Il 29 ottobre 1985 il quotidiano La Nazione pubblicò l'intervista che segue al giudice istruttore Mario Rotella.
Giudice Rotella, lei ha fatto riarrestare nei mesi scorsi Stefano Mele, già condannato per il delitto del 1968, primo degli otto oggi attribuiti al mostro di Firenze. E negli ultimi giorni ha emesso due comunicazioni giudiziarie per un episodio oscuro avvenuto in Sardegna nel 1960. Può spiegare ai lettori della Nazione gli sviluppi delle indagini?
Dell'inchiesta posso dire solo questo: il nostro interesse per la Sardegna è effettivamente in relazione con gli omicidi di Firenze. Quanto a Stefano Mele risulta da troppi elementi che ha in qualche modo partecipato al primo delitto, fatto di cui si sono convinti anche tutti i magistrati che lo hanno interrogato prima di me. La pista sarda non nasce comunque dal suo nuovo arresto, ma ci siamo arrivati per altre vie. Di questo, ovviamente, non posso parlare.
Da quel che appare all'esterno l'inchiesta è alquanto intricata e non a caso si parla di un doppio filone: quello scientifico sui grandi numeri e quello che indaga sull'entourage del primo delitto. Che rapporti intercorrono tra procura della Repubblica e ufficio istruzione?
Non ci sono piste o filoni divergenti. C'è un'istruttoria formale che deve per forza rifare la storia dei delitti e ci sono i dati che si aggiungono via via. In questa vicenda l'unica deduzione possibile è quella che ci suggerisce l'uso di un'unica pistola in tutti i delitti. Il resto è illazione. Procura e ufficio istruzione stanno assolvendo ai rispettivi e specifici compiti istituzionali servendosi di metodi di approccio complementari così come previsto dal codice di procedura penale. Io agisco sugli elementi che mi vengono messi a disposizione dalla procura. Non mi invento niente.
In realtà le viene rimproverato di essersi inventato i due mostri... Può ricordare com'è andata?
Io credo che sia il caso di finirla con questa storia. Feci arrestare Mele e Mucciarini anche quella volta su richiesta esplicita della procura perchè sul loro conto erano emersi elementi importanti, non chiacchiere da bar e non ho mai detto le cose che mi hanno fatto dire i giornali, non ho mai parlato di "fine di un incubo" o di "tirare un sospiro di sollievo". Forse ho peccato di leggerezza nel non calcolare le reazioni della stampa, però se si va a rileggere le mie dichiarazioni si vedrà che ho detto solo quel che avrebbe detto il giorno dopo il procuratore della Repubblica Enzo Fileno Carabba, di cui, tra l'altro, avevo grande stima. L'unica differenza e anche qui posso aver sbagliato è di essermi mostrato ottimista in virtù degli sviluppi dell'inchiesta mentre Carabba era pessimista.
Torniamo all'oggi o meglio a quei lontani delitti del 1960 e 1968, come sta lavorando?
Il fatto incontestabile da cui partire è il doppio omicidio di cui è stato protagonista Stefano Mele, su questo non può esserci discussione, è un caso intricato, difficile, pieno di trabocchetti ma da qui si deve partire. Poi c'è questa donna morta in Sardegna nel 1960 (Barbarina Steri ndr), un episodio che ci è parso di dover chiarire perchè coinvolge persone legate al clan Mele. Non sappiamo se sono colpevoli, anzi, le supponiamo innocenti, però si tratta di indagare su fatti di tanti anni fa, su persone che oggi hanno cambiato vita. Si tratta di ricostruire relazioni umane, eventi anche dolorosi, di riportare a galla particolari che magari non si vogliono ricordare. E' un'inchiesta di estrema delicatezza, forse sbagliamo ma possiamo anche aver ragione.
Di errori in questa vicenda ne sono stati commessi molti. Può indicare quello secondo lei più importante?
Forse l'aver mitizzato l'assassino, averlo immaginato come borghese illuminato, un professionista, un uomo di alta cultura, invece secondo me ha solo una spiccata istintualità oltre a una grande bestialità e usa accorgimenti semplici. Si crede che l'intelligenza operativa sia patrimonio esclusivo di una classe sociale? Io dico di no, anche uno sciacallo è capace di tendere agguati e uccidere.
Rif.1 - La Nazione - 29 ottobre 1985 p.5
Giudice Rotella, lei ha fatto riarrestare nei mesi scorsi Stefano Mele, già condannato per il delitto del 1968, primo degli otto oggi attribuiti al mostro di Firenze. E negli ultimi giorni ha emesso due comunicazioni giudiziarie per un episodio oscuro avvenuto in Sardegna nel 1960. Può spiegare ai lettori della Nazione gli sviluppi delle indagini?
Dell'inchiesta posso dire solo questo: il nostro interesse per la Sardegna è effettivamente in relazione con gli omicidi di Firenze. Quanto a Stefano Mele risulta da troppi elementi che ha in qualche modo partecipato al primo delitto, fatto di cui si sono convinti anche tutti i magistrati che lo hanno interrogato prima di me. La pista sarda non nasce comunque dal suo nuovo arresto, ma ci siamo arrivati per altre vie. Di questo, ovviamente, non posso parlare.
Da quel che appare all'esterno l'inchiesta è alquanto intricata e non a caso si parla di un doppio filone: quello scientifico sui grandi numeri e quello che indaga sull'entourage del primo delitto. Che rapporti intercorrono tra procura della Repubblica e ufficio istruzione?
Non ci sono piste o filoni divergenti. C'è un'istruttoria formale che deve per forza rifare la storia dei delitti e ci sono i dati che si aggiungono via via. In questa vicenda l'unica deduzione possibile è quella che ci suggerisce l'uso di un'unica pistola in tutti i delitti. Il resto è illazione. Procura e ufficio istruzione stanno assolvendo ai rispettivi e specifici compiti istituzionali servendosi di metodi di approccio complementari così come previsto dal codice di procedura penale. Io agisco sugli elementi che mi vengono messi a disposizione dalla procura. Non mi invento niente.
In realtà le viene rimproverato di essersi inventato i due mostri... Può ricordare com'è andata?
Io credo che sia il caso di finirla con questa storia. Feci arrestare Mele e Mucciarini anche quella volta su richiesta esplicita della procura perchè sul loro conto erano emersi elementi importanti, non chiacchiere da bar e non ho mai detto le cose che mi hanno fatto dire i giornali, non ho mai parlato di "fine di un incubo" o di "tirare un sospiro di sollievo". Forse ho peccato di leggerezza nel non calcolare le reazioni della stampa, però se si va a rileggere le mie dichiarazioni si vedrà che ho detto solo quel che avrebbe detto il giorno dopo il procuratore della Repubblica Enzo Fileno Carabba, di cui, tra l'altro, avevo grande stima. L'unica differenza e anche qui posso aver sbagliato è di essermi mostrato ottimista in virtù degli sviluppi dell'inchiesta mentre Carabba era pessimista.
Torniamo all'oggi o meglio a quei lontani delitti del 1960 e 1968, come sta lavorando?
Il fatto incontestabile da cui partire è il doppio omicidio di cui è stato protagonista Stefano Mele, su questo non può esserci discussione, è un caso intricato, difficile, pieno di trabocchetti ma da qui si deve partire. Poi c'è questa donna morta in Sardegna nel 1960 (Barbarina Steri ndr), un episodio che ci è parso di dover chiarire perchè coinvolge persone legate al clan Mele. Non sappiamo se sono colpevoli, anzi, le supponiamo innocenti, però si tratta di indagare su fatti di tanti anni fa, su persone che oggi hanno cambiato vita. Si tratta di ricostruire relazioni umane, eventi anche dolorosi, di riportare a galla particolari che magari non si vogliono ricordare. E' un'inchiesta di estrema delicatezza, forse sbagliamo ma possiamo anche aver ragione.
Di errori in questa vicenda ne sono stati commessi molti. Può indicare quello secondo lei più importante?
Forse l'aver mitizzato l'assassino, averlo immaginato come borghese illuminato, un professionista, un uomo di alta cultura, invece secondo me ha solo una spiccata istintualità oltre a una grande bestialità e usa accorgimenti semplici. Si crede che l'intelligenza operativa sia patrimonio esclusivo di una classe sociale? Io dico di no, anche uno sciacallo è capace di tendere agguati e uccidere.
Rif.1 - La Nazione - 29 ottobre 1985 p.5
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