Dopo fui assunto come operaio specializzato e allevatore di bestiame col signor marchese Pierfrancesco Rosselli Del Turco a San Casciano Val di Pesa frazione Montefiridolfi. Lì lavoravo pure sabato e domenica avendo 20 capi di vitelloni a ingrasso e 4 vaccine da produzione e 4 ore le dovevo fare da operaio agricolo in fattoria, perché per fare le 8 ore alla stalla bestiame, bisogna avere 100 capi bestiame, io ne avevo 20 e con la legge sindacale era stabilito 4 ore alla stalla, e 4 ore dovevo lavorare in fattoria operaio: una vita da lupi. La sera si cenava alle ore 9 che fino alle ore 8 dovevo assistere il bestiame, e dovevo preparare l’erba segandola nel campo con la falciatrice, e raccoglierla in mucchio poi caricarla sul trattore e portarla in capanna e passarla al tranciaforaggi per il giorno seguente. Ogni giorno così, me ne pagavano 8 ore, ma ne lavoravo tredici. Chi non è del mestiere non può capire questo lavoro. Alla sera mi addormentavo sul piatto della minestra dalla stanchezza e non vedevo l’ora di andare a letto a riposare, perché ogni mattina prendevo la mia 600, che comprai nel ’67, e mi recavo puntuale sul lavoro perché alle ore 8 precise bisogna attaccare a lavorare. Chi manca alla presenza si viene licenziati. Lavorai lì fino all’ ‘81/82. La quale dal duro lavoro mi ammalai d’infarto. Caddi nel campo e mi portarono con l’autoambulanza all’ospedale pronto soccorso di Careggi sotto il professor P. Ma per la strada ero morto, ma con una macchina dell’elettrochoc a forza di scattini mi rianimarono mettendo in circolazione il sangue e il battito cardiaco. Dopo mi mandarono allo spedale di cura a Tavarnelle sotto il professor B., che è tuttora vivo, e abita a Firenze. Arrivato lì mi legarono nel letto braccia e gambe, che non dovevo fare un minimo sforzo che avevo un’arteria al cuore rotta e orinavo sangue. Dovevo fare tutto nel letto senza muovermi, fino a che non mi cessò il sangue orinando, a forza di terapia: fiale, compresse per diversi giorni, poi cessò ma ebbi a stare molto tempo sotto controllo e osservazione, poi mi rimandarono a casa credendo guarito. Ma non fu così, un brutto giorno mi si bloccò di nuovo il cuore, smise la circolazione, e un tremito freddo per tutto il corpo, e mi riportarono di nuovo allo spedale. Il professore mi disse: “Ci risiamo, Pacciani, qui bisogna mettergli il cuore artificiale.” Non caddi a terra dalla paura perché mi appoggiai al muro. “Non si impressioni, è come un bottone, si mette sotto cute con un filino che va al suo cuore, ma prima deve stare qualche giorno in osservazione. Buona fortuna.” Mi cambiarono la terapia e non ce ne fu più bisogno. “Ma sono mali” mi disse “che si risentono per tutta la vita, e la cura non deve mai cessare.” Ritornai a casa con un anno di convalescenza, ma il mio datore di lavoro mi licenziò perché non potevo per un anno lavorare, e quindi dovevo rendere libera la casa per un nuovo operaio. Mi saldò il conto e comprai quelle casette a Mercatale da restaurare. La rimisi a posto da me lavorandoci tanto tempo aiutato da un maestro muratore, e tornai a Mercatale in piazza del Popolo n.7 intestandola alle mie figlie. L’altra casetta che era una capanna tutta da rimettere, che rimisi in parte da me con un altro muratore il sabato e la domenica.
Pietro Pacciani – Memoriale del 7 marzo 1993 – Seconda parte
Segue dalla prima parte.
0 commenti:
Posta un commento