giovedì 23 luglio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 3 marzo 1998 - Seconda parte

Segue dalla prima parte

Avvocato Mazzeo:  Siccome non l'ha letta nessuno la norma, nessuno, io lo faccio invece, soprattutto per i Giudici popolari, perché bisogna partire prima di tutto dalle norme di legge, io penso. L'articolo 192, "valutazione della prova", tema fondamentale con cui vi confronterete, dice: "Il Giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati." Fin qui siamo tutti d'accordo. "Comma 2. L'esistenza di un fatto" - per esempio la colpevolezza del Vanni - "non può essere desunta da indizi" - usa il plurale, notate - "a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti." La Suprema Corte di Cassazione dice che devono essere anche certi, ovviamente, perché se non fossero certi non sarebbero indizi. Poi parleremo della differenza che passa - e qui è vocabolario della lingua italiana - tra indizio, per esempio, e sospetto; che differenza c'è? Tra indizio e suggestione; tra indizio e ipotesi di lavoro di un inquirente, magari non verificata; fra indizio e immaginazione; tra indizio e desiderio. Il desiderio di chi vuole vedere una cosa, vuole vedere quella cosa e la vede. Ma non è quello che è cioè che vede: è ciò che vuole vedere. Ciò che distingue fondamentalmente - sul piano del buonsenso comune, poi leggeremo anche... lo dice la Cassazione - l'indizio da tutte queste altre cose che vi sono state, a raffica, illustrate invece e nessuna di queste era indizio, è che l'indizio deve essere certo. E che vuol dire certo? Che l'indizio deve essere un dato di fatto, storico. Per esempio, che ne so: il coltellaccio da cucina trovato nel forno della cucina del Vanni. Questo è un dato storico: c'è un coltellaccio da cucina. Deve essere certo l'indizio, perché sennò rimane un sospetto, una suggestione. L'inquirente arriva nella cucina del Vanni, vuole trovare un riscontro, una conferma a una dichiarazione e vede nel coltello, dà a quel coltello un significato che, sotto un profilo di certezza giuridica e sostanziale di per sé non ha. Che significa certo? Che deve portare verso una direzione unica. Che può essere spiegato soltanto in una maniera: già se sono due le maniere per cui può essere spiegato quel dato storico, non è più un indizio, non ne dovete tenere conto. Perché si annida, in questo caso, il pericolo gravissimo dell'errore giudiziario. Perché se esiste l'esigenza - e apro una piccolissima parentesi - di assicurare i colpevoli alla Giustizia, perbacco, riguarda tutti noi; esiste un'altra esigenza, che forse è superiore, lo lascio alla vostra riflessione, che è quella di non condannare gli innocenti. Perché in questo modo si commettono due ingiustizie: l'ingiustizia verso l'innocente che si condanna e l'altra ingiustizia verso tutti noi, perché si impedisce in questo modo che le indagini continuino e che vadano forse a colpire il vero colpevole. Valutate voi quali di queste due esigenze è più importante, sul piano morale e sul piano giuridico. Si parlava quindi di indizi. "L'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi, a meno che questi non siano gravi, precisi e concordanti". E poi veniamo al tema centrale di questo processo: la chiamata di correo. Questa è la legge eh, quindi nessun commento. "Le dichiarazioni rese dal coimputato" - Lotti in questo caso - "del medesimo reato, o da persona imputato in un procedimento connesso" - eccetera, eccetera - "sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità." Che vuol dire "sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità"? Vuol dire che il Legislatore ha dettato, a proposito della chiamata in correità, a differenza degli altri mezzi di prova - compresa la confessione - ha dettato una positiva regola di giudizio. Significa che voi dovete attenervi a questo, cioè a dire: c'è una presunzione relativa di non credibilità intanto del chiamante, del dichiarante: del Lotti. C'è una presunzione relativa di non credibilità: tu mi stai chiamando in correità qualcuno? Tu stai accusando qualcun altro, oltre che accusare te stesso? Intanto io non ti credo, dice la legge. Lo dice la legge. Io non ti credo. La tua dichiarazione la posso prendere in considerazione soltanto se viene corroborata, come si dice, unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino 1'attendibilità. Allora, prima regola di giudizio: presunzione relativa di non credibilità del chiamante. Non c'è versi: Lotti, intanto te per me stai dicendo delle bugie. Poi, andiamo a vedere se ci sono dei riscontri oggettivi che confermino l'attendibilità di quello che tu dici. A quel punto allora si valuta e può diventare una prova piena a tutti gli effetti. Distinzione quindi tra confessione e chiamata in correità. Questo è un tema che anticipo sotto un profilo strettamente giuridico. Poi lo illustrerà molto più approfonditamente, con riferimento poi ai fatti di questa causa, il mio collega Filastò. Dice la Cassazione in quella sentenza 26 settembre '96, 8724: "La valutazione delle dichiarazioni confessorie..." Quindi qui c'è una confessione e una chiamata in correità, no? C'è Lotti che dice: io sono colpevole, però è colpevole anche quell'altro. "La valutazione delle dichiarazioni confessorie degli imputati, ai fini del giudizio di responsabilità a suo carico, deve essere condotta e motivata in base ai criteri elencati nel I comma dell'articolo 192." Quando si dice appunto: "Il Giudice valuta la prova dando conto, nella motivazione, dei risultati acquisiti e dei criteri adottati." Niente riscontri oggettivi, no, necessariamente. Una confessione può essere ritenuta valida, vera -vera, parliamo terra terra - al di là dei riscontri oggettivi, semplicemente in base a una valutazione congrua, evidentemente, logicamente corretta, va bene, della credibilità intrinseca e dell'attendibilità intrinseca - non estrinseca, senza riscontri - di colui che si confessa. Per esempio: una confessione che risulti evidentemente frutto di un catartico sentimento di espiazione - e questo certamente non è il caso del Lotti, vero - quella potrebbe essere considerata di per sé, senza bisogno di riscontri, una prova sufficiente a fondare la condanna di chi? Di colui che si confessa colpevole, cioè a dire del Lotti, per tornare a noi. E questo dice la Cassazione in questa... per distinguere dalla chiamata in correo. Dice: "Va valutata in base ai criteri indicati nel I comma dell'articolo 192 del Codice di procedura penale, poiché essa si distingue nettamente" -dice - "dalla valutazione delle contestuale chiamata in correità effettuata dal medesimo ' “ . imputato; per la cui valenza probatoria, secondo il disposto del III comma" - abbiamo detto viene valutato unitamente agli altri elementi di prova, eccetera - "non basta" - nella chiamata in correità - "la credibilità dell'autoincolpazione in quanto tale, ma occorrono riscontri esterni che suffraghino l'assunto accusatorio del confidente. Ne consegue che la confessione può essere posta a base del giudizio di colpevolezza, nell'ipotesi in cui il Giudice ne abbia favorevolmente apprezzato" - appunto - "la veridicità, la genuinità, l'attendibilità, fornendo le ragioni per cui debba respingersi ogni intento autocalunniatorio". Ci può essere la falsa confessione, autocalunnia; un mitornane. "O di intervenuta costrizione del soggetto." E questa sentenza, guarda un po', la Cassazione l'ha fatta in applicazione di detto principio: "La Corte ha rigettato il gravame" - dice - "con il quale il ricorrente" - colui che aveva confessato e chiamato in correità - "lamentava che, mentre la sua confessione era stata ritenuta, dal Giudice di merito, prova" - la sua confessione - "di colpevolezza nei suoi confronti, non era stata nel contempo considerata sufficiente a fondare il giudizio di responsabilità dei coimputati", di quelli che lui aveva chiamato in correità. Perché sappiamo che i criteri di valutazione e di giudizio delle due prove sono diversi. E quindi, confessione: strumento di conoscenza della verità delicatissimo, perché si tratta di entrare nell'anima di chi parla e, come diceva quel signore: "quello che passa nel cuore dell'uomo, l'uomo stesso quasi mai lo conosce". Quindi immaginate la difficoltà del giudizio sulla veridicità, sull'attendibilità, sulla genuinità di una confessione. Peggio che mai quando ci si avventura, voglio dire, sul terreno minatissimo della chiamata in correità. Terreno ancora più minato, in questo scorcio storico, in questa nostra fine di secolo, perché ormai è entrato nel linguaggio comune il concetto di "legislazione premiale"; anche i non tecnici ne avranno sentito parlare. Ci sono una congerie di leggi, di norme che in sostanza, per far fronte a un'emergenza - prima l'emergenza terroristica e poi l'emergenza mafiosa - hanno favorito, diciamo così, le chiamate in correità, hanno favorito il cosiddetto "pentitismo". Legislazione premiale: tu che sei affiliato, tu che sei all'interno dell'anti-Stato, parla. Pentito è un termine che ha a che fare con il sentito catartico di autoincolpazione, qui non c'entra nulla. Parla. Io Stato mi occupo dei comportamenti, non delle coscienze. A me interessa che i reati non si compiano, a me Stato. Quindi tu parla e sarai premiato. Poi arriveremo a illustrarlo questo aspetto. Però, naturalmente, questa è una vicenda che, sotto il profilo del Giudice che deve giudicare se la chiamata in correità è vera, è veridica, se veramente quello che vien chiamato è colpevole, gli complica la vita al Giudice questa cosa. Perché quando, fino a qualche tempo fa, Corte Suprema di Cassazione, Giurisprudenza pacifica e costante, diceva che fra i requisiti della attendibilità intrinseca della chiamata in correità ci doveva essere il disinteresse, mi insegnano i Magistrati togati che ora, da qualche anno, il disinteresse, con sano realismo, i Giudici ormai non lo considerano più un requisito della genuinità e della intrinseca attendibilità della chiamata di correo. Perché, insomma, è una contraddizione in termini, no? Con una legislazione premiale gigantesca - che vi verrà illustrata puntualmente - che in sostanza si risolve in una esenzione dalla pena per il chiamante in correità, un Giudice che va a dire che tra i requisiti che cerca nel chiamante in correità ci deve essere il disinteresse, beh, insomma, è retorica, no? Dice una cosa falsa. E quindi, con sano realismo le ultime sentenze, diciamo dall'85 in poi, non parlano più del disinteresse. Tra i requisiti che deve valutare, la cui esistenza... la parte colpevole, che si dichiara colpevole, chiama in correità gli altri: non mi interessa se tu sei disinteressato, oppure no; guardiamo altre cose. Ma questo inquina, no? Rende ancora più complicato il vostro lavoro. Rende più complicato il vostro lavoro, ma la complicatezza, diciamo, del vostro lavoro non deve mai tradursi in rischio di un'ingiustizia nei confronti del chiamato. Pare evidente questo. La chiamata in correità. La chiamata in correità. Prima le chiamate in correità, nei secoli passati, venivano a volte provocate dalla tortura, no? Tortura come strumento dell'inquisizione. Chissà perché c'era questo concetto: mah, io ti torturo e poi qualcuno chiamerai. Mi viene in mente sempre la peste di Milano del 1630, quella narrata da Alessandro Manzoni nella "Storia della colonna infame". Strano costume dei nostri antenati giuristi. Provocare le confessioni, le chiamate in correità magari torcendo il piede, o pestando l'alluce, o altre amenità di questo genere, al disgraziato che gli capitava in mezzo. Noi siamo civili, invece. Noi abbiamo fatto moltissima strada da allora. E ' intervenuto nel frattempo Cesare Beccaria, "Dei delitti e delle pene"; è stata abolita la schiavitù. Che ne so, che altro c'è stato? Adesso c'è la legislazione premiale, però. C'è un giurista - sicuramente noto ai Giudici togati - Tullio Padovani, che ha scritto un articolo che si chiama "La soave Inquisizione". Il titolo è bellissimo, perché illustra questo aspetto: come si può coartare la volontà di un soggetto da cui ci si aspetta delle dichiarazioni - e già il fatto che ci si aspetti delle dichiarazioni è sbagliato, ma lasciamo da parte - si può coartare con la violenza e si può coartare invece blandendolo, si può coartare con le offerte: "La soave Inquisizione". Il bastone e la carota, per dirsela in termini... Prima si usava il bastone, adesso forse, per esigenze rispettabilissime di tutela dell'ordine democratico, lo Stato in qualche modo si tura il naso - che questa è l'operazione che ha fatto il Legislatore - si tura il naso e noi aderiamo a questo, in qualche misura. Eh, signori, però qui, questo non è un processo di... Qui, sì, non c'entra la mafia, non c'entra il terrorismo. Si sta giudicando dei delitti comuni, orrendi. La cronaca giudiziaria forse non ne ricorda di uguali. E in qualche modo questa legislazione premiale si è inserita, attraverso una previsione troppo ampia forse del Legislatore, dell'ipotesi in cui sì debba essere in programma di protezione, o cose di questo tipo, per cui si arriva a un assurdo - già illustrato prima da qualche altro collega - per cui un soggetto che da due anni si dichiara colpevole di 16 omicidi non si è fatto neanche un giorno di galera. Insomma, voglio dire, è inutile poi girare intorno e dire: mah, la legge lo consente. Questo turba, urta la coscienza di chiunque, non c'è niente da fare. È un dato con cui ci dobbiamo confrontare. Ma è una cosa che si è insinuata in un contesto normativo che in fondo non era stato pensato per delitti di questo genere, non ce lo nascondiamo. La sensibilità dei Magistrati togati, in particolare, non può non avere presente questo aspetto. 

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