giovedì 30 luglio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 3 marzo 1998 - Sesta parte

Segue dalla quinta parte

Avvocato Mazzeo: Ora, come fate voi, a dire che non esista la possibilità di una diversa soluzione, di fronte ad un giudizio espresso dieci anni dopo da dei testimoni che dicono: 'io ho visto delle macchine girare e le ho collegate all'omicidio'. E che c'entra Vanni, rispondo io. Deve essere esclusa la possibilità di una diversa soluzione; deve essere esclusa la possibilità di una diversa soluzione. Deve essere certo l'indizio, deve portare verso una direzione unica. E allora, tanto per fare un esempio di indizio serio, invece, di indizio vero non serio: questi non sono neanche indizi, questi sono sospetti. E il sospetto deve essere il costume dell'inquirente. Il sospetto è una cosa nobilissima. Deve essere il costume di vita dell'inquirente il sospetto. Ciò che meraviglia, in questa vicenda, è che di questo costume si siano completamente spogliati, ignudati gli inquirenti, a proposito di un reo confesso come è il Lotti. Nei suoi confronti il sospetto non è stato usato. Tutta la fatica è stata impiegata, impegnata nel cercare disperatamente riscontri a ciò che lui dichiarava. Mah, questo è un atteggiamento mentale che in partenza è sbagliato, Signori. Se, da me inquirente, non so se ricorderete quando io facevo delle domande al dottor Giuttari, in proposito, dico: 'ma è venuto da lei, il Lotti?' Dice: "No". Comincia subito a mettere le mani avanti, già questo è antipatico. Dice: "No, ma, non è venuto da me, è venuto dal Pubblico Ministero, io mi sono...". "No, no, lei è il Capo della Squadra Mobile, perbacco! È sui giornali tutti i giorni, no? Allora, risponda alle domande". "È venuto da lei, il Lotti", che dice: io, io, mi minacciava, mi voleva svergognare in paese. Sono stato costretto, facevo il palo, io ho visto, io ho visto." Benissimo. La prima regola per l'inquirente è fare esercizio di sano sospetto proprio nei confronti di un colpevole, tra l'altro, voglio dire, neanche di un testimone. E, allora, quando viene il Lotti e ti dice: andiamo a vedere i sopralluoghi, guarda sì, questa è la piazzola. Dice cose che sanno tutti, pure io, voi, tutti. Le abbiamo lette per dieci, dodici anni sui giornali; non ha detto niente. La via di fuga: ha detto cose che non sapeva nessuno; ma scusate, se uno vuol dire una bugia bisognerà pure che se l'inventi una via di fuga. Anzi, quei sopralluoghi sono la prova provata che lui non c'era mai stato. E perché? Perché uno che di notte, seguendo un'altra macchina e come dichiara lui stesso: "C'era un tale polverone". Lo dice, lo dice, voi ve lo ricordate. "La macchina guidata dal Pacciani» - dice "sollevava un tale polverone, perché andava su strade secondarie e di corsa" - sto parlando di Vicchio, in particolare - "tale che io ci vedevo proprio il giusto, guardate, pochissimo appena i fari davanti." Eccetera. E poi, dopo undici anni - qui si sta superando un'altra volta la soglia del ridicolo, non so se ve ne siete accorti - dopo undici anni vi viene a raccontare, viene a raccontare prima che a voi, agli inquirenti - perché non è colpa vostra - agli inquirenti, ma questo: la fonte, il torrente; prima scorreva meno acqua, la casa. Sapete cosa sarebbe stato un indizio? Se lui, dopo aver portato gli inquirenti in una casa qualunque - perché uno che racconta una storia, benedetto il Signore, anche con i limiti di fantasia intuibili in Lotti, va beh, se poi la devo raccontare con i pochissimi particolari che ha dato; una casa, una via di fuga dovrà pure indicarla. Perché la prima domanda che gli fanno: ma insomma da dove siete scappati via? - e indica una casa, una casa abbandonata; evidentemente. Tra l'altro, anche qui lui dice che era un rustico in costruzione e poi viene fuori che era una colonica di duecento anni prima. Insomma, lasciamo perdere; può darsi che non abbia grandi nozioni di architettura. Dico, quale sarebbe stato l'indizio? L'indizio sarebbe stato se, entrati in questa casa, quando lui ha messo la manina nella buca, ce l'avessero trovata davvero la pistola. Allora sì. Quello sì che sarebbe stato, avrebbe dato, avrebbe illuminato, finalmente, di luce questa vicenda. O riscontro oggettivo: io vi sto raccontando delle cose, io sono arrivato - apprezzo molto il sorriso del Pubblico ministero, mi auguro che potrà sfogarsi nella sua replica - dico, vi sto dicendo la verità, non vi sto dicendo una cosa che vi potrebbe dire chiunque, anche uno che inventa. Tanto è vero che lì qualcosa c'è; invece non c'è nulla, ci racconta di buche, eccetera. Allora, qual è la differenza tra indizio e sospetto con riferimento alle macchine, per esempio? Caroselli di macchine. Vanni. E beh, Vanni doveva essere lì, e sennò come si fa a dire che è credibile il Lotti, no? Ecco, dalla sentenza vi leggo, della Corte di Cassazione, eh. Voi, ricorderete tutti il caso di quella disgraziatissima ragazza, Milena Sutter, rapita e uccisa dal Bozano. Fu un processo sommamente indiziario, perché si arrivò proprio attraverso proprio un'analisi puntuale di una serie di indizi, numerosi, precisi, concordanti, univoci e certi ad arrivare alla condanna di questo individuo. Il quale naturalmente ha negato fino in fondo, difendendosi abilissimamente. Tanto è vero che in Assise di I grado fu assolto con una sentenza della Corte di Assise di Genova che fu censurata dalla Suprema Corte, perché aveva valutato i vari indizi in modo sconnesso, separato l'uno dall'altro. Cioè, invece di avere... perché dice che devono essere gravi, precisi e concordanti. Tutti, valutati complessivamente, devono portare verso un'unica direzione. Invece, la Corte di Assise, commettendo un errore logico - di I grado - li aveva valutati uno ad uno; e uno a uno si spogliavano, insomma, deperivano questi indizi, no? E alla fine dice: "non esiste la prova certa". All'epoca si diceva: "insufficienza di prove". Con riferimento al discorso presenza dell'imputato sul luogo del delitto, macchine, contromacchine, guardate che differenza che c'è tra un indizio, un indizio vero, e le cose che ci ha raccontato il Pubblico Ministero, in questa vicenda. Dalla sentenza della Corte di Cassazione 25 marzo '76, Bozano: "In ordine alla presenza del Bozano sul luogo del rapimento, nello stesso momento in cui questo era stato commesso, ha rilevato la Corte di Assise d'Appello - che lo aveva condannato - "che tale presenza risultava in modo certo dalle convergenti e non sospette deposizioni dei testi: Moraldi, Collatuzza e Muller, i primi due abitanti uno di fronte e l'altro a fianco della scuola svizzera frequentata dalla povera ragazza, dalle quali era emerso che anche alle ore 17.00 del 6 maggio '71, il Bozano" - si dovrebbe dire il Vanni, e chi lo dice il Vanni ? Nessuno lo dice - "il Bozano era appostato con la macchina davanti alla suddetta scuola, per cui" - conclude la Corte - "il collegamento logico tra tale fatto ed il rapimento di Milena Sutter doveva considerarsi automatico". Questo è l'indizio certo, la cui interpretazione porta verso un'unica direzione, che non è suscettibile di molteplici interpretazioni, ma di una sola, al di là di ogni ragionevole dubbio. Ma lì, nel caso di Bozano, c'erano: tre persone che lo avevano visto all'ora del rapimento nella sua macchina - la famosa Spider rossa, ve lo ricorderete, facilmente riconoscibile proprio perché era una Spider - lui, lui persona fisica, Bozano "il biondino" davanti alla scuola svizzera. Provate a confrontare, a paragonare questo, che è un indizio, per davvero. Qui, sarebbe il caso di dire che già questo da solo bastava a incastrarlo, non ad ingannarlo, a incastrarlo; poi ci arriviamo. Dico, e quello che vi è stato raccontato di queste assurde girandole. Dice: ma, sì ma io ho riconosciuto... Questi testimoni che, dopo dieci anni, soffrono tutti di mania di protagonismo. A me non mi avete tenuto in considerazione prima. Noi abbiamo un debito di riconoscenza, anzi gli chiediamo scusa al testimone che non l'abbiamo cercato prima". E che hanno visto, questi? Dunque. Intanto i luoghi del delitto, nel caso nostro, erano - parlando di Scopeti e di Vicchio - delle piazzole e dei luoghi ben precisi. Le macchine non sono state viste in prossimità o davanti ai luoghi del delitto. Sono stati visti in movimento delle macchine con delle persone dentro. "Una" - dice la Ghiribelli - "mi è sembrata, per il colore un po' sbiadito quella del Lotti. Quando l'ho detto c'è rimasto male." Beh, vorrei vedere che ci rimanesse bene. Che è sintomatico di un qualche cosa, questo? Che ci rimane male. Dice: ma non sarà mica è lui il mostro di Firenze? Come si reagirebbe? Eh, ma riuscite ad avvertirla, no, dico, la differenza di peso tra questi lampi e queste certezze? Il Bozano, visto e riconosciuto, lì davanti nel momento del rapimento. Paragonatelo con lui, perché io assisto lui. A me del Pacciani non mi interessa, io assisto lui. Qualcuno dice che ha visto Pacciani. E che vuol dire? Io assisto Vanni, di Vanni non parla nessuno. Chiederei una sospensione, Presidente.
PRESIDENTE: Va bene. 

mercoledì 29 luglio 2015

martedì 28 luglio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 3 marzo 1998 - Quinta parte

Segue dalla quarta parte

Avvocato Mazzeo:  E questo la Cassazione, eh. Perché a furia di vedere i film americani - me lo perdoni, il Presidente, non mi rivolgo a lui, dico - dove si vedono sempre i poliziotti buoni che hanno trovato finalmente il colpevole e il solito giudice che poi gli dà la libertà condizionata, poi alla fine diventa anche quello. Sai, la suggestio... La calunnia è un venticello. No, un martellamento. Io ci ho avuto dei clienti che, addirittura, si esprimono come nei film americani. Invece di "Signor Giudice", quando vengono lì, dicono: "Vostro Onore". Ho avuto qualche cliente, capito? "Vostro Onore". Ormai è tutto americanizzato, no? È tutto spettacolo. Purtroppo, in qualche misura, anche queste cose terribili e tragiche diventano spettacolo. Sono concessioni, personalmente, di pessimo gusto. Perché poi i processi veri che fanno in America, non sono quelli, eh. Perché gli americani hanno una sensibilità giuridica molto più raffinata della nostra. Non è a caso che il nostro Codice di procedura penale si ispira proprio ai loro meccanismi di ricerca della verità. E il meccanismo di ricerca della verità che risale a Aristotele, dice: "Nelle vicende umane io posso essere, posso avere la certezza etica-nicomachea (?)", capitolo 105. Io posso avere soltanto la certezza di ciò che non è vero; io posso arrivare alla verità nelle cose umane soltanto per negazione. Questo non è vero, questo non è vero. Questo è sbagliato, questo è falso, questo è contraddittorio, questo è inverosimile, questo è ridicolo. Via, via via, via... Cosa rimane? Vediamo: lì. Così, ci arrivo alla verità. Non con i teoremi, eh. Non quando io vedo quello che voglio vedere. Io devo vedere ciò che è, non ciò che mi appare, o ciò che io desidero. In ogni disciplina c'è un grado di verità che è consono alla natura dell'argomento che si tratta. E sarebbe ugualmente sbagliato per un matematico essere persuasivo e per un oratore essere dimostrativo. Ovviamente non sono parole mie, ma si era aperta la parentesi su Aristotele. Sono questi i criteri. Nelle cose umane, alla verità si arriva per negazione. Non si può pretendere, come non può pretendere un matematico di essere persuasivo, non deve persuadere, deve essere dimostrativo, deve essere apodittico un matematico; così altrettanto sbagliato sarebbe pretendere da un oratore non di essere persuasivo, non di muoversi attraverso questi criteri di ricerca della verità, ma di esser invece a sua volta apodittico. E che cosa è più apodittico del fatto: siccome il coltello ce l'aveva nel forno, allora quello è il coltello del delitto. Se non è apodittico questo, se non è un'offesa al buonsenso comune, un ragionamento di questo tipo. E perché? Perché, come ho detto prima, gli indizi devono essere certi; quello, per essere un indizio serio e certo doveva portare verso l'unica direzione. E qui il Pubblico Ministero, sicuramente in buona fede, a proposito del coltello dice delle cose che non sono esatte, perché contrastano con le carte processuali. Cioè, dice, il Pubblico Ministero... fa uno sforzo di immaginazione ulteriore, in perfetta buona fede, per l'amor di Dio! Ci si innamora delle proprie teorie - l'ho detto prima - ma voi Giudici popolari, in particolare, siete qui per fare esercizio di buonsenso, comunque eh, non per innamorarvi delle costruzioni giuridiche. Pagina 55 dice: "'Era quello, era quello che io ho visto usare da Vanni negli omicidi'. Vedete che è un'indicazione di Lotti molto forte, che per quanto riguarda il Vanni trova riscontri" - senti che uso della parola riscontro - "nel modo di custodirlo?" Attenti, Signori, a non custodire fuori posto gli arnesi da cucina e le stoviglie, perché è pericoloso. Se poi qualcuno vi chiama in correità, arriva la Polizia e vi trova una pentola fuori posto, potrebbe pensare chissà che cosa; magari a riti stregoneschi o magici. Chi lo sa! E poi dice, il Pubblico Ministero: "Cosa ci ha detto il professor Maurri?" Eh, io lo so cosa ci ha detto, me lo son segnato. Dice il Pubblico Ministero: "Perfettamente compatibile". Questo si sarebbe stato un riscontro, una perizia. Una perizia seria, tecnica che, riscontrando le lesioni sulle vittime, specialmente quelle dove c'è stata l'escissione del seno - anche questa parola "escissione", a questo punto, turba; si tratta di squartamenti, eh, questa è la parola; è inutile usare termini che sterilizzano le cose -Dice: "Perfettamente compatibile" - dice - "una volta visto, con l'arma usata nei delitti". Non ha detto mai questo, il professor Maurri, eh. Questo è un ulteriore salto di immaginazione, di suggestione: "La calunnia e un venticello". Il professor Maurri nell'udienza 12 novembre del '97, dice: "Quello che gli hanno sequestrato al Vanni è senza dentellatura e con punta smussa, non idoneo a produrre le lesioni riscontrate" - ovviamente dice - "ora come ora". Perché sono passati dodici anni. Gli vien chiesto insistendo: "Ma quindici anni fa?" Dice: "Ma la punta doveva averla" - dice Maurri - "quindici anni fa". Quindi, teoricamente, conclusione: "non del tutto incompatibile”, testuale. Il professor Maurri, messo alle strette: 'ma, insomma, che- vi devo dire ragazzi. Io non sono mica un veggente, non sono mica la Sibilla delfica, io se vi dico che così, anche ad occhio, a guardarlo non c'entra nulla; volete che io vi dica come era quindici anni fa? Non lo so, non l'ho visto quindici anni fa. Risposta sensata, buon senso comune: "Se me lo mostravate quindici anni fa, potevo essere più preciso". E, comunque, aggiunge: "Mah, quindici anni fa, la punta la doveva avere. Ora non ce l'ha, perché il collega ... non ce 1'aveva neanche la punta." Quindi per le escissioni da punta. Dice: "Mah, non del tutto incompatibile".. Nella requisitoria finale diventa "perfettamente compatibile, una volta visto, con l'arma usata nei delitti". No, non si ricerca così la verità. No, non è questo il sistema, mi sia consentito. È vero che c'è la dialettica delle parti, accusa e difesa, il Giudice è terzo; ma il Pubblico Ministero ha anche il dovere di chiedere l'assoluzione, quando non ci sono dei mezzi sufficienti, eh. Qui, probabilmente è stato trascinato, diciamo, dalla umanissima enfasi delle sue tesi. Ma noi rimaniamo con i piedi per terra. Allora gli indizi. Perché, guardate, che questo processo si fonda sulla chiarezza di indizi e riscontri oggettivi. Poi, il resto sono meccanismi, regole di giudizio positive già precostituite dalla legge per cui da quelle non vi potete spostare. Voglio dire, come ho detto prima, se anche si arrivasse ad una valutazione - e ce ne vorrebbe, ma insomma, parleremo anche di questo - positiva, circa la credibilità e circa l'attendibilità intrinseca del Lotti, se poi non troviamo riscontri oggettivi non serve a nulla. Dobbiamo fermarci, dobbiamo sospendere il giudizio. E, quindi, che cosa sono gli indizi? Qui mi limito ad una lettura brevissima, perché sono massime della Suprema Corte di Cassazione che potranno - mi auguro - aiutarvi a discernere. Perché ogni volta che vi si parla di un particolare: la macchina, la Bartalesi, la Ghiribelli, il Pucci - poi non ne parliamo, poi arriveremo anche al Pucci - e tutte queste altre cose. Se voi, ecco, avete presente - io mi riferisco soprattutto ai Giudici popolari - se voi avete presente quelle che sono le indicazioni di logica elementare, potrete voi fare la cernita. Giudicare significa scegliere, eh. Quindi, nel giudicare dovete scegliere: questo va bene, questo non va bene. Non ne va bene nessuno, secondo la mia modesta opinione, e non per dovere di ruolo e di difensore. Allora, Cassazione 4 aprile del '68, ingiustizia penale del '69, Volume 3, pagina 59, Costante: "Gli indizi si differenziano profondamente dalle congetture. Perché, mentre queste sono costituite da intuizioni, apprezzamenti, opinioni, gli indizi consistono in fatti ontologicamente certi, collegati tra loro in guisa che per forza logica sono suscettibili di una sola e ben determinata interpretazione". Ancora, Cassazione 25 marzo del '76, caso Milena Sutter, sentenza Bozano. Poi ci torneremo, perché lì, lì c'erano degli indizi seri, infatti è stato condannato. E dice questa massima: "Gli indizi devono portare ad un convincimento che non deve avere contro di sé alcun dubbio ragionevole." Che non deve avere contro di sé nessun dubbio ragionevole. Ancora, Cassazione 25 maggio del '95, numero 5838, Avanzini: "La circostanza assumibile come indizio deve, perché da essa possa essere desunta l'esistenza di un fatto, essere certa". Ancora: "Tale requisito" - dice - "benché non espressamente indicato nell'articolo 192 del Codice procedura..." Infatti dice il 192, quando ve l'ho letto, dice: "L'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi, a meno che questi siano" - usa questi aggettivi - "gravi, precisi e concordanti". Gravi, precisi e concordanti. Dice la Cassazione: "Tale requisito della certezza, benché non... è da ritenersi" - dice - "insito nella precisione di tale precetto. Con la certezza dell'indizio, infatti, viene postulata la verifica processuale circa la reale sussistenza dell'indizio stesso, posto che, non potrebbe essere consentito fondare la prova critica" - cioè la prova indiretta, l'indizio che fonda la credibilità del Lotti - "su di un fatto solo verosimilmente accaduto" - solo verosimile - non certo supposto od intuito, inammissibilmente valorizzando, contro indiscutibili postulati di civiltà giuridica, personali impressioni od immaginazioni del decidente". Oh, guardate quante parole: impressioni, suggestioni, immaginazioni, sospetti, ipotesi di lavoro, desideri. Hanno desiderato che in quelle macchine che giravano intorno a Vicchio, quella sera, ci fosse il Vanni; ma nessuno l'ha detto che c'era Vanni. Vanni non lo nomina nessuno. Quello sarebbe stato un indizio, perbacco! Dice: 'ha visto Vanni in una di quelle due macchine che giravano là intorno'. Intanto un testimone... un testimone che mi viene a dire - lasciamo perdere a distanza di dieci anni, valuterete, eccetera, ma già questo, del testimone deve essere valutata l'attendibilità -il testimone, in perfetta buona fede, può esprimere una sua impressione, una sua immaginazione che non può essere utile, per esempio, alla ricerca della verità. E, certamente, un testimone sentito il giorno dopo ha un valore molto maggiore di un testimone sentito dieci anni dopo, pescando nelle carte, eccetera. Questo mi pare evidente, anche qui il buonsenso comune, no? Mah, oltre questo fatto, un testimone che dice: "Nei dintorni della piazzola di Vicchio" - perché questo dice, non ha detto neanche all'imbocco della piazzola, nei dintorni - "la sera dell'omicidio, in ora prossima a quella" - perché non c'è nient'altro di preciso - "io ho visto due macchine: una rossa e una bianca, una scura e una chiara, accorrere a velocità sostenuta." 'E forse in quella davanti' - non so se lo dice qualcuno -'c'erano due persone, in quella di dietro ima, o una e una', eccetera. E beh, il testimone intanto, per il fatto stesso, Signori Giudici, che sta venendo dagli inquirenti a raccontare questa cosa, ha già espresso un giudizio. Già vale pochino la sua testimonianza, perché lui si è presentato spontaneamente a esprimere un giudizio, a dire cioè: 'guardate Signori, io, ho collegato la vista di due macchine, non meglio identificate, né targa, né identikit degli occupanti, zero...'. Di Vanni non parla mai nessuno. 'Io ho identificato queste due macchine e nella mia mente ho fatto un collegamento logico: ho collegato queste due macchine all'omicidio'. Grazie, lei è stato molto urbano e civile, dice l'inquirente, però se mi permette questo collegamento logico lo dovrei fare io; vediamo se quello che lei mi sta raccontando è utile a me. Quindi, c'è un testimone che si permette lui, in qualche modo, di fare il giudice. Un po' come il Lotti, no? Si diceva nel Medioevo: "Relevatio ab onere probandi", rilevare i Giudici dalla fatica di cercare la prova. Eh, arriva uno che confessa, dice: voi dovete solo... "relevatio ab onere iudicandi", addirittura. C'è il chiamante in correità che, in pratica, lui che si sostituisce a voi. Se voi prendete, pedissequamente quello che lui dichiara, acriticamente come dice il Pubblico Ministero. Dice: "Non dobbiamo affannarci a capire". Ecco, se voi non fate questa operazione, è lui il giudice, è lui seduto lì in tutte quelle dodici sedie, non voi. Mamma mia, dodici Lotti seduti lì. Quindi, dico, hanno visto delle macchine; è stato portato come indizio; addirittura è stato portato come riscontro oggettivo, poi arriveremo al riscontro oggettivo. Signori della Corte, no, non ci siamo proprio. Perché voi dovete dire come sia possibile una vicenda di questo tipo: le macchine, il carosello delle macchine a Scopeti e a Vicchio. Cassazione: "La correlazione tra la circostanza indiziante" -queste macchine che girano lì intorno, è una circostanza indiziante; la correlazione tra queste macchine è il fatto da provare: lui il colpevole, lui, eh, io sto parlando di Vanni, eh. "Deve essere tale" - dice la Cassazione - "da escludere la possibilità di una diversa soluzione". 

lunedì 27 luglio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 3 marzo 1998 - Quarta parte

Segue dalla terza parte

Avvocato Mazzeo:  Torniamo alla chiamata in correità. Con tutte le annotazioni e le connotazioni che ho fatto prima e che riguardano la tradizionale considerazione di questo strumento di prova estremamente cauta da parte dei nostri Giudici -Giudici di merito, Giudici di legittimità, quindi, i Giudici di merito è Cassazione - la figura dell'imputato testimone, figura ibrida, no? E quindi alcune definizioni, neanche troppo antiche, della chiamata in correità da parte di Giudici della Suprema Corte di Cassazione. "Fonte equivoca e malsicura." Quindi, questo atteggiamento di razionale diffidenza verso la chiamata in correità. "Fonte equivoca e malsicura", Cassazione, 23 gennaio '84, Azzalin. "Fonte impura. Fonte di prova impura", Appello di Roma 27 febbraio '58, Piccirilli, "Dichiarazione proveniente da persona la quale mira, immancabilmente, a diminuire le proprie responsabilità." Cassazione, 23 novembre del '51, Spedicato. "Dichiarazione proveniente da una fonte non moralmente limpida e che è animata da un interesse." Cassazione, 22 dicembre '86, Alfano. "Prova gravata di sospetto." Cassazione, 11 luglio '89, Ferro. Così i nostri giudici, da sempre - io ho fatto una ricerca che va indietro di 50 anni, ma penso che se fossi andato a prima della guerra sarebbe stato lo stesso - così i nostri giudici, da sempre, con un atteggiamento di razionale diffidenza si sono posti di fronte a questo, chiamiamolo, mezzo di prova. E, proprio per queste ragioni, il nostro nuovo Codice di procedura penale, perché fino al 198 9, quando era in garante il vecchio Codice di procedura penale, c'era grande discussione in dottrina e in giurisprudenza se la chiamata in correità, proprio per queste sue connotazioni che ho illustrato, si poteva considerare valida, nuda o vestita. I Giudici togati ricorderanno: la chiamata in correità come deve essere? Nuda o vestita? Cioè a dire, è sufficiente l'esame della credibilità e della attendibilità intrinseca del chiamante, nuda, per considerarlo un mezzo di prova - e quindi comunque un esame va fatto, su questo - oppure deve essere necessariamente vestita? Cioè a dire ci vuole il famoso riscontro oggettivo. Cioè, ci vogliono elementi esterni che non provengono dal chiamante, che non siano autonomi i mezzi di prova sennò la chiamata in correità non servirebbe a nulla, se c'è già un mezzo di prova che accusa qualcuno; ma che siano delle indicazioni certe che possano suffragare. Nuda o vestita, la polemica, chiamiamola così, è stata superata brillantemente dal nuovo Codice di procedura penale. Perché quell'articolo 192 III Comma, che ho letto prima, lo dice in modo, detta ima regola positiva di giudizio, regola positiva di giudizio. Dico per i Giudici non togati che c'è una regola dove non si può prescindere. Perché, una sentenza che non tenesse conto di questa regola costituita a giudizio sarebbe già affetta da difetto di motivazione. Quindi, Cassazione. La regola positiva di giudizio è che la chiamata in correità può anche essere intrinsecamente attendibile, il chiamante in correità, l'accusatore, può anche essere credibile per una serie di validissime ragioni, ma se non ha anche un riscontro oggettivo, non bisogna neanche tenerne conto. Perché c'è una presunzione relativa di non credibilità, a proposito di questo mezzo di prova. Ecco, una delle massime che ho citato dice: "Dichiarazione proveniente da persona la quale mira, immancabilmente, a diminuire le proprie responsabilità. Ecco, Signori, questo sano realismo razionale di diffidenza voi ne avete avuto - proprio con riferimento a questo: "mira immancabilmente a diminuire le proprie responsabilità" - ne avete avuto la riprova in un sacco di occasioni, numerosissime occasioni, durante questa istruttoria dibattimentale. Proprio con riferimento al Lotti. Mira a diminuire le proprie responsabilità. Dice: "Ma io andavo con loro..." Il movente di Lotti, con riferimento a Lotti, è sempre rimasto galleggiante, a mezz'aria, sospeso. "Io ero costretto per due ragioni", poi non si sa qual è quella prevalente, che ha detto entrambe le cose. "Io ero costretto perché Pacciani mi minacciava fisicamente." Cioè, 'io avevo una soggezione fisica nei confronti del Pacciani', e poi dice contestualmente : "No, io ero costretto anche perché Pacciani mi aveva costretto a subire rapporti omosessuali e io temevo di essere svergognato presso la mia comunità." E va bene, ma insomma, sono due cose che non… Poi, dice: 'andavo lì, facevo il palo, non facevo il palo...' Poi vedremo che, quando dice che fa il palo, lo fa in certi posti in cui è impossibile fare il palo, insomma. Tutto questo risponde proprio a questa valutazione che ha fatto il giudice, di legittimità, quando dice: 'io devo stare attento di fronte alla chiamata in correità, perché chi chiama in correità mira immancabilmente a diminuire le proprie responsabilità'. Questo è successo, lo avete avuto sotto gli occhi, col Lotti. La progressione delle dichiarazioni e tutto il resto. Ecco. E quindi la necessità, proprio come regola positiva di giudizio, affermata dal III Comma del 192, sotto pena di andare contro la legge, se non se ne tiene conto, al di là della convinzione che poi uno si fa circa la colpevolezza o innocenza degli imputati, perché qui non siamo a fare giustizia sommaria, ma giustizia. Io non amo gli aggettivi, non esiste la giustizia sommaria, esiste la giustizia; non esiste l'onestà intellettuale, esiste l'onestà. Ecco. Quindi, dico, i riscontri. Dice: "Altri elementi di prova occorrono..." Quindi, "Altri elementi di prova che ne confermino 1'attendibilità." Gli altri elementi di prova, la Suprema Corte ha avuto modo di spiegare in più occasioni che non c'è limite qui. "Altri elementi di prova", può essere prova diretta, prova indiretta; può essere prova provata, indizi. Indizi, indizi. Uso sempre il plurale, perché lo usa il Legislatore. Non indizio, "Indizi certi, numerosi, gravi, precisi, concordanti." I requisiti degli indizi. Anche gli indizi possono rappresentare riscontro. Sono stati chiamati, siete stati - voi - sommersi, anzi, vorrei dire, da una raffica di cosiddetti "indizi", nella prima settimana delle discussioni. Da una raffica di cosiddetti "riscontri oggettivi". Io molto sommessamente dico che non ho mai sentito usare la parola riscontro oggettivo e la parola indizio così a sproposito come in questo processo, mi si consenta. E non perché lo dico io, ma perché lo dice la Corte Suprema di Cassazione. E allora, ancora una volta, facendo esercizio di sano buonsenso, perché sono concetti con i quali facciamo i conti nella nostra vita quotidiana, eh; tante volte le scienze sembrano quasi delle mascherature verbali. Io non ho mai capito perché i medici, per esempio, si esprimono in un certo modo, no? Per dire che uno ha il mal di schiena, usano delle parole astrusissime. E, probabilmente, con riferimento agli avvocati, ai giudici, eccetera, i cittadini che non fanno questa professione, penseranno la stessa cosa. Tante volte sono mascherature verbali, eh, signori. Non ci impressioniamo. Una volta, questi avevano anche uno scopo: impressionare l'incolto, impressionare colui che non sa, per crescere ancora di più ai suoi occhi. Creare questa specie di reverenza puramente formale, fumosa. No, la differenza tra indizio, perbacco, e sospetto è chiarissima. Lo può chiarire chiunque. Come può chiarire chiunque la differenza tra imbrogliare e incastrare, per esempio. E, sicuramente in perfetta buona fede, il Pubblico Ministero, alterando il pensiero e le parole del Lotti, a un certo punto - poi vedremo - dice: 'no, lui ha detto, a un certo punto, mi ha incastrato la Polizia'. No, ha detto: "Mi ha imbrogliato." E siccome siamo in Toscana, e quando qui arrivai 30 anni fa rimasi colpito subito dall'estrema proprietà di linguaggio che avevano tutti, a qualsiasi livello, anche le persone più illetterate. Andavo a guardarle sul vocabolario le cose che mi sentivo dire. Non sbagliano mai. Qui è nata la lingua italiana. Quindi, un toscano, buono o cattivo che sia, che dice "imbrogliare", vuol dire imbrogliare, vuol dire ingannare. Uno vi dice "incastrato", vuol dire un'altra cosa. E lo vedremo. E quindi "qualunque elemento di prova". Qualunque elemento di prova, anche indizi. Qui si è parlato soprattutto di riscontri che, nelle parole di coloro che hanno parlato, sarebbero indizi, sarebbero indizi. Esempi: questo carosello di macchine, va bene?, in prossimità dei luoghi dei delitti di Vicchio e di Scopeti; questa girandola di macchine, una due, bianca, nera, rossa, bianca, chiara, scura, in ore prossime a quelle degli omicidi, in luoghi prossimi a quelli degli omicidi; questo è un indizio. Non è un indizio, lo vedremo. Addirittura è passato per indizio la sensazione... correttamente il Pubblico Ministero ha detto: 'io ve la do, così coni'è, ve la passo così com'è', non ha avuto il coraggio - mi scusi - di chiamarlo indizio. La sensazione della povera Bartalesi, quando dice: "Ho avuto la sensazione che il Lotti nascondesse un segreto terribile.” Ohé, Signori, ma qui siamo in un processo, eh. Queste sono cose da romanzo di appendice. E che, si viene... Già il fatto che si dicano - me lo consenta il rappresentante dell'accusa - per me è improprio. 0 che, si va avanti con le sensazioni? Lui ha dato un magnifico esempio di sensazione che non è indizio, per esempio. Però, intanto, no: la calunnia è un venticello, diceva quel ritornello de "Il Barbiere di Siviglia", che, piano piano, monta monta monta. Le parole sono frecce, eh, si dice nella Bibbia. Parole come frecce. Dice Sartre: "Le parole sono come le pistole cariche." E vero, eh. Ma voi dovete guardare dietro le parole; non vi dovete fermare neanche alle mie di parole. Meno che mai a quelle dell'accusatore. Perché c'è sempre una presunzione di innocenza. In dubbio prò reo, si diceva. Anche dai nostri antichi, che noi diciamo che erano incivili perché usavano la tortura fondata sul dolore. Noi adesso usiamo la tortura fondata sul premio. Guarda quanti passi che ha fatto il Diritto. Quindi, dico: la differenza che passa fra l'indizio e il sospetto; tra ciò che è e ciò che si vuol vedere. E ce lo dice la Suprema Corte di Cassazione. Dice: 'Guardate, che il riscontro alla chiamata in correità, certamente che può essere rappresentato da indizi'. Perbacco! Prova indiretta. Che cos'è l'indizio? E' un fatto, un dato storico. Che ne so, il coltello da cucina del Vanni; può essere un indizio, eh. Può, può, attenzione! E' un dato storico. Sono entrati in cucina e hanno trovato un coltello. Hanno trovato un coltello. Punto. Lo hanno trovato nel forno. Punto. Fin qui hanno registrato dei dati storici. C'era un coltello da cucina. Beh, va be', uno potrebbe obiettare: oh, in tutte le cucine ci sarà un coltello da cucina. Sì, dice, ma questo era nel forno, eh. E allora subito si sono insospettiti. E qui hanno fatto il salto logico, anzi, illogico, che li ha portati alla conclusione sbagliata. Non era un indizio. E perché non è un indizio? Perché questo dato storico, per poter essere un indizio, dice la Corte Suprema di Cassazione, dice la Giurisprudenza - costante, che è riflessione, che è ragionamento, che è lavoro e che è uso del cervello - dice: l'indizio deve essere certo, perbacco! Sennò come lo distinguo io da un sospetto? Da ciò che tu desideravi, da una suggestione, da una immaginazione? Deve essere certo. Che vuol dire "certo"? Che si può spiegare solo in un modo, uno. Bisogna avere una direzione unica. Deve essere suscettibile di una interpretazione univoca. Certo e univoco. E, ancora una volta, non lo dice il sottoscritto che varrebbe meno di niente, ma lo dice la Giurisprudenza, costante, che è esercizio di ragione, eh, attenzione. La Giurisprudenza... non è che sono i giudici cattivi, la Cassazione è cattiva, la Cassazione mette i bastoni fra le ruote alla Giustizia. Ohé, non scherziamo, eh. Dico, i Giudici e la Giurisprudenza e le sentenze sono il massimo sforzo di buona fede che noi, poveri uomini con le nostre povere forse, facciamo per arrivare alla verità e per non combinare più guai di quelli che solitamente poi combiniamo e che ci portano in queste aule. 

venerdì 24 luglio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 3 marzo 1998 - Terza parte

Segue dalla seconda parte

Avvocato Mazzeo:  Che c'è qualcuno che fruisce di cose che forse non sono state pensate per lui. E comunque è così. Ma allora, però, siccome voi siete la legge oggi; qui, voi siete la legge, e voi dovete giudicare se è vero quest'uomo o se è falso. Se è vero, quando dice che lui è colpevole, magari; e se è falso, quando dice che sono colpevoli quegli altri. Eh, non potete andare contro la legge, non potete andare contro la legislazione premiale, è inutile stare a fare il Don Chisciotte contro i mulini al vento. Io ve la illustro soltanto, ma tocca a voi dire che questo è credibile, tocca a voi dire che questo qui è sincero. E ce ne vuole, eh. Perché, per illustrare brevissimamente quelle osservazioni di cui vi parlavo, di quel giurista Padovani e "La soave Inquisizione", dice: "È di questo autore l'ammonimento circa i rischi legati all''utilizzazione di uno strumento di pressione sull'imputato, sia di carattere coercitivo, sia di carattere premiale. È possibile infatti che l'imputato, per sfuggire alla coazione" - la tortura mi viene in mente, ma noi siamo civili, eh - "o per guadagnare la ricompensa, che è la stessa cosa, fornisca informazioni false, o effettui chiamate di correo calunniose. Carmignani assimila poi il meccanismo premiale alla tortura. Addirittura, questo, lo assimila alla tortura. Il contenuto è del tutto diverso, ovviamente. Non la minaccia, ma a speranza; non la minaccia del dolore, ma la speranza del premio; non la violenza, ma la mitezza. E infatti, se è mitezza maggiore di quello che viene elargita, diciamo, da qualche tempo al chiamante in correità che viene coccolato come una gallina dalle uova d'oro che le fa poi periodicamente, no? Secondo le situazioni. "La progressione delle rivelazioni...", è stato detto in questo processo. Per cui, chi chiama in correità non è testimone, quindi non giura di dire la verità, quindi non corre il rischio di prendersi una condanna per falsa o reticente testimonianza - perché non è testimone - e quindi è al sicuro da questa cosa. Però, a maggior ragione, secondo una certa logica distorta, potrebbe dire quello che gli pare, e noi dobbiamo stare li a bocca aperta a credergli, come oro colato. È una condizione assurda, questa. Che strumento è, questo, per arrivare a capire qualcosa? A fare quell'esercizio di capire, dedurre, vedere, costruire, che ci viene negato dal Pubblico Ministero e che invece è la funzione che vi tiene qui da un anno. E quindi, dicevo, questo autore. Dice: "Assimila, poi, il meccanismo premiale alla tortura", dice. "Il contenuto è del tutto diverso: non la minaccia, ma la speranza; non la violenza, ma la mitezza. Ma la logica è la stessa, ispirata all'intervento sull'imputato che viene sollecitato a trasformarsi in mezzo di prova. Con questa differenza soltanto: che la tortura aspira a convertire in criterio di verità il dolore; e la impunità ispira ad ottenere lo scopo medesimo col piacere. Che la prima cerca la confessione; la seconda l'accusa." Io ti torturo perché tu confessi; io ti do un premio perché tu mi accusi quegli altri,. L'una, dannosa a chi la emette; l'altra a un terzo dannosa. Questo Carmignani è un signore dei primi anni dell'800, addirittura, guarda un po'. Quanto difficile, quindi, il percorso del Magistrato che si ritrova, per sua disgrazia - ma per maggior disgrazia degli accusati - in questo scorcio di secolo a dover fare, tenere un percorso logico e morale, vorrei dire anche, che deve fare i conti con tutte queste insidie che si annidano in una chiamata in correità. E che la chiamata in correità, poi, va a diventare in una specie di aritmetica delle prove, concetti anche qui studiati quando si studiava la storia del diritto, Medioevo, l'aritmetica delle prove: "Unus testis, nullus testis". Un teste non vale niente. La meccanica delle prove, cioè la confessione per cui sei colpevole. E non è così, è molto più complicata la cosa. Sennò perché sono passati otto secoli? Per confrontarci un'altra volta con una ipocrisia? Ora noi siamo tranquilli, non ci vergogniamo più, non si usano più nella nostre carceri le tenaglie. E però si usano dei sistemi che poi, nella sostanza, ai fini della ricerca della verità, equivalgono alla stessa cosa. Ma il vostro lavoro può essere fatto può essere fatto, può serenamente essere fatto. Può serenamente essere portato a termine. Stavolta si, lo uso io il termine "serenamente", avendo come criterio un sano buonsenso comune, un tenere i piedi per terra, un valutare quello che vi sta succedendo sotto gli occhi come se fosse un qualche cosa che può succedere a voi. Un criterio, nell''arco della vostra vita. Pensate sempre questo: la disgrazia del Vanni potrebbe essere la disgrazia di ciascuno di noi, facendo i debiti scongiuri. Perché peggio di questa, penso, non se ne possa immaginare. Un amico di merende che, alla fine, si sveglia la mattina e ti accusa. Ecco perché il processo fa opera sempre di civiltà. Di civiltà senza aggettivi. Onestà intellettuale, onestà. Civiltà giuridica, civiltà. Proprio perché dà una indicazione, dice a tutti i consociati: state tranquilli, chi giudica è consapevole; chi giudica è uno di voi, e chi è giudicato è uno di voi. Io ho apprezzato, sotto un profilo strettamente letterario oserei dire, insomma, ecco, estetico, i tentativi commoventi del rappresentante della accusa di dipingervi quest'uomo come una belva umana, insomma, no? E secondo me lui non ce l'ha !,le physique du ròle", come dicono i francesi. Poi ci si arriverà. Sai, Pacciani, in qualche modo ha un pedigree, era stato assassino, eccetera. In qualche modo, il lavoro, era un po' più facile. Ma per il Vanni, il Pubblico Ministero ha dovuto penare, eh. Perché, voglio dire, dire che è uno... è un sadico, ha una personalità sadico-feticistica, perché va con le prostitute e gli garbano certe cose piuttosto che altre, è come paragonare un topolino ad un elefante, vero. Eccolo qui l'esercizio del buonsenso comune. Eccolo qui. Per questo siete chiamati. Perché quando non si esercita il buonsenso comune, tra l'altro c'è un rischio che coinvolge tutti noi, anche noi. Hitler disse una volta, badate se bisogna ricordarsi quello che ha detto quell'uomo. In sostanza disse una cosa che somiglia a questo: "Più grossa la spari e più difficile è smontarla." Ecco, tante volte, nell'arco di questo processo, io mi sono trovato a confrontami con quella battuta. La famosa propaganda, no? eccetera. Più grossa la spari e più difficile è smontarla, guarda. Perché la follia, in qualche modo, è espansiva, no? Coinvolge. La logica, diciamo, di no che dice... tanto per fare un esempio, no, poi ci torniamo. Perché io citerò testualmente quello che è stato detto. La logica di uno che dice - e lo dice il Lotti e lo dice il Pucci. È l'unica volta che questi due si ritrovano d'accordo nel dire questa cosa. Poi, per il resto, come sarà illustrato analiticamente, non si sono mai trovati d'accordo su nulla - è sul movente dell'omicidio della povera Pia Rontini. Su quello, invece, sono stati chiarissimi. Ecco, tanto per fare un esempio del rischio in cui si incorre quando non si fa esercizio di buonsenso comune. Ve lo ricordate cos'hanno detto, Signori Giudici? Perché questa va anticipata, questa. Io volevo dirvela dopo, ma l'esempio va dato, che il rischio è quello del ridicolo, dell'assurdità comica. Il rischio in cui, più volte, siamo incorsi e stiamo incorrendo, forse. Approcci tentati dal Vanni con la Rontini: Lotti parla per la prima volta di questi approcci nel verbale del 9 aprile '96. La ragazza avrebbe detto al Vanni - virgolette, queste parole, diciamo "Io, con te, un uomo anziano... puoi essere il mio babbo." E Vanni reagisce dicendo al Lotti: "Quella ninfomane, quella scema. Perché ha detto a me così?" E Lotti: "Se è giovane, non può pensare a te." Vanni allora disse che gliel'avrebbe fatta pagare. Vanni poi entra nel bar per fare la corte a questa povera ragazza. Quando tornò era arrabbiato: "Non doveva aver fatto conversazione come voleva." Dall'incidente probatorio pagina 58 e 59, Volume I e pagina 54 del Volume II. Ora, di fronte ad una affermazione di questo tipo, dico, il critico, il giudice, il critico per eccellenza deve porsi un problema. Dice: ma. . . L'unico commento adeguato mi pare quello che ha fatto un giornalista. Cosa rara, perché, specie in questa vicenda processuale, i giornalisti sono per lo più limitati a trascrivere le notizie che filtravano dalle Questure e dalle Procure. E non hanno fatto opera di giornalismo. Io ho sempre pensato che "Mani pulite" potevano farlo soltanto i Giudici, in Italia... i giornalisti. Altrimenti in America c'è stato "Watergate". Un Presidente degli Stati Uniti è andato giù per merito dei giornalisti. La corruzione l'hanno scoperta i giornalisti, in America. In Italia tocca ai Giudici, purtroppo per loro. Questo giornalista, invece, che si chiama Guarazzini ed è de II Giornale - un giornale che tra l'altro non leggo abitualmente - del 9 luglio del '96 dice, commenta quello che vi ho letto. Cioè a dire che Vanni... seriamente quest'uomo, che all'epoca avrà avuto 60 anni, andava a cercare, a fare approcci, a fare la corte, a fare conversazione, a ritenere lui e Pacciani di poter, diciamo, proporsi, proporsi, come cavalier ser… Vediamo, come si può dire, non lo so - mi sembrano inadeguate anche le parole - nei confronti di una ragazza ventenne, va bene, commenta cosi, dice: "Proviamo con il movente reso noto ieri. Pacciani e il "vicemostro", Vanni, uccisero per vendicarsi, perché rifiutati dalle ragazze che in precedenza avevano spiato in atteggiamenti intimi con i fidanzati." Questo, ce lo sta dicendo il Lotti, ce lo ha detto anche il Pucci. "Credibilissimo" - dice il giornalista - "I due Casanova, entrambi aitanti sessantenni, con l'alito al Chianti e le panze rasoterra, non appena vedevano una bella ventenne fidanzata, gli si proponevano" - no? Eh, beh, certo, no? E che diamine - "certi di farla stramazzare perduta d'amore." E noi siamo stati qui a sentire queste cose, eh. "Pia Rontini nell'84 non volle saperne e pagò l'affronto con la morte." Eh? Eccolo qui il rischio, il rischio del ridicolo. Che cos'è il ridicolo? Il ridicolo è una inversione del buonsenso comune. Il ridicolo è una inversione del buonsenso comune. È quando noi non lavoriamo più col nostro cervello, ma vediamo non ciò che è, ma ciò che vogliamo vedere. Lo ha detto Bergson in questo bel libro che si chiama "Il Riso", che non è commestibile, ma è il riso, ridere. E dice: "L'assurdità comica che cos'è? È una inversione del tutto speciale del senso comune. Essa consiste nel pretendere di modellare le cose su una idea che si ha e non le idee sulle cose che si vedono. Essa consiste nel vedere davanti a sé ciò a cui si pensa." Il coltello nella cucina del Vanni. Quando sono entrati pensavano già qualcosa. Hanno visto ciò a cui pensavano, invece di pensare a ciò che si vede. Non hanno pensato ciò che hanno visto. "Restare a contatto con le cose" - dice questo filosofo, premio Nobel - "e con gli uomini vedere soltanto ciò che è e pensare soltanto ciò che è coerente... Coerente. Gli approcci sentimentali del Vanni con la Pia Rontini, vi sembrano coerenti? "Esige uno sforzo ininterrotto di tensione intellettuale." Vi ricordate che vi diceva il Pubblico Ministero? "Non dobbiamo affannarci a capire." Eh, no, proprio il contrario. "Esige uno sforzo ininterrotto di tensione intellettuale. Il buonsenso è proprio questo sforzo. È un lavoro. Ma staccarsi dalle cose e tuttavia percepire ancora delle immagini. Romperla con la logica e tuttavia unire ancora delle idee." Romperla con la logica e unire le idee. La rompiamo con la logica e uniamo l'idea del movente dell'assassino della Pia Rontini dovuto al rifiuto agli approcci. Non è che un gioco. Vogliamo giocare? "O se si preferisce, pigrizia. L'assurdità comica ci dà dunque dapprima l'impressione di un gioco di idee. Il nostro primo movimento è , quello di associarci a questo gioco. E ciò allevia la fatica di pensare." Esattamente quello che ci chiedeva il Pubblico Ministero: non dobbiamo affannarci a pensare; guarda, impressionante: "E ciò, allevia la fatica di pensare." E invece, no. Perché il lavoro che non vi siete scelto - parlo ai Giudici non togati - di decidere del destino delle persone, perbacco, hai voglia se richiede la fatica di pensare, eccome! 

giovedì 23 luglio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 3 marzo 1998 - Seconda parte

Segue dalla prima parte

Avvocato Mazzeo:  Siccome non l'ha letta nessuno la norma, nessuno, io lo faccio invece, soprattutto per i Giudici popolari, perché bisogna partire prima di tutto dalle norme di legge, io penso. L'articolo 192, "valutazione della prova", tema fondamentale con cui vi confronterete, dice: "Il Giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati." Fin qui siamo tutti d'accordo. "Comma 2. L'esistenza di un fatto" - per esempio la colpevolezza del Vanni - "non può essere desunta da indizi" - usa il plurale, notate - "a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti." La Suprema Corte di Cassazione dice che devono essere anche certi, ovviamente, perché se non fossero certi non sarebbero indizi. Poi parleremo della differenza che passa - e qui è vocabolario della lingua italiana - tra indizio, per esempio, e sospetto; che differenza c'è? Tra indizio e suggestione; tra indizio e ipotesi di lavoro di un inquirente, magari non verificata; fra indizio e immaginazione; tra indizio e desiderio. Il desiderio di chi vuole vedere una cosa, vuole vedere quella cosa e la vede. Ma non è quello che è cioè che vede: è ciò che vuole vedere. Ciò che distingue fondamentalmente - sul piano del buonsenso comune, poi leggeremo anche... lo dice la Cassazione - l'indizio da tutte queste altre cose che vi sono state, a raffica, illustrate invece e nessuna di queste era indizio, è che l'indizio deve essere certo. E che vuol dire certo? Che l'indizio deve essere un dato di fatto, storico. Per esempio, che ne so: il coltellaccio da cucina trovato nel forno della cucina del Vanni. Questo è un dato storico: c'è un coltellaccio da cucina. Deve essere certo l'indizio, perché sennò rimane un sospetto, una suggestione. L'inquirente arriva nella cucina del Vanni, vuole trovare un riscontro, una conferma a una dichiarazione e vede nel coltello, dà a quel coltello un significato che, sotto un profilo di certezza giuridica e sostanziale di per sé non ha. Che significa certo? Che deve portare verso una direzione unica. Che può essere spiegato soltanto in una maniera: già se sono due le maniere per cui può essere spiegato quel dato storico, non è più un indizio, non ne dovete tenere conto. Perché si annida, in questo caso, il pericolo gravissimo dell'errore giudiziario. Perché se esiste l'esigenza - e apro una piccolissima parentesi - di assicurare i colpevoli alla Giustizia, perbacco, riguarda tutti noi; esiste un'altra esigenza, che forse è superiore, lo lascio alla vostra riflessione, che è quella di non condannare gli innocenti. Perché in questo modo si commettono due ingiustizie: l'ingiustizia verso l'innocente che si condanna e l'altra ingiustizia verso tutti noi, perché si impedisce in questo modo che le indagini continuino e che vadano forse a colpire il vero colpevole. Valutate voi quali di queste due esigenze è più importante, sul piano morale e sul piano giuridico. Si parlava quindi di indizi. "L'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi, a meno che questi non siano gravi, precisi e concordanti". E poi veniamo al tema centrale di questo processo: la chiamata di correo. Questa è la legge eh, quindi nessun commento. "Le dichiarazioni rese dal coimputato" - Lotti in questo caso - "del medesimo reato, o da persona imputato in un procedimento connesso" - eccetera, eccetera - "sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità." Che vuol dire "sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità"? Vuol dire che il Legislatore ha dettato, a proposito della chiamata in correità, a differenza degli altri mezzi di prova - compresa la confessione - ha dettato una positiva regola di giudizio. Significa che voi dovete attenervi a questo, cioè a dire: c'è una presunzione relativa di non credibilità intanto del chiamante, del dichiarante: del Lotti. C'è una presunzione relativa di non credibilità: tu mi stai chiamando in correità qualcuno? Tu stai accusando qualcun altro, oltre che accusare te stesso? Intanto io non ti credo, dice la legge. Lo dice la legge. Io non ti credo. La tua dichiarazione la posso prendere in considerazione soltanto se viene corroborata, come si dice, unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino 1'attendibilità. Allora, prima regola di giudizio: presunzione relativa di non credibilità del chiamante. Non c'è versi: Lotti, intanto te per me stai dicendo delle bugie. Poi, andiamo a vedere se ci sono dei riscontri oggettivi che confermino l'attendibilità di quello che tu dici. A quel punto allora si valuta e può diventare una prova piena a tutti gli effetti. Distinzione quindi tra confessione e chiamata in correità. Questo è un tema che anticipo sotto un profilo strettamente giuridico. Poi lo illustrerà molto più approfonditamente, con riferimento poi ai fatti di questa causa, il mio collega Filastò. Dice la Cassazione in quella sentenza 26 settembre '96, 8724: "La valutazione delle dichiarazioni confessorie..." Quindi qui c'è una confessione e una chiamata in correità, no? C'è Lotti che dice: io sono colpevole, però è colpevole anche quell'altro. "La valutazione delle dichiarazioni confessorie degli imputati, ai fini del giudizio di responsabilità a suo carico, deve essere condotta e motivata in base ai criteri elencati nel I comma dell'articolo 192." Quando si dice appunto: "Il Giudice valuta la prova dando conto, nella motivazione, dei risultati acquisiti e dei criteri adottati." Niente riscontri oggettivi, no, necessariamente. Una confessione può essere ritenuta valida, vera -vera, parliamo terra terra - al di là dei riscontri oggettivi, semplicemente in base a una valutazione congrua, evidentemente, logicamente corretta, va bene, della credibilità intrinseca e dell'attendibilità intrinseca - non estrinseca, senza riscontri - di colui che si confessa. Per esempio: una confessione che risulti evidentemente frutto di un catartico sentimento di espiazione - e questo certamente non è il caso del Lotti, vero - quella potrebbe essere considerata di per sé, senza bisogno di riscontri, una prova sufficiente a fondare la condanna di chi? Di colui che si confessa colpevole, cioè a dire del Lotti, per tornare a noi. E questo dice la Cassazione in questa... per distinguere dalla chiamata in correo. Dice: "Va valutata in base ai criteri indicati nel I comma dell'articolo 192 del Codice di procedura penale, poiché essa si distingue nettamente" -dice - "dalla valutazione delle contestuale chiamata in correità effettuata dal medesimo ' “ . imputato; per la cui valenza probatoria, secondo il disposto del III comma" - abbiamo detto viene valutato unitamente agli altri elementi di prova, eccetera - "non basta" - nella chiamata in correità - "la credibilità dell'autoincolpazione in quanto tale, ma occorrono riscontri esterni che suffraghino l'assunto accusatorio del confidente. Ne consegue che la confessione può essere posta a base del giudizio di colpevolezza, nell'ipotesi in cui il Giudice ne abbia favorevolmente apprezzato" - appunto - "la veridicità, la genuinità, l'attendibilità, fornendo le ragioni per cui debba respingersi ogni intento autocalunniatorio". Ci può essere la falsa confessione, autocalunnia; un mitornane. "O di intervenuta costrizione del soggetto." E questa sentenza, guarda un po', la Cassazione l'ha fatta in applicazione di detto principio: "La Corte ha rigettato il gravame" - dice - "con il quale il ricorrente" - colui che aveva confessato e chiamato in correità - "lamentava che, mentre la sua confessione era stata ritenuta, dal Giudice di merito, prova" - la sua confessione - "di colpevolezza nei suoi confronti, non era stata nel contempo considerata sufficiente a fondare il giudizio di responsabilità dei coimputati", di quelli che lui aveva chiamato in correità. Perché sappiamo che i criteri di valutazione e di giudizio delle due prove sono diversi. E quindi, confessione: strumento di conoscenza della verità delicatissimo, perché si tratta di entrare nell'anima di chi parla e, come diceva quel signore: "quello che passa nel cuore dell'uomo, l'uomo stesso quasi mai lo conosce". Quindi immaginate la difficoltà del giudizio sulla veridicità, sull'attendibilità, sulla genuinità di una confessione. Peggio che mai quando ci si avventura, voglio dire, sul terreno minatissimo della chiamata in correità. Terreno ancora più minato, in questo scorcio storico, in questa nostra fine di secolo, perché ormai è entrato nel linguaggio comune il concetto di "legislazione premiale"; anche i non tecnici ne avranno sentito parlare. Ci sono una congerie di leggi, di norme che in sostanza, per far fronte a un'emergenza - prima l'emergenza terroristica e poi l'emergenza mafiosa - hanno favorito, diciamo così, le chiamate in correità, hanno favorito il cosiddetto "pentitismo". Legislazione premiale: tu che sei affiliato, tu che sei all'interno dell'anti-Stato, parla. Pentito è un termine che ha a che fare con il sentito catartico di autoincolpazione, qui non c'entra nulla. Parla. Io Stato mi occupo dei comportamenti, non delle coscienze. A me interessa che i reati non si compiano, a me Stato. Quindi tu parla e sarai premiato. Poi arriveremo a illustrarlo questo aspetto. Però, naturalmente, questa è una vicenda che, sotto il profilo del Giudice che deve giudicare se la chiamata in correità è vera, è veridica, se veramente quello che vien chiamato è colpevole, gli complica la vita al Giudice questa cosa. Perché quando, fino a qualche tempo fa, Corte Suprema di Cassazione, Giurisprudenza pacifica e costante, diceva che fra i requisiti della attendibilità intrinseca della chiamata in correità ci doveva essere il disinteresse, mi insegnano i Magistrati togati che ora, da qualche anno, il disinteresse, con sano realismo, i Giudici ormai non lo considerano più un requisito della genuinità e della intrinseca attendibilità della chiamata di correo. Perché, insomma, è una contraddizione in termini, no? Con una legislazione premiale gigantesca - che vi verrà illustrata puntualmente - che in sostanza si risolve in una esenzione dalla pena per il chiamante in correità, un Giudice che va a dire che tra i requisiti che cerca nel chiamante in correità ci deve essere il disinteresse, beh, insomma, è retorica, no? Dice una cosa falsa. E quindi, con sano realismo le ultime sentenze, diciamo dall'85 in poi, non parlano più del disinteresse. Tra i requisiti che deve valutare, la cui esistenza... la parte colpevole, che si dichiara colpevole, chiama in correità gli altri: non mi interessa se tu sei disinteressato, oppure no; guardiamo altre cose. Ma questo inquina, no? Rende ancora più complicato il vostro lavoro. Rende più complicato il vostro lavoro, ma la complicatezza, diciamo, del vostro lavoro non deve mai tradursi in rischio di un'ingiustizia nei confronti del chiamato. Pare evidente questo. La chiamata in correità. La chiamata in correità. Prima le chiamate in correità, nei secoli passati, venivano a volte provocate dalla tortura, no? Tortura come strumento dell'inquisizione. Chissà perché c'era questo concetto: mah, io ti torturo e poi qualcuno chiamerai. Mi viene in mente sempre la peste di Milano del 1630, quella narrata da Alessandro Manzoni nella "Storia della colonna infame". Strano costume dei nostri antenati giuristi. Provocare le confessioni, le chiamate in correità magari torcendo il piede, o pestando l'alluce, o altre amenità di questo genere, al disgraziato che gli capitava in mezzo. Noi siamo civili, invece. Noi abbiamo fatto moltissima strada da allora. E ' intervenuto nel frattempo Cesare Beccaria, "Dei delitti e delle pene"; è stata abolita la schiavitù. Che ne so, che altro c'è stato? Adesso c'è la legislazione premiale, però. C'è un giurista - sicuramente noto ai Giudici togati - Tullio Padovani, che ha scritto un articolo che si chiama "La soave Inquisizione". Il titolo è bellissimo, perché illustra questo aspetto: come si può coartare la volontà di un soggetto da cui ci si aspetta delle dichiarazioni - e già il fatto che ci si aspetti delle dichiarazioni è sbagliato, ma lasciamo da parte - si può coartare con la violenza e si può coartare invece blandendolo, si può coartare con le offerte: "La soave Inquisizione". Il bastone e la carota, per dirsela in termini... Prima si usava il bastone, adesso forse, per esigenze rispettabilissime di tutela dell'ordine democratico, lo Stato in qualche modo si tura il naso - che questa è l'operazione che ha fatto il Legislatore - si tura il naso e noi aderiamo a questo, in qualche misura. Eh, signori, però qui, questo non è un processo di... Qui, sì, non c'entra la mafia, non c'entra il terrorismo. Si sta giudicando dei delitti comuni, orrendi. La cronaca giudiziaria forse non ne ricorda di uguali. E in qualche modo questa legislazione premiale si è inserita, attraverso una previsione troppo ampia forse del Legislatore, dell'ipotesi in cui sì debba essere in programma di protezione, o cose di questo tipo, per cui si arriva a un assurdo - già illustrato prima da qualche altro collega - per cui un soggetto che da due anni si dichiara colpevole di 16 omicidi non si è fatto neanche un giorno di galera. Insomma, voglio dire, è inutile poi girare intorno e dire: mah, la legge lo consente. Questo turba, urta la coscienza di chiunque, non c'è niente da fare. È un dato con cui ci dobbiamo confrontare. Ma è una cosa che si è insinuata in un contesto normativo che in fondo non era stato pensato per delitti di questo genere, non ce lo nascondiamo. La sensibilità dei Magistrati togati, in particolare, non può non avere presente questo aspetto. 

mercoledì 22 luglio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 3 marzo 1998 - Prima parte

Presidente: C'è Lotti? Ah, eccolo. Sì. Vanni presente. Il difensore presente. Mi sostituisce anche gli altri che mancano. Fenies... Ah no, c'è, c'è.
Avvocato Fenies: (voce fuori microfono)
Presidente: Scusi, eh.
Avvocato Fenies: Ho cambiato posto.
Presidente: Io guardavo lì.
Avvocato Fenies: Ho lasciato...
Presidente: Bene, allora ci siamo tutti. Prego, avvocato Mazzeo, può iniziare, grazie. Quando vuole può interrompere, me lo dice. Bene.
Avvocato Mazzeo: Grazie, Presidente. Signor Presidente, Signori della Corte, nella lunga esposizione del rappresentante della pubblica accusa, tra le tantissime cose che non ho condiviso ce n'è una che mi ha addirittura turbato. Ed è stata il continuo, insistito, iterato richiamo allo stato d'animo che voi dovreste avere nel momento in cui vi accingete a giudicare. Ricorrenti sono state le parole del Pubblico Ministero: "voi dovete essere tranquilli", "voi dovete essere sereni", "qui c'è una confessione", "voi dovete soltanto" - "soltanto", l'avverbio lo ha usato il rappresentante dell'accusa - "dovete soltanto verificare la credibilità del dichiarante". Beh, io non credo che lo stato d'animo, la condizione di spirito di un Magistrato, di un Giudice, che si accinge a prendere in considerazione opzioni di pena come quelle che vi sono state richieste con riferimento al mio assistito debba essere appunto di tranquillità, di serenità. E in questa mia convinzione sono confortato proprio da lei, Presidente, che in un'udienza passata, quando gli animi si erano un po' accalorati nella foga della difesa delle rispettive tesi, ha rivendicato al Giudice – lei lo ricorderà - la sofferenza, il dolore. Il mio vecchio maestro diceva: il processo è dolore, il processo è già la pena per certi versi, anche per il Giudice; il dolore per il giudicante; la sofferenza della ricerca della verità reale. Lo dico per i Giudici non togati, noi sappiamo che, in base alla nostra Carta Costituzionale, le uniche due regole di giudizio a cui deve fondamentalmente attenersi il- Magistrato sono: il suo libero convincimento, bilanciato da una seria e logica motivazione, e la ricerca della verità reale al di là di ogni apparenza, anche la più sfacciata. Dice il Pubblico Ministero, rivolto a voi, Signori Giudici, pagina 20 della sua requisitoria: "Non dobbiamo affannarci a costruire" - non dobbiamo affannarci - "a costruire, a dedurre, a vedere, a capire." "Non dobbiamo affannarci a capire"? "No" - dice - "la situazione è chiara, è oggettivamente chiara. Dobbiamo solo" - eccolo qua 1'avverbio - "verificarla, riscontrarla." Beh, io ho molta comprensione, soprattutto per i Giudici popolari, per i signori con la fascia tricolore a tracolla, perché si tratta di persone che non hanno scelto nella loro vita di fare un lavoro che significa decidere il destino delle persone. Solo due tra voi hanno scelto questa professione e io sinceramente non li invidio. Io non ne sarei capace. Ma gli altri hanno scelto di fare altri lavori, non questo che è più terribile di tutti, è il più difficile di tutti. E si ritrovano qui da circa un anno, magari si saranno anche chiesti in qualche momento, specie in questi ultimi giorni in cui c'è stata questa raffica di argomentazioni giuridiche da parte dei vari difensori, si saranno chiesti 'ma io che ci sto a fare qui? Ma perché sono stato chiamato io? Ma perché il Legislatore ha pensato, ha immaginato, ha voluto che per i delitti più gravi, che offendono particolarmente la comunità, ci debbano essere dei Giudici non professionisti, dei Giudici che non hanno studiato diritto, che non hanno la laurea in Legge. Che di fronte a concetti come "riscontro oggettivo", "prova diretta", "prova indiretta", "confessione", "chiamata di correo", "indizio", "prova", sono persone che devono fare uno sforzo enorme di comprensione. Sarebbe come se a me mettessero in mano un bisturi e dicessero: 'vai, fai un'operazione chirurgica'. No, signori, io sono convinto, dopo aver pensato come voi nei primi anni della mia professione, in qualche misura, sono convinto invece che la vostra, qui, sia una presenza decisiva, perché voi rappresentate - come del resto lo rappresentano ovviamente, ancor più, e comunque allo stesso modo i Giudici togati - l'esigenza di buonsenso. Del buonsenso comune; quello non si impara a scuola. È quella cosa che aiuta a distinguere il vero dal falso nella vita quotidiana, di tutti i giorni, di ciascuno di noi. Il Legislatore ha voluto delle menti libere, vergini. Libere da che cosa? Da architetture concettuali, da tesi culturali, di cui a volte chi, compreso chi vi parla, diciamo ha studiato invece queste cose, si fa prendere, si fa rapire e magari perde di vista la verità. Eccola qui la necessità anche della vostra presenza qui. E quindi, quanto lontana dalla vostra funzione altissima, difficilissima, nobilissima, è l'invocazione del Pubblico Ministero: "non dobbiamo affannarci a capire." Voi siete qui esattamente per il contrario, la vostra funzione è proprio quella di capire, invece. Al di là di ogni possibile dubbio - come si dice - al di là di ogni evidenza più sfacciata. Per un'esigenza morale, prima ancora che giuridica. Perché decidere del destino delle persone non è una cosa... è la cosa più terribile, come ho detto prima, che possa capitare. Perché voi non siete dei notai che dovete ratificare l'operato degli inquirenti, che dovete dire - come dice il notaio - la firma è autentica. Il vostro operato questa volta, a differenza di tutte le volte passate, di ciò do atto al Pubblico Ministero che l'ha riconosciuto, è stato un operato immune da vizi. Siete stati bravissimi, vi autocelebriamo. Finalmente avete scoperto la verità. No, non siete chiamati qui per questo. Voi siete chiamati qui per giudicare Mario Vanni, che è tutta un'altra cosa. Non per fare quindi i notai, ma per fare i Giudici, perbacco! E, allora, quando si dice: "non dovete affannarvi a capire, la situazione è chiara, c'è una confessione”, si introduce un primo concetto giuridico e del quale bisogna parlare. Perché io ho avuto la sensazione, durante la lunga, articolata, insistita, ripetuta nei concetti, come è giusto da parte del Pubblico Ministero, che egli avesse in mente più - in buona fede, ovviamente -più il concetto civilistico di confessione, che il concetto penalistico. E mi intendono i Giudici togati. Nel diritto civile la confessione, dice la legge, è una prova legale. Cioè a dire è una prova la cui efficacia è precostituita dalla legge. Cioè una delle parti in un giudizio civile - una causa, un risarcimento danni, ereditaria, quello che vi pare - dichiara qualcosa contro se stesso e il Giudice risolve in questo caso la lite, risolve la controversia; prova legale, la cui efficacia è precostituita dalla legge. Ma qui siamo in un campo completamente diverso e se c'è una prova, un mezzo di prova che è veramente delicatissimo - e queste sono parole della Suprema Corte di Cassazione - mezzo di prova delicatissimo è proprio la confessione. Io richiamerò moltissimo la Corte Suprema di Cassazione, perché è il Giudice dei Giudici; perché è il Giudice che giudicherà, molto verosimilmente, la vostra sentenza e che dirà se la vostra sentenza è conforme a legge, oppure se la vostra sentenza è contro la legge, ha violato la legge. E la linea di demarcazione tra contro la legge o secondo la legge è rappresentata dall'esatta applicazione di questi concetti giuridici, accessibilissimi a chi vuole fare esercizio di buonsenso comune, cioè a chi vuole lavorare. E quindi, dicevo, la confessione non è quella specie di meccanismo automatico o semiautomatico che vi ha descritto il Pubblico Ministero. È un mezzo di prova delicatissimo, perché le motivazioni che possono indurre, in un giudizio penale, una persona ad andare in gualche modo contro natura, accusandosi - perché 1'’istinto primordiale, naturale dell'uomo è quello di difendersi, non di accusarsi, è quello di negare le proprie responsabilità, no di ammetterle - quindi ci troviamo già di fronte a una situazione in cui, ecco, il giudizio, l'attenzione deve essere particolarmente sveglia. C'è uno che confessa. Beh, la prima regola, la prima regola vorrei dire pratica, di buonsenso comune non di giudizio positivo, è di dire: ma perché confessa questo? Chiediamoci perché. Se lo chiede molto bene, se l'è già chiesto dai tempi dei tempi il Legislatore, che ha previsto infatti nel Codice penale il reato di autocalunnia: articolo 369 del Codice penale. L'autocalunnia è la fattispecie in cui c'è un soggetto che falsamente confessa di essere colpevole di un gualche reato, falsamente. Evidentemente questa situazione è così comune, va bene, tra gli uomini, che il Legislatore l'ha previsto, questa, come figura autonoma di reato contro l'amministrazione della Giustizia. Perché chi confessa falsamente di aver commesso un reato, in pratica intralcia il libero e regolare corso della Giustizia. Perché magari distoglie l'attenzione degli inquirenti e dei Giudici dal vero colpevole. Quali sono le motivazioni che possono spingere quindi una persona a confessarsi colpevole? Ma un'esemplificazione di confessioni dovute a infermità di mente, altro squilibrio psichico, a fanatismo, ad auto ed eterosuggestione, a ragioni di lucro, a spirito di omertà. Il Guardasigilli, che commenta l'articolo che riguarda l'autocalunnia - Codice penale attuale, quello del 1930 - nella relazione ministeriale sul progetto del Codice penale dice, testuale: "Ho adoperato la parola confessione" - cioè chi confessa falsamente, autocalunnia - "riferendomi al valore formale di tale atto, che in senso tecnico non richiede punto, come indispensabile requisito, la veridicità nel diritto processuale. Infatti, la dichiarazione mediante la quale una persona afferma di essere autrice di un reato, si chiama confessione, sia vera o falsa nel suo contenuto." Noi siamo qui per stabilire se la confessione che riguarda questo processo è vera o falsa. Poi c'è la chiamata di correo, parleremo di quella. Perché se non si motiva adeguatamente, congruamente, logicamente, consequenzialmente, prendendo a base il contenuto di questa confessione, eh, beh, si può fare una sentenza sbagliata sul piano formale, oltre che sul piano sostanziale, che sarebbe ancora peggio. La Corte Suprema di Cassazione, a proposito della confessione, in una recentissima sentenza, del 1996 - 26 settembre '96, 8724, Mastro Piero - ribadisce i concetti che vi ho appena esposto e la distingue appunto dalla chiamata in correità. Perché esiste un articolo del nostro Codice di procedura penale, lo avrete già sentito, ve lo hanno nominato, è il 192, che detta alcune regole di giudizio, con riferimento alle prove in generale, alle prove dirette; agli indizi, usa il plurale perché un indizio solo comunque non basterebbe mai per la legge a fondare un giudizio di condanna; e poi distingue, tra il comma 2 e il comma 3 dell'articolo 192, la chiamata in correità dalle altre prove. 

martedì 21 luglio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 25 febbraio 1998 - Ottava parte

Segue dalla settima parte

Avvocato Curandai: E, a proposito della lettera, sapete cosa dice? 'Mah, la lettera, la lettera inviata dal Pacciani a me, parlava... Pacciani parlava delle figliole. Dice, aveva paura, parlava delle merende, delle figliole. . . ' Guarda, risposta di... Allora giustamente il Pubblico Ministero gli contesta: 'ma come, se parlava delle figliole e delle merende, che motivo c'era di preoccuparsi tanto per questa lettera? Che motivo c'era di andare eventualmente dai Carabinieri, o di andare da un avvocato?' Eh, invece il Nesi ci dice, e tanti altri testimoni, ci dicono che quella lettera parlava di cose molte brutte. Ma perché negare questo? Perché negarlo? E allora tanto è vero che, a un certo momento, interviene il difensore di Vanni e gli chiede: 'ma scusi, Vanni, il Lotti lei... fra lei e il Lotti che rapporti c'erano? C'è del rancore nei conf... Perché il Lotti lo accuserebbe? Il Lotti ha del rancore verso di lei?' E lui risponde: 'no, a me un mi risulta che c'ha...', ecco, forse l'unico grande sprazzo in cui dà una risposta - e non poteva fare diversamente - è questa. Anche sulla piazzola famosa: sì, è vero, lui ammette la piazzola. Dice: 'sì, io... Lotti mi parlò della piazzola, mi parlò di non dire niente mentre eravamo al bar'. Poi interviene l'avvocato Pepi e fa sospendere l'interrogatorio. Visto la malaparata fa sospendere lì. Rileggete la pagina successiva, pagina 6: viene sospeso l'interrogatorio. Quando il Vanni forse stava per dire qualcosa, forse per cedere... viene sospeso 1'interrogatorio. E, tanto è vero che, nell'interrogatorio successivo, sapete cosa dice il Vanni? Interrogatorio del 15 luglio del '96, dice: "No, io no, io il Lotti della piazzola non me ne ha mai parlato". Ecco, ha fatto un passo indietro. Ma per quale motivo? Se non hai da temere nulla, perché prima dici una cosa e poi ne dici un'altra? , E quindi, voglio dire, tutte queste contraddizioni non depongono, non depongono a favore di Lotti. E poi ci sono queste lettere minatorie, c'è un rapporto della Polizia. Insomma, qui si parla a spada tratta di minacce: 'quando tornerò, te la farò pagare, ci penso io al Pucci di Monte... Me la pagheranno, va be', questo può derivare ovviamente da vari motivi, non è un elemento di prova. Certamente la grande quantità di queste lettere dimostra ovviamente un carattere non certo mite, non certo, né certo buono. Dunque, vado, signor Presidente, verso la mia fase finale che sono poi ovviamente le mie conclusioni. Del patrimonio di Pacciani ve ne ha parlato specificamente ieri il Patrizio Pellegrini; io voglio solo sottolineare una cosa che non è stata, a mio avviso, messa in rilievo: che cioè, proprio nel periodo '81-'87, ci sono questi circa 158 milioni e non c'è nessuna entrata, non c'è nessun segno di entrata, né a livello di diritto successorio, niente. Nessuna entrata. Sia ben chiaro, non è che abbia acquisito questi, con delle giustificazioni. Non ci sono entrate di alcun genere. Quindi la Polizia ha fatto le indagini su tutte le entrate e non ci sono entrate. Per quanto riguarda il Vanni, l'ispettore Fanni e la stessa Bartalesi. In particolare il Fanni... La parte lesa, ci parla della liquidità, di prestiti, di cene, eccetera, gli ultimi tempi. Il Fanni, ci parla invece di 19 milioni, se vi ricordate, non giustificati, non giustificabili nel periodo '84. Nel 1984, 19 milioni, tah, secchi, così, non giustificati, che non hanno trovato alcuna giustificazione. Io voglio parlare un attimino soltanto del famoso passaggio della pistola calibro 22. Faccio un breve cenno, eh, su questo punto. Ma qui, signori, ci sono delle coincidenze spaventose. E, in questo processo, ce ne sono tante. Ora, una coincidenza può capitare a chiunque; due coincidenze sono una grande sfortuna; ma tre-quattro coincidenze, possono essere anche un indizio, un grave indizio contro una persona. Perché c'è il Calamosca che qui in aula, ma soprattutto davanti al dottor Giuttari - e sono stati prodotti questi documenti - dice chiaramente che la pistola del '68, la famosa calibro 22 utilizzata nel '68 e utilizzata, allora si diceva, dal cosiddetto "mostro di Firenze", questa pistola, il Calamosca dice: 'apparteneva al Vinci, me lo disse il Vinci, era sua. La usò lui per il delitto del '68 insieme al Mele'. Poi lui pagò il Mele, promise di pagare il Mele, ovviamente, per pagare il silenzio di Mele. Poi il Mele voleva parlare ma fu fermato da un gruppo di sardi che, appunto, in un certo senso, in quel momento, hanno protetto, protessero il Vinci. Ecco, il Vinci quindi dice a Calamosca che la pistola calibro 22, all'origine, era del Vinci e che fu poi ceduta. Questo lo dice chiaramente. Qui, il Calamosca, è stato molto contratto. Però, davanti al Giuttari aveva detto che l'aveva ceduta questa pistola. Il Vinci l'aveva ceduta. Lo Sgangarella ci dice - ecco la seconda coincidenza - che, fra Vinci e Pacciani c'era amicizia, una grande amicizia. Che si erano frequentati a Calenzano. Ecco l'escalation. Si erano frequentati a Faltignano, pardon. Che c'era questa grande amicizia. E, guarda caso, nell'orto di Pacciani si trova un proiettile sparato da quell'arma. E, guarda caso, il Lotti riconosce per il Vinci quella persona che si aggirava a San Casciano, quel giorno in cui il Lotti era insieme al Vanni, quando cioè il Vanni disse a Lotti: 'guarda, ; quella persona lì è quella che noi abbiamo fatto scarcerare'. Sono quattro-cinque coincidenze disarmanti, inquietanti, sconcertanti. Io non posso dire altro e non voglio dire altro su questo punto. Presidente, sul movente di questi delitti si potrebbe dire sicuramente ancora qualcosa, anche se molto è già stato riferito, è già stato detto. Se vi interessa l'opinione di questo difensore: io sono molto fermo in questa mia versione, in questa mia opinione. Sulla base di tutto quello che io ho acquisito nel corso di questo dibattimento. A mio avviso si intrecciano due moventi: l'uno, di natura economica; e l'altro, di natura edonistica, che riguarda cioè, la perversione di queste persone. Mi spiego meglio. Il Pacciani sicuramente ha agito più per motivi economici, che non per la propria perversione. Ma state attenti, anche Pacciani è un pervertito. Ricordate il primo omicidio, quando ferisce il seno sinistro della donna. La Sperduto poi ci dirà che, durante l'amplesso amoroso, anche il suo seno veniva ferito; ci dirà la rabbia di Pacciani nel vedere le coppie felici agli Scopeti. E poi tutta la personalità di Pacciani, a tutto questo si aggiunga. Non occorre aggiungere altro. Però io credo che Pacciani lo faccia più per motivo economico che per motivo edonistico. Le vere persone perverse sono il Vanni e il Lotti. Il Lotti lo fa solo per piacere, perché "gli garbava", come dirà il Pucci. Il Vanni è una via di mezzo fra Pacciani e Lotti: lo fa, sia per piacere, e sia per motivi economici. Perché i soldini lui li ha presi. E ce li aveva. Quindi, questa è la mia scala, il mio quadro. E, alla base di tutto c'è, da parte del Pacciani, lo sfruttamento della perversione altrui. Vengono sfruttati questi due individui: il Lotti e la ; perversione soprattutto di Vanni. Il rifiuto, i rifiutati dalle donne. Il Vanni, addirittura, è rifiutato non solo dalla moglie, ma anche dalle prostitute. Questa grande frustrazione, questa grande aggressività, questa avversione verso la coppia felice nel momento dell'orgasmo. E, signori, per quanto riguarda questi personaggi, non fatevi incantare dal loro trasformismo, dalla loro doppia personalità. È un trasformismo, a mio avviso, di stampo mostruoso. Perché il Pacciani sventola il santino, ma poi sappiamo chi è, non ho bisogno di parlare oltre del Pacciani. Io parlo di persone viventi. Mi interessa il Vanni, in questo momento. Il Vanni, lo sappiamo, l'ho già detto, dice di essere una persona mite. Ma poi, come ripeto, ha una personalità invece completamente contraria. Un uomo mite, un uomo malato. 10-15 anni fa era un uomo nella pienezza delle proprie forze, non era un uomo malato, era un uomo perverso. Quello sì. Anche Allocca diceva: 'sono un povero vecchio', e poi aveva violentato ed ucciso e fatto sparire il corpo di quel ragazzo. Attenzione a non farvi incantare da questa falsa apparenza, che è la cosa più mostruosa, la cosa più inquietante di tutto questo processo. Questa metamorfosi di questi personaggi. Attenzione, su questo punto. Ed è il punto, secondo me, più grave, più inquietante della loro personalità: questo sdoppiamento, questo volere apparire come persone vecchie, miti e malate. E invece la loro personalità è completamente, al contrario, diametralmente opposta. Sul Faggi, signor Presidente, mi riporto a quello che ha già detto ieri l'avvocato Colao e a quello che dirà l'avvocato Voena. E concluderò anche per la responsabilità di Faggi. Perché ci sono elementi gravi anche a carico di Faggi: vedi l'identikit; vedi le testimonianze; vedi altri fatti per cui egli si è inserito nella struttura associativa, egli si è inserito in questo giro. E quindi non può essere esentato da alcuna responsabilità. Io non voglio ripetere i concetti dell'avvocato Colao e quello che vi dirà poi il professor Voena. Io vi dico soltanto che c'è anche un'altra coincidenza: che morto Indovino Salvatore e arrestato il Pacciani nell'86-'87, non c'è stato più alcun delitto a Firenze. Anche questo sarà una bella coincidenza. Non fatevi soprattutto incantare. Il Lotti ha parlato. Ma il Lotti, Presidente, dice: forse ha parlato per captatio benevolentia. Eh, certo, è normale che uno parli anche per captatio benevolentia. Però ricordatevi, che 21 anni per il Lotti sono pesanti. 21 anni non è un premio, un grande premio. Non è l'applicazione del diritto premiale. Un pentito di mafia o di terrorismo racconta tutto nei minimi particolari, perché sono fatti - parlo di terrorismo io - la cui molla iniziale, ideale poteva essere anche buona; è stata poi attuata criminosamente. E quindi raccontano tutto. Qui, ricordiamo che c'è anche la vergogna nel raccontare. C'è anche una ritenzione di ordine psicologico nel raccontare tutto fino in fondo, c'è anche un blocco psicologico per questi fatti. E sono due i fatti per cui in genere non ci sono mai pentiti fino in fondo: i fatti a sfondo sessuale e i fatti di stragismo. Anche in caso di stragismo non c'è quasi mai un pentito. Che sono i fatti più obbrobriosi, più scandalosi e più gravi che si possano commettere. Quindi non siamo ingenui. Non è stato detto tutto da Lotti. Ma cosa vi doveva dire di più il Lotti? Questo è l'interrogativo che io vi pongo. E quindi vi dico: non fatevi incantare e ve lo chiedono questi ragazzi, signor Presidente e signori della Corte. Ve lo chiedono Pia, Claudio, Nadine, Jean, Host, Jean, Paolo, Antonella, Stefano e Susanna. E concludo, signor Presidente e signori della Corte. Concludo per l'affermazione di responsabilità di tutti gli imputati, per i reati loro rispettivamente ascritti. E quindi la condanna per il risarcimento dei danni morali in favore della parte civile che si determinano nella somma di lire 50 milioni o in quella inferiore o superiore che la Corte riterrà | di Giustizia; nonché delle spese e degli onorari, come da separata nota, con provvisoria esecuzione. Grazie.

lunedì 20 luglio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 25 febbraio 1998 - Settima parte

Segue dalla sesta parte.  

Avvocato Curandai: Per me è un teste importante in questo processo, signor Presidente e Signori della Corte anche il Perugini, eh. Il Perugini è un teste importantissimo. Perché ci fa un po', a parte tutto l'iter storico di tutte queste inchieste che il Pubblico Ministero ha diviso in tre parti - autore ignoto, processo indiziario, processo a prova diretta - ma ci dice, per esempio, una cosa importante: i ritagli di giornale. Lui aveva detto che il "mostro" - allora si parlava veramente di "il mostro di Firenze" - che il "mostro di Firenze" è solito conservare dei ritagli di giornale. Ora, io non voglio ovviamente apparire come colui che porta qui prove nuove o il cosiddetto coniglio dal cappello, ma io credo di fare una discussione proprio a livello cartaceo, quindi scientifico. E non posso non ricordare in questo momento il famoso giornale che è stato sequestrato a Vanni. Cioè io ho chiesto... Vanni purtroppo non si è sottoposto a esame, però ho dovuto, sono stato costretto a fare questa domanda un po' riservata alla sorella di Vanni: 'il Vanni era solito... che tipo di giornali era solito leggere? Leggeva anche giornali extra cittadini, non so, La Stampa, Il Corriere della Sera, Il Messaggero?'. Non ha saputo rispondere, ma evidentemente il Vanni, se leggeva gualche giornale, penso che leggesse i giornali locali. E nella sua abitazione è stato trovato, è stato sequestrato II Messaggero di Roma del 7 maggio '95. È un verbale di perquisizione personale, quindi è in atti, lo posso leggere: "Quotidiano, questo, conservato in un mobile del salotto e recante un articolo sui 'compagni di merende'. Si precisa che tutti gli altri giornali del Vanni erano conservati in uno stanzino adibito a ripostiglio." Quindi, è strano che compri un giornale non cittadino, Il Messaggero; ma vi immaginate il Vanni che va a comprare II Messaggero di Roma? Mah, non lo compro nemmeno io II Messaggero di Roma, e qui è stato trovato II Messaggero di Roma e conservato in salotto. E il Perugini ci dice che probabilmente gli autori di questi delitti conservano, tendono a conservare i ritagli. Sarà, anche questo, un ritaglio, un particolare, ma ho il dovere di riferirlo perché a me personalmente ha impressionato. E poi il Perugini è importante perché ci parla dello scopo di queste escissioni, di questa avversione; ci parla di possibili chiavi di lettura che anche allora emergevano. Ha detto: "Noi non escludevamo altre possibilità", anche perché loro si chiedevano : ma è possibile che non ci sia mai un testimone? Ora si capisce perché non c'è mai stato un testimone, perché il Lotti ha svolto la funzione di palo. Si diceva: possibile un serial-killer... vengono commessi otto delitti da una sola persona e non c'è mai un testimone? Perché c'era il palo, e il palo è il Lotti. Ecco che gli interrogativi che si poneva il Perugini hanno trovato risposta in questo processo. E poi si chiedeva, il Perugini: sopralluogo; ma è possibile che non sia mai stato fatto il sopralluogo? Forse è stato fatto con una donna, ipotizzava. La Nicoletti. O forse è stato fatto con altre persone, è stato fatto da persone diverse dal "mostro". Ecco che fin da allora si ipotizzavano anche versioni alternative. Il Perugini ha poi aggiunto che avevano indagato anche sul Vanni e sul Lotti e ha poi aggiunto che la sua metodologia di indagine è diversa da quella del dottor Giuttari. Sono due metodologie diverse. Quella di Perugini è oggettiva, che si va avanti se si trovano elementi oggettivi. E siamo andati avanti contro Pacciani perché si è trovato il proiettile, sennò forse non si andava avanti nemmeno contro Pacciani. Il Giuttari, invece, ha una metodologia soggettiva. È chiaro che Perugini ha riconosciuto che bisogna anche avere fortuna, ovviamente, evidentemente; ecco, perché vi ho spiegato all'inizio come vengono fuori tutti quegli elementi: la Nicoletti che chiama Lotti, Lotti che chiama Ghiribelli, Ghiribelli che chiama Pucci. Il Perugini ci ha parlato di un episodio riferito dalla Sperduto, cioè la rabbia di Pacciani nel vedere le coppie lì, felici, lì a Scopeti. Dimostrava una grande rabbia, dice la Sperduto. Il Perugini ci ha parlato che, durante le intercettazioni telefon... ambientali, pardon, in casa di Pacciani, il Vanni e il Pacciani si sono visti almeno una volta fuori, perché già erano iniziate le perquisizioni; già si sospettavano le intercettazioni e non si vedono mai in casa: si vedono fuori. E poi, fra l'altro, ci ha parlato che alla base, una costante di questi autori, potrebbe essere il vandalismo, l'incendio. E ci ha detto che anche il Lotti, lo sappiamo, il Lotti si è reso responsabile, fra l'altro, di un incendio. Ora, questi possono essere anche tutti particolari, però erano particolari insignificanti allora; ma oggi, alla luce delle nuove conquiste di indagini, alla luce della nuova ricostruzione sulla base di prova diretta, noi diciamo che queste ipotesi di Perugini non erano delle fantasie. Altro testimone - l'ultimo che cito, poi non ne cito più - è Ricci Walter. Ricci Walter ci parla di un Vanni che aveva paura di Pacciani perché il Pacciani, dice, aveva, teneva in macchina quel pistolone. E state attenti, che il Ricci Walter è l'unica persona dell'ambiente omertoso di San Casciano che ci parla di guardoni. Cioè, dice: 'Lotti, Vanni e Pacciani eran dei guardoni'. È l'unico che ce ne parla, è l'unico che lo dice a chiarissime note. Altro teste importante, ovviamente, è anche il nostro Pucci. Anche qui stesso concetto. Il Pucci, sul nocciolo duro dice... le cose essenziali, le dice, ve l'ha piegato il Pubblico Ministero: il Vanni col coltello; poteva dire il Pacciani col coltello. Ha detto: il Vanni col coltello, il Pacciani con la pistola, il taglio dal basso verso... e poi un altro particolare, che ancora non è emerso e che voglio sottoporre alla vostra attenzione. Il Pucci ci parla anche di un motorino, il giorno del delitto degli Scopeti, quella domenica. Ci parla di un motorino, appoggiato a un albero o a un muro; in questo momento sinceramente non ricordo. E sapete chi parla di un motorino? Un'altra persona che era andata lì quel giorno: la Carmignani Sabrina. Parla di guesto motorino. Quindi, il Pucci trova riscontro in Carmignani Sabrina, sul motorino, sulla presenza di questo motorino. C'è una sola differenza, che secondo me forse non ha poi un gran rilievo: la Carmignani o il Pucci, non ricordo, parla di un motorino appoggiato al muro, al muretto, a un muretto; e l'altro parla appoggiato a un albero. Insomma, non credo che sia una divergenza estremamente importante. Di un Pucci, vi ha già parlato il Pubblico Ministero, di un Pucci terrorizzato da Vanni e da Pacciani; di un Pucci il quale dice: "Un mio amico mi invitò al processo Pacciani e io non ci volli andare perché ero terrorizzato." E a me, in particolare, mi ha sconvolto la sicurezza con cui il Pucci, offeso dal Vanni in aula - che giustamente ha reagito, dal suo punto di vista, verso queste accuse e su questo punto vi parleranno ad abundantiam gli avvocati di Vanni e sentirete le loro campane - però il Pucci io vi dico che ha reagito bene, perché a un certo momento, con estrema sicurezza gli ha detto: "E tu c'eri, e tu c'eri, vai, te lo dico io. Tu c'eri." Mi ricordo ancora l'espressione del viso: "E tu c'eri, ti c'eri te, stai tranquillo, te lo dico io. E io dico la verità." E che lui dica la verità, no dica mai bugie - e su questo non possiamo ovviamente mettere una mano sul fuoco come Muzio Scevola - però c'è la testimonianza dei parenti su questo punto. E' un tipo chiuso, quando parla non è capace di dire le bugie o di dire grosse bugie. Il professor Fornari di Pucci ci dice che è una persona sana di mente, che è una persona che non ha particolari infermità mentali, che è una persona non mitomane, certo è un sempliciotto e che non ha neppure un grave ritardo mentale. È una persona compos sui, lucida, capace di... e soprattutto non è un mitomane, è il contrario del mitomane. Perché in questi processi il pericolo è la mitomania. Ma ci sono dei consulenti psichiatrici che vi dicono: 'questi due personaggi sono tutto fuorché mitomani'. Ma cosa vogliamo più di così? Che cosa ci ha detto su questo punto la difesa, oltre ad arrabbiarsi, a scagliarsi contro tutti e contro tutto in questo processo. Ma, Signori, vogliamo trascurare le testimonianze dei parenti di Pucci? Ma insomma, ci sono tre persone, tre galantuomini, Fanfani, Pucci Valdemaro, Pucci Marisa, i quali hanno detto: il nostro fratello ci ha detto 'io ho visto tutto; io ho visto tutto'. E la Fanfani ci dice anche in che frangente: TG1 del 13 febbraio, giorno in cui viene annunciata l'assoluzione di Pacciani. E allora c'è da porsi una sola domanda in questo: forse sapevano già, forse aveva già parlato, il Pucci; forse questi parenti sapevano già qualcosa. E un sospetto ci può essere, vero? perché se voi andate a esaminare cortesemente la consulenza su Pucci, allora esaminerete le dichiarazioni di Pucci Marisa, di Pucci Marisa, la sorella. Dice: "Il signor Vanni sarebbe da tempo conosciuto dall'intera famiglia Pucci come postino del paese ed era un collega del marito di Pucci Marisa e un amico di famiglia...". Il Vanni era un amico di famiglia dei Pucci. "E la signora afferma più volte la volontà" - ecco qui, ecco qui l'omertà familiare - "afferma più volte la volontà del nucleo di non arrecare danno a persone che da tempo si conoscono". È il timore della donnina di paese che ha paura, che spera sempre nell'innocenza di tutti. O che preferisce la strada del silenzio, perché è la strada più comoda, più tranquillizzante, soprattutto nei paesi, o nei paesoni, o nei paesini del nostro entroterra toscano. Quindi, niente di più probabile che forse sapessero già fin da prima. Io non lo voglio pensare, non lo voglio dire, ma purtroppo il sospetto c'è, perché queste confidenze sono state fatte da Pucci Marisa al professor Fornari. Oppure c'è un'altra versione, che forse non è meno infondata ed è di natura psicologica. E cioè il Pucci ha sempre avuto, lo ha detto lui, il terrore di Pacciani. Il Pacciani finché è stato in galera, nessun problema. È in galera dall'87. Al TG1 viene a sapere che il Pacciani è stato assolto, il Pacciani deve esser scarcerato. Io credo che questa persona, fragile, debole, abbia avuto un'esplosione dì terrore in quel momento e gli sia scappato detto: ho visto tutto. Ho visto, so. Dio buono, il Pacciani torna fuori, so'. Ecco il fatto emotivo. Perché finché il Pacciani... il Pacciani è stato dentro fin dall'87. E quindi il Pacciani fuori lo può terrorizzare. Io dico, concludo con questa considerazione: erano amici di famiglia di Vanni - l'hanno coperto, non l'hanno coperto, non lo so - però, proprio perché erano amici di Vanni, nel momento in cui fanno, questi familiari di Pucci, dichiarazioni contro Vanni sono a maggior ragione credibili. Eh, se hanno coperto tutto o se non hanno detto tutto perché erano amici di Vanni, o per il solo fatto di essere amici di Vanni, se accusano il Vanni sono credibili, a quel punto. Quindi il Pucci va esaminato, e vi prego di esaminarlo, anche e sopratutto alla luce delle testimonianze dei parenti. Questo è già stato detto, va bene... Allora, io a proposito di Vanni, che è il mio quarto argomento, ho già parlato del giornale II Messaggero, del coltello ne ha già parlato il Pubblico Ministero. Io vorrei accennare a quella tesi dei periti di Modena sulla famosa altezza dell'uomo che praticamente ha lasciato alcune impronte sullo sportello di destra della macchina di Vicchio, dei due ragazzi. Si parla di un uomo alto fra l'l,80, l'l,85. E cosa ci dice il Lotti? Che, a estrarre il corpo da quello sportello, è stato il Vanni. E il Vanni è alto 1,80-1,85. E questo è stato ipotizzato già da questi periti di Modena fin dal 1985. Poi, signor Presidente, Signori della Corte, voi esaminerete gli interrogatori di Vanni. E mi ricordo che il maestro del dottor Canessa - perché anche il dottor Canessa credo abbia avuto un maestro, è il dottor Fleury. Bravissima e intelligentissima persona - mi ricordo, durante un'udienza disse: guardate, signori - rivolgendosi alla Corte di Assise - che le prove più gravi, gli indizi più gravi spesso provengono proprio dall'interno dell'imputato, anziché dall'esterno, dai dati oggettivi. Se voi andate ad esaminare le dichiarazioni di Lotti Vanni – (ndt), ma Lotti (Vanni - ndt) ha detto una caterva di menzogne spudorate da fare, da impressionare veramente. Io ora capisco per quale motivo non si è fatto esaminare, perché sicuramente avrebbe aggravato la propria posizione. Ma insomma, inizia già male l'interrogatorio dicendo: 'io, "Torsolo"? E chi...' 'No, lei, il suo soprannome è "Torsolo”.' 'No, no' - dice - 'a me mi chiamano "Cambroni".' Si vada a leggere le dichiarazioni di Sabrina, di Carmignani Sabrina, che è ima giovane ragazza di San Casciano e ci dice che il cognome di lui è "Torsolo". Perché lui dice: '"Torsolo" mi chiamavano da piccolo'. No, "Torsolo" ti chiamano anche ora, perché lo dice una ragazza di 18 anni che ti chiami, che a San Casciano tutti ti chiamano "Torsolo". Quindi si incomincia già male, si incomincia già male. E quindi... E poi si va avanti. E poi la cosa... Per esempio, lui dice di non essere mai stato a Scopeti. E viene smentito dalla Carmignani, perché ce lo ha visto a Scopeti. Lui dice, per esempio, in un altro interrogatorio, più avanti, sempre nell'interrogatorio davanti al Gip, dice di essere andato una sola volta davanti alla Ghiribelli, dalla Ghiribelli. E poi si smentisce. Successivamente, vista la malaparata, dice: 'no, no, non ci sono andato dalla Ghiribelli'. Prima dice di sì e poi dice di no. E poi, a proposito del Lotti - e qui è lo sgomento: "Lei lo conosce il Lotti?" "Lo conosco appena." Ma come, si conoscono da 25 anni, hanno abitato più di 10 anni nella strada, dice: "Lo conosco appena." Perché mentire? Perché mentire? E poi altre cose. Dice di non aver frequentato Faltignano. E invece ci sono tanti testimoni che lo dicono. E poi, addirittura, sempre su questi argomenti, ci sono le testimonianze, viene contestata la testimonianza di Ricci Walter sulle sue frequentazioni di Pacciani e di Vanni.