venerdì 5 giugno 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 23 febbraio 1998 - Sesta parte

Segue dalla quinta parte.

P.M.: Ecco ora i punti essenziali divisi per i due periti. Maurri: "Perché, nonostante la indubbia gravità del proiettile che raggiunse la ragazza al cranio, provocando queste grosse lesioni encefaliche, a quel punto lì, anche se la ragazza è entrata in uno stato di coma, rapidamente ingravescente e irreversibile, sicuramente c'era la possibilità di emettere qualche suono, un gemito, un gorgoglio, un lamento." E il professor Marello, che è ancora più specifico: "Vorrei, a questo proposito, aggiungere che nel coma strutturale” - qui va nello scientifico, nell'anatomopatologo, nel medico-legale, ma anche qua è indispensabile - "nel coma strutturale, quando parliamo del coma che ha origine nella parte anteriore del cervello, cioè a livello encefalico, a livello proto-mesoencefalleo son possibili azioni motorie da parte del soggetto, per cui il corpo ha movimenti." "E per quanto riguarda il problema del lamento abbiamo constatato...", ecco qua il punto oggettivo che ci mette, che vi mette tranquilli, se tranquilli si può essere in uno scempio di un corpo umano, di una persona ancora in vita, se si può pensare a essere tranquilli, ma dobbiamo essere tranquilli nella ricostruzione. Dice: "Per quanto riguarda il problema del lamento abbiamo constatato, nel corso dell'autopsia, che la parte della glottide delle corde vocali erano perfettamente integre; erano risparmiate. Così come, integre, erano praticamente le vie che dalla zona pre... frontale ascendente attraverso il peduncolo cerebrale e i nuclei dei nervi cremici, i nervi del trigemino e la faringe, cioè quegli elementi nervosi che permettono in qualche modo la fuoriuscita, attraverso il mantice polmonare, di aria che produce poi il suono." Ecco cosa ci spiega il professor Marello. Perché c'erano i lamenti e perché in quelle condizioni oggettive c'era possibilità di lamenti, di suoni. Perché c'era quella situazione, ancora, lina situazione che permetteva obiettivamente un suono che è quel suono che da lontano o da vicino, più lontano o più vicino, ha sentito Lotti. È impressionante, veramente impressionante. Direi questo è l'elemento che, secondo me, ci mette tranquilli tutti. Chi ha fatto quella descrizione di quel lamento non poteva che essere sul posto, che si chiami Lotti o comunque sia il suo nome. Solo chi era presente quella sera ha visto e ha partecipato a quei fatti, consapevolmente o no -più consapevolmente che inconsapevolmente – può aver fatto il racconto che ci ha fatto, con quella apparente freddezza tipica di Lotti. Con quella freddezza che è stata scalfita solo da quel biglietto in cui sembra che ha riversato tutta l'emozione, se emozione c'è, nella mente di Lotti per fatti così devastanti. Allora, anche in questo racconto vediamo Lotti, un attimo, come si è comportato nel fare questo racconto che un riscontro oggettivo nelle parole del professor Marello. Come si è comportato Lotti? Ha fatto l'unica difesa che poteva fare alle contestazioni di tutti noi. 'Ma come hai fatto a vedere, cosa hai visto?' Anche lì è una scena che Lotti ha visto ed è la scena che sicuramente emoziona noi oggi nel raccontarla, a distanza di tredici anni. Ma pensiamo quello che l'ha vissuta, sia pure da spettatore, o partecipe, o presente, palo o non palo. Cosa ci racconta? Lo vediamo bene, lo leggiamo quel racconto? Dice: "Io ero più lontano da loro", "Ero più vicino alla mia macchina", "Ero vicino alla macchina di loro", "Ero a un cespuglio." Cioè, a tutte le domande che gli vengono fatte per vedere dove era, le giuste contestazioni, è sempre un Lotti che quando deve dichiarare di aver visto non può che dire: "Io, ero lì a due, tre metri." Se poi gli si fa la domanda generica, cerca di dimostrarci che era lontano. Però, signori, ma cosa importa se era a due metri, se era a tre metri, se era dietro il cespuglio, se era vicino alla macchina? Era lì, lo abbiamo oramai capito da queste circostanze. La sostanza del racconto è questa. E' ovvio che deve per forza... e io lo credo, è la realtà, ma tutti a questo punto siamo indotti a crederlo. Ma siamo indotti da elementi oggettivi. Era sicuramente una persona che, con questo suo ruolo, non ha sicuramente tagliato, non ha sparato. È quello che ci dice: 'Io son stato costretto ad andare, io ho visto.' Ci siamo stati un pomeriggio, una mattina, su questo racconto, per vedere cosa potevamo tirargli fuori. E cosa è successo? Il coraggio l'ha avuto, di dire quello che ha visto ; ma ha anche avuto... non è forse il coraggio di ammettere, perché qui non c'è da sottolineare il fatto se sia stato coraggio o meno. Ha avuto l'obiettività di dire come sono andate le cose. E anche quando gli abbiamo fatto quelle domande importanti, dice: 'ma perché ci sei andato? Perché non sei andato via? ', è lì che è credibile, ancora una volta. Quando gli si contesta: 'Ma tu eri con la macchina tua.' Giustamente il Presidente gli ha detto: 'Eh, scusa, ma perché, a un fatto di questo genere, non te ne sei andato? Tu sei andato con la tua macchina.' Eh, lui è andato con la sua macchina, è ovvio, perché per fare il palo è bene essere sempre pronti a tutto ; e le due macchine sono indispensabili nell'economia dei delitti. Però è anche vero che se avesse voluto poteva andarsene. Sono giuste contestazioni che gli abbiamo fatto. Questo dimostra il tipo di partecipazione, il tipo di concorso che ha avuto in questi fatti. Però è indubbiamente una situazione in cui le sue ammissioni non possono essere sottovalutate. È proprio il fatto che ci dice: 'io ero lì. È vero, io mi potevo allontanare, mi sono allontanato dopo. Ma perché? Perché dovevo essere lì a controllare la zona. Io, poi, sono andato dietro a loro; sono andato dietro a loro perché non sapevo la strada. Siamo passati di sopra, dalla montagna.' È vero, la contestazione che gli è stata fatta: è vero, aveva la possibilità anche di cambiare strada, quando sono andati sul posto. Aveva la possibilità di andarsene via prima. E' questo l'elemento ulteriore di credibilità, quando ammette questi fatti. Io vi assicuro che il pensare alla ricostruzione di ciò che ha visto e il pensare a quella ricostruzione tecnica dei medici legali è un passaggio molto importante di questo processo. Ma ce n'è un altro, ancora - abbiamo già visto: '85, '84 - eh, il 1983. Il 1983 ha quella caratteristica importante, perché Lotti sicuramente, non dico spinto, ma senza nessuna possibilità di suggeritore dice: 'Guadate, lì mi è stata messa la pistola in mano, ho sparato anch'io.' Dove la troviamo, in un caso come questo, una persona che, seduta davanti a un tavolo, ammette queste cose, di suo. Non è che lì c'era un teste, una Ghiribelli, un Galli, un Pucci a dire: 'guarda, ti hanno visto, grosso modo, che c'avevi una pistola in mano.' No, tutto esclusivamente racconto del Lotti. È un fatto vero. E, allora, la ricostruzione della dinamica di quell'omicidio, fatta sempre dai medici legali e dalla Polizia Giudiziaria, è una dinamica in cui è pacifico che si arguisce, si deducono due o tre elementi: che ci sono stati più spari intorno al furgone. Che i due erano - si è visto nelle foto - uno dei due, addirittura seduto su un lato del furgone; abbiamo visto dove sono i fari. Abbiamo visto qual è lo sportello aperto. E abbiamo, dall'altra parte, un racconto di Lotti non solo identico, ma sicuramente impreciso, spreciso. È un racconto di un Lotti che a volte dà la sensazione... 'Ma cosa hai visto? Ma dove, in che punto eri? Ma com'è possibile? Hanno aperto prima, hanno aperto dopo?' Voi vedrete nei dettagli il suo racconto e vedrete come corrisponde in pieno, non solo la dinamica, ma il tipo, l'altezza dei colpi, quelli sparati dopo, quelli sparati prima, la posizione dei corpi, l'altezza. Ma non dovete trascurare un dato, secondo me non importante: indispensabile per capire queste sue... non so se sono imprecisioni, sono cose che sicuramente ha memorizzato in un certo modo. Forse nessuno di noi mai - è augurabile - si trovi in situazioni simili o si è mai trovato. Ma pensiamo un soggetto di quella caratura, con quelle motivazioni che si trova - probabilmente lo sapeva già che avrebbe dovuto sparare, questo non cambia nulla - si trova a sparare, a. .. Cosa dice in continuazione: 'Io non so se li ho morti, non so cosa... Si muovevano, uno era seduto.' Poi cosa ci descrive? 'Io non capivo più nulla, non ho visto più nulla, ho visto...'. Cioè, è una situazione in cui il racconto di Lotti è un racconto di una persona che sul posto aveva sparato a delle persone che si muovevano e non sapeva se le aveva ammazzate o no. Evidentemente ha creduto - e lo crede tuttora e sarà sicuramente verosimile - che non li ha ammazzati. Tant'è che l'altro, il Pacciani, come sappiamo, ha dovuto fare il resto della macabra operazione. Però teniamo presente che questo signore, di sua spontanea volontà, ha detto: 'Ho sparato' e quindi gli vogliamo riconoscere - se gli si deve, non lo so - un diritto, in questo momento, di essere quanto meno emozionato e teso dall'evento? Una persona che ha visto un qualcosa a cui ha partecipato e i cui dettagli sono sì nella sua mente, ma cosa avrà fotografato? Sicuramente ha guardato la sua mano, sicuramente ha guardato la pistola, sicuramente ha guardato dentro se stesso. Cosa possiamo chiedergli 'ma il vetro era sulla sinistra o era sulla destra? ' a distanza di tredici anni e pretendere una perfetta coincidenza del suo racconto. È una persona che bene o male era lì con questa azione. Io sul discorso l'altezza, l'altezza dei fori -147... 137, 143 - è compatibile con l'altezza di Lotti o con l'altezza di Pacciani vorrei non aggiungere assolutamente altro, a quanto già emerso. Vi abbiamo fornito la consulenza, la perizia fatta nel processo Pacciani per quanto riguarda la compatibilità dell'altezza con il Pacciani. Per quello che riguarda il Lotti avete visto la sua altezza, avete tutta la possibilità di fare le vostre rilevazioni o i vostri ragionamenti sul punto e vedrete che non solo c'è una perfetta compatibilità, ma come in tutte queste cose non si potrà mai essere oggettivi perché come potremmo mai dimostrare oggettivamente se era mano alzata, era mano bassa, se uno aveva le gambe più alte dell'altro, se in quel punto c'era un avvallamento o se c'era un piccolo monte di terra. Quindi, sono considerazioni oggettive che servono e lasciano il tempo che trovano. 

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