Quando il 6 giugno 1981, giunse in via dell’Arrigo per il duplice omicidio di Carmela De Nuccio e Giovanni Foggi, era al suo primo incarico da Sostituto procuratore della Repubblica.
Assieme alla collega, Silvia Della Monica, condusse le indagini sul caso del "mostro di Firenze" seguendo la cosiddetta "pista sarda". Nel 1986 chiese ed ottenne il trasferimento e divenne procuratore capo a Nola in provincia di Napoli. Le indagini passarono quindi nelle mani di Pierluigi Vigna e Paolo Canessa.
Nel 1994 rilasciò al giornalista, Gennaro De Stefano, le dichiarazioni che seguono.
"La mia convinzione investigativa nacque quando scoprimmo il legame tra gli omicidi del cosiddetto mostro e quello del 1968, che aveva un colpevole, Stefano Mele, reo confesso. Allora in me si concretizzò il dubbio che quell'uomo addirittura non fosse presente al fatto. Cercammo la pistola e scoprimmo che a Villacidro, in Sardegna, un operaio del posto aveva acquistato una Beretta calibro 22. Egli era poi emigrato in Olanda dove morì, ma della pistola nessuna traccia. Ora è chiaro che chi ha commesso l'omicidio del 1968 ha tutt'ora la pistola e che gli altri partecipanti a quell'omicidio d'onore sanno chi è il mostro, ma sono accomunati da un reciproco ricatto. D'altronde sostenere che la pistola è passata di mano significa affermare che anche i proiettili sono stati ceduti a Pacciani e questo è davvero fuori luogo.
Ha invece una logica, a mio avviso, ricostruire un'altra morte sospetta avvenuta nel 1960 in Sardegna, quando Barbara Seri, allora diciottenne moglie di Salvatore Vinci, fu trovata morta asfissiata dal gas liquido di una bombola. La vicenda venne archiviata come suicidio, ma il giudice di Cagliari, Giovanni Lombardini, quando noi fornimmo le tracce di una possibile responsabilità penale del marito, emise un mandato di cattura nei suoi confronti.
Salvatore Vinci rimase in carcere per due anni, ma in seguito fu definitivamente scagionato dalla Corte d'assise di Cagliari.
Indagammo su quest'uomo anche perché le caratteristiche, l'abilità, la capacità di muoversi nel buio che il mostro evidenziava, combaciavano con le movenze feline di Salvatore Vinci, con le sue capacità atletiche, con la sua genialità che ne facevano un personaggio assai interessante sul piano criminologico. Ma non basta.
Il vero, unico cornuto di tutta la storia della pista sarda era proprio lui, perché con Barbara Locci egli aveva avuto una relazione sentimentale e sessuale, andando addirittura a vivere assieme alla donna ed al marito Stefano Mele in un rapporto a tre che nessuno dei successivi amanti della donna ebbe.
Il delitto del 1968 aveva poi un testimone d'eccezione, Natale Mele, il figlio di sei anni e mezzo della donna, che dormiva sul sedile posteriore della Giulietta e che fu portato via dalla scena dell'omicidio "a cavalluccio" per chilometri da un certo zio Piero.
Successivamente questo zio Piero divenne, non si sa bene come, zio Pietro. Ora, che quello zio potesse essere Piero Mucciarini, cognato del padre, io ne sono stato sempre convinto, anche sulla base di intercettazioni telefoniche.
Ma c'è un altro elemento che non convince ed è il fatto che un ragazzino di quell'età sostenesse sempre di non aver visto e di non ricordare nulla ed io di questo non sono per niente persuaso, perché basta pensare alla testimonianza resa in questi giorni da Farouk Kassam per dimostrare il contrario. I bimbi, ne sono più che certo, hanno memoria di ferro se qualcosa li colpisce.
(...) Quell'uomo, invece, aveva un movente ben preciso: aveva subito il tradimento prima della moglie e poi dell'amante, e aveva caratteristiche fisiche e psichiche che tutte riconducevano o potevano ricondurre alle gesta del mostro. Prendiamo ad esempio la sua potenzal" sessuale. Io non ho mai creduto alla teoria del mostro impotente che uccide perché non può accoppiarsi, piuttosto ho sempre pensato ad un uomo motivato da un forte rancore e da una perversione sessuale sfrenata ed in questo, almeno, mi trovo concorde con i colleghi che hanno indagato dopo di me. Salvatore Vinci ha caratteristiche che, a mio avviso, fanno sbiadire la personalità di Pietro Pacciani così come è emersa nel corso del dibattimento.
Su questo ho una mia opinione ben precisa, innanzitutto io sono certo che la pistola non è stata gettata via ma è in possesso ancora dell'autore dei delitti; poi, se ripensiamo al lembo di pelle fatto pervenire per posta alla mia collega Silvia Della Monica dopo l'omicidio dei francesi, ci rendiamo conto che una sola persona poteva avere una spinta così forte da sbeffeggiare e provocare un magistrato.
Questa persona è l'uomo che proprio lei interrogò per prima quando scoprimmo il nesso tra il delitto del 1968 e quello del 1981. Oggi quell'uomo è libero ma non colpisce perché sa che potrebbe essere sotto tiro."
Ha invece una logica, a mio avviso, ricostruire un'altra morte sospetta avvenuta nel 1960 in Sardegna, quando Barbara Seri, allora diciottenne moglie di Salvatore Vinci, fu trovata morta asfissiata dal gas liquido di una bombola. La vicenda venne archiviata come suicidio, ma il giudice di Cagliari, Giovanni Lombardini, quando noi fornimmo le tracce di una possibile responsabilità penale del marito, emise un mandato di cattura nei suoi confronti.
Salvatore Vinci rimase in carcere per due anni, ma in seguito fu definitivamente scagionato dalla Corte d'assise di Cagliari.
Indagammo su quest'uomo anche perché le caratteristiche, l'abilità, la capacità di muoversi nel buio che il mostro evidenziava, combaciavano con le movenze feline di Salvatore Vinci, con le sue capacità atletiche, con la sua genialità che ne facevano un personaggio assai interessante sul piano criminologico. Ma non basta.
Il vero, unico cornuto di tutta la storia della pista sarda era proprio lui, perché con Barbara Locci egli aveva avuto una relazione sentimentale e sessuale, andando addirittura a vivere assieme alla donna ed al marito Stefano Mele in un rapporto a tre che nessuno dei successivi amanti della donna ebbe.
Il delitto del 1968 aveva poi un testimone d'eccezione, Natale Mele, il figlio di sei anni e mezzo della donna, che dormiva sul sedile posteriore della Giulietta e che fu portato via dalla scena dell'omicidio "a cavalluccio" per chilometri da un certo zio Piero.
Successivamente questo zio Piero divenne, non si sa bene come, zio Pietro. Ora, che quello zio potesse essere Piero Mucciarini, cognato del padre, io ne sono stato sempre convinto, anche sulla base di intercettazioni telefoniche.
Ma c'è un altro elemento che non convince ed è il fatto che un ragazzino di quell'età sostenesse sempre di non aver visto e di non ricordare nulla ed io di questo non sono per niente persuaso, perché basta pensare alla testimonianza resa in questi giorni da Farouk Kassam per dimostrare il contrario. I bimbi, ne sono più che certo, hanno memoria di ferro se qualcosa li colpisce.
(...) Quell'uomo, invece, aveva un movente ben preciso: aveva subito il tradimento prima della moglie e poi dell'amante, e aveva caratteristiche fisiche e psichiche che tutte riconducevano o potevano ricondurre alle gesta del mostro. Prendiamo ad esempio la sua potenzal" sessuale. Io non ho mai creduto alla teoria del mostro impotente che uccide perché non può accoppiarsi, piuttosto ho sempre pensato ad un uomo motivato da un forte rancore e da una perversione sessuale sfrenata ed in questo, almeno, mi trovo concorde con i colleghi che hanno indagato dopo di me. Salvatore Vinci ha caratteristiche che, a mio avviso, fanno sbiadire la personalità di Pietro Pacciani così come è emersa nel corso del dibattimento.
Su questo ho una mia opinione ben precisa, innanzitutto io sono certo che la pistola non è stata gettata via ma è in possesso ancora dell'autore dei delitti; poi, se ripensiamo al lembo di pelle fatto pervenire per posta alla mia collega Silvia Della Monica dopo l'omicidio dei francesi, ci rendiamo conto che una sola persona poteva avere una spinta così forte da sbeffeggiare e provocare un magistrato.
Questa persona è l'uomo che proprio lei interrogò per prima quando scoprimmo il nesso tra il delitto del 1968 e quello del 1981. Oggi quell'uomo è libero ma non colpisce perché sa che potrebbe essere sotto tiro."
Rif.1 - Visto n.50 - dicembre 1994
Vedi anche:
-Adolfo Izzo - Intervista su La Città - 14 novembre 1982
-Adolfo Izzo - Intervista su La Nazione - 2 giugno 1982
Vedi anche:
-Adolfo Izzo - Intervista su La Città - 14 novembre 1982
-Adolfo Izzo - Intervista su La Nazione - 2 giugno 1982
1 commenti:
Non posso commentare, poiché sono stato autista del dott. Izzo e della dott.ssa Della Monica.
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