giovedì 4 giugno 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 20 febbraio 1998 - Quinta parte

Segue dalla quarta parte.
P.M.: Ma leggiamo un attimo, indipendentemente dalle dichiarazioni di Lotti, sul punto cosa avevano descritto e ipotizzato sempre gli stessi periti. Leggiamo anche questo. Pagina 21 della loro perizia. È la ricostruzione della dinamica materiale, anche questa impressionante alla luce di quello che sappiamo oggi. Dicono, non sanno niente, non conoscono Lotti, non hanno mai sentito un teste, non sanno minimamente cosa possa essere accaduto. Hanno visto solo la tenda, le gocce di sangue, le ferite, il posto. Hanno ricostruito la dinamica sulla base dei cosiddetti elementi oggettivi. Leggiamo quella pagina, sono anche qui tre righe della pagina 23. Sembra di sentir parlare Lotti con un linguaggio più dotto. Se voi lo leggete vi rendete conto: 'ma come possono aver scritto queste cose persone che non hanno sentito questo racconto?'. "C'è da ritenere che l'autore, giunto probabilmente sul posto con un mezzo mobile lasciato parcheggiato al margine della strada comunale che costeggia su di un piano più basso la radura del delitto, abbia prima accortamente studiato il luogo di intervento decidendo di operare sulla tenda dalla parte posteriore per sfruttare l'elemento sorpresa, aprendosi il varco nel telo con uno strumento tagliente." Poi aggiungono: "Verosimilmente la medesima arma bianca usata per le successive operazioni. Deve tuttavia aver trovato, quale fatto non previsto, il secondo telo di riparo, il che deporrebbe per una non piena dimestichezza con tende da campeggio." Altro che grande autore di delitti, persona normale. Sa un corno come è una tenda da campeggio di quella fatta. Eh, vi ricordate il discorso di Pucci? 'S'andò dietro, io poi cosa abbia fatto... Sentii il colpo, il rumore del coltello. Poi se sia riuscito a entrare dentro o se è andato da un’altra parte io non lo so.’ Anche lui si allontanò. Ecco la spiegazione di come andarono i fatti quella notte. Ce l’avevano già data, perché noi oggi siamo più tranquilli, il professor De Fazio e la sua equipe. Ma ce l'avevano data perché quello emergeva dalle circostanze, e quello è quello che hanno descritto. Non hanno descritto scene completamente diverse. È la scena che poi noi ritroviamo con quelle caratteristiche, quei dettagli di imprecisione, quelle possibilità di vedere e non vedere in quella notte da parte di questi due soggetti che si sono dichiarati presenti. Eh, questo è un elemento oggettivo. Direi che anche qui la valutazione è quella che è. Cosa altro possiamo valutare se non prendere atto di una ricostruzione che emerge dall'esame degli oggetti e dei corpi. Continuano: "È da supporre che l’aggressore" - ovviamente loro parlano sempre di uno - "a questo punto abbia impugnato la pistola esplodendo un primo colpo contro lo spigolo della tenda, forse indirizzato verso le voci o i rumori all'interno della tenda da cui gli occupanti, allarmati, si accingevano ad uscire." Vi ricordate il racconto di Pucci che dice si lamentavano, gridavano. "Quale ulteriore sviluppo della dinamica operativa del caso è da ritenere che l'aggressore si sia spostato rapidamente sul davanti della tenda dove ci sono quei bossoli." È esattamente, fino a questo punto, la dinamica descritta dai due che si sono dichiarati, a titolo diverso, presenti. E poi aggiungono: "Che si sia spostato" - e noi sappiamo che è Pacciani questo aggressore -"davanti alla tenda, ponendosi in vista dell'accesso di questa, da cui infatti stava per uscire o era già uscita la vittima maschio, verso la quale l'aggressore deve aver esploso un primo colpo di pistola al volto, esplicando un effetto di shock traumatico e doloroso ma non con un vero e proprio potere d'arresto." Anche qua è il racconto sia di Pucci che di Lotti. Ciò darebbe ragione, quindi, della fuga della vittima verso la macchia riuscendo a percorrere, benché ferito, una ventina di metri. Era stato colpito ma non era morto. E quindi abbiamo qua tutta la dinamica, descritta sia da Lotti che dai periti, dell'aggressione al giovane francese che viene rincorso, aggredito e finito col coltello dal dietro. Con tutte quelle imprecisioni, con tutte quelle difficoltà di racconto che ha avuto Lotti sul punto. ma vi immaginate la scena? Uno che assiste a una carneficina di questo tipo. Un Lotti è abituato, su questo lo sappiamo, Pucci se n'è andato. È uno che ha visto qualcosa, la luce era quella che era: il ragazzo che scappa, che da dietro lo butta in terra, lo aggredisce, lo colpisce col coltello. Pensiamo noi che a distanza di dieci anni dobbiamo essere qua a sottilizzare se il Lotti ci descrive una prima volta che l'ha visto a due metri, che lui era dietro il cespuglio? 'Ma lei da dove l'ha visto?' 'Ero in un cespuglio, ero vicino, ero lontano.' Il tentennare tipico di Lotti il quale ha, come sempre, la necessità di salvare un po' se stesso. Ma cosa deve raccontare? Cosa pretendiamo che racconti, una persona che c'era? Quali altri dettagli vogliamo pensare di poter ricavare dal suo racconto? Come possiamo oggi pensare: eh, mah, forse, se non era il cespuglio cosa ha visto, cosa non ha visto. È la sostanza del racconto. È la dinamica materiale che combacia in maniera impressionante. È un sicuro elemento di riscontro oggettivo, quello per il 1985 a Scopeti. Ma come sapete io mi sono molto impegnato per quello che riguarda la ricostruzione della dinamica materiale dell'omicidio dell'84, e direi che anche qua probabilmente, anzi sicuramente, la volontà di approfondire ha sicuramente giovato alla ricostruzione della verità. Abbiamo sentito qua in aula, oltre coloro che avevano fatto i rilievi - la Polizia Scientifica - sull'auto, i rilievi sul posto, abbiamo sentito il professor Maurri, il professor Marello sulla presenza di colpi di arma bianca sul corpo della ragazza Rontini e sulla necessità di verificare come si erano svolti i fatti: aggressione con la pistola alla ragazza, col coltello, momento della morte. È una serie di circostanze ricostruite dai medici legali che emergevano anche queste nella perizia depositata da loro e anche lì potevamo stare tranquilli. Quando qualcuno, di fronte al discorso che Lotti aveva sentito gemere e lamentarsi la ragazza, si era inalberato dicendo 'era morta, come fa ad aver sentito gemere, com'è possibile che questa si sia lamentata?', nessuno si è scomposto più di tanto in questo dibattimento. Se dobbiamo verificare questo dato abbiamo un dato obiettivo nella perizia: chiamiamo i periti che l'hanno fatta, ci facciamo spiegare nei dettagli cosa hanno, loro, accertato sugli esiti di queste lesioni da coltello e vedremo se Lotti dice o no la verità. Ci aveva lasciato in difficoltà, ma in difficoltà a pensare a questa ragazza, di come è morta. Io non voglio aggiungere altro perché è bene che lo pensi ognuno nel suo intimo, perché ricostruire questi passaggi è sicuramente difficile per tutti; però in questo processo bisogna farlo. Come sono andate le cose. Cosa dicevano i periti di allora. Lascia senza parole già la ricostruzione in perizia ed è questa, in sostanza: "Pia Routini non morì subito dopo l'esplosione dei colpi di pistola." Nella perizia medico-legale c'era già scritto, incontestabile. Addirittura c'era un intero capitolo, fra pagina 45 e pagina 63. Un capitolo. Signori, i medici legali di allora su questo punto avevano speso un capitolo della loro perizia medico-legale. Sapete come era intitolato? Lo sapete benissimo: "Eventuale sopravvivenza e possibilità di movimenti coordinati e finalistici della ragazza." Allora, anche questi signori niente sapevano del racconto successivo di Lotti. Pagina 59: "Dopo il colpo di arma da fuoco alla testa sul cadavere non ci sono segni che indichino la comparsa di morte immediata" - cioè l'esame obiettivo del cadavere - "ma, al contrario" -allora dicevano - "ci sono segni indicativi di una certa sopravvivenza, che come abbiamo già detto sono rappresentati dall'edema polmonare." E spiegano quali sono gli elementi oggettivi da cui ricavano questo dato. Ed ancora: "Per quanto riguarda il carattere delle lesioni da arma bianca al collo si può conclusivamente dire che esse sono molto più probabilmente inferte in vita che non in morte; ciò perché lo stravaso ematico lungo il tramite e lungo alcuni dei muscoli della regione latero-cervicale sinistra è stato abbondante." Cioè, ci spiegano perché non è un'illazione. Ci fu sicuramente un periodo di breve sopravvivenza. È la descrizione che Lotti vi ha fatto in quest'aula, perché la descrizione di Lotti è: 'La ragazza fu trascinata, dopo i colpi di arma da fuoco, fuori dell'auto nel campo di erba medica attiguo' in cui avvennero le escissioni ad opera di Mario Vanni. In precedenza la ragazza era stata attinta da colpi di arma da fuoco sparati dal Pacciani. “La ragazza dopo gli spari gemeva e si lamentava." Questo è il racconto di Lotti. La coincidenza è impressionante. Ma non eravamo soddisfatti. Abbiamo chiamato i periti e ci siamo fatti spiegare dal professor Marello e dal professor Maurri perché questa ragazza poteva gemere, nonostante quel tipo di lesione d'arma da fuoco. E qui, direi, la scienza ci ha dato il maggior contributo che ci poteva dare nella persona del professor Maurri e del professor Marello. Perché sono stati una buona mezz'ora a spiegare, a domande delle parti di questo processo, come è meccanicamente potuto avvenire che la ragazza, in presenza di quelle lesioni, gemesse. Tagliando alla radice, anche qui, le illazioni: Lotti è uno che sente i marziani, ha sentito gemere. No, no. Assolutamente. Le cose sono in modo diverso. Maurri e Marello sono stati a lungo interrogati su come meccanicamente poteva essere avvenuto. Io vorrei che le rileggeste, però vi aiuto io. Mi dispiace, vi faccio perdere... non perdere, vi faccio occupare alcuni minuti su questo punto. Occupare è il termine giusto. Perché anche basta, basta illazioni. L'ho letto anche su un giornale, una volta: 'Ah, Lotti com'è possibile che abbia sentito gemere, non è...'. Per carità, i processi si fanno in quest'aula. Li abbiamo sentiti il professor Maurri e il professor Marello. Il Marello ha avuto la possibilità di spiegarcelo tecnicamente. Dice: ”Il colpo mortale che attraversò la guancia fermandosi nella sede occipitale del cranio della ragazza non è stato immediatamente mortale. Ha portato indubbiamente ad una situazione comatosa susseguente all'evento lesivo, ma ciò ha consentito una sopravvivenza della ragazza che è stata, a questo punto, attinta da altri colpi a livello del collo: esattamente due ferite da punta e da taglio che hanno tutte le caratteristiche di ferite vitale.” Cioè ferite inferte su un corpo in vita. "La morte non era sopraggiunta." Secchi, tutti e due. "C'erano i segni di spruzzi di sangue." Scusate, è veramente difficile per me spostare in una cosa così fredda e arida gli spruzzi di sangue di una situazione di quel genere. Oggi ci si accontenta di parlare di spruzzi di sangue, nessuno pensa alle anime di queste persone. Ma il processo vuole che parliamo di spruzzi di sangue e io di spruzzi di sangue devo parlare; ma solo a questo fine. "C'erano gli spruzzi di sangue proprio perché le ferite da taglio al collo sono inferte ancora durante la vita della vìttima." Mi è difficile, lo ammetto, continuare a evidenziare a voi questo racconto; ma è necessario, indispensabile. "Il cuore continuava a battere; conseguentemente, pulsando, riesce a spingere con violenza il sangue al di fuori delle ferite. Il fatto che le ferite al collo siano vitali è determinato da tutta una serie di elementi medico-legali che vanno dall'infiltrazione ematica...", e qua si dilungano nel come possono aver dimostrato questo. "Quando la donna, poi, venne sottoposta alle ulteriori mutilazioni abbiamo ferite sicuramente mortali. Cioè significa che lì la ragazza fu prima violentemente afferrata e trascinata" – ci dimostrano che quei segni che si sono trovati sul corpo sono segni di trascinamento - "e poi nel momento in cui fu afferrata la ragazza era ancora viva, dal punto di vista cardiaco, ovviamente; dal punto di vista della funzione della circolazione ematica. Cioè, può esserci stata una qualche reazione minima da un soggetto ancora non definitivamente morto." 

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