tempo ha abitato e chi erano gli inquilini?
-A villa La Sfacciata ho abitato dall’83 fino a Settembre dell’85. Prima ho abitato nella casa colonica di via Gialli dietro la Villa, all’epoca convivevo con Paolo Martelli figlio del proprietario e in questa casa colonica sono andata ad abitare alla fine degli anni ‘80. Alla Villa La Sfacciata ho abitato dall’83 fino al Settembre ‘85, poi dopo sono andata non più a Villa La Sfacciata, ma alla colonica accanto, dove forse c’era anche l’appartamento del Reinecke. (...) Quando siamo andati ad abitare nella villa, degli inquilini dei vari appartamenti ricordo, un tedesco che seppi essere quello che all’epoca trovò i due tedeschi uccisi, poi c’era la famiglia ...omissis..., moglie e figlia, poi c’era ...omissis... con la sua compagna, poi ...omissis... che aveva la moglie inglese e poi c’era anche una coppia della quale ricordo solo il nome di lei, Nadia. Fino a quando sono rimasta alla villa non ho conosciuto altri inquilini.
Le fu chiesto se nella villa abitasse anche un americano di colore e la De Giorgio rispose negativamente; le fu fatto presente che in un verbale di dichiarazioni testimoniali precedente aveva detto invece che vi abitava il Reinecke e lei replicò: “non me lo ricordo, anzi mi sembra proprio impossibile che io abbia detto questo”. Le fu mostrato un album fotografico del 2003 e dichiarò: “La persona ritratta nel primo foglio e la cui foto è contraddistinta dal numero tre ha un volto noto ma non conosciuto, si tratta di un volto che anche nella foto numero 2 mi sembra noto, anche se non mi sembra la stessa persona” (entrambe le foto si riferivano al Narducci). “La persona ritratta nella foto 20 e 21, anch’essa è un volto noto e mi da l’impressione di un volto che abbia potuto vedere in televisione o sui giornali a differenza della foto già detta numero 3 che tenderei ad escluderla di poterla aver vista pubblicata. (Le foto 20 e 21 erano di Calamandrei). Vi chiedo se posso far intervenire mia figlia che all’epoca stava con me nella villa, può darsi che lei possa ricordare qualcosa," La Polizia Giudiziaria mostrò l'album alla figlia, dopo averlo visionato costei dichiarava: "Delle persone raffigurate mi colpiscono quelle della foto 3 e della foto 20 e 21 ma non so dirvi nulla"
Rif.1 - Sentenza della Corte di Assise dell'1 novembre 1994 contro Pietro Pacciani (testo in corsivo)

giovedì 29 aprile 2010

Morella Sali

Con il marito, Mario Caramelli, era stata titolare di un bar a Castelletti di Signa dal 1986 al 1989. Tra il 1986 ed il 1989 aveva raccolto alcune confidenze dalla signora Mariella Ciulli. Nel 1994, tramite un memoriale, fece pervenire agli inquirenti le dichiarazioni ricevute dall'amica. Quelli che seguono sono alcuni brani tratti da quel memoriale.
"La signora (Mariella Ciulli) ricordava, a proposito del delitto del 1968, di essere stata sul luogo dello stesso e di aver corso durante la notte con un bambino in braccio. Diverse volte portò mio marito sul luogo, per cercare di ricostruire tutta la vicenda, perché di quella sera rammentava soltanto di aver partecipato a una seduta da una veggente e sicuramente di essere stata sotto l’effetto di qualche medicinale o “intruglio”. La signora ricordava che subito dopo il delitto il marito, allora fidanzato, stette via per circa 6 mesi. Al ritorno ricominciarono la relazione e poi si sposarono. (...) La donna (sempre la Ciulli) rammentava anche che una sera il marito fu chiamato telefonicamente da una persona con la quale fissò un appuntamento in via del Moro a Firenze: un paio di giorni dopo apprese dai giornali che proprio quella sera in quella via una prostituta fu uccisa a coltellate. (...) La Calamandrei sosteneva che il marito era in possesso di due pistole di cui una regolarmente denunciata e un’altra, a canna lunga, una Beretta calibro 22, non denunciata. La Beretta fu mostrata anche a un suo dipendente che successivamente fu licenziato. (...) La Calamandrei rinvenne nel frigo un fagotto che rivelò contenere una mammella femminile e un organo genitale femminile."
Nel settembre del 1994 rilasciò le dichiarazioni che seguono al settimanale "Visto".
"Cosa vuole, signore, l’è una faccenda mica da ridere questa, vedrà... al processo.... Era il 1986, io e mio marito gestivamo un locale pubblico ed a seguito della nostra attività commerciale conoscemmo una signora, tale M.C., che abitava vicino a Firenze. Questa donna, con la quale entrammo in amicizia, sin dall’inizio della nostra frequentazione, ci parve come ossessionata da qualcosa di cui aveva bisogno di liberarsi. Per farla breve, abbiamo iniziato ad invitarla a cena a casa nostra, nella nostra casa di campagna, ed ogni volta sembrava stesse per esplodere, poi, invece di iniziare a raccontare ciò che l’affliggeva, si limitava a piangere in una maniera dolorosa, sofferta, un pianto irrefrenabile, come di chi prova un dolore lancinante, qualcosa di psicologico che ti ferisce nel profondo. Finalmente una sera, eravamo sole io e lei, mi raccontò una storia incredibile, sconvolgente, mi disse "Quando sono successi i delitti del mostro io commentavo con mio marito e lui assentiva sul fatto che erano cose da matti, poi piano piano alcuni atteggiamenti non mi convincevano più, fino a quando dopo l’ultimo delitto, quello dei francesi Nadine Mauriot e Jean-Michel Krauchivili, ho cominciato ad avere dei pesanti sospetti fino ad arrivare alla certezza che mio marito c’entrasse qualcosa." Trovò degli abiti insanguinati e un reperto anatomico in freezer. "Perché lui non ha più colpito? Non perché è “guarito”, ma perché fu scoperto". Io, al sentire questo racconto, ho avuto paura: il marito della mia amica era ed è un professionista che viene da una famiglia molto in vista, ha un cognome prestigioso, una credibilità inattaccabile ed il fatto che è alto un metro e ottantacinque, porta il 45 di scarpe ed oggi ha 57 anni, il che vuol dire che nel 1985 ne aveva 48, poteva sembrare solo una coincidenza con la descrizione che allora si faceva del criminale assassino. Sa, ci vuole poco a rimanere intrappolati in storie con le quali non si ha nulla a che fare. Insomma, ero dubbiosa. Ma un giorno M.C. decide di parlarci di quanto ha visto e le è stato raccontato, di ciò che l’ha convinta che il padre dei suoi due figlioli ha qualcosa a che vedere con il mostro sanguinario delle colline del Chianti. Dopo l’omicidio dei francesi la signora M.C. vide il marito come stranito e, non convinta dei suoi atteggiamenti, scavando come fanno le mogli sospettose di qualche tradimento, scoprì quello che mai avrebbe voluto: un paio di pantaloni ed una maglietta intrisi di sangue, poi nel freezer dei reperti anatomici ed infine, in un cassetto, una pistola Beretta calibro 22. Lei mi ha raccontato che dopo la scoperta di quelle cose affrontò il marito, lo assalì, entrò in crisi, gli urlò la sua disperazione, ma lui l’aggredì, tentò di strangolarla e le disse che era pazza, sì, proprio così, che era una pazza visionaria e che voleva, in questo modo, distruggere il loro matrimonio e spillargli soldi. Il resto è la cronaca dei nostri tentativi di convincerla a fare ciò che doveva fare, a presentarsi agli inquirenti per mettere nero su bianco, a confidarsi con i figli, a rimanere salda e ferma nella convinzione che non si può diventare pazzi pensando che s’è vissuto per vent’anni accanto ad un uomo colpevole di crimini così efferati e che andava salvata la mente innanzitutto. Io le diedi dei consigli, ma lei non volle sentirmi. Be’, dopo qualche mese ho saputo che è impazzita, uscita di senno, ed oggi, come si può ben capire, è totalmente inattendibile e forse anche a me vogliono far fare la stessa fine! Ho letto da qualche parte che secondo gli esperti il vero mostro di Firenze non colpirebbe più perché sarebbe guarito o sarebbe morto. La verità è che ha smesso perché è stato scoperto."
Nel 1997 Mariella Sali è morta di cancro.
Rif.1 - Il Tirreno - 21 dicembre 2004 pag.5
Rif.2 - Visto n.37 - 1994

mercoledì 28 aprile 2010

Alves Jorge Emilia Maria

Originaria di Petropolis (Brasile). Rilasciò dichiarazioni alla SAM il 4 luglio ed il 17 novembre 1990 e fu nuovamente sentita dal capo della squadra mobile, Michele Giuttari, il 6 novembre 2001. A lungo era stata l'amante di Giuseppe Jommi, avvocato fiorentino, la cui moglie aveva ceduto in affitto un'abitazione ubicata in Via B. Marcello alla famiglia di Susanna Cambi. Riferì che l'avvocato fiorentino, domenica 8 settembre 1985, prima che venisse scoperto il duplice omicidio di Scopeti, gli disse: "Sono un mostro". Tramite un'agenzia investigativa aveva appreso che l'amante frequentava, a San Casciano, un certo Francesco di Foligno, medico di ottima famiglia, professore all'univesità di Harward: "aveva all'epoca una Citroen Pallas di colore verdino, che qualche volta vidi guidare allo stesso Jommi." L'avvocato Jommi ha sempre smentito la conoscenza con il medico umbro.
Rif.1 - La strana morte del dr.Narducci p.125
Rif.2 - Il mostro di Firenze pag.294

martedì 27 aprile 2010

L'investigazione

Autore: Michele Giuttari
Prima edizione: Plus - 2010 - 192 pp - brossurato

Dalla presentazione: Il volume approfondisce il tema dell’investigazione nei suoi aspetti teorici e pratici. L’Autore, da un lato, affronta il tema dell’attività di polizia giudiziaria e, in particolare, degli strumenti dell’investigatore, senza tralasciare gli orientamenti giurisprudenziali relativi agli atti più rilevanti, dall’altro, facendo tesoro della propria esperienza professionale sul campo, fornisce concreti contributi sul metodo investigativo da applicare e sul modo di relazionarsi con l’ufficio del Pubblico Ministero. Inoltre, nell’ultima parte, citando casi concreti di rilevanza nazionale, che lo hanno visto tra i principali protagonisti, fornisce la spiegazione dettagliata sulla conduzione di quelle indagini e, in modo particolare, sull’applicazione del metodo d’indagine seguito. Il volume, pertanto, si rivolge agli studenti, ai giovani investigatori e a chiunque, per professione o per personale piacere, è interessato al mondo dell’indagine.

lunedì 26 aprile 2010

Mario Rotella - Intervista su La Città - 8 settembre 1984

L'8 settembre 1984, il quotidiano La Città, pubblicò l'intervista al giudice istruttore Mario Rotella che segue.
Mario Rotella: Dopo il delitto di Vicchio, come dopo quello di Giogoli, il problema è identico: bisogna capire che cosa è accaduto nel '68, capire chi ha la pistola e da qui si può arrivare a identificare l'assassino dei fidanzati. Pensate a che cosa ripete dal carcere Giovanni Mele, insiste che il fratello Stefano conosce il mostro, che lo copre. Come fa a dirlo? Che cosa sa per esserne così sicuro? Vedete com'è complesso questo processo? Vedete perchè devo tener dentro lui e Mucciarini? Non sono Sacco e Vanzetti, ve l'assicuro.
Ma perchè insistere su quel processo, se si è dimostrato più inestricabile di una giungla tropicale, più insidioso di una palude di sabbie mobili?
Perchè il '68 è un omicidio motivato. Barbara Locci e Antonio Lo Bianco furono ammazzati per un motivo molto preciso. Le altre coppie no: negli omicidi successivi commessi con la stessa pistola non ci sono relazioni fra le coppie uccise e l'omicida. Viceversa il primo fu un omicidio motivato. Lo dimostra il fatto che il bambino fu accompagnato fino alla casa colonica. Ce lo vedete il mostro che dopo aver ucciso l'uomo e la donna porta il bambino fino a un luogo abitato? E se nel delitto del '68 ci fu un movente è possibile trovarne i responsabili. Poi, che senso ha dire il '68 lo mettiamo da parte? Gli omicidi non devono rimanere impuniti. Nessuno. Conta meno Barbara Locci di Susanna Cambi? E Antonio Lo Bianco, padre di tre figli, conta meno di Claudio Stefanacci? Quello che stiamo cercando è un assassino. Un assassino feroce, ma anche un imbecille. Dite pure che le mie sono dichiarazioni sconcertanti, io continuerò a ripeterlo. L'idea che sia un Fantomas inafferabile l'hanno creata i giornalisti.
Non sarà inafferrabile ma certo finora nessuno è riuscito ad afferrarlo.
Perchè indagare sul delitto del '68 è terribilmente difficile, a 16 anni di distanza e con il processo che è stato inquinato fin dall'inizio e che continua ad esserlo. E perchè, come dimostra l'esperienza di Inghilterra e Stati Uniti, dove questi tipi di delitti sono molto più diffusi, è estremamente difficile catturare gli autori dei cosiddetti omicidi reiterati, degli omicidi senza movente. Ma questo non significa che l'assassino sia un mostro d'intelligenza, nè che sia inafferrabile.
Rif.1 - La Città 8 settembre 1984 pag.5

sabato 24 aprile 2010

Udienza del 20 maggio 1999 - 15

Quella che segue è una sintesi dell'udienza del 20 maggio 1999 relativa al Processo d'appello per i delitti del "mostro di Firenze" davanti alla prima sezione della Corte d'Assise d'Appello di Firenze.

Segue dalla parte 14
Avvocato Rosso: Però allora da questo punto di vista certe sue riottosità sono assolutamente neutre, non si può sostenere che la vaghezza di alcune dichiarazioni stiano nel senso di impossibilità, di egli Lotti, di dare riscontri certi e definitivi, perchè se questo soggeto fosse soggetto imbeccato, tra virgolette, fosse soggetto eterodiretto, fosse soggetto che si limitasse a confermare quanto, con nella migliore delle ipotesi, una ingenuità investigativa altri proponessero a lui come domanda, allora avremmo in questo caso si elementi di certezza nelle risposte, in questo caso si la capacità di uniformarsi fino in fondo a quanto voluto dall'inquisitore o dall'interrogante e così non è Lotti, è confuso in alcuni passaggi in un senso e nell'altro ma vi sono una serie di elementi che riscontrano le dichiarazioni di questo signore. Io non voglio ripercorrerli tutti perchè nonostante quella operazione intellettuale, con lo scrupolo che gli è tipico, li ha già ripercorsi tutti il procuratore generale dando atto di come vi siano tanti e tanti tasselli che stanno lì a dire della presenza di questo signore, non solo nel luogo del delitto o quantomeno in alcune occasioni nei luoghi dei delitti, ma a dire del riferimento di costui di cose vere. Vi sono soggetti esterni, vi sono soggetti terzi, vi sono Ghiribelli, vi è Galli, vi sono tutti quanti gli altri testi che sono stati ricordati dai difensori di parte civile che mi hanno preceduto. Questo è un salto di qualità nel processo, vi è un salto di qualità perchè quella chiamata di correo una volta corroborata di quegli elementi di riscontro diventa prova e sulla prova non si discute non abbiamo cioè un arricchimento di un materiale indiziario ma abbiamo il realizzarsi, all'interno del processo, di un elemento probatorio che è definitivo in punto di responsabilità. Sotto questo profilo mi pare che aldilà di alcuni passaggi, probabilmente non fino in fondo esternati dall'estensore, la sentenza di primo grado abbia un impianto certamente convincente ma che l'operazione intellettuale sia un'oprazione che non convince, viene dalle stesse conclusioni. Cioè loro dovrebbero emettere una sentenza, o comunque questo vi è richiesto, che a distanza di così tanti anni da quei drammatici fatti che hanno visto quelle povere vittime scannate da parte di alcuno io ritengo anche da parte degli imputati di questo processo si dica: "si, sono sostanzialmente loro, il gruppo è questo", il processo Pacciani ha avuto quel destino il Lotti è colpevole ma non è attendibile nel momento in cui chiama in causa altre persone, ora noi dovremmo immaginare una situazione nella quale, un contesto sociale, parentale, così ristretto, perchè questo è dato pacifico nel processo, emerge anche dagli accertamenti di natura psichiatrica voluti dalla pubblica accusa, un contesto così ristretto come quello che sta intorno al Lotti, in un contesto del genere, egli Lotti, abbia indicato alcuni personaggi anzichè altri. Dovremmo cioè immaginare che in un'attività calunniosa Lotti non abbia indicato i reali coautori dei fatti reati ma nell'ambito della rosa dei suoi conoscenti, quelle pochissime persone che evidentemente rimanevano ed erano estranee ai delitti. Perchè? Quale indicatore vi è in questa causa che consente solo di fare una ipotesi del genere, quale elemento che consenta di ricostruire un Lotti persona in grado di elaborare grandi fantasie, un Lotti avvezzo alla calunnia, un Lotti che avesse elementi di risentimento forte in danno del Vanni tale da accusare di condotte poste in essere da altre persone da lui conosciute. Io credo che tutti questi siano elementi che possono invogliare, solleticare, stuzzicare la curiosità intellettuale di alcuno ma non siano elementi che consentano e creino una giusta griglia con la quale avvicinarsi al processo. Il processo è dato dalla sentenza, dagli atti di gravame e da uno studio attento degli atti di causa che sono gli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento e allora quella è una sentenza logica, è una sentenza probabilmente che in punto di motivaziona va rimpinguata. E' una sentenza che ha dato dei passaggi scontati perchè, come sempre accade, il processo è stato assai articolato, che si è dilungato per oltre 50 udienze, mi pare di ricordare e dunque poi dei passaggi si perdono ma rimangono ovviamente nella memoria dei protagonisi, che sono qui a farne fedele testimonianza. E' una sentenza che risponde alle resultanze, è una sentenza che non costruisce sugli imputati un vestito partendo dal tipo di autore o partendo dal punto della compatibilità, da questo punto di vista forse nel processo Pacciani vi erano indicazioni molto più illegittime, tra virgolette, di quanto non vi siano in questo processo. Nessuno dipinge Vanni, nessuno dipinge Lotti, Lotti e Vanni sono individuati come gli autori di questi fatti sulla base della lettura di una serie di elementi che sono quelli già contenuti nella sentenza e rassegnati nella lunga requisitoria del procuratore generale. A voi non è richiesta un'operazione intellettuale, a voi è richiesta una sentenza quale la società deve attenderla, affermazione di verità e di giustizia, questo è il contenuto del giuramento dei giudici popolari. Io credo che una sentenza secondo verità e giustizia non possa che essere una sentenza di conferma di un lavoro scrupoloso, di un lavoro certamente complesso ma non difficile come quello dei giudici di primo grado e pur possibile che quella sentenza lasci adito a critiche sotto il profilo della ricostruzione soprattutto in punto di riporto del pensiero giuridico di lettura e griglia interpretativa delle prove ma ve ne possono ovviamente i giudici di appello integrare quelle lacune riproporre quel ragionamento, rendere più intensa, qualora lo ritenessero, quella lettura, nulla togliendo però a quell'operazione di verità che è il risultato del processo. Mi riporto alle conclusioni scritte. Grazie.
Presidente: Grazie avvocato.
Segue...

venerdì 23 aprile 2010

Mario Caramelli

Gestore, dal 1986 al 1989, di un bar a Castelletti di Signa; assieme alla moglie, Morella Sali, raccolse alcune confidenze dalla signora Mariella Ciulli.
Nel dicembre 2004 rilasciò le dichiarazioni che seguono ad un giornalista del quotidiano "Il Tirreno": "Non sono mai stato sentito dagli inquirenti nonostante mia moglie nel suo memoriale mi avesse inserito tra coloro che erano a conoscenza delle cose da lei riferite. All’epoca fu lei ad essere ascoltata ma adesso che non c’è più, con le notizie che ho letto sui giornali, mi sarei aspettato di essere chiamato. Ho poca fiducia che si arrivi a scoprire qualcosa. Sono passati troppi anni. Da parte mia c’è comunque la disponibilità a raccontare tutto quello che so su questa storia. Entrambi frequentavamo la moglie del farmacista che Morella aveva conosciuto, presentata da una cartomante, durante una festa, l’8 marzo. Lei usava venire nel nostro bar nelle ore meno frequentate dai clienti per sfogarsi e per parlare di quei dubbi che le creavano ansia e paura". Raccontò persino d'aver accompagnato la Ciulli sul luogo del primo duplice delitto attribuito al "mostro di Firenze", quello del 1968: "Si ricordava di un bambino accompagnato davanti a un ristorante. Era convinta che fosse lo stesso posto dove era avvenuto l’omicidio ma riteneva che lei fosse stata imbottita di medicinali. Voleva ricordare e facemmo quel viottolo avanti e indietro varie volte con lei che tentava di ricostruire quanto fosse accaduto tanti anni prima. Non sembrava pazza ma disperata. Raccontava di episodi che facevano accapponare la pelle e lo faceva piangendo disperata. Delle due pistole disse che venivano custodite in due scatole da scarpe: una era rossa, l’altra bianca. Diceva si trattasse di una calibro 22 e di una pistola a canna lunga."
Il 2 febbraio 2005 le sue dichiarazioni furono verbalizzate dalla squadra mobile di Pistoia ed il 17 febbraio 2005 fu sentito dalla Polizia Giudiziaria nell'ambito dei procedimenti penali 17869/01 e 8970/02 del P.M. di Perugia.
Rif.1 - Il Tirreno - 21 dicembre 2004 pag.05

giovedì 22 aprile 2010

Vari ed eventuali 9

Maria Teresa Miriano - Sorella del procuratore capo di Perugia, Nicola Restivo, amica della famiglia Narducci. Fu tra i pochi a vedere il feretro aperto di Francesco Narducci presso la villa di San Feliciano. Riferì: "Francesco aveva una espressione serena sul viso, (...) sembrava truccato" tutt'altro che gonfio e con tutti i suoi "capelli chiari e lisci". Citata a pag. 40 de La strana morte del dr.Narducci.

Mauro Bacci e Massimo Ramadori - Periti di parte civile durante le indagini sulla morte di Francesco Narducci. Furono sentiti il 3 giugno 2009, nell'ambito dell'udienza preliminare che vide imputate 22 persone per presunte irregolarità compiute in occasione del ritrovamento del cadavere del medico perugino.

Enzo Ticchioni - Pescatore del lago Trasimeno. L'8 ottobre 1985, mentre stava mettendo le reti vicino all'Isola Polvese, vide a circa 200 metri di distanza una barca, "uno scaletto in mezzo alle cannine, dove l'acqua sarà al massimo alta un metro e venti" al cui interno una figura rispose al suo saluto. Ticchioni non ha mai conosciuto Narducci per cui non seppe mai dire con certezza chi fosse l'occupante del natante ma la descrizione che fornì ricordò agli inquirenti le fattezze del medico perugino. Citato a pag. 19 de La strana morte del dr.Narducci.

Federico Centrone: Sostituto procuratore della Repubblica. Circa la mancata autopsia al corpo di Francesco Narducci dichiarò: "«Non la disposi perché non lo facevo mai nei casi di annegamento, a meno che dalla ricognizione cadaverica non emergessero ipotesi di reato o altri elementi che facessero pensare a una morte violenta. E in quel caso mi dissero che non c'erano sospetti." Citato a pag. 35 de La strana morte del dr.Narducci

Egle Agostini - Odontoiatra perugino. Riferì ai magistrati: "Dal 1975 si diceva che Narducci avesse un appartamento a Firenze, condiviso con un suo amico di Sinalunga. Sentii dire che fin dal 1974 e nell'ultimo periodo universitario, Narducci apparteneva alla setta della Rosa Rossa, nella quale aveva raggiunto il grado di custode". Citato a pag. 61 de La strana morte del dr.Narducci

Secondo Sisani - Fu incriminato per reticenza nel procedimento relativo alla misteriosa morta di Francesco Narducci. Si presentò poi spontaneamente ai magistrati dove dichiarò "di aver sentito dire che il ritrovamento del corpo avvenne alcuni giorni prima del 13 ottobre, verso l'isola Polvese, direzione Panicarola-Castiglione, a sud del Muciarone, incaprettato. Il corpo sarebbe stato portato nella darsena di Trovati, poi nella villa dei Narducci dove era stato lasciato". Confermò altresì le frequentazioni fiorentine di Francesco Narducci. Citato a pag. 80 de La strana morte del dr.Narducci

Mariella e Gianlaura Lilli - Infermiere presso il policlinico di Perugia. Nel settembre del 1985 notarono un occhio arrossato e dei punti all'arcata sopracciliare sinistra del dottor Narducci. Gianlaura Lilli riferì anche di una ferita al braccio: "Disse che era caduto e che non lo poteva utilizzare e quindi non poteva effettuare gli esami di manometria". Citate a pag. 43 de La strana morte del dr.Narducci

Luigi Stefanelli - Factotum della Villa di San Feliciano di proprietà della famiglia Narducci. L'8 ottobre 1985, con la moglie Emma Magara, si recò presso la villa per sistemare della legna. Dichiarò d'aver visto sul davanzale di una finestra o su di un tavolo "Un foglio abbastanza grande, scritto davanti e dietro con una calligrafia illeggibile". Citato a pag. 48 de La strana morte del dr.Narducci

Rosario Bevacqua - Ex ufficiale dei carabinieri di origini siciliane. Studiò lirica sotto lo stesso maestro di Gino Bechi. Negli anni '70 si trasferì a Firenze dove divenne avvocato. Nel 1994, assieme a l'avvocato Pietro Fioravanti, curò la difesa di Pietro Pacciani.

mercoledì 21 aprile 2010

Giancarlo Ferri

Pescatore presso il lago Trasimeno. Gli furono mostrate alcune foto relative al cadavere rinvenuto il 13 ottobre 1985 a Sant'Arcangelo. Riferì agli inquirenti: "Il cadavere che vedo mi sembra piuttosto gonfio, mentre quello che ho visto io era snello e asciutto. Inoltre l'uomo che vedo nella foto sembra indossare una camicia mentre quello che ho visto io aveva una maglietta marroncina. Infine l'uomo che io vidi non aveva pantaloni né una cintura chiara come quella che io vedo raffigurata. (...) Escludo al cento per cento che il cadavere da me visto sia quello della foto. Questo ha il volto nero in modo impressionante, quello che io vidi era normalissimo e bianco, pallido. (...) Il cadavere che io vidi era su una barca da pescatore, a motore. Chi lo riportò a terra erano pescatori, forse nemmeno di San Feliciano. Saranno state le quindici e trenta, le condizioni di luce ottime, il tempo bello, senza vento, il lago calmo. A quanto ricordo la televisione fece vedere le immagini qualche giorno dopo il ritrovamento del cadavere di Sant'Arcangelo e quando le vidi dissi a mia moglie: Ma questo non può essere, perchè io l'ho visto qualche giorno fa a San Feliciano e non a Sant'Arcangelo".
Una versione dei fatti molto simile fu fornita dai pescatori Celestino Scarchini e Mario Santocchia.
Rif.1 - La strana morte del dr.Narducci p.79

martedì 20 aprile 2010

News e aggiornamenti

La vicenda del "mostro di Firenze" è tutt'altro che chiusa.
Aggiornamenti e news dalla stampa locale e nazionale:
29 giugno 2021 - Spezi e il Mostro di Firenze, un racconto lungo 35 anni

03 ottobre 2020 - Processo a Vigilanti Il gip si riserva sull’archiviazione

02 ottobre 2020 - Il braccio di ferro in aula sull’ultima inchiesta

19 settembre 2020 - Mostro di Firenze, "Verità per mia sorella. La aspetto da 39 anni"  

04 settembre 2020 - Mostro di Firenze, 35 anni di misteri. L’impronta dimenticata agli Scopeti

13 luglio 2019 - Mostro di Firenze, clamorose novità dalla perizia: "Caso Pacciani, prova artefatta 

05 dicembre 2018 - Mostro di Firenze, la verità di Giuttari: "Indagate sulla seconda pistola

23 giugno 2018 - Mostro di Firenze, per Natalino l’incubo continua: «Ma mio padre non uccise»

04 giugno 2018 - Zodiac-Mostro di Firenze. Nelle lettere mai svelate c'è l'identità del killer

31 maggio 2018 - Mostro di Firenze, sospetti e finti assassini: tutti i depistaggi del killer 
29 maggio 2018 - Delitto del Circeo: Izzo sostiene un legame col Mostro di Firenze
29 maggio 2018 - Il killer Zodiac mi ha confessato: «Sono io il mostro di Firenze»
27 aprile 2018 - Mostro di Firenze, carabinieri a caccia dell’anello. Ma anche quello è sparito
26 aprile 2018 - Pietro Pacciani, dispersi i resti del presunto Mostro di Firenze: troppi tentativi di furto al cimitero
19 aprile 2018 - Mostro di Firenze: presto il vero nome del serial killer?
17 aprile 2018 - Mostro di Firenze, l’avvocato Vieri Adriani: “Non ho fiducia nel lavoro della Procura, chiedo l’avocazione”
14 aprile 2018 - Il mostro di Firenze e la pistola che smise di sparare
13 aprile 2018 - Mostro di Firenze, il giallo continua
05 dicembre 2017 - Il legionario indagato per i delitti del Mostro e il giallo delle pistole
26 luglio 2017 - Mostro di Firenze, spunta la pista nera: un indagato 
26 luglio 2017 - Delitti del Mostro di Firenze, sotto torchio un ex legionario 
02 marzo 2017 -  Mostro di Firenze: morto Fernando Pucci, ultimo «compagno di merende» di Pacciani
02 marzo 2017 - Mostro di Firenze, morto Pucci: l'ultimo dei "compagni di merende" 
26 febbraio 2017 - Mostro, la sentenza sul film diventa un caso
26 agosto 2016 - Mostro di Firenze, l’incubo infinito.
28 settembre 2010 - Anteprima documentario:  "I delitti del mostro di Firenze"
29 gennaio 2010 - Il rovescio del diritto

lunedì 19 aprile 2010

Piero Luigi Vigna - Intervista su L'ultimo mostro - 14 dicembre 1993

Dottor Vigna, l’inchiesta sul mostro è conclusa. Quale impegno ha significato per la Procura di Firenze?
L’inchiesta sui duplici omicidi verificatisi dal 1968 al 1985 ha dimostrato, al di là degli esiti processuali, che l’impegno della magistratura fiorentina è stato fortissimo per l’accertamento della verità e per dare una risposta alle domande della collettività. In questi anni ci sono stati momenti in cui all’opinione pubblica sembrava che le indagini fossero sospese o addirittura archiviate come un residuo storico mentre invece anche in quei momenti c’è stato un lavoro costante per non tralasciare nessuna ipotesi investigativa.
Dunque è stato fatto un buon lavoro?
Senz’altro, se si tiene conto che la Procura non si è occupata solo dell’inchiesta del maniaco ma anche di tantissime altre delicate indagini. Non è passato giorno che non si facesse qualcosa per indagare su questi duplici omicidi.
L’indagine cosa ha rappresentato per i magistrati e gli investigatori?
Un laboratorio di esperienze nuove che hanno arricchito il metodo di indagine. Abbiamo usato nuove metodologie, provato nuovi strumenti e apparecchiature sofisticate. Nella realtà criminale del nostro paese il fenomeno dei serial killer non era conosciuto. Quindi siamo partiti da zero. Per individuare il tipo di autore di questi delitti siamo ricorsi ad una equipe composta da psichiatri, psicologi, periti balistici, medici legali. La perizia ha fornito diverse risposte. Ogni omicidio è stato analizzato, comparato, confrontato per individuare le analogie sul tipo di ferite inferte alle vittime. Psichiatri e psicologi hanno invece tratteggiato la personalità del possibile autore. Gli esperti balistici hanno dato risposte sull’uso della pistola, la traiettoria dei proiettili. Per esempio durante la perquisizione in casa di Pietro Pacciani abbiamo usato apparecchiature sofisticate per individuare oggetti sotterrati o nascosti dietro le pareti. Apparecchiature che servono anche per individuare cadaveri sepolti. Abbiamo usato anche le riprese televisive anziché ricorrere al fotografo. Il ritrovamento del proiettile è stato interamente filmato. Dal momento che è stato scoperto, chi lo ha individuato, quante persone erano presenti al sopralluogo. I giudici possono così rendersi conto assai meglio che consultando le fotografie.
Nuove metodologie che hanno permesso anche di non compiere gli errori del passato?
Senz’altro. Basti pensare, ad esempio, come gli investigatori si sono mossi durante i sopralluoghi. Il luogo dove era stato commesso il delitto veniva isolato per evitare che lo stesso investigatore, inconsapevolmente, potesse diventare un inquinatore. Faccio un esempio. Se in una stanza o in un altro luogo si trova una macchia di sangue, l’investigatore dovrà stare attento a non starnutire se vogliamo sottoporla all’esame del Dna.
È stata davvero «l’inchiesta dei grandi numeri»?
Sì. Abbiamo computerizzato centinaia di targhe d’auto, migliaia di nominativi, catalogato centinaia di tipi di reati sessuali. Questo è stato possibile grazie alla collaborazione di polizia e carabinieri e alla creazione della squadra antimostro che ha lavorato egregiamente. Un pugno di uomini che si sono dedicati esclusivamente a questa inchiesta, con grande impegno e professionalità. Nei «grandi numeri» rientra anche l’indagine sulle auto. La direzione dell’autostrada ci ha fornito i numeri di targa di centinaia e centinaia di auto che ad una certa ora transitavano dai caselli intorno alla città. Naturalmente riguardavano auto condotte da una sola persona.
Quante persone sono state «osservate» in questi anni?
Migliaia. Siamo stati sommersi dagli anonimi. Migliaia di lettere che indicavano questa o quella persona. Persone ascoltate come parti offese per calunnia. Se nel corso di un interrogatorio compariva qualche ombra si procedeva immediatamente alla perquisizione domiciliare. Un lavoro delicato, scrupoloso, compiuto senza arrecare danno alla persona. Solo in pochi casi si è verificato una fuga di notizie. L’inchiesta sui duplici omicidi è stata corposa. Da tenere presente che sono stati controllati anche i fascicoli di tutte le Procure e le Preture della Toscana, oltre quelli di Firenze, che riguardavano i delitti contro la libertà sessuale dal ‘68 in poi. Migliaia di fascicoli di imputati per atti di libidine violenta e violenza carnale. I casi più «interessanti» -ad esempio le violenze compiute con la minaccia di coltelli - sono stati poi immessi nel computer e analizzati alla luce di quanto via via gli investigatori raccoglievano su questo o quel soggetto. Un lavoro imponente.
La Beretta calibro 22. Quante ne sono state controllate?
Abbiano fatto il censimento di tutte le pistole calibro 22 vendute prima del 1968 a Firenze, in Toscana e altrove. Siamo partiti dalla fabbrica Beretta. Migliaia di pistole vendute ai commercianti. Quindi siamo risaliti all’acquirente. Ma non è finita. Perché chi aveva aquistato una pistola poteva averla ceduta ad un’altra persona, magari che non abitava neppure a Firenze. La stessa arma poteva aver passato più mani. Si è trattato quindi di controllare tutti i passaggi. Un lavoro certosino che ha richiesto mesi e mesi di esami.
Ma tutti questi controlli non hanno portato al ritrovamento della maledetta calibro 22. Dove può essere stata nascosta? Dove l’avete cercata?
In qualsiasi posto. Niente è stato trascurato. È stata cercata ovunque. Anche nelle cassette di sicurezza degli istituti di credito. Gli investigatori hanno controllato le cassette di coloro che avevano avuto modo di usarle nei giorni prima del delitto o dopo l’omicidio. Non abbiamo trascurato niente. Ma un’arma può essere nascosta in qualsiasi luogo. Ricordo due episodi piuttosto significativi riguardo ai nascondigli delle armi. A Firenze uno squilibrato uccise un pensionato mentre passeggiava tranquillamente per la strada. Pochi giorni dopo due carabinieri furono uccisi a Siena dove venne catturato l’omicida. Nel corso dell’interrogatorio gli chiedemmo dove aveva tenuto nascosto la pistola. L’imputato ci accompagnò alle Cave di Maiano e indicò un masso. Sotto quel masso trovammo i proiettili. Se non ce l’avesse indicato, come sarebbe stata trovata l’arma di quei tre omicidi? Lo stesso avvenne con un pregiudicato implicato nei sequestri di persona. La sua casa venne rivoltata come un guanto ma le armi e il denaro del riscatto non saltarono fuori. Le forze di polizia quella casa la perquisirono almeno una decina di volte. Un giorno l’uomo chiese di parlare. «Le armi sono a casa mia» disse. Increduli ci recammo nella sua abitazione. L’uomo incominciò a scrostare l’intonaco di una parete della cucina. Venne alla luce una nicchia dove erano state nascoste le pistole. Ma la sorpresa più grossa avvenne quando ci portò in un appartamento di un complice che era stato ammazzato qualche tempo prima. Battendo il tacco della scarpa sul pavimento, l’uomo ad un certo momento si fermò. «Guardate qui sotto» Sollevate le mattonelle gli agenti videro una damigiana. Conteneva banconote per milioni e milioni di lire. I soldi del riscatto.
Rif.1 – L’ultimo mostro pag.71

sabato 17 aprile 2010

Udienza del 20 maggio 1999 - 14

Quella che segue è una sintesi dell'udienza del 20 maggio 1999 relativa al Processo d'appello per i delitti del "mostro di Firenze" davanti alla prima sezione della Corte d'Assise d'Appello di Firenze.

Segue dalla parte 13
Presidente: Grazie a lei avvocato. Chi parla?
Avvocato Rosso: Avvocato Rosso, procuratore speciale della signora Cambi Cinzia, le conclusioni scritte sono nel senso che piace alla Corte d'Assise d'appello di Firenze confermare la sentenza di primo grado anche in punto di statuizione civile, voglia inoltre la Corte di Assise di Firenze condannare gli imputati al pagamento delle spese di costiutuzione e difesa anche per il presente grado di giudizio come da separata notula che si allega. Adempiuto il compito formale della lettura delle conclusioni che questo processo formale non è, nel senso che come tutti i patroni di parte civile concludiamo in modo difforme rispetto il pubblico accusatore, io brevissimamente vorrei rassegnare alla corte una riflessione e non tanto ripercorrere le vicende e i dati di fatto del processo, perchè ciò hanno già fatto con grande sapienza e perizia ma anche con analiticità sia il consigliere relatore, nell'atto introduttivo del processo, sia il signor procuratore generale nel corso della sua amplissima requisitoria. Voglio dire subito che ho grande rispetto per l'operazione intellettuale che il procuratore generale ha proposto alla Corte, ho rispetto non solo perchè così deve essere nei confronti dell'alto magistrato ma perchè quel magistrato mi ha insegnato anche un certo approccio di sofferenza nei confronti della causa penale quando io ero giovane praticante ed egli già giudice istruttore che portava una nota di saggezza in quell'ufficio a cui era unanimamente riconosciuta grande saggezza ed equilibrio. Quindi con più forza ed emozione debbo dire vengo qui a portare non tanto e non solo una nota di dissenso rispetto a quella operazione ma a segnalare un errore che a mio avviso vi è al fondo di quella operazione intellettuale. Ed è l'errore di diritto e di fatto che sta alla base delle conclusioni là dove il procuratore generale, con sofferenza, vi rassegna una richiesta di conferma in punto di statuizione di condanna dell'imputato Lotti con sofferenza per l'esistenza di un giuducato ma il giuducato, signori giudici popolari, soprattutto, non è una iattura processuale, non è una disgrazia, non è un elemento per il quale il trasorrere del termine determina l'impossibilità di una certa attività difensiva per cui avresti potuto ma ci dispiace molto non puoi più. E' un qualchecosa di diverso è una costruzione giuridica che importa il massimo grado di certezza di un dato fenomeno costruito nella giurusdizione e dunque dai giudici che il consorzio umano si sia dato. Dopo il giudicato non vi è altro rimedio, se non in condizioni e situazioni assolutamente particolari, che certamente non ricorrono in questa causa e che non sono neppure ipotizzabili in questa causa, il giudicato è l'elemento di certezza dinanzi al quale tutti i soggetti del processo e non solo si debbono, non solo arrendere ma anche assumere un atteggiamento di sacro rispetto e allora io credo che l'errore intellettuale che porta quasi ad un operazione, ma lo dico non solo con tutto il rispetto che la stessa operazione merita, perchè certamente è di altissinmo profilo, ma porta con se anche una certa arroganza intellettuale perchè non si può parlare del giudicato penale alla fine della riflessione di questa causa, bisogna parlarne all'inizio e questo è un atteggiamento di umiltà che a mio avviso debbono avere i contraddittori dinanzi alla corte nel momento in cui si occupano di una vicenda processuale in grado di appello. La funzione dell'appello è una funzione di controllo, è una funzione con la quale il giudice rivede l'operazione logica, ovviamente anche nel merito, condotta dal primo giudice. Allora quando vi è giudicato noi dobbiamo prendere atto e allora la confessione del Lotti è dato non sono processuale del quale non è possibile discutere perchè sul quel punto la sentenza non è revocabile, vi è un giudicato penale, la confessione di Lotti è una confessione attendibile, i soggetti legittimati non hanno messo in discussione quel dato e la Corte ne deve prendere atto e se ne deve prendere atto la Corte ne devono prendere atto le parti. Perchè è importante questo elemento, ovviamente è un elemento decisivo per il destino di Lotti, è questa parte civile che ha concluso per la conferma della sentenza e ovviamente lo sottolinea, ma è importante proprio per quella valutazone necessaria, richiamata dal consigliere relatore e sulla quale si è a lungo intrattenuto il pubblico accusatore ed è quella valutazione, signori giudici del popolo, ex art 192 del codice diritto e cioe quel passaggio normativo con il quale il legislatore ha imposto, a seguito anche di una serie di indicazioni che erano emerse via via da parte dei giudici, una certa soglia oltre la quale la chiamata di correo può diventare prova. Attenzione signori giudici popolari, non si lascino confondere da questo continuo riferimento a prove/indizi, qui la situazione è assolutamente diversa, noi solo di prove stiamo discutendo. La chiamata di correo o e una prova o non è nulla ed è prova solo nel caso nel quale come la norma vuole e la giurisprudenza, la più affinata, successivamente ha specificato. Quando a quella chiamata si accompagnano riscontri e secondo l'ultima giurisprudenza certamente la più corretta, non foss'altro perchè è l'ultima e quindi quelle che tutti ci deve ispirare quando quei riscontri siano individualizzanti allora due sono le operazioni che loro dovranno fare nel rileggere e nel valutare la sentenza di primo grado che certamente sul punto forse è troppo veloce, forse lascia dei passaggi in penna, forse non si sofferma abbastanza sul tipo di valutazione che era cetamente necessaria e che è quella dell'attendibilità intrinseca. Ma oggi che loro quella valutazione debbono rifare hanno quel fare che io prima richiamavo che è il giudicato penale. Il giudicato penale sulla confessione del Lotti non è solo l'elemento decisivo in punto della responsabilità del Lotti ma è elemento che consente di dire che sotto un profilo intrinseco, quella chiamata di correo è per forza di cose genuina, spontanea non sotto il profilo della spontaneità nel momento del suo divenire ma nel momento della sua realizzazione processuale; è certamente una chiamata di correo che risponde a tutti i presupposti voluti dal legislatore prima e della giurisprudenza poi in punto di sufficienza per consentire al giudice di passare poi alla valutazione dei riscontri e quindi degli elementi estrinseci al dato processuale che è la propalazione del soggetto. Se quella chiamata di correo, se quella dichiarazione integra una confessione genuina e su questo non è possibile discussione alcuna perchè il giudicato penale è lì a dirci della responsabilità certa sicura del Lotti, allora quella chiamata di correo non merita riflessione ulteriore. Certo è poi necessario passare alla seconda operazione e cioè a vedere se quella chiamata di correo sia una cosiddeta chiamata di correo vestita o meno, se vi siano dei riscontri che siano sufficienti a farla diventare una prova. Loro capiscono la grande differenza dell'operazione per questo io prima parlavo e mi si passi il termine, di arroganza intellettuale perchè un conto è dire Lotti è persona certamente confusa e questo è un dato oggettivo, un conto è esaminare la personalità del propalatore, un conto è soffermarsi sugli aspetti anche più suggestivi o pittoreschi delle sue contraddizioni, un conto, per giungere a quella valutazione in punto di attendibilità intrinseca, un conto è prendere atto che c'è un fatto che non è solo un fatto processiale ma è un fatto sostanziale per cui quella dichiarazione è una dichiarazione certamente genuina. E allora a questo punto l'attività di lettura dei riscontri, che non sono indizi, ma elementi che consentono di verificare la veridicità di una certa propalazione, di un certo racconto, di certe dichiarazioni e allora va fatta partendo da questo elemento iniziale e quindi con la tolleranza che ha da esservi nei confronti di un soggetto come il Lotti; tolleranza non perchè egli meriti una tolleranza processuale ma tolleranza perchè quella tolleranza è il frutto di una indagine in punto della sua attendibilità intrinseca, poichè egli è attendibile, perchè ce lo dice il giudicato penale dobbiamo avere la pazienza di superare lo scoglio di un suo linguaggio difficile, di un suo linguaggio che ha, io non credo solo una genesi antica in quanto uomo della terra, questo processo è popolato da uomini della terra, ma una genesi che probabilmente risente anche di forme patologiche, le quali probabilmente non sono tali da integrare un livello di allarme o di significanza per egli Lotti ma che certamente sono presenti, che rendono l'uomo difeso, che rendono l'uomo difficile da indagare e che rendono il soggetto incapace forse di comprendere la valenza processuale di alcuni passaggi.
Segue...

venerdì 16 aprile 2010

Vari ed eventuali 8

Stefano Fiorucci - Collega di Francesco Narducci. Al rinvenimento del presunto corpo di Francesco Narducci, con la dottoressa Federica Franciosini ed il dottor Cassetta, si recò presso la villa di San Feliciano. Riferì d'aver visto il corpo di sfuggita da una porta semichiusa, d'aver riconosciuto il giacchetto di renna marrone e d'aver notato il volto "gonfio, scuro di colore, quasi irriconoscibile". Citato a pag. 39 de La strana morte del dr.Narducci.

Giuliano Bambini - Comandante del nucleo investigativo dei carabinieri di Perugia. L'ispettore Luigi Napoleoni gli disse che non vi erano dubbi sul suicidio di Francesco Narducci, ciò era provato da una lettera che il giovane aveva lasciato presso la villa di san Feliciano, di cui lui disponeva.

Giovan Battista Pioda - Medico presso l'ospedale di Monteluce a Perugia. La mattina dell' 8 ottobre 1985, incontrò Francesco Narducci in un corridoio dell'ospedale. "Non indossava il camice ma un giubbotto scamosciato. Lo salutai e stranamente non mi rispose. La cosa mi sorprese molto, visto che Francesco era sempre educato e corretto. Mi sembrò pensieroso, camminava guardando dritto davanti a sé". Citato a pag. 15 ne La strana morte del dr.Narducci.

Stefano Capitanucci - Sedicente mago. Si recò con Elisabetta Narducci, sorella di Francesco, per un rito magico. "Andammo nella villa al lago, perchè Elisabetta mi disse che lì avevano portato il corpo di suo fratello. Mi chiese di accendere l'incenso di sandalo perchè quello serve a togliere le negatività e a scontare le colpe degli altri. L'incenso di gelsomino serve invece a dare pace e armonia". Citato a pag. 49 ne La strana morte del dr.Narducci.

Daniela Cortona - In una telefonata con l'amica Rita dichiarò d'essere stata più volte alle feste, organizzate da Francesco Narducci, presso la colonica in Toscana di proprietà della famiglia. Interrogata dai carabinieri riferì d'aver saputo della presenza della casa ma di non esservi mai stata. Citata a pag. 58 ne La strana morte del dr.Narducci.

Emanuele Petri - Sovrintendente di Polizia. Il pescatore Enzo Ticchioni, riferì che il 7 ottobre 1985, Emanuele Petri gli parlò di un inseguimento, che ebbe esito negativo, fatto al dottor Francesco Narducci sulla strada che da Firenze va a Perugia. Citato a pag. 49 ne La strana morte del dr.Narducci.

Frank Diegel - Detective dell'interpol della divisione omicidi. Nel 1988 condusse alcune indagini in merito al soggiorno di Francesco Narducci presso il laboratorio di gastroenterologia dell'università della Pennsylvania. Emerse che il dottore perugino aveva abitato dal 16 settembre al 13 dicembre 1981 presso l'International House di Philadelphia. Citato a pag. 84 ne La strana morte del dr.Narducci.

Giuseppe Trovati - Proprietario della darsena di San Feliciano sul lago Trasimeno. L'8 ottobre 1985 vide Francesco Narducci andarsene verso l'isola Polvese a bordo del suo Grifo Plaster. Citato a pag. 20 ne La strana morte del dr.Narducci.

Manuela Gaburri - Collega di Francesco Narducci. Riferì agli inquirenti: "Nel settembre 1985 Francesco, come lui disse, soffrì di una dermatite allergica più una congiuntivite a un occhio, mi sembra quello destro. Rammento che aveva la congiuntiva molto arrossata e delle chiazze rosse nell'area peripalpebrale e fu lui stesso a mostrarmi quelle lesioni al ritorno dalle ferie". Citata a pag. 43 ne La strana morte del dr.Narducci.

giovedì 15 aprile 2010

La lettera spontanea di Giancarlo Lotti

Il 7 novembre del 1996 Giancarlo Lotti consegnò una lettera manoscritta al dottor Vinci, funzionario della Questura di Firenze, questi il 15 novembre la trasmise al P.M. Paolo Canessa. Il 3 dicembre 1997, durante l'udienza dibattimentale del processo, in Corte di Assise, a Vanni e Lotti l'avvocato Filastò chiese delucidazioni a Lotti riguardo questa sua missiva:
Lotti: L'avevo scritta così, per sfogarmi, non lo so;
Avvocato Filastò: Ma tutt'a un tratto lei per sfogarsi scrive questa lettera?
Lotti: Si, è spontanea, mia.
Avvocato Filastò: E' sicuro che sia spontanea?
Lotti: Si, è spontanea.
Avvocato Filastò: Che vuol dire spontanea?
Lotti: Per liberarmi di qualcosa.

La lettera
“Sono venuti a casa via Lucciano, ano pichito a la porta. Chi e. Siamo noi. Chi. Mario. Pietro Pacciani. Che volete da me. Devi venire con noi. Perché devo venire. Se no si parla. Che vacevi in quella piazzetta che la strada. verso il bardella. Ti inculavi Fabrizio. Sono andato con loro. La strada che va a Giovoli. Siamo arivati vicino ale piazetta dove avenuto omicidio. Io sono ceso da la machina. Mario e Pacciani erano gia cesi e andavano il fulgone. Poi mi a chiamato. Vieni qui. Perche. Viene devi sparare tu. Io. Allora mi a dato la pistola in mano. Spara e o sparato diverse colpi. Se lio presi bene. Poi mia presa la pistola di mano. Andate verso la parte sinistra. Altri spari. Poi aperto lo sportelo. A visto che erano due omini. Allora sie incazzato come una bestia. Allora io mi sono alotanato verso la machina. Pietro mi a detto va via. Si vado via. Perche vai via. Poi sono salito in machina. Sono andato a casa. Andato a letto. Ma no mi riuciva dormire.
Dove li date queste cose della donna. Il seno vagina o fica Mario volio sapere chi le date dottore che si serviva Pietro Pacciani. Vi pagava in soldi. Ma quello no mi voleva dire per che ne faceva di vagina e se pérche fate cose mostrose. Ma io no. Le altri fatte. Non avete rimorsi. A me mi fato schifo e co bestie come voi Mario e Pacciani per me vi farrei sparire per sempre dalla circlazino.”

mercoledì 14 aprile 2010

Claudio Caparvi

Avvocato penalista. Riferì spontaneamente ai magistrati alcune considerazioni fattegli nel 1999 dal professor Ferruccio Farroni durante una cena a casa di amici comuni. "Disse che per motivi professionali era venuto a conoscenza che alcuni fiorentini potenti, che ritenni essere medici, avevano costituito una sorta di loggia di "finocchi coperti'', come si espresse testualmente. Costoro, secondo Farroni, avevano organizzato i delitti del mostro''; Francesco ne era venuto a conoscenza, e quindi era divenuto pericoloso per il gruppo che aveva deciso di eliminarlo inscenando un finto suicidio. Ferruccio mi disse che l'avevan0 narcotizzato, gli avevano messo una cintura da sub con i piombi alla vita e poi l'avevano immerso nel lago. Quando i giornali diedero la notizia del secondo livello dei delitti, mi telefonò e mi disse: "Hai visto che avevo ragione?''.
Rif.1 - La strana morte del dr.Narducci p.56
Nella foto Francesco Narducci

martedì 13 aprile 2010

Crimini allo specchio

Autore: Marco Monzani
Prima edizione: Franco Angeli - 2007 - 192 pp - brossurato

Dalla presentazione: L'intento di questo volume è sottolineare l'importanza del metodo scientifico nel campo della scienza dell'investigazione e, in particolare, della psicologia investigativa.In quest'ottica, il testo muove dalla fenomenologia dell'omicidio seriale e dagli approcci delle maggiori Scuole che si occupano della costruzione del profilo criminologico, per riflettere sull'uso del metodo scientifico nella definizione del profilo personologico del serial killer. Succes-sivamente si sofferma sul "contributo" che la vittima di un reato seriale - prima, durante e dopo il reato stesso - può dare alle indagini, in particolare attraverso la criminalistica e la medicina legale. Infine, prendendo ad esempio due casi "storici" del panorama italiano degli ultimi decenni - il caso di Gianfranco Stevanin e il caso del c.d. Mostro di Firenze - e attraverso la comparazione delle relative indagini, il testo evidenzia come l'applicazione di un metodo scientifico rigoroso - e di più: rigorosamente falsificazionista - contribuisca in modo significativo al buon esito delle indagini.Il volume, dal taglio didattico, si rivolge in particolare agli studenti delle Facoltà di Psicologia e Scienze Giuridiche e, per i numerosi approfon-dimenti, anche a psicologi, criminologi, operatori delle forze dell'ordine e di polizia giudiziaria.

Indice: Introduzione. L'importanza del metodo scientificoFenomenologia del serial killer e dell'omicidio seriale(Definizione del serial killer; Fasi dell'omicidio seriale; La componente sessuale negli assassini seriali; La sfera sessuale: le perversioni; L'influenza della pornografia e delle fantasie sessuali sul comportamento omicidiario seriale; Diverse Scuole, diversi approcci)La vittima nella dinamica del reato in generale e dell'omicidio seriale in particolare(La vittima; La vittimologia; La vittima in criminologia/vittimologia; La criminalistica; La vittima in criminalistica; La "vittimalistica"; La relazione autore-vittima; Le predisposizioni vittimogene; Le categorie vittimogene; Scelta della vittima... o vittima delle proprie scelte?; Criminogenesi e criminodinamica; Fungibilità e infungibilità della vittima; La partecipazione della vittima al reato; Le conseguenze della vittimizzazione)Il contributo della vittima alle indagini(La vittima non sopravvissuta; Il sopralluogo tecnico-giudiziario; Il sopralluogo medico-legale; L'autopsia medico-legale; L'autopsia psicologica; L'assenza del cadavere; La statistica)Il caso di Gianfranco Stevanin(I fatti; Le indagini; Le consulenze; Il processo di primo grado; Il processo di appello; Il ricorso in Cassazione; Il secondo processo di appello; La sentenza definitiva dalla Cassazione; Le relazioni criminali)I delitti del c.d. Mostro di Firenze(I fatti; Le indagini; I profili criminologici; Pietro Pacciani e "i compagni di merende"; I nuovi profili criminologici; Le nuove indagini: la ricerca di mandanti; Gli esecutori materiali; I mandanti; Le relazioni criminali)I due casi a confronto(Gianfranco Stevanin: un serial killer "da manuale"; Il c.d. Mostro di Firenze: un serial killer "atipico"?; I due casi allo specchio)Conclusioni. Bibliografia.

lunedì 12 aprile 2010

Mauro Maurri - Intervista su La Città - 7 agosto 1984

Il 7 agosto 1984, il quotidiano La Città, pubblicò l'intervista al professor Mauro Maurri che segue.
Dott. Mauro Maurri: Come medico legale ho solo alcune certezze: che questa persona, quasi sicuramente un uomo, è agile e robusta, perchè almeno una volta ha portato in braccio per diversi metri una delle ragazze uccise; che è abbastanza alto, circa un metro e 75, perchè quando uccise i ragazzi tedeschi sparò dai finestrini del loro furgone Volkswagen, che nella parte più bassa erano opachi e quindi doveva arrivare facilmente a vedere nell'interno della parte superiore; che ci deve vedere abbastanza bene ed è improbabile, perciò, che porti gli occhiali. E infine che spara bene e che sa usare bene il coltello.
Dottore, perchè è così convinto che l'assassino sappia maneggiare bene il coltello?
Per la nettezza del taglio che è evidentissima. Bisogna tener conto che non sono parti facili da tagliare, tanto più nelle condizioni in cui opera l'assassino. Con questa premessa non ho dubbi: è uno che sa maneggiare il coltello. Non so se sia un'abilità di origine professionale, non posso sostenerlo, ma sa usare il coltello, sa tagliare la pelle.
Però non in tutti i delitti i tagli sono stati precisi.
E' vero, nell'ultimo i tagli sono stati meno uniformi e abbiamo trovato, sui glutei e nei pressi della mammella, diverse di quelle che tecnicamente si chiamano ferite d'assaggio, cioè di prova. Forse l'assassino si sentiva meno sicuro o aveva più fretta o era più agitato e pazzo del solito.
Come spiega le coltellate sparse che sono state sempre trovate sui corpi delle vittime?
Credo che lui accoltelli le vittime dopo aver sparato, che le coltellate siano come dei colpi di grazia. Di solito colpisce al torace o alla schiena. Sicuramente, però, questa è la prima volta che ha attaccato con il coltello l'arca genitale maschile. Come è la prima volta che ha asportato una mammella.
E' d'accordo con la tesi della follia in crescendo?
Se si potesse tracciare un parallelo tra le lesioni che troviamo sulle vittime e lo stato mentale di quest'uomo si sarebbe tentati di dire, sì, che si sta deteriorando, che la sua mente è sempre più sconvolta.
Dottore è proprio certo che sia sempre la stessa mano?
Si, assolutamente. Alcuni piccoli particolari delle incisioni lo provano con sicurezza. Non sono certo che sia stata sempre usata la stessa lama, lo stesso coltello, ma sono certo che la mano è sempre la stessa.
In questi anni due prostitute sono state accoltellate da un maniaco. Può essere stato il mostro?
Non lo so. Una cosa è certa: negli omicidi delle prostitute il coltello è usato in maniera diversa, diversissima. L'unico dato comune fra tutti gli omicidi è la repulsione, l'odio per l'atto sessuale che i delitti, tutti, esprimono.
Secondo lei che significa l'asportazione della vagina?
Per l'esattezza, l'assassino non asporta la vagina ma il pube. Ignora la vagina, l'utero, le ovaie. Non li ferisce nè tanto meno gli interessa asportarli. Comunque la mutilazione è senza dubbio un rito, ma ne capiremo il significato solo quando avremo preso l'assassino.
E' vero che assale le coppie appena prima che facciano all'amore?
Non direi. Per esempio a Baccaiano i due fidanzati erano completamente vestiti. Forse avevano già fatto l'amore. In questo ultimo delitto invece i ragazzi si stavano spogliando.
Ma lui interviene per spogliare o eventualmente rivestire le vittime?
No denuda le ragazze solo nel punto in cui compie la mutilazione, poi non si preoccupa di ricoprirle.
E' stato detto che è impossibile compiere le mutilazioni senza una fonte di luce. Che ne pensa?
Penso che è inutile fantasticare su occhiali a infrarossi e diavolerie del genere. Con una piccola torcia portatile, una lucciola, è possibile illuminare perfettamente l'abitacolo di una macchina. Appoggiandola per terra si ottiene un chiarore diffuso invisibile a pochi metri di distanza ma più che sufficiente alle necessità dell'assassino. Lo abbiamo verificato durante il sopralluogo compiuto a Vicchio e abbiamo provato una volta per tutte che l'assassino non ha nessun bisogno di un complice nè di strumenti raffinati.
Dottore, lei è tuttora convinto che l'assassino oltre che maneggiare il coltello sappia sparare con precisione. Perchè?
Perchè se è vero che spara a distanza ravvicinata e su bersagli quasi fermi, è vero anche che spara in condizioni di luce difficili eppure provoca ferite immediatamente mortali. Tranne Paolo Mainardi, il ragazzo di Baccaiano, tutte le vittime sono morte subito. Solo a Baccaiano un colpo gli è andato a vuoto, ma subito dopo ha centrato alla prima i due fanali accesi della macchina. No, non c'è dubbio, è uno che sa sparare.
C'è molta attesa per i risultati delle analisi sui pochi peli o capelli trovati nella Panda dei ragazzi uccisi a Vicchio. Che speranze ci sono di ricavarne notizie utili sull'assassino?
Abbastanza poche perchè sono troppo pochi. Possiamo stabilire se non sono nè di lei nè di lui e forse il gruppo sanguigno. Il dottor Franco Marini che se ne sta occupando farà tutto il possibile ma è inutile illudersi di ricavare informazioni straordinarie.
C'è qualcosa che avreste potuto fare e che avete trascurato?
Non credo. Forse con strumenti più sofisticati avremmo potuto ottenere qualche risultato in più ma ne dubito. Abbiamo consultato tutta la letteratura esistente. Ma questo è un caso unico al mondo. A chi potremmo chiedere lumi?
Rif.1 - La Città 7 agosto 1984 pag.2

sabato 10 aprile 2010

Udienza del 20 maggio 1999 - 13

Quella che segue è una sintesi dell'udienza del 20 maggio 1999 relativa al Processo d'appello per i delitti del "mostro di Firenze" davanti alla prima sezione della Corte d'Assise d'Appello di Firenze.

Segue dalla parte 12
Avvocato Aldo Colao: Parliamo di Baccaiano che mi riguarda personalmente in quanto che le parti che difendo sono di Montespertoli. Questi poveri giovani quella sera erano nella piazzola, io, perchè mi sono permesso di dire alla corte sarebbe inutile un sopralluogo? Perchè in effetti proprio lì laddove semplicemente può apparire quella croce invece la piazzola era 10 metri più avanti, era interna, c'era una siepe che copriva la vista e le macchine entravano da questa parte e poevano uscire da quest'altra parte. Però normalmente entravano da una parte e lì vi rimanevano perchè stavano più occultate, anzi, non potevano uscire dalle due parti, soltanto da una parte, il Lotti ci descrive con puntualità prima di tutto il percorso: parte da S.quirico fa Poppiano, son paesini molto gradevoli di queste parti, scendono giù e arrivarono sullo stradone, lui mise la macchina a destra e Pacciani e Vanni la misero invece vicino alla piazzola, dalla parte opposta, ma poi il punto è questo: come faceva il Lotti a sapere che quando ci fu la prima sparatoria da parte del Pacciani e che la ragazza morì subito e invece il povero giovane Mainardi Paolo fu colpito ad una spalla e m'innestò la retromarcia, perchè il giovane era un ragazzo sveglio, vispo, s'era accorto di qualche cosa, fa la manovra di retromarcia, questa ce la descrive minuziosamente il Lotti, quindi come poteva sapere questo si può dire? L'ha letto sui giornali. Ma torniamo a riptere Lotti non è un laureato, Lotti a stento sa le cose che fa e anche le cose che fa bisogna tirargliele con le pinze, ma sarebbe stato impossibile imbeccare un Lotti o un Pucci su tutti questi omicidi. Invece lui dice: "fa retromarcia il ragazzo" il Pacciani lo rincorre. Dove? In mezzo alla strada e sparò e gli andava dietro, e lui con le ruote va nella fossetta e infatti il ragazzo lì è rimasto, il sangue che era nella fiancata della portiera, enormemente, dimostra che il ragazzo era al posto di guida, il ragazzo non fu portato... in queste scene ci sono quasi degli isterismi, ci sono gente che fa il volontariato però che è più anziano e quindi vuol coordinare gli altri giovani, magari non ha visto nulla e poi dice che lui ha visto tutto ma il ragazzo era lì. Quindi anche questa ricostruzione è precisa. Parliamo dei moventi. Moventi non ce ne sono? Ma a parte il fatto che quando succede omicidi del genere i moventi possono essere tanti e non possono essere i professori di psicologia che possono dire: c'è un solo movente, qua, là, i fatti son successi, erano questi soggetti che hanno partecipato a questi fatti, però i moventi li abbiamo capiti. Sesso sfrenato, la loro attività preferita era di andare con le telecamere (???) con le microspie, con tutti i modi per andare a sentire le coppiette, questo, addirittura agli atti se ne trova, era proprio un'attività quasi continuativa, tanto che Pacciani non era mai a casa, era sempre fuori, confermato anche dalle figlie. Faceva questo. Perchè dovevano andare anche a cercare le persone adatte per compiere quelle cose. Poi, avidità di guadagno, persone avide, avide, tirchie fino alla morte, quindi qualunque cosa gli avessero chiesto queste persone sarebbero state disposte a farlo. Nelle campagne toscane? Si, nelle campagne nostre, belle, toscane, c'erano questa banda d'individui. Quindi, non mi intratterrò sui denari che questi avevano e non è una curiosità che avevano in vari uffici postali, è proprio una tattica delinquenziale di ripartire il malloppo, dall'80 all'85, in diverse fonti per non essere scoperti. Tutto questo ci viene confermato, di questo tenore di vita, aldilà che un postino può avere, dalla nipote, questa povera ragazza la quale in uno slancio, poichè aveva subito un ictus quindi aveva avuto una fase riabilitativa e quindi si erano accese nel suo intimo dei desideri di giustizia venne addirittura a testimoniare, a dire che lo zio in quel periodo spendeva e spandeva, offriva, andavano a mangiare di qua, di là, doveva fare il prestito a Lotti, e gli regalò non so che, mi pare un braccialetto d'oro. Poi, altro movente, l'occultismo, il fanatismo, queste messe nere, il povero e compianto collega avvocato Santoni Franchetti quante volte si è intrattenuto che sembrava allora magari che sulla piazzola degli Scopeti c'erano delle candeline mezze bruciacchiate, le avevano trovate, le candeline sono agli atti, certo molto probabilmente lì su quella piazzola, quella sera dell'otto/sette (settembre ndr) c'era il dottore poi c'è anche il profilo di questo medico ginecologo fuorifase il quale è morto, poi c'era e non poteva essere il Faggi il dottore perchè naturalmente il dottore in campagna è il medico, se uno è laureato in legge lì non lo chiamano dottore, chiamano soltanto il medico il dottore. Quindi c'era questo dotore perchè il Lotti dice che c'era il dottore. Poi l'odio per le donne. Un'altro movente, una serie di moventi, che hanno confluito in un crogiulo di antimoralità e antigiuridicità che ha portato a questo. Di Pacciani è risaputo del seno sinistro offerto al rivale Bonini nell'omicidio del '52 (1951 ndr) lui, violento, ammazzò, lì con 32 coltellate e poi dopo si accoppiò con questa. però questo seno sinistro, guarda caso, i seni tagliati della povra Mauriot e della povera Pia Rontini, sono stati tutti e due sinistri. Poi comincia la discussione: si, perchè tornava più a mano perchè il destro non si può tagliare, invece questo è. Quest'altro pure (mario Vanni ndr) con una moglie che in cinta aveva dato un calcio e l'aveva fatta ruzzolare per le scale e anche questo è agli atti, nelle prove testimoniali, guardate le testimonianze della Bartalesi, del Nesi, ci sono tutte. Eppoi questo è un processo, un 14 bis, non è che stiamo a scherzare qua o a fare i complimenti. Voglio dire non era un fior di galantuomo perchè questa bambina è rimasta poi mancamentata. Lo stesso per quello che ho detto prima e il danaro era la molla poi ultima che guidava tutto. Io penso lo avrebbero fato anche senza i soldi perchè l'ossessione per il sesso c'era proprio, molto spinta, però venivano i soldi da questo dottore che è anche stato fatto un profilo da parte del dottor Giuttari, ecco, ma dove sta la conferma? Non so se ci sarà il processo tris o quater, mi auguro di no, però una cosa è certa, questo dottore andava a ritirare i feticci a Mercatale perchè l'ha dichiarato il Lotti, perchè il Lotti è credibile, perchè quello che dice è credibile e il teste dottor Giuttari ci parla di una strana aggressione subita, quando il Pacciani era in carcere, dalla moglie di Pacciani, Angiolina Manni, in cui una signora in pelliccia e venne su tutti i giornali, parrucca rossa, dette del Tavor all'Angiolina. Ma questo perchè? Perchè il dottore era ricattato e naturalmente la moglie anche dal Pacciani il quale continuava a chiedere soldi anche se gli omicidi non c'erano più. Per cui andò a casa per far sparire queste prove. Chi è la signora che si mette con pelliccia, parrucca, distinta, che va dall'Angiolina Manni a dargli il Tavor? Dev'essere una persona avveduta, di cultura perchè sa che il Tavor è un impnotico e questo Tavor fu comprato in una farmacia, quindi la presenza di questo dottore/medico e della moglie che lo proteggeva c'è ed è anche in atti. E allora un'ultima cosa. Se allora i testi non sono credibili se un soggetto che viene chiamato a rispondere di correità non è credibile, allora finiranno i processi, finisce il processo, perchè se dobbiamo sempre mettere in dubbio le dichiarazioni dei testi andando a guardare le parole, per carità, ognuno fa la sua parte ed è giusto che così sia, con questo signori della corte chiudo e rassegno le mie conclusioni le quali intendono che codesta corte d'assise d'appello affermi la penale responsabilità degli imputati, confermando l'appellata sentenza di primo grado e confernmando le provvisionali assegnate le cosiddette parti civili, con il favore delle spese. Grazie.
Segue...