martedì 27 novembre 2018

10 anni di Insufficienza di prove

Sono sempre un po' a disagio con le celebrazioni, ed i riti in genere mi provocano insofferenza se non inadeguatezza.


Dieci anni però sono un gran bel traguardo e mi pare giusto condividerlo con chi ha vissuto la mia stessa passione e l'intento, se non la smania, di giungere ad una qualche verità.

Grazie a Vieri Adriani, Ale, A.B., Michele Bruno, F.C. Marco Corigliano, Giuseppe Di Bernardo, Nino Filastò, Stefano Galastri, Adolfo Izzo, Salvatore Maugeri, A.M., Giulia Meozzi, Enea Oltremari, Armando Palmegiani, R.P., Frank Powerful, Fabio Sanvitale, F.S.,Valerio Scrivo, Antonio Segnini, Mario Spezi.

Non so cosa accadrà nei prossimi dieci anni ma da quel che ho oggi sulla scrivania direi che il 2019 si preannuncia decisamente interessante!

L'Uomo dietro il mostro 10 di E. Oltremari

Poco prima del Settembre 1985

“Salve a tutti, è passato un po' di tempo dall’ultima volta e me ne scuso per non aver adempiuto - come avevo promesso - in tempo utile all’uscita dei vari brani di questo percorso. Mi scuso anche con chi aveva commentato i precedenti pezzi su “Insufficienza di prove”, non avendo le notifiche in merito ai commenti che rilasciate è capitato che siano trascorsi mesi tra un vostro inter-vento ed una mia risposta. Pertanto, per ovviare a questi fastidiosi ritardi, ricordo che potete scrivermi a dr.oltremai@gmail.com.
Oggi riprendiamo le fila del discorso - parallelo rispetto al quotidiano dialogo e dibattito mostrologico - in merito alla possibilità di stilare un profilo dell’omicida tentando di non farsi influenzare dal preconcetto naturale di chi agisce potendo parlare dopo più di trent’anni dall’ultimo delitto.
Iniziamo così ad esporre quello che rappresenta, secondo chi scrive, il mo-vente ai delitti, ciò che ha spinto l’omicida ad agire e che lui stesso ha posto come giustificazione ai suoi crimini, frutto - in realtà - di un diverso trauma che solo un nome ed un cognome potrebbero davvero spiegarci.
Buona lettura,
E.O.”


1490.
“[…] molte persone si truovano in questo tale stato, le quali o per negligen-za o per ignoranza o per malizia vivono tanto bruttamente, e senza freno di ragione e di conscienzia, che poca differenzia è intra loro e gente pagana, o vero animali bruti e bestiali che non hanno intelletto niuno né ragione; e così facendo si vengono a dannare, la qual cosa è assai nociva et in perpetuum dan-nificativa.”
La prima regola è quella intenzionale ed ammonisce circa le ragioni per il quale è lecito avere un rapporto sessuale per non cadere nel peccato mortale.
Già si può intuire come la prima cagione sia quella della procreazione, da svolgersi - comunque, non sia mai - con tristezza d’animo per limitare al massimo la libido sessuale. Procreazione di quei figli destinati a riempire quei seggi vuoti lasciati in Paradiso dalla caduta di Lucifero ed i suoi seguaci.
La seconda, consiste nel compiere l’atto sessuale per soddisfare il debito nei confronti dell’altro, del coniuge, perché l’atto - quando richiesto - è dovuto.
La terza, più pragmatica, è quella di copulare per evitare distrazioni verso al-tri mali disonesti. Dopotutto, ci dice il predicatore, da quando Adamo e la sua compagna non si mostrarono certo probi, è difficile per l’uomo mantenersi alla distanza dalla tentazioni e per questo, Iddio, creò il matrimonio. Quindi, per evitare di andare a peccare a giro, meglio sfogare - seppure con estrema riluttanza - i propri deprecabili istinti verso la propria compagna che non è peccato mortale, ma solo veniale. Tant’è che la quarta ragione è appunto proprio quella di attrarre a te il tuo compagno o compagna che credi frequentatrice di pensieri disonesti così da ricordargli quale sia il più corretto e giusto fra i piaceri.
Ma non è tutto così semplice.
Perché se abbiamo visto quali sono le ragioni per cui può esser validamente praticato l’atto sessuale, vediamo ora quali sono le condizioni che ti fanno staccare un biglietto di sola andata per il peccato mortale.
Il primo fra questi consiste nei limiti del matrimonio. Fuori da questi limiti, anche qualora si trattasse di promessi sposi, poco importerebbe perché condizione prima per la liceità dell’atto sessuale è proprio questa, cioè il matrimonio.
La seconda consiste nel farlo pensando ad altre persone perché la sessualità con la propria compagna non può essere utilizzare per aggirare i divieti sopra posti.
La terza consiste in un preludio di altra regola che vedremo successivamen-te. Consiste difatti nella modalità: passi il fatto che puoi fare l’amore con la tua compagna, ma non fartelo piacere, né divertiti nel farlo, perché niente si può amare più che Iddio.
Quarta ed ultima, consiste nell’utilizzare il matrimonio come mero mezzo per potersi congiungere carnalmente con la persona amata.

La seconda regola è definita temporale e consiste in un semplice elenco di giorni durante l’anno in cui è assolutamente proibito accoppiarsi perché, appunto, quei giorni devono essere dedicati alle cose spirituali e non carnali.
Primo fra tutti - per intuibili motivi - è la Domenica e le altre feste comandate.
Secondo, sono i giorni della quaresima, le vigilie comandate (tre periodi di quaranta giorni che preparano la Pasqua, la Santa Croce di Settembre ed il Natale) e le Quattro Tempora. Queste ultime rappresentano raggruppamenti di tre giorni (mercoledì, venerdì e vigilia tra sabato e domenica) siti nelle quattro sta-gioni che compongono il nostro calendario nei quali veniva glorificato il Signo-re per ringraziarlo dei frutti della stagione e per ingraziarlo per i successivi. Difatti, ad ogni tempora corrispondeva un frutto della terra: olio in Inverno, fiori in Primavera, spighe di grano in Estate e grappoli d’uva in Autunno.
In particolare quelle di Autunno cadono nella settimana della Esaltazione della Santissima Croce (14 Settembre); quelle dell’Avvento appunto nella settimana dell’Avvento che precedono il Santo Natale; quelle della Quaresima, dopo la terza domenica di Quaresima ed infine, quelle estive, nella settimana di Pentecoste.
A questi dovevano essere aggiunti quei momenti, comunque coincidenti con questi sopra, del periodo mestruale, della gravidanza e nel periodo precedente al matrimonio ove si apparecchia le cose pertinenti alle nozze.

La terza regola, si definisce locale che qui predica sotto duplice accezione sia il dove luogo fisico l’atto sessuale non deve essere fatto sia - senza usare tanti giri di parole - dove luogo anatomico questo debba (o meglio, non debba) essere praticato.
In riferimento a quest’ultima - e riassumendo - viene fatto divieto, tanto al-trimenti da peccare mortalissimamente, di praticare i rapporti anali e condannando altresì la sodomia perché, dice il predicatore, Iddio ci avrebbe fatti tutti uomini. La sorte per gli omosessuali, quindi, vi lascio immaginare quale fosse.
Circa invece i luoghi geografici dove non si doveva in alcun modo aver atti sessuali di alcun tipo così da non peccar mortalmente perché il sangue ed il seme li profanerebbero irrimediabilmente.
Fra questi troviamo i luoghi sacri, come chiese e cimiteri e luoghi a questi limitrofi. Ancora, i luoghi pubblici e manifesti dove la coppia potrebbe essere vi-sta così da generare in chi li vede la voglia ed il desiderio di far la stessa cosa. Come e soprattutto dai fanciulli le cui menti non devono essere viziate dal peccato altrui.
Perché “grande confusione e vituperio debbe essere quello dell’uomo e del-la femmina, alli quali Iddio ha dato intelletto, che si congiunghino carnalmente in ogni luogo dove gli viene agio; e non curano se sono veduti o si no”.

Quarta ed ultima regola è quella modale che descrive, con minuzia di particolari, tutti quei modi appunto in cui è severamente vietato compiere l’atto sessuale che ho cercato di riassumervi per una più facile comprensione. Interes-sante in tal senso è la conseguenza prospettata per questi modi indegni di esercitare l’atto sessuale. Difatti a farne le spese, ne sarebbero i figli stessi, prodotto di quel rapporto che avrebbero il sangue viziato da tale rapporto oltraggioso.
Fra le pratiche, tutte tacciate di peccato mortale, troviamo:
-    indiscreta frequentazione: vietato farlo spesso e superficialmente;
-    indebita situazione: divieto per la donna di star sopra, in quanto il suo volto deve essere sempre rivolto verso il cielo;
-    inonesta proporzione: petto e ventre dell’uomo devono toccare le stesse parti della donna. Ogni variazione di posizione è da considerarsi tanto pec-caminosa da provocar ribrezzo anche il sol pensiero;
-    delle faccie adversione: strettamente legata a quella prima, comporta la necessità di dover stare col volto rivolto verso l’altro;
-    delli sentimenti e membri corporali abusione: bandito qualsiasi forma di preliminare perché frutto della gola, madre del demonio;
-    estrinseca seminazione: il seme maschile non deve disperdersi al di fuori della vagina né tantomeno essere racchiuso all’interno di una sacca (come i nostri preservativi);
-    commissione d’adulterio: “Oimè misero mondo! Oh quanti sono quegli che hanno concubina e moglie!”;
-    juridica e legale impedizione: contempla tutte quelle ipotesi in cui la con-giunzione carnale sia vietata in quanto contraria a norme di legge o convenzioni sociale. Si cita ad esempio gli atti sessuali tra consanguinei o dopo aver attentato alla vita del coniuge per potersi a questo sostituire.

È così che parla Fra’ Cherubino da Siena (o Spoleto secondo alcuni) rivolgendosi ai dilettissimi Figliuoli nel suo trattatello “Regole di Vita Matrimoniale” (Testo ora liberamente consultabile sul web su archive.org) , edito - approssimativamente - tra la prima metà del 1400 ed il 1490. Anni in cui il Frate - chiacchieratissimo tra gli esperti del settore - era solito girova-gare per le vie della città fiorentina a spiare le coppie scambiarsi effusioni.
Grandi predicatori, ove spesso, dietro, si celano grandi peccatori.
Mi sono imbattuto per caso in questo scritto mentre seguivo la scia di pensie-ri che ho cercato di riprodurre negli appuntamenti de L’Uomo dietro il mostro, allontanandomi per un attimo dai soliti sentieri battuti, dai soliti nomi (vedo che se ne parla comunque tantissimo quindi cosa altro avrei potuto dire se non get-tarmi in una bagarre che avrebbe portato più tensioni che soddisfazioni) e pro-vando ad analizzare le scene del crimine con la mente sgombra e libera dai pre-giudizi - certo necessari - dati dal “senno di poi”.
Come ho già spiegato negli appuntamenti precedenti, ho visto nei delitti dell’assassino delle coppiette una perfetta logica tra colpa e pena, tra fatto e punizione, come se fosse appunto la scena che l’omicida si trovava di fronte a dettare il suo agire ed alla quale doveva conformarsi, nel rispetto di una propria coscienza e ritualità che non ha mai - ricordo - voluto tradire, anche rischiando, come nel caso del Giugno 1982 (Come già riferito ampiamente in UdM7 e di cui torneremo a parlare nell’approfondimento dedicato al profilo geografico) o Ottobre 1981 o, ancora, Settembre 1983. An-che nelle difficoltà, negli imprevisti, ha sempre preferito ricondurre il suo agire allo schema impostogli dal suo credo, da ciò che lo spingeva ad uscire la notte in cerca delle sue vittime, ciò che lo muoveva, il suo movente.
Il movente. Tradendo quanto detto poco sopra in merito al non voler trattare, né considerare, la vicenda investigativa e giudiziaria, ho sempre trovato deboli i grandi nomi sul tema appunto del perché, questi, avrebbero commesso questi delitti. Rigettando fin da subito qualsiasi ottica di mercimonio tra esecutori e mandanti e quindi un movente dettato esclusivamente da una semplice richiesta di adempiere ad un compito (uccidere) per soddisfare non meglio precisati riti; e volendo andar oltre al semplice - seppur validissimo lo confesso - tradimento della fiducia della donna e susseguente volontà di riappropriarsi di questa idealizzandola nelle giovani vite che l’omicida intendeva recidere, ho ritenuto di dover ricercare un elemento che legasse questi omicidi così teatrali, brutali, appariscenti.
Mi sono quindi immerso nella storia fiorentina dell’epoca precedente alla scoperta dell’America, perché credevo che se davvero dietro i delitti vi fosse un predicatore, è lì che poteva aver tratto ispirazione per le sue azioni. Ed ho tro-vato un quadro che benché lontano 600 anni dall’epoca dei delitti vi era incre-dibilmente vicino.
Una società italiana post 1968, un primo movimento di rivoluzione dei co-stumi sessuali, un tempo di cambiamento, il sesso, i delitti, la punizione, la predica.
Mi sono spinto dove la mia conoscenza ed il mio sapere non potevano arri-vare e così mi sono fatto aiutare da esperti del settore, storici e teologi (che rin-grazio infinitamente per il contributo). Mi hanno descritto una Firenze del 1400 lussuriosa, proibita, scandalosa, sodomita, dove il sesso si mescolava e legava col potere, la chiesa e la società, tanto che fu necessario creare un organo ad hoc per potesse arginare gli episodi che potevano attentare alla pubblica decen-za. Le pene, severissime, per adultere, omosessuali, fedifraghi ed attentatori del buon costume, contemplavano stigma sul corpo, lembi di pelle ed arti appesi sugli edifici cittadini come monito per i cittadini. E poi il cammino di penitenza, lungo le chiese della città, per mostrare ed espiare i propri peccati fino alla casa del boia (interessantissimo qui vedere dove questa si trovava ma sarà oggetto dei prossimi appuntamenti).
Tutto questo quadro, aiutato anche dalle rappresentazioni dell’epoca presenti su volumi che invito i lettori a poter apprezzare in qualsiasi biblioteca fiorentina o anche solo ad alzar la testa lungo le vie della nostra città e notare quelle targhe che raccontano esecuzioni, gogne ed episodi avvenuti negli angoli della città e sfido lo stesso lettore a non trovare questo quadro così incredibilmente vicino ai delitti del Mostro: una società - ricordiamo in piena fine degli anni ’60, colta dai primi venti parigini - che deve essere educata, un sermone, una predica, sfortunati mezzi per poterla esprimere, un risultato. Lì dove nasce la rivoluzione culturale, nasce il Mostro, che vi rema contro, che recalcitra verso altri costumi, altra morale, altra epoca i cui valori (comunque protrattisi nel corso dei secoli identificandosi nel c.d. buoncostume sessuale), sono minacciati da una nuova corrente, che ha spostato la vivacità sessuale (mai sopita) dei giovani - fuori dalla costanza del matrimonio - prima ad una sua tacita accetta-zione e poi, data comunque l’impossibilità di poterla praticare liberamente, pro-trattasi fin fuori dalle mura domestiche. Abbiamo sempre visto questi omicidi come diretti verso, anche solo indirettamente, un dialogo con l’opinione pubblica, ma ci siamo dimenticati che la prima opinione colpita da questi delitti - oltre alle povere vittime - erano i loro stessi genitori.
Loro i destinatari del messaggio. Loro, forse, i veri soggetti che avrebbero dovuto mutare le loro abitudini, riconducendo i propri figli all’interno di quelle mura che gli avrebbero impedito di profanare il pubblico con la loro sessualità manifesta. Perché là fuori, vi era un uomo che in determinati notti avrebbe por-tato avanti quel suo percorso di insegnamento. Un cammino di penitenza, di sacrificio, rispondente ad un unico dettame: voi non dovete fare ciò che state fa-cendo.
Un messaggio (il giusto fare) attraverso un atto brutale (gli omicidi) per edu-care sia i giovani a comportarsi in preparazione a quelle che sarebbero state le regole da seguire in costanza di matrimonio sia verso quei genitori che avrebbe-ro dovuto - di proprio conto - impartire ai figli i giusti precetti e proprio perché questi erano stati rinvenuti dentro ad un automobile ad amarsi, si erano dimostrati negligenti ed avevano fallito nel loro compito.
È così assurdo pensare che il Mostro non si sia inventato niente, ma abbia di-storto un messaggio ed abbia indossato le vesti del predicatore per arginare quella, ai suoi occhi, follia che stava divampando di fronte a lui. È così insensa-to ritenere che quei corpi straziati non fossero altro che un messaggio da mandare alla cittadinanza, un sermone utile ad ammonire e ad insegnare in relazione non ad un suo privato convincimento, ma a ciò che era già stato detto, centi-naia di anni prima, fra le vie della sua stessa città.
Questa è una eventualità che nell’analizzare le scene del delitto non sento in alcun modo di escludere, anzi, il nostro esperimento di profilazione criminale mi sta portando proprio verso quella direzione. Ciò ovviamente non significa, superficialmente, una lettura distorta di un testo o di un bagaglio culturale tale da aver avuto per l’assassino delle coppiette un effetto criminogenetico, ma l’utilizzo di questa cultura, di questo sapere, di queste idee per giustificare un proprio agire omicidiario generato da un evento, da una psicopatologia che troverà fondamento in un evento o condizione a noi, ad ora, sconosciuti.
Lascio al lettore, adesso, poco prima del Settembre 1985, mettere in correlazione i dettami di Regole di vita matrimoniale (date, eventi, luoghi) con i delitti stessi.

Spero siate colti dal mio stesso stupore.

lunedì 22 ottobre 2018

lunedì 24 settembre 2018

Il Mostro di Firenze. Comparazione con casi analoghi di serial killing

Autore: Daniele Vacchino
Prima edizione: 2018, 180pp, lulu.com

Presentazione: "Il mostro di Firenze era un lust murderer, un omicida seriale che uccideva a scopo di libidine. Apparteneva alla sotto-categoria degli assassini seriali di coppiette. Tra i cacciatori di coppiette vi furono il Fantasma di Texarkana, Zodiac e il Mostro di Cuneo. Il saggio si impone il compito di svelare un modo diverso di guardare al caso del maniaco di Firenze, attraverso la comparazione con altri assassini seriali. Il Mostro di Firenze apparirà in tutte le sue peculiarità, ma anche in tutte le affinità con altri assassini seriali. Fino alla proposizione del caso de El Psicópata, un serial killer di coppiette che terrorizzò, con i suoi omicidi e le sue escissioni, il Costa Rica nel periodo immediatamente successivo all'ultimo delitto del Mostro di Firenze."

sabato 15 settembre 2018

giovedì 13 settembre 2018

Il mostro ed il cinema. Quattro chiacchiere con Francesco Crispino di Giuseppe Di Bernardo

Spesso, tra appassionati della vicenda del mostro di Firenze, si è discusso sulla possibilità che alcune pellicole thriller/horror degli anni '70 e '80 avessero potuto influenzare la fantasia del maniaco delle coppiette. L'aggressione ai danni di una coppia appartata è un classico del genere. Sembra quasi poter leggere tra le righe che l'assassino punisce chi vive una vita sessuale libera, caratteristica del cambiamento di quegli anni.
Tra i film dell'epoca in cui troviamo questa situazione, c'è certamente "Torso", "Venerdì 13", "Reazione a catena", "La città che aveva paura", e naturalmente "Maniac", che per alcuni avrebbe addirittura innescato l'idea delle escissioni al Mostro di Firenze.
A questi film di culto, dobbiamo assolutamente aggiungere "L'etrusco uccide ancora" del 1972, regia di Armando Crispino, che presenta questa situazione in una delle scene iniziali. Recentemente ho avuto la fortuna di poter scambiare qualche parola con Francesco Crispino, figlio del regista, che mi ha confidato come il padre e lo sceneggiatore, Lucio Battistrada, avessero notato strane connessioni tra il film e i delitti del Mostro.

Vorrei chiedere al gentilissimo Francesco, che ringrazio, di renderci partecipi di quei preziosi ricordi familiari. Francesco, ti va di parlarne?
"L’etrusco uccide ancora" esce nelle sale nel 1972, ma la sua realizzazione è dell’anno precedente. La data della prima versione della sceneggiatura (che aveva il titolo Raptus) è infatti del marzo 1971, mentre le riprese sono state effettuate nell’estate dello stesso anno. Il secondo elemento che mi preme ricordare è che l’ambientazione del film si svolge in quella che è la ragione etrusca meridionale, tra Spoleto, Cerveteri e Tarquinia. Sono entrambi aspetti importanti in riferimento alla vicenda del Mostro di Firenze, perché se l’etrusco è tra i primi film del periodo (che, grazie al successo della “trilogia degli animali” di Dario Argento, apre il successo mondiale del giallo italiano) a rappresentare una serie di delitti compiuti ai danni di giovani coppie appartate in luoghi nascosti, è quasi sicuramente il primo titolo a inserire una chiave horror nella narrazione gialla e ad ammantare l’artefice dei delitti di un’aurea mostruosa. Tanto che, proprio quando inizia a farsi strada l’ipotesi di una serialità dei delitti compiuti nella provincia fiorentina, sono in molti a compiere il collegamento tra il film e la cronaca. Molti quotidiani e riviste dell’epoca, nell’occuparsi della vicenda, non esitarono a utilizzare termini presi dal film e a collegarne l’ambientazione con lo sfondo in cui vengono compiuti i delitti reali. Fino al punto da ventilare l’ipotesi che il Mostro di Firenze avesse addirittura preso spunto dal film. Come se insomma la visione avesse “scoperchiato” qualcosa dell’inconscio del Mostro, lo abbia portato alla luce, esattamente come succede nell’opera firmata da mio padre.
Mi ricordo infatti che mio padre e il suo sceneggiatore Lucio Battistrada erano sconvolti da queste molteplici connessioni che emergevano via via e come abbiano seguito la vicenda del Mostro di Firenze con particolare coinvolgimento, a volte sentendosi quasi in colpa di ciò che stava succedendo. Lasciandosi andare alle suggestioni, iniziarono addirittura a chiamare il Mostro di Firenze con il nome del mostro del film, Tuchulcha, che poi è il nome del dio etrusco della Morte.
Quando, in seguito alla morte di mio padre, decisi di intervistare Lucio Battistrada per un documentario che poi realizzai, lo sceneggiatore mi fornì ulteriori dettagli sul vivace dibattito che tali connessioni tra il film e la cronaca avevano generato. A cominciare dai dettagli sulle messinscene operate dagli assassini (sia quello del film che quello/i reale/i), e sulla macabra ritualità che ne collegava le azioni. Molto più che “semplici” coincidenze.
Oggi, a distanza di anni, penso non sia corretto utilizzare la formula, un po’ semplicistica, che assegna al film un valore profetico, “l’ennesimo film che anticipa la realtà”, ma sia più giusto riflettere come il film e la vicenda del Mostro in fondo partecipino del medesimo immaginario. 

L'etrusco uccide ancora, un film di Armando Crispino. Con John Marley, Enzo Cerusico, Alex Cord, Samantha Eggar, Enzo Tarascio, durata 105min. - Italia 1972 

-Giuseppe Di Bernardo scrive e disegna fumetti dal 1994. Con Carlo Lucarelli e Mauro Smocovich, ha creato il personaggio a fumetti "Cornelio - Delitti d'autore", insegna a The Sign - comics & arts Academy di Firenze e dal 2002 disegna le avventure di Diabolik. A Marzo 2019 uscirà per Edizioni Inkiostro la sua graphic novel ispirata ai delitti del mostro di Firenze. 
Il suo blog: Narrare è resistere

lunedì 10 settembre 2018

L'Uomo dietro il mostro 10 di E. Oltremari

Venerdì 06 Settembre 1985 o Sabato 07 Settembre 1985 - Loc. Scopeti, San Casciano Val di Pesa. “50”

50 anni. Cinquanta.
Molto di più di quanto quei ragazzi abbiano mai vissuto. 
Non si sono mai visti crescere, non si sono mai lasciati e poi rincontrati, non si sono mai guardati negli occhi davanti ad un altare, né hanno mai avuto alternativa alla loro relazione. Non hanno mai supportato l’altro durante la gravidanza, né dibattuto sul nome da dare al nascituro. Non lo hanno mai visto nascere, né crescere, studiare, vincere, perdere, amare, piangere, mettere su famiglia, invecchiare. Un po' come loro. 
Tanti anni fa ebbi la fortuna di parlare con un amico della coppia uccisa a Calenzano. Stefano e Susanna. Ero agli inizi dei miei studi e gli chiesi di raccontarmi di quei giorni. Mi raccontò di come seppe della morte dei suoi amici, della incredulità, della disperazione e della paura. Mi disse che a volte pensava al fatto che se quella notte di Ottobre i suoi amici non avessero avuto voglia di far l’amore, magari, oggi, i loro figli avrebbero avuto la stessa età dei suoi. Magari sarebbero cresciuti assieme, avrebbero frequentato le stesse scuole e magari, sì, giocato insieme a pallone. Un po' come loro. 
Ho una sorella molto più piccola di me. Ha la stessa età di Pia. Una bambina. Non una ragazza, ma una bimba. Non riesco a vederla altrimenti. E per deformazione professionale penso a chi, Pia, se l’è trovata di fronte quella notte di Luglio. A chi le ha rivolto contro un’arma. Non ha visto quei tratti dolci del viso o la pelle ancora levigata dalla natura. Non ha visto tutte le possibilità che la sua età le poteva offrire. Ha visto altro e lo ha preferito a Pia e Claudio. 
A volte li dimentico, tutti loro. Tutti e sedici. 
Li abbiamo trascinati in chiacchiere da tastiera in quel becero vocio da social network che ha gravemente confuso il diritto di libertà di manifestazione del pensiero con quello di dire quel che si vuole. 
E credo che nessuno potrà mai perdonarci per questo. Soprattutto Loro. 

Anni fa mi trovai bordo lago (non Trasimeno, tanto per sviare dubbi sul tema) seduto su una panchina a parlare con uno dei protagonisti di questa storia. Gli raccontavo le mie idee, i miei dubbi, gli spunti e quelle che narcisisticamente ritenevo essere validissime intuizione riguardo a chi, quelle notti, aveva ucciso sedici ragazzi senza…
Lì mi fermo e mi chiese perché sedici. 
Sorpreso, risposi che era il numero dei ragazzi uccisi. Otto duplici omicidi, quindi sedici corpi.
Mi interruppe nuovamente e con la mano mi fece cenno che no, non erano sedici, ma molte di più.
Intuii dove voleva andare a parare, così fui io ad interromperlo quella volta assecondando la sua correzione e suggerendogli - per mostrarmi preparato - che, certo, si riferiva alle morti collaterali, le prostitute, chi incaprettato e mutilato, chi impiccatosi coi piedi che strusciavano per terra… 
Ancora quella mano che diceva no, no Enea, sono ancora molte di più. 
Pensai di rispondere aggiungendo il lavoratore della terra agricola col maglione tirato su, ma prima di pronunciare il suo nome capii che forse, quel signore di fronte a me, voleva solo che rimanessi in silenzio, perché la risposta non era in nessun nome. 
Siamo noi, mi disse. Io e te. Ma non solo. Chi sulle scene del delitto si è chinato sui corpi per descriverli nel verbale, chi in divisa si trovava ogni estate col timore di sentire i rintocchi della Calibro 22 che sancivano un loro nuovo fallimento e chi ci credeva davvero; chi era in quell’aula di tribunale a prendere appunti da trasporre in un articolo di giornale, o chi sui banchi nella convinzione di far giustizia e chi invece deciso a difenderla; chi era lì a decidere; chi a casa davanti alla tv; chi dentro quelle macchine ci ha lasciato un amico, un amore mancato, una sorella, un fratello, un figlio o una figlia o un nipote o chi in quegli occhi spenti ha visto solo sé stesso e da quel giorno non ha fatto altro che collezionare articoli di giornale; chi ha aperto un blog, chi ha passato le notti a ricopiarvi sentenze, chi ci ha scritto un libro, chi due, chi ci ha fatto un film o un documentario dvd con contenuti speciali, chi si mette un microfono in mano per parlare ad una folla di appassionati in un qualche circolo toscano, chi ne parla alla radio, chi ne scrive per lavoro e chi passa le giornate a spulciare e commentare pagine Facebook dedicate al tema. 
Siamo noi, che ci pensiamo ogni singolo giorno della nostra vita. Vittime collaterali di questa storia. Certamente non equiparabili a quei ragazzi, ma comunque vittime, chi in un modo o chi nell’altro, di quegli spari nel buio. 
Siamo noi che mentre ne parliamo, scriviamo ed ascoltiamo di questa triste vicenda ci lasciamo trasportare dall’entusiasmo di scoprire chi li ha uccisi. Chi è l’uomo che si cela - appunto - dietro il Mostro. Altre volte, invece, ci sorprendiamo quando alla letta di un articolo su un giornale o di una news su qualche blog ci prende il timore che alla fine quel mostro non sia poi il nostro mostro. La percepiamo, distintamente, quella punta di timore di vedersi sfuggire dalle mani la propria idea e che tutto questo ricercare, sia ormai finito. 
Io la sento e me ne vergogno. Terribilmente. 
Abbiamo paura - tutti - di rimanere delusi dall’avvilente banalità che talvolta si nasconde dietro il male. E prima lo confessiamo a noi stessi, prima riusciremo ad affrontare il nostro mostro che ci ha reso vittime inconsapevoli (solo per noi, non per lui sia chiaro) delle sue azioni. 
Perché a cinquant’anni da quel 21 Agosto 1968 siamo ancora qua ad affrontare il nostro mostro. Galleggiamo alla deriva nella vergognosa speranza di non vederci disillusi dalla verità e nell’eccitante timore che il nostro più inconfessabile tra i pensieri non si realizzi.
Mai più.
21.08.2018

                                                                                                    E. Oltremari


Diversamente dal solito, per questo nuovo appuntamento, ho preferito iniziare con alcune righe scritte il ventun agosto scorso in quello che è stato il cinquantesimo anno dopo il delitto di Castelletti del 1968. 
Non lo pubblicai al tempo solo perché il clima di quei giorni le avrebbe poste nella coda delle tante parole, trasmissioni, dirette, presentazioni, articoli che si sono susseguiti. Adesso, invece, rappresentano quanto di meglio avrei mai voluto considerato che stiamo arrivando ad un punto nevralgico del nostro percorso. 

Sarebbe pretenzioso ed assolutamente riduttivo trattare, anche solo per il poco spazio fruibile al lettore, di un delitto come quello del Settembre del 1985 dove si è già scritto così tanto e bene da rinviare con piacere - e massimo rispetto - ai lavori di altri Autori (F. Cappelletti, V. Adriani, P. Cochi, M. Bruno solo per citarne alcuni delle più recenti pubblicazioni) che hanno dettagliatamente già analizzato quello che rappresenta uno dei più complessi tra i delitti dell’assassino delle coppiette.
Così, dato la superfluità di ritrattarlo dal punto di vista criminalistico,
preferiamo trarre a nostro vantaggio la componente criminologica utilizzando questo ultimo delitto come conferma (o smentita, sia chiaro) di quanto fin ora raccolto nei nostri precedenti appuntamenti. Questo nuovo incontro sarà suddiviso in due parti, la prima come raccolta e schematizzazione dei dati ad ora emersi e la seconda di raffronto con l’ultimo delitto della serie e la predisposizione analitica di un profilo. 
Ci poniamo, quindi, nell’ottica di chi si trova dopo il 29 Luglio 1984 - e prima del Settembre dell’anno successivo - quando un omicida ha appena trucidato due fidanzati appena diciottenni e ci chiediamo: quali dati abbiamo fino ad ora? 

Circa la profilazione prettamente biografica abbiamo ipotizzato un soggetto di sesso maschile, residente all’interno della provincia fiorentina, buon conoscitore delle aree dove ha colpito, abile nel muoversi in condizioni di sfavore (al buio e nella boscaglia), medio sparatore e buon utilizzatore della lama, capace di modulare le proprie reazioni in base alle circostanze che gli episodi - anche imprevisti - richiedono. 
In sette duplici omicidi non contiamo alcuna segnalazione certa. Nessuno lo ha visto in azione se non, forse, un bambino che poca ricorda e quel poco è molto confuso ed un guardone che magari ha visto soltanto dei corpi privi di vita ma non quanto accaduto poco prima. Considerato i luoghi dove ha colpito (aree che seppur appartate non si presentavano come totalmente al riparo da vie asfaltate o comunque sguardi indiscreti) è plausibile che l’omicida li conoscesse molto bene o che comunque avesse avuto il tempo ed il modo di studiare i suoi assalti così da rendere maggiormente efficace l’aggressione soprattutto in relazione all’economia dei tempi non certo esigui dato ciò che sarebbe andato a realizzare. Ci è lecito altresì ipotizzare un’appartenenza dell’omicida ai luoghi dove ha colpito. Tutti circoscriventi l’area fiorentina ma nessuno all’interno del comune del capoluogo toscano. Punto, quest’ultimo, che verrà trattato in un capitolo specifico sul tema del profilo geografico.
Circa invece la componente soggettiva, il nostro omicida sembra rispettare rigidi canoni di comportamento che dirigono il suo agire verso il più spietato dei fini. L’assassino - come già descritto nel precedente appuntamento a cui rimandiamo - sembra rispondere ad un proprio codice che applica all’azione postasi di fronte a lui. E quale è questa condizione? 
Due persone appartate tra loro in apparenti atteggiamenti amorosi ed in un luogo pubblico durante un giorno festivo o prefestivo.
Fra queste condizioni che potrebbe comportare un minimo di dibattito è quella degli atteggiamenti amorosi applicabile al duplice delitto del 1983 (di cui però abbiamo già trattato ed a cui rinviamo per le conclusioni sul tema L'uomo dietro il mostro 8) ma le altre - vittime, luogo e tempo - appaiono costanti in tutti e sette i casi da noi esaminati. 
Sembrerebbe, dunque, che l’omicida abbia diretto la propria azione mortifera all’interno di una situazione che riteneva così biasimevole da applicargli una pena - la morte - e delle pene accessorie - colpi post mortem ed escissioni - come corrispettivo di quanto concretamente le coppie stavano facendo, calibrando quindi la sua offensività sui cadaveri in relazione alla colpa commessa in un lineare principio di legalità e certezza della pena. 
Proviamo, allora ad analizzare analiticamente questi condizioni che creano la situazione meritevole di punizione.
In tal senso aiutiamoci con una rubricazione, approssimativa ma utile alla comprensione, che suddivide questi termini in comportamentale, modale, locale e temporale
Il primo fra questi, comportamentale, si riferisce alla colpa principale delle vittime, a loro tutta comune e cioè il compiere atti sessuali non in costanza di matrimonio o in atto di adulterio o comunque non ai soli fini procreativi
Il secondo, modale, ricomprende - invece e più nello specifico - la concreta azione svolta dai giovani al momento della loro uccisione o comunque dell’aggressione. Fra queste possiamo considerare - ad ora - i soli c.d. preliminari visto che nessuna coppia al momento dell’aggressione stava avendo un rapporto sessuale completo, mentre forse solo una di questa (Vicchio 1984) vi fosse andata molto vicino. Come preliminari dobbiamo qui considerare sia le semplici effusioni, sia gli strofinamenti, sia fellatio o azioni manuali, ovvero tutti quei comportamenti che precedono l’atto sessuale completo. 
Il terzo, locale, si riferisce ai luoghi dove l’azione sessuale viene commessa. Sono tutti luoghi pubblici. Stradine sterrate, spiazzi lungo una via, campi e tratturi a non più di 50m da una via principale. In ogni caso, si trattano, tutti, di luoghi pubblici e manifesti, cioè all’aperto, non fra quattro mura e dove nessuno avrebbe potuto limitare l’accesso ad occhi di terzi indiscreti. L’azione sessuale benché compiuta all’interno di una vettura era comunque parcheggiata in uno spazio aperto passibile quindi di essere visti da terzi o ancor peggio, come sappiamo essere accaduto, da un bambino. 
Il quarto ed ultimo, temporale, si riferisce a quando questi delitti venivano posti in essere. Ricordiamo allora i venerdì, i sabati e le domeniche fra le quali contiamo anche una pentecoste ed un’altra esaltazione della santissima croce ricalcante una festività cristiana - di origine però celtica - chiamata delle c.d. tempora, da celebrarsi quattro volte l’anno (una per ogni stagione). Così riassunte queste quattro regole (che saranno meglio approfondite nella seconda parte di questo episodio), descrivono di volta in volta quella situazione che l’omicida ripaga con la morte prima (per i rei, in funzione retributiva) e con le escissioni post mortem poi (per i posteri, in ottica deterrente). Ed è questa una situazione questa - in tal modo suddivisa - che verrà soddisfatta anche da quella del Settembre 1985 dove due turisti francesi verranno uccisi mentre erano nudi all’interno della loro tenda da campeggio piantata in una piccola radura a lato di una via trafficata in un venerdì (o sabato)
settembrino. 
E sarà anche qui rispettato lo stesso principio di colpa e pena come espresso negli anni precedenti dove il maggior avanzamento dell’atto sessuale della coppia, intuibile dalla maggior nudità dei corpi, verrà ripagato dall’assassino con l’escissione del pube e del seno sinistro della vittima femminile e con i molti colpi inferti a quella maschile (di cui comunque parleremo nella seconda parte). 
Ci troveremo allora anche qui di fronte a quella scena ricercata e punita dall’omicida rispondente a quei quattro termini sopra esposti che compongono l’oggetto della sua missione. 
Solo che questi quattro termini, che troviamo violati in ogni delitto attribuito al Mostro di Firenze non me li sono inventati ora io - non vagliatemene per il piccolo bluff - estrapolandomi ex post dall’analisi delle scene, ma sono già stati descritti da qualcuno qualche tempo fa. 
Niente di male se non fosse che la predica circa la commissione di questi peccati mortali, così descritta in questi quattro canoni e così rispondenti a questi delitti, sia stata scritta prima della commissione di questi. Più precisamente nel 1477. 
(segue…)

domenica 9 settembre 2018

venerdì 7 settembre 2018

mercoledì 22 agosto 2018

domenica 29 luglio 2018

giovedì 26 luglio 2018

L'Uomo dietro il mostro 9 di E. Oltremari

Domenica 29 Luglio 1984 - Loc. Boschetta, Vicchio. 

“È stato alquanto difficile scrivere riguardo questo duplice omicidio che verrà oggi preso da spunto per iniziare a decifrare - seppur timidamente - la fantasia che ha spinto l’assassino ad uccidere. Disegnare i corpi delle vittime è stato straziante. Più del solito. La loro giovane età, non potrebbe mai essere resa da nessuna matita. Soprattutto da quella di un dilettante come me. Ad ogni sguardo su quei volti levigati, ripenso alla drammaticità del tema che stiamo affrontando e di quante volte giochiamo su quanto accaduto a quei ragazzi. Non dovremo permettercelo, mai. Anzi, a voler essere sinceri, non dovremo permetterci un sacco di altre cose. Ma questa è un’altra storia di cui un giorno, forse, parlerò. Ora che entriamo nel vivo di questo percorso cercherò di rendere puntuali gli appuntamenti nonostante le ferie. Nel caso ritardassi, come questa volta, chiedo preventivamente venia. Detto questo, auguro una buona lettura a chi legge e buone vacanze.” 
E.O. 

Percorrendo la strada provinciale Sagginalese, in direzione di Vicchio, sulla sinistra, c’è un viottolo sterrato, lungo circa 58 metri e delimitato a destra ed anteriormente, per chi vi accede, da un terrapieno alto circa 7 metri e ricoperto da vegetazione incolta; a sinistra, invece, è coperto da cespugli e sterpaglie oltre i quali si trova un campo coltivato da erba media. Sulla parte terminale del suddetto sentiero è parcheggiata una Fiat Panda 30, di colore celestino, avente la parte anteriore in direzione della provinciale. 
Gli sportelli sono chiusi, di cui quello sinistro e posteriore con le sicure inserite; il vetro del finestrino sinistro abbassato per 8 cm; il vetro del finestrino destro è totalmente frantumato. Quasi al centro del paracolpi in plastica nera della portiera destra, che è uniformemente cosparso di polvere, si notano due aloni di forma semi circolare, del diametro di cm. 10x6 derivati da asportazione di polvere le quali distano dal suolo 60 cm. Le stesse che verranno utilizzate dai periti per ipotizzare un’altezza dell’omicida ben superiore ai 185 cm grazie ad una stima dell’altezza tibiale.
Sullo sportello destro, a circa 25 cm dal bordo sinistro del finestrino, in prossimità del canale di scorrimento del vetro si presenta una vistosa grossa goccia di sangue coagulata. Sul montante posto alla base di detto sportello, parte mediana, c’è una macchina di sangue a superficie striata verticalmente che ricade sul terreno sottostante, ove si nota che un fazzoletto di carta (anche qui) e l’erba posta nell’immediata vicinanza macchiata di sostanza ematica. A cm. 40 dalla suora anteriore destra, sul terreno, perpendicolare alla base della fiancata dell’autovettura, c’è un bossolo cal. 22 col fondello percosso. 

La chiave di accensione è inserita nel quadro mentre i sedili anteriori sono completamente ribaltati in aventi. L’aletta del parasole sinistro è abbassato. Nel vano della plancia si trova un contenitore in plastica di videocassette e nel portaoggetti dello sportello destro una copia de LA GAZZETTA DELLO SPORT del 25.05.1984 sul cui pagina 7 si nota una macchina di sangue, di forma tondeggiante, dal diametro di 2 cm. 
In prossimità del pulsante di blocco interno dello sportello destro sono presenti striature di sostanza ematica poste diagonalmente; nella parte sottostante di queste, su altre tracce di sostanza ematica, sono residuati vari peli di colore nero. Sui tappetini poggiapiedi, con più accentuazione per quelli posteriori, troviamo i frantumi del vetro del finestrino in parte sporchi di sangue. Sul tappetino destro c’è una torcia elettrica di colore blu. Sotto il sedile anteriore destro, tra i ferri di scostamento, si trovano un paio di jeans di colore blue, un paio di mocassini di stoffa di colore rosso, una borsa in pelle marrone da donna nonché un bossolo cal. 22. 
Sul tappetino posteriore sinistro a cm 30 dalla base dello sportello e a cm. 20 dalla base del pianale posteriore un altro bossolo mentre un altro è a cm. 34 dalla base dello sportello e a cm 3 dalla base del pianale. 
Sulla guida sinistra del sedile sinistro, parte terminale posteriore, è presente un altro bossolo; sotto di questo due scarpe di colore bianco da uomo. 
Sul pianale posteriore, interamente ricoperto da moquette azzurro parallelamente alla fiancata sinistra, piegati a libretto uno sull’altro, ci sono il sedile e la spalliera; quest’ultima ha la superficie macchiata in più parti di striature di sostanza ematica e sul bordo superiore, parte mediana, dei residui di sostanza coagulata organica. Sotto il sedile suddetto ci sono: un paio di pantaloni da uomo di colore verde di tipo militari, macchiati di sangue (entro i quali verrà ritrovato il portafoglio del ragazzo trapassato da un proiettile, ritenuto nella tasca) ed una coperta, nell’angolo posteriore sinistro del pianale, una scatolina di metallo, colore verde o bianco, contenente una bustina con all’interno un profilattico. Un’altra bustina vuota di profilattico è tra le coperte assieme ad un orologio di metallo bianco. 
Sul vetro del lunotto laterale destro, sono presenti vari schizzi di sangue in massima parte puntiformi; altri schizzi si notano sulla superficie laterale destra del lunotto, per chi osserva dall’interno.

Sulla destra del pianale, giace, sul fianco sinistro, il cadavere del ragazzo. E’ rigido, cereo, inodore, freddo, integro, senza pantaloni, con la testa rivolta al portellone posteriore, alla cui base aderisce con la regione parietale; gli occhi e la bocca sono chiusi, il viso è sporco di sangue e poggia con la guancia sinistra; dalla boccia fuoriuscita della sostanza organica. Questa è intervenuta dopo i primi colpi ricevuti segno di indici di vitalità del ragazzo che l’assassino potrebbe aver represso poi con le molte ferite d’arma bianca. 
Il braccio destro è piagato verso il corpo, ha la mano con le dita leggermente flesse ed è incastrata sotto l’arto del costato inferiore destro; il sinistro è invece piegato sotto il corpo. Il tronco è leggermente ruotato a destra. 
Gli arti inferiori sono uniti e piegati, il destro poggia a sinistra che, a sua volta poggia con la parte esterna sul pianale; i piedi pendolo dal pianale in direzione del sedile anteriore destro. 
Il cadavere indossa una maglia a mezza manica, di colore beige con righe blu, macchiata di sangue con più accentuazione nella parte inferiore; un paio di slip completamente intrisi di sangue ed un paio di calzini bianchi anche essi macchiati di sangue. 
Tutte le superfici utili, allo scopo di porre in evidenza eventuali impronte papillari latenti, sono state cosparse con polvere esaltatrici in alluminio, mettendo così in evidenza due serie di 5 frammenti d’impronte sul montante superiore dello sportello destro. 
Relativamente ai colpi d’arma da fuoco il ragazzo è stato attinto da un colpo in regione auricolare sinistra, penetrato nelle strutture encefaliche in sede temporale, con proiettile ritenuto; un colpo all’emitorace sinistro, poco penetrante e ritenuto nella cute sottostante (dotato di scarsa energia avendo prima frantumato il vetro); un colpo all’ipocentro sinistro che, con tragitto obliquo dal basso in alto e dall’aventi indietro, ha interessato stomaco, diaframma e poltrone sinistro, per fermarsi in regione dorsale, dove il proiettile è stato rinvenuto; un quarto colpo ha perforato i pantaloni determinando - dicono i periti - la lesione contusiva in regione glutea (ma ciò significherebbe che questi li avesse indosso il ragazzo mentre sono stati rinvenuti piegati e sotto il sedile). L’emitorace sinistro è stato inoltre interessato da un frammento di proiettile. 
È stato inoltre colpito numerose volte (10) con uno strumento da punta e da taglio, più precisamente: all’emitorace sinistro (1), al fianco sinistro (2), all’ipocondrio (1), alla fossa iliaca destra (1), all’avambraccio destro (1), alla coscia sinistra (2) ed in regione lombare destra (2) tutte con scarsi indici di vitalità. (Si presenta qui un problema di fonte perché l’esame autoptico differisce dalla perizia nel numero di un colpo inferto). 

Sulla destra della vettura, i rovi ed i cespugli presentano tracce di calpestio verso il campo. Nella parte terminale, all’inizio della coltivazione, si trova il cadavere della ragazza. Giace sul terreno in posizione supina con la testa rivolta verso l’autovettura e ruotata verso sinistra ed i piedi verso un casolare che dista circa 500 metri. 
L’occhio sinistro è semi aperto, l’altro e la bocca chiusa. 
Il braccio destro indotto e disteso lateralmente, poggia con la parte posteriore e la mano cinge (sic) degli indumenti (camicetta e reggiseno) intrisi di sangue; il sinistro, indotto, poggia con la regione radiale. 
Gli arti sono divaricati e distesi. Al di sotto è uno slip tanga strappato (sic) su di un lato. Sulla guancia sinistra una macchina di sangue coagulato che seguendo la linea di gravità imbratta braccio ed ascella. 
Ai lobi degli orecchi orecchini in metallo giallo, al collo una catenina di metallo giallo, spezzata nella parte anteriore, all’anulare ed al medio della mano sistri due anelli in metallo. Al polso sinistro un orologio intriso di sangue col cinturino slacciato. 

La ragazza è stata attinta da un colpo d’arma da fuoco in regione zigomatica mascellare destra che, penetrato nella cavità cranica, ha interessato la regione sfenoidale, la massa encefalica, per essere poi ritenuto a livello bulbare (No, Sig. Lotti non ha gridato mentre la tiravano fuori)
Secondo colpo avrebbe interessato l’avambraccio sinistro ma nella relazione peritale, come per quanto riguarda il fidanzato, si dibatte sull’autonomia di tale colpo. In poche parole se questo fosse quello poi finito sullo zigomo della ragazza (colpo da tramite e da difesa). 
Si presentano inoltre due ferite da punta e da taglio in regione altero cervicale destra, con interessamento dei tessuti molli e del fascio vascello nervoso ma senza danno a carico dei vasi di calibro maggiore. Dette ferite presenta fatti emorragici nei due tramiti. Ancora, purtroppo: sette piccole ferite piuttosto superficiali all’emitorace sinistro, lateralmente alla zona di escissione mammaria; vicine tra loro e non infiltrate. 
Numerose lesioni escoriate da trascinamento
La regione mammaria sinistra ha subito l’asportazione totale della mammella per una superficie rotondeggiante del diametro di 18 cm. Il fondo di tale lesione è grossolanamente piano ed espone il grasso sottomammario per quasi tutta la superficie, ad eccezione della parte inferiore, più profonda, che mette a nudo il piano muscolare. I margini di detta lesione sono abbastanza netti e non infiltrati ma risultano interrotti da piccole incisore a vari livelli; si rileva inoltre l’asportazione del pube, della regione perivaginale, di parte della faccia interna delle cosce alla loro radice e di parte della regione perianale. 
I margini sono netti, precisi continui senza irregolarità ad eccezione della solita piccola insicura ad ore 8. Assenza di infiltrazione e quindi, fortunatamente, di vitalità. 

******
Il duplice delitto del Luglio del 1984 si presenta particolarmente atroce agli occhi di chi guarda per alcuni elementi che, purtroppo, caratterizzano la scena: 1) la giovane età delle vittime; 2) l’escissione - oltre al pube - del seno sinistro della vittima femminile. 
Giunti ormai al nostro nono appuntamento, è tempo ora di affrontare due temi essenziali per la natura di questo nostro percorso: il concetto di colpa e quello di pena

La colpa. 
Dovremo qui distinguere il concetto di colpa da quello di colposo, identificandola invece come un concetto più vicino a quello di imputabilità. Attribuzione, quindi, di un fatto ad un soggetto - di cui ne è autore - in quanto prodotto di una sua azione (od omissione) volontaria, cosciente e consapevole. Nel nostro caso, il fatto attribuibile alle vittime è rappresentato dalla condizione in cui queste si trovano quando (e soprattutto per cui) vengono uccise. E la condizione, come già era stato anticipato, comune a tutte le scene del delitto fino al momento di cui si scrive (ma che comprenderà anche il duplice delitto del 1985) è il trovarsi appartati in luoghi pubblici fra persone non sposate. 
Il celibato poteva tranquillamente dedursi, per l’omicida, già dalla situazione di fatto del trovare due persone, giovani, racchiuse in automobile ad amoreggiare. Difficilmente, difatti, si sarebbero trovate due persone sposate potendo queste beneficiare di una casa dove stare. E, nel caso in cui queste lo fossero state, sarebbe stato plausibile un rapporto fedifrago, e che fossero sì sposate ma non certo con chi era con loro in automobile. Anche se, forse, in quegli anni, chi voleva tradire il proprio partner avrebbe preferito una sistemazione alberghiera. In ogni caso, la giovane età dei bersagli ed il loro trovarsi in automobile ad amoreggiare poteva essere valido motivo per l’omicida per identificarli come non sposati tra di loro. Ed è una situazione, questa, che l’assassino ricerca al fine di lederla, di infrangerla, di punirla. Sia questa commessa tra due giovani in uno stato ormai consumato, sia in uno stato di effusioni, di preliminari o di stretta anticipazione dell’atto sessuale. L’omicida è sempre coerente col suo proposito criminoso, quantomeno in tema di vittime. 
La situazione generale che ricerca - e trova - è sempre la medesima, quantomeno nella fase pre morte: una coppia di giovane (anzi giovanissimi in questo ultimo caso del 1984), non sposata, uccisi nell’immediatezza dell’agguato, durante un giorno festivo o prefestivo, dopo cena (ma mai tanto oltre la mezzanotte), in un luogo appartato ma mai troppo distante da una strada di via principale, facilmente raggiungibile in auto ma anche a piedi, potendovi lasciare la vettura poco distante. Anche in questo delitto - seppur di non facile ricostruzione - vediamo che l’assassino direziona la sua aggressione ad un imminente fine mortifero dei due giovani, mirando al volto dei ragazzi. 
La difficoltà nella ricostruzione risiede nella direzione dei colpi ricevuti dai due giovani (soprattutto l’uomo) e la fonte di questi, ovvero il finestrino lato passeggero. 
Considerando l’ipotesi per la quale i due ragazzi si trovassero già nella parte anteriore della panda, dalla quale era stato divelto il divanetto, si vedrebbe il ragazzo semi-seduto col fianco sinistro rivolto verso il parabrezza/finestrinopasseggero da dove, appunto, provengono i colpi che si infrangono, difatti, sul porzione di corpo esposta. La ragazza, diversamente, poteva essere seduta frontalmente essendo stata colpita allo zigomo destro. 
L’omicida esplode qui 5 colpi d’arma da fuoco, due dei quali diretti al cranio dei due ragazzi con fini evidentemente mortiferi nel senso di giungere alla morte nel modo più rapido possibile come aveva fatto anche negli anni precedenti ad esclusione del delitto del 1974 dove, ancora inesperto, era mancato di mira e precisione preferendo un’irruenza che lo aveva costretto a finire la povera ragazza col coltello. Le altre circostanze collimano così come negli altri delitti. 
Di diverso e di pregevole interesse ai nostri fini è rappresentato da quello che accade dopo la morte dei ragazzi. 
Come tristemente noto e da come si può vedere nelle immagini allegate al testo, l’omicida oltre alla zona pubica asporta anche il seno sinistro della giovane oltre ad altre non meglio identificate ferite (ma credo si possano ritenere da punta e da taglio) poco sotto la zona escissa.
Rispetto a tale punto, si è spesso detto trattarsi di una evoluzione della fantasia dell’omicida che migliora, modifica ed evolve il proprio agire come accompagnamento ad una fantasia che non poteva più appagarsi con la sola asportazione della zona pubica. Andando totalmente controcorrente rispetto al comunemente detto, riteniamo censurabile quest’assunto non riconoscendo nell’attività post mortem dell’assassino alcuna evoluzione, se non in un solo caso come verrà di seguito spiegato.
Il termine evoluzione, nei termini di cui sopra, può essere considerato come un sinonimo di sviluppo, trasformazione, miglioria, qui, fra due elementi di cui, questo cambiamento rappresenta, appunto, un logico passaggio graduale fra questi.
A ben vedere però il tema dell’evoluzione, nei comportamenti umani, mal si confà quando un’azione umana è dettata ad un evento esterno. Quando cioè questa rappresenta la reazione ad un input. Basti pensare a qualsiasi nostra reazione emotiva e quindi comportamentale. Questa si evolve, presentando dei cambiamenti dettati dal nostro io e dal nostro bagaglio esperenziale quando l’input si presenta come uguale e costante, diversamente avremo input differenti e conseguentemente reazione diverse. Come possiamo considerare l’evoluzione di un comportamento come tale se questo è dettato da una situazione diversa dalla precedente. Davvero riteniamo di poter considerare come la trasformazione di una fantasia quella dettata da uno stimolo diverso. O potrebbe essere, più correttamente, essere considerata come una reazione a sé, coerente con le proprie convinzioni, con il proprio credo, ma dettata non da una propria evoluzione autogena ma da input esterni diversi.
Troveremo così più corretto identificare tale pratica post mortem dell’omicida che si sussegue negli anni, non come evoluta, bensì some modulata. Quella che sembra una mera bizza lessicale, presenta invece - a nostro avviso - notevoli e sostanziali conseguenze.
Pensiamo ai delitti fin ora affrontati.
La situazione generale, come prima descritti è comune per ogni delitto. Quella particolare, invece si distingue di volta in volta, generando - ovviamente - reazioni diverse in chi lo osserva.
Iniziamo così ora ad introdurre il concetto di pena.
Contando tutti i delitti ad ora avvenuti, questi presentano condizioni particolari diverse tra loro. Benché difatti si tratti sempre di una coppia appartata con le caratteristiche soggettive ed oggettive descritte, l’atteggiamento e la situazione con cui queste si presentano all’omicida sono diverse ogni volta, tanto da suscitare in lui reazioni differenti, oltre alla comune morte di cui tutti loro erano - per lui sia chiaro - meritevoli. Come ben tutti noi sappiamo, il grado di vestizione di due persone è un chiaro indice di una sessualità più o meno avanzato. Due persone completamente nude, avranno un tenore sessuale ben diverso rispetto a due vestite o semi-spogliate. E se nell’intenzione dell’omicida vi è un evidente motivazione di uccidere una data situazione di due persone tra di loro appartate, potrebbe questa generare in lui diverse fantasie lesive qualora la situazione fra i due sia ad un grado diverso rispetto ad un altro.
Ricordiamo i due duplici omicidi del 1981, dove le coppie vengono uccise in un primo momento di svestizione, durante - probabilmente date le circostanze - i preliminari. Qui l’omicida, ad una situazione generale e particolare pressoché identica, reagisce in una funzione maggiormente punitiva rispetto alla morte, con l’escissione del pube e con altre ferite da punta e da taglio in quelle zone (Ottobre ’81) coperte invece nel delitto del Giugno dello stesso anno.
Basta osservare i due ritratti per poter apprezzare le incredibili somiglianze tra i due delitti.


Stessa considerazione potrebbe essere fatta per il delitto del 1982 e quello del 1968 (anche se, in merito a questa corrispondenza sarà presente più avanti un apposito approfondimento). Anche qui, le due coppie, completamente vestite se non per i pantaloni solo sganciati della vittima maschile del 1968 non porta al compimento di alcuna azione lesiva aggiuntiva, in quanto come già detto in Udm7 la condotta omicidiaria poteva già ritenersi esaurita con la semplice (mai parola potrebbe essere più scomoda) morte dei giovani, rei di una colpa meno grave rispetto ai coetanei precedenti.
L’omicidio del 1983 presenta invece una situazione per l’omicida in cui non si era mai imbattuto, ovvero due uomini, ma che presenta le stesse caratteristiche generali di cui sopra e che non provoca in lui alcuna attività susseguente alla morte né correttiva (vd. L'uomo dietro il mostro 8).
Arrivando ora al 1984, l’assassino si trova di fronte ad una situazione: ragazzo in mutande, calzini e maglietta con forse indosso i pantaloni (che poi l’omicida avrebbe sfilato o a cui avrebbe sparato perché tenuti sollevati dal ragazzo?), ragazza completamente nuda ad eccezione delle mutandine che da rapporto vengono descritte come strappate e quindi non tagliate come per quello delle vittime del 1981. Particolare questo che riconferma quanto già detto in merito (vd. L'uomo dietro il mostro 5), ovvero che queste risultano tagliate quando l’assassino ha già in mano la lama per averla utilizzata per recidere i pantaloni (o la gonna) seguendo quindi la linea del suo agire, quando invece la ragazza indossa solo quelle (1974 e 1984) è l’assassino stesso a strapparle, non avendo nessun ostacolo da recidere tra lui ed il pube.
È la prima volta dal 1974 che l’omicida si trova di fronte la stessa situazione generale e particolare. Le altre (1981, Ottobre 1981, 1982 e 1983) erano difatti tutte diverse.
E qui, per la prima ed unica volta, la fantasia dell’omicida - e conseguentemente il suo agire da questa dettata - compie una evoluzione quando appunto l’input che riceve è il solito, dopo 10 anni in cui è sia anagraficamente che omicidiariamente più maturo. Osserviamo la somiglianza fra le vittime e come queste vengono ritrovate, a nostro avviso impressionante.




Non sarebbe forse erroneo considerare la morte come “pena principale” ed i colpi post mortem o le escissioni come “pene accessorie”. Pena, principale ed accessoria, che in perfetta sintonia con i principi dell’età dei lumi racchiuderebbe in sé sia il proprio carattere retributivo sia general preventivo o deterrente. Il carattere retributivo si manifesta come corrispettivo di quanto commesso dalla coppia al momento in cui questa viene in contatto con l’omicida. Alla maggior nudità dei corpi e quindi al maggior coinvolgimento sessuale della coppia, l’omicida corrisponde una pena base consistente nella privazione della vita, ed altre accessorie come i colpi post mortem o le escissioni. In ottica retribuita, alla maggior esposizione del corpo nudo (e di conseguenza anche dell’attività sessuale consumata) l’assassino infierisce maggiormente sui corpi delle vittime, concentrandosi maggiormente su quello della donna, meritevole quindi di maggior pena.
Il carattere preventivo della pena esplica invece il suo effetto deterrente nell’opera di messa in scena an plein air dell’opera delittuosa. In tutti i delitti (eccetto quello del 1985, non a caso l’ultimo) attributi all’omicida delle coppiette, l’omicida non occulta mai i cadaveri. Non tenta di nascondere il frutto della sua azione, ma anzi lo esalta.
L’omicida lascia agli occhi dei propri spettatori una orribile rappresentazione del suo agito. Spettatori composti sia dagli organi inquirenti sia, grazie all’opera dei mezzi di comunicazione, la collettività stessa. Lungi dal rischiare di porgere un complimento con questo termine ad un perfido assassino, la “teatralità” in questo caso identifica una particolare attenzione dell’omicida per il momento in cui verranno ritrovati i cadaveri.
L’omicida utilizza, quindi, la pubblicità data ai suoi omicidi come mezzo per inviare un messaggio a quella collettività di cui lui stesso fa parte ed al contempo sente di dover educare. Le orribile nefandezze dell’assassino, dunque, riecheggiano indirettamente in ogni dove mandando un messaggio ben preciso e purtroppo non sempre compreso: non dovete voi compiere questi atti, in questi luoghi ed in questi momenti altrimenti la punizione che meritate è questa. Il tutto sotto forma di un vero e proprio principio di legalità: chiarezza sul fatto vietato e conseguenze per questo stabilite.
La cosa curiosa, è che l’omicida, il Mostro, qua, non si inventa niente. Anzi, prende appunti e copia, riproducendolo a sua immagine e somiglianza.
Perché sì, tutto quello che fa era già stato scritto. E non da lui.

Segue... (A settembre).

lunedì 9 luglio 2018

L'Uomo dietro il mostro 8 di E. Oltremari

Venerdì 9 Settembre 1983 - Loc. Giogoli, Scandicci.
 
“Perdonate l’Off Topic, considerato il calore di questi giorni, ma tornerei a parlare dei delitti del Mostro di Firenze”.
E.Oltremari

Lungo Via di Giogoli, a circa 100 mt. dall’inizio della strada, troviamo sulla sinistra uno spiazzo di forma rettangolare delimitato a destra e di fronte da uliveti ed a sinistra da una siepe che si erge a ridosso di un muricciolo in parte diroccato. Al centro di questi si intravede un passo che immette in un terreno incolto. 
In mezzo allo spiazzo è parcheggiato - con la parte anteriore in direzione del passaggio verso il campo - un pulmino Volkswagen di colore verde chiaro, la cui parte posteriore dista dalla strada circa 8 m. mentre la ruota anteriore sinistra, circa tre metri e mezzo dal muricciolo. Sparsi per terra, in un vasto raggio, si rinvengono resti di riviste pornografiche in lingua italiana.
Le due portiere della cabina di guida ed il primo sportello laterale destro sono completamente aperti (sic).
Sul vetro del secondo sportello laterale destro (a cm. 20 dalla base e sempre a cm 20 dal bordo destro), una soluzione di continuo (foro di proiettile) a forma rotondeggiante con rotture radiali e concentriche con stacchi di vetro sulla parete interna.
Sul vetro fisso, per tre quarti opaco, posto a sinistra del secondo sportello, è presente analoga soluzione a cm 10 dalla base e cm 12 dal bordo sinistro. Sulla fiancata sinistra sono presenti altre soluzioni di continuo: una a bordi introflessi e precisamente sulla carrozzeria a cm. 70 dallo spigolo laterale destro e cm 90 dal bordo inferiore; una sul vetro fisso a cm 12 dalla base e a cm. 10 dal bordo della cornice destra; altra sul secondo vetro fisso a cm 9 dal bordo inferiore e cm 28 dal bordo destro.
Sul terreno sottostante il tubo di scappamento è presente una macchia di sangue coagulata mentre a metri 1,10 in verticale dalla ruota posteriore sinistra e a metri 1,30 dal tronco di una pianta posta a ridosso del muricciolo, troviamo un bossolo cal. 22 Winchester con il fondello percosso.
All'interno della cabina di guida si osservano: l'autoradio inserita sul cruscotto in funzione, sul lato destro alcune scatole di succhi di frutta aperti, sul sedile lato sinistro si trova un cuscino e sul lato destro un secondo bossolo Winchester cal. 22 con il fondello percosso.
Internamente, nella parte posteriore dove si trovano i cadaveri, troviamo: addossati alla parte posteriore della cabina di guida, una bacinella contenente indumenti vari; sul pianale, due paia di scarpe in mezzo alle quali si trova un terzo bossolo. Accatastati tra loro ci sono indumenti e coperte varie. A sinistra, un letto a due piazze su cui giacciono in parte avvolti tra le coperte in più punti macchiati di sangue i cadaveri dei due turisti tedeschi, entrambi di 24 anni.
Il primo è freddo cereo, rigido, emanante cattivo odore. È seminudo e giace supino. La testa flessa in avanti poggia con la regione occipitale all'angolo sinistro del furgone. Gli occhi sono chiusi e la bocca aperta. Gli arti superiori sono abdotti con gli avambracci leggermente piegati. Le mani con le dita flesse poggiano sulla regione epigastrica. Il volto ed il torace sono ricoperti di sangue coagulato mentre sul dorso si osservano macchie ipostatiche. 
È stato colpito da quattro colpi d’arma da fuoco: - uno in regione zigomatica mascellare sinistra, con tramite obliquo dal basso verso l’alto e dall’avanti all’indietro, interessante la base cranica e l’encefalo, con proiettile ritenuto in regione occipitale; - un colpo all’emilabbro sinistro, con proiettile ritenuto nell’arcata dentaria superiore; - un colpo tra il 1° ed il 2° dito della mano sinistra;  -un ultimo di striscio alla coscia sinistro.

Il secondo è anch’esso freddo, cereo, rigido ed emanante cattivo odore. Seminudo, giace prono con la testa rivolta all'angolo anteriore sinistro del furgone e vi poggia con la regione occipitale temporale sinistra. Gli arti superiori indotti con gli avambracci piegati cingono un cuscino in parte macchiato di
sangue. Le mani e le dita sono flesse. È stato colpito tra due colpi d’arma da fuoco: - uno in regione occipitale non oltrepassante il tavolato osseo; uno all’ipocondrio destro dal basso verso l’alto in senso latero mediale e da destra verso sinistra interessante fegato, diaframma, pericardio, cuore e polmone
sinistro, con proiettile ritenuto nello spessore del muscolo pettorale sinistro; - un colpo in regione glutei sinistra, al quadrante superiore mediale, con tramite dal basso verso l’alto e dall’avanti all’indietro, interessante il peritoneo posteriore e lo stomaco con proiettile ritenuto nello spessore della parete anteriore dell’addome.

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Se il duplice delitto dell’Ottobre 1981 può averci suggerito indicazioni circa il quando e quello del Giugno 1982 circa il dove, l’assassinio dei due turisti tedeschi del 1983 potrebbe aiutare a rispondere a quesiti circa il chi
Oramai, al nostro ottavo appuntamento, appare chiaro quali sia il nostro modo di agire: individuare le anomali, verificare in modo critico se queste possono essere definite realmente tali, domandarci il perché, inserirle nel quadro di insieme. 
Lo abbiamo fatto per i due precedenti delitti e così faremo anche per questo che, con la sua assoluta unicità in tema di vittime ci impone, preliminarmente, di sottolineare - seppur brevemente - alcune tematiche vittimologiche.
Trattare di omicidi seriali, come nel caso di specie, comporta inevitabilmente il soffermarsi su coloro che rappresentano la controparte di questo spiacevole rapporto omicidiario: le vittime. 
La vittima, nella sua personificazione, riveste per l’omicida un contenitore umano entro il quale potervi inserire svariati componenti emozionali: odio, amore, invidia, gelosia, disgusto, ammirazione, compassione
Situazioni, quindi, che ciascuno di noi, solitamente, vive nella propria quotidianità, nel naturale rapportarsi nelle relazione interpersonali. Ognuno di noi, difatti, si rapporta alle persone che lo circondano sulla base di un sentimento, anche solo unilaterale, che li lega a (o divide da) loro.
Capita, però, che alcuni soggetti - da leggersi assolutamente Perché uccidono - si mostrino incapaci di distinguere la persona dal sentimento che ne suscita così da identificare questa - in una precisa ottica di spersonalizzazione - non come una figura umano, ma esclusivamente col sentimento contenuto in questa. 
Pertanto, la vittima, perde la propria capacità di essere sentimentalmente attiva divenendo un esclusivo generatore per un moto emotivo altrui. Quando si sostiene, magari troppo superficialmente che gli psicopatici non provano emozioni o non hanno sentimenti, sbagliamo. In realtà, credono che siano gli altri a non provarli. Le vittime diventano, quindi, meri corpi inanimati i quali racchiudono un sentimento che l’omicida prova per loro. Ammassi di carne ed ossa privi di qualsiasi valore umanizzante, ormai mezzo materiale ove proiettare le proprie angosce, i propri demoni, i propri simboli ed anche i propri messaggi. 
Nei delitti del Mostro di Firenze la vittimologia è, appunto, peculiare. 
Non si tratta difatti della sola figura femminile, tanto che potremo censurare qualsiasi affermazione sulla scia de il suo reale obbiettivo tra i due era la donna come un grossolano errore di interpretazione. Così fosse, difatti, l’omicida avrebbe ricercato - come tanti altri assassini e come magari uno in particolare di cui parleremo in un prossimo lavoro come anticipato in UdM7 - le sole donne, magari da sole, di ritorno da casa o da lavoro. 
Non erano il suo interesse. Non lo erano al punto di preferire l’eventualità di doversi confrontare con uno sfidante, un avversario, un altro uomo.
La coppia. Due persone, sempre. E questa sì che diventa una nostra costante: la presenza di due vittime. Ogni volta un duplice omicidio. 
Un uomo ed una donna. Ogni volta? No. Come ben sappiamo, in questo duplice omicidio del Settembre 1983 vengono uccisi due ragazzi tedeschi in vacanza in Italia. Due uomini. 
Poco distanti dal loro pulmino - il cui van era stato adibito con una branda a due piazze a dormitorio - vengono ritrovati brandelli della ristampa di un giornaletto pornografico gay stralciato con una lama (non quindi strappato) e che non presenta segni di deterioramento dato dal tempo né da agenti atmosferici. Segno, quest’ultimo, che dovevano trovarsi lì da poco tempo. 
Questo - unito alle voci di frequentazioni da parte di uno dei ragazzi di locali dell’ambiente omosessuale, l’orecchino portato da uno di questi e comunque la  condizione di essere entrambi in mutande, l’uno accanto all’altro, prima di coricarsi - portò a far circolare la voce di una presunta omosessualità dei due e che quello stralcio di rivista fosse appunto una sorta di rappresaglia verso il mondo omosessuale. 
E qui si forma la prima delle eventualità inerenti a questo delitto: l’omicida ha ucciso una coppia di omosessuali.
Altra ipotesi, vede l’assassino sbagliarsi. Tratto in inganno dal taglio di capelli di uno dei due ragazzi, confonde uno di questi per una ragazza esplodendo i colpi verso quelli che crede essere una coppia di amanti. La domanda che ci poniamo adesso è: se l’omicida ha confuso il ragazzo per una donna, questi cosa stavano facendo? 
In sintesi, se davvero l’omicida si è sbagliato, significa che i due ragazzi erano posti tra loro in tal modo da fargli presumere che questi fossero un uomo ed una donna. Diversamente, fossero stati distanti l’uno dall’altro, magari intenti - come sembra almeno uno di questi - a leggere e senza quindi alcuna componente sessuale, perché l’omicida spara? Non uccideva coppie intente in atteggiamenti amorosi?
Quindi, lo sbaglio - se avviene - porta a due strade: o i due erano in atteggiamenti amorosi omosessuali e l’omicida spara credendo che loro fossero una coppia di fidanzati, come le altre uccise; o non erano in situazioni erotiche e l’omicida spara verso due persone che si intrattenevano dialogando prima di addormentarsi (l’autoradio era accesa) sconfessando un punto che fino a quel
momento poteva presentarsi come solidissimo, cioè la componente sessuale
Queste due ultime considerazioni pongono alla loro base la condizione di errore dell’omicida che confonde appunto uno dei due giovani per una donna. E se così non fosse?
Ripensiamo a questo ultimo delitto. 

L’avvicinarsi al finestrino del van ed il mirare da dietro di questo avrebbe comportato per l’omicida il
soffermarsi su quei corpi e così notare che benché il Rusch avesse capelli biondi (benchè per anni sia circolata la voce che il Rusch portasse la barba così da renderne improbabile l’accostamento al sesso femminile dalle foto della scena del crimine si vede chiaramente l’assenza di qualsivoglia peluria sul volto del giovane tedesco), mossi, lunghi (si fa per dire) fin poco sopra le spalle, mancava di una componente importante che solitamente contraddistingue una donna da un uomo e che per questo assassino sembra essere di notevole importanza considerando quanto compirà i due anni successivi: il seno. 
Dalle foto della scena del crimine - che ho cercato di riprodurvi in disegno nel modo più chiaro possibile - si può infatti notare che il Rusch fosse a petto nudo quando è stato attinto dai colpi di pistola. 
Difficile non notare questo particolare anatomico dal finestrino del pulmino - aiutati anche dalla luce all’interno - e strano che ciò non sia avvenuto per un assassino - come il nostro - che ha sempre mostrato un’attenzione particolare per la situazione che ricercava per colpire, cioè di una coppia intenta ad amoreggiare in macchina. Se pensiamo poi alle attenzioni rivolte in passato (1974) e nei due anni successivi (1984, 1985) al seno femminile risulta curioso che un soggetto del genere non si sia accorto che al Rusch mancasse proprio il seno e comunque avesse una corporatura diversa da quella di una donna. Perché possono essere tirati in ballo capelli lunghi che poi tanto lunghi non erano, fantomatiche barbe, presunte posizioni sessuali ma da quella distanza, un soggetto come lo sparatore, di minimo trent’anni - che magari non espertissimo ma quantomeno un corpo femminile nudo lo avrà visto in vita propria (anche solo delle sue precedenti vittime) - credo sia capace di riconoscere le differenze tra un uomo in mutande ed una donna in slip. 
Diversamente, dovremmo credere ad uno sparatore che - senza osservarne il contenuto - in modalità assalto terroristico - crivelli di colpi il pulmino senza prima soffermarsi su quanto stia accadendo all’interno. Facciamo allora nostro quanto espresso in merito al duplice omicidio del 1982: l’omicida nel suo modus operandi non può esimersi da un appostamento - non necessariamente voyeristico - finalizzato all’apprendimento dell’interno delle vetture. 
Crediamo, quindi, di poter supporre che dietro questo duplice omicidio non vi sia alcun scambio di sesso da parte dell’omicida ma una precisa coscienza di rivolgere i propri colpi verso due uomini.

Da qui, si riaprono le due vie prima citate circa la condizione dei ragazzi al momento degli spari.
Se l’assassino rivolge consapevolmente l’arma verso di loro, è lecito presumere che questi fossero in atteggiamenti similari o comunque affini a quella delle altre vittime, cioè intenti in atteggiamenti amorosi. In tal senso deporrebbe la rivista pornografica stralciata, volendo quindi scartare l’ipotesi della coincidenza di questa a pochi passi da un pulmino contenente i cadaveri di due ragazzi presumibilmente uccisi in intimità. 
Proprio tale condizione, renderebbe questo delitto in perfetta simmetria con gli altri della serie, mantenendo le circostanza fattuali le medesime per tutti ed otto i duplici omicidi: una coppia in intimità appartata in un luogo pubblico.
Insorgono già le prime voci.
E se davvero sapeva che erano uomini e voleva ucciderli perché ha lasciato i corpi intatti senza utilizzare l’arma bianca? 

Negli scorsi approfondimenti abbiamo iniziato a suggerire la scissione tra la componente omicidiaria e quella del rituale post mortem, come se questo fosse appunto accidentale ed accessorio alla prima componente data dalla morte. Nell’ultimo, quello del delitto di Baccaiano, abbiamo addirittura supposto che l’assassino non fosse interessato, in quell’occasione, ad eseguire le escissioni o che comunque, queste, non fossero fondamentali all’interno del suo iter omicidiario.
Così non fosse, l’assassino una volta sbagliato grossolanamente nel Giugno del 1982, aspetta un anno e tre mesi - insoddisfatto a causa del suo fallimento - per andare a colpire due uomini, o meglio, per non accorgersi - dopo averli osservati coperto dalle lamiere di un pulmino e da metà vetro opacizzato - che un ragazzo in mutande in realtà era proprio un uomo e non una ragazza, rimanendo così a bocca asciutta per il secondo anno di fila. Avrebbe, quindi, atteso più di un anno per rivolgere la sua pistola verso due senza prima assicurarsi quantomeno chi ci fosse dentro quel pulmino? 
Già crediamo improbabile un errore, figuriamoci due. 
Mantenendoci sulla scia di quanto detto la scorsa volta, quindi, la mancanza di ritualità post mortem sui corpi dei due ragazzi è da ricondurre ad una precisa scelta dell’assassino che - dopo aver vinto la sfida del tiro a bersaglio su questi che si muovevano all’interno del van dopo i primi colpi - manca di colpevolizzare i due giovani una volta raggiunta la loro morte. Per ciò che loro rappresentavano, per ciò che loro erano, la morte era un obiettivo più che sufficiente per l’assassino che non necessita neanche di infierire coi soliti colpi rilasciati in zone vitali alle vittime maschili in quanto la condizione di questo delitto del 1983 non ne era meritevole. Se davvero questi colpi rappresentano - ad esempio come sostenuto dal pool modenese - un accertarsi dell’avvenuta morte dei soggetti, significa allora che in questo delitto tale verifica sarebbe stata superflua in quanto la condizione soggettiva ed oggettiva di questo omicidio non spingeva la fantasia ed il disegno dell’assassino a tal punto da infierire sui corpi, ma di lasciare il suo messaggio trasparire dalla mera morte di questi e dal probabile stralcio del giornaletto pornografico (con l’uso, forse non proprio casuale, della lama). 
Ciò che le vittime rappresentavano per l’omicida - magari anche solo per una sua visione distorta del loro rapporto - è la condizione generale, comune a tutti i delitti della serie, che comporta la susseguente pena della morte: il trovarsi appartati in un luogo pubblico.
Ma ciò che invece le vittime stavano realmente compiendo al momento della loro morte, questo cambia da delitto a delitto, ricreando condizioni particolari verso le quali l’assassino conforma il proprio agire delittuoso. Non è la fantasia che muta, che si evolve; a farlo è - come vedremo più avanti - la scena che lui si trova di fronte.
In questa, l’omicida ha di fronte a sé due uomini, in mutande, vicini tra loro prima di coricarsi. Lui li crede (o li vede, come già supposto) omosessuali e già tanto basta nel suo immaginario per renderli latori di quel sentimento, di quella idea, di quel messaggio che da tempo è intento ad infrangere. Le vittime e ciò che loro rappresentano non cambiano mai. Rimangono costanti. Il nostro omicida è logico, lineare, razionale. Anche in questo venerdì sera settembrino del 1983.  
Così l’omicida spara. Come l’anno precedente e come quello prima ancora, senza errori, senza correzioni. Tutto si pone al suo posto in perfida armonia tra intenzioni ed esito. 
Ancora una volta.