martedì 8 gennaio 2013

Avvocato Luca Santoni Franchetti - Udienza del 21 aprile 1994 - Prima parte

Presidente: Bene signori, ai vostri posti. Silenzio, per favore. Silenzio! Bene, allora, adesso la parola è ai difensori di parte civile ai quali ricordo, naturalmente, che la relazione introduttiva è stata fatta dal Pubblico Ministero. Quindi loro sanno bene quali sono i limiti del loro intervento, anche temporali, ovviamente, perché siamo in tanti e dobbiamo starci tutti in mattinata. E ovviamente c'è, da ultimo,l'imputato, i difensori dell'imputato i quali dovranno parlare un po' più a lungo, ovviamente. Avvocato Santoni per?  
A.S.F.: Avvocato Santoni Franchetti per la famiglia Bonini Pettini, omicidio del 1974, e per le famiglie Mauriot e Kravechvili del 1985.  
Presidente: Un attimo. Avvocato Bevacqua?  
A.B.:  
Presidente: Se crede, se ce la facciamo, se. . . Non ci sono vincoli particolari, può parlare anche oggi pomeriggio.  
A.B.:  
Presidente: No, domani, la pregherei di parlare oggi. Magari oggi pomeriggio, se crede. Però oggi vorrei veramente... Io pensavo addirittura, lo avevo anticipato, di poter iniziare addirittura l'esame dei testi. Bene
P.M.: Forse quello non ce la facciamo, Presidente.  
Presidente: Forse quello non ce la facciamo.
P.M.: Lo manderei a domani, per prudenza.  
Presidente: Però ecco, compatibilmente con le esigenze di tutti, io la pregherei di parlare oggi, oggi pomeriggio, quando lei crede. Benissimo  
A.B.:  
Presidente: Bene. Grazie a lei. Scusi, avvocato Santoni, può continuare. Prego.  
A.S.F.: Abbiamo seguito la minuziosa e ponderosa indagine del Pubblico Ministero con grande attenzione, e lo dobbiamo pubblicamente ringraziare per la grande cortesia dimostrata, non soltanto sotto il profilo tecnico, ma anche umano. Non si è mai tirato indietro alle richieste di delucidazioni che, mano a mano, la difesa di parte civile gli ha chiesto. Ed era un ringraziamento doveroso e tanto più doveroso quanto lo stesso sapeva con quale scetticismo questa difesa di parte civile ha seguito questa indagine. È una cosa notoria, ma, ripeto, pur nutrendo dubbi sulle ipotesi accusatorie, la stessa accusa ci è stata molto vicina nel cercare di dissiparle, ma soprattutto di costruire delle prove valide. Vedano, Giudici, è con una certa emozione oggi che parlo, perché seguo questo caso da venti anni - dal 1975 - quando ancora non si parlava di "mostri". Sono il decano, lo posso dire, di questo processo. Ho seguito tutte le indagini, tutti i Giudici che si sono succeduti nel dirigerle. Ho conosciuto tutti i poliziotti, tutti i carabinieri che hanno seguito questo caso. Ho seguito tutte le indagini contro, tutte le indagini contro tante persone accusate di essere il "mostro", e che poi sono risultate estranee, almeno sotto certi profili - quello della colpevolezza - da questo processo. In questi tantissimi anni - io sono nato professionalmente con questo processo, perché nel 1975 ero appena praticante - abbiamo chiesto ed ottenuto dalla Procura della Repubblica di Firenze l'intervento, allora certamente straordinario in quella che è la storia del diritto criminale, della Scuola Criminologica di Modena, dove io stesso mi sono specializzato è ho collaborato. E abbiamo, col dottor Fleury inizialmente, prospettato quel quadro - e abbiamo un'ampia documentazione in atti - quel quadro psicologico di chi poteva essere il "mostro"; di quali connotazioni psichiatriche questo "mostro" doveva indicare, risalendo dai fatti alla persona, mentre normalmente avviene il contrario. E combinazione fra le combinazioni, questa difesa di parte civile conosce molto bene anche Pietro Pacciani per averlo difeso, inizialmente, in uno dei suoi processi: quello contro le figlie. L'ho difeso nel momento cruciale, nel momento in cui è stata sviluppata la perizia psichiatrica, quindi non posso dire che mi è una persona estranea, e potrò parlarne di prima persona. Veramente queste premesse le ritenevo molto importanti perché, la parte civile, signor Presidente - e prima le ho chiesto - questa parte civile - uno spazio, un momento particolare – non si può accodare al Pubblico Ministero, alle sue ipotesi, alle sue teorie. Ha una sua visione del processo, maturata in tempi certamente più lunghi e più sofferti di quella della pubblica accusa. E quest'istanza che coinvolge 16 giovani vittime, perché sono loro i veri protagonisti di questo processo, non le due verità come è stato dicotomizzato, in un'antinomia che rifiutiamo, dalla stampa e dalla opinione pubblica: accusa e difesa. Noi vogliamo, non abbiamo verità in questo momento, come ce l'ha l'accusa che certamente sostiene la stessa contro il Pacciani, o la verità della difesa, critica di quella dell'accusa. Noi vogliamo che in questa sede, e l'abbiamo attesa con emozione grandissima e con amarezza per tanti anni, vogliamo che si costruisca una verità, che si dia finalmente risposta a ombre inquietanti che da tante parti si sono sollevate e che fino ad oggi non hanno trovato risposta. Le nostre richieste scritte, modificate oggi – e ne parleremo in seguito con voi – modificate oggi, tendono a questo: a trovare delle risposte, perché noi vogliamo non un colpevole, vogliamo innanzitutto delle risposte. Questo processo non deve essere un'ordalia. All'improvviso, dall'alto, scende il colpevole. Il colpevole deve risalire dopo che abbiamo finalmente distinto la paglia, la pula, dal grano, da ciò che è buono e ciò che è falso. Deve essere verificato in questa sede. E il P.M. so che è perfettamente d'accordo. Questo processo si... noi abbiamo cinque domande, cinque domande che sono i cinque cardini di questo processo. La prima è la più importante di tutte: è la scansione straordinaria e sennò non sarebbe presente tutta questa stampa da tutto il mondo e l'opinione pubblica non sarebbe così interessata se la caratteristica di questo processo non fosse anomala rispetto a qualsiasi altro fatto di sangue conosciuto da noi fino ad oggi, da quelli di Singapore a quelli recenti della Russia -Rostock, mi sembra - o di Milwakee in America. È un fatto singolare, connotato da che cosa? Viene colpita sempre, vengono colpite sempre persone giovani che fanno l'amore in macchina; ma la connotazione, viene compiuto un rituale che si evolve nel tempo ma soprattutto la connotazione maggiore che, ripeto, è diversa da tutti gli altri fatti, che abbiamo una scansione temporale straordinaria e singolare: 1968, si passa al 1974, si passa al 1981, terminano nel 1985. Che cosa vuol dire questa scansione? Non è un serial killer, non può essere un serial killer. Se noi vediamo tutti gli elabo... un lust-murder, una persona che ama uccidere. Perché? Perché è evidente, non c'è bisogno di molta cultura per capirlo. Perché a un certo punto, dopo il '68, l'omicida, o gli omicidi - perché non lo sappiamo - non colpiscono più? Perché rincomincia nel 1974? Questa è la risposta che vogliamo. Non è possibile che l'omicida, sia o non sia il Pacciani, la mattina del 1974 in ottobre, si alza e dice: 'beh, oggi vado a uccidere'. Questo non ha significato alcuno. Dobbiamo ricostruire i moventi psicologici che ci sono, i fattori che hanno portato a questo scatenarsi e se non sono fattori psicologici, quali altri moventi ci possono essere. Il Pubblico Ministero... E cosi per il 1981. Perché dopo il 1974 l'assassino si ferma? E perché rincomincia nel 1981? È questa singolare scansione dei tempi che rende questo omicidio, questa serie di omicidi, particolare e non l'accomuna con nessun altro. Il "mostro" segue, si dice, strade particolari: è vero. Misteriose: è vero. Non è il serial killer che trova una prostituta, in una settimana la uccide; la seconda settimana ne uccide due; la terza tre e così via dicendo e alla fine confessa normalmente. Addirittura confessa omicidi superiori a quelli che ha effettivamente commessi. E allora? Il Pubblico Ministero ha incominciato infatti a centrare uno dei punti fondamentali di questa scansione temporale, cioè il 1968, connotato da tre fatti particolari: le confessioni di Stefano Mele e le ha affrontate - condivisibili o meno, ne discuteremo in altra sede -; la pistola e i proiettili, che sono gli stessi, è pacifico. Hanno fatto decine di perizie di tutti gli altri omicidi. Ma ha lasciato, ed ecco la connotazione e l'importanza di questa parte civile, della parte civile e voi, che potete supplire a queste manchevolezze dell'istruttoria peraltro legittime. Perché oggi l'accusa ha il potere di - il Pubblico Ministero di seguire e illuminare soltanto ciò che interessa a lui. Così come la difesa, che ha diritto di tacere e di criticare quanto fatto dal P.M.. Ma noi non ci limitiamo a questo, non vogliamo questo, e lo dimostreremo. Vogliamo una verità a 360 gradi, che non c'è stata. Talché nell'esposizione del Pubblico Ministero manca uno dei cardini del processo del 1968, perché, oltre alle confessioni di Stefano Mele e alla pistola, vi è l'attività di Natalino Mele. Il bambino che era in macchina viene portato. Non poteva, è pacifico, non poteva, è pacifico, andare di notte a una distanza - non mi ricordo di quanti chilometri, due o tre chilometri, quattro - di persone, suonare un certo campanello. Doveva essere accompagnato. Non solo perché non aveva le scarpe. Non aveva le scarpe e quindi su dei ciottoli, difficilmente percorribili anche con i mezzi, si sarebbe tagliato i piedi: e non aveva nessuna lesione ai piedi. Qualcuno lo ha accompagnato. Lui disse: “È stato lo zio Pietro”. Chi era lo zio Pieto? C'è stato un intero processo, svolto dal giudice istruttore Rotella, su questa parola. Perché è evidente. Due connotazioni: non fu ucciso in macchina, e poteva essere un testimonio; e fu accompagnato, per motivi che ignoriamo almeno in questa sede - non è compito nella sede introduttiva spiegarlo - a quella casa. Sono state arrestate molte persone per questo fatto. Sono state effettuate intercettazioni telefoniche interessantissime. Due pastori sardi dicono - e scaturisce da questa l'istruttoria del giudice Rotella – testualmente in sardo: "e chini di schidi chi ne dessi, e custu su segreto che nun se schidi". E chi lo sa chi era che accompagnò il bambino a quella casa? Ed è questo il segreto che non si sa. Una volta sviluppato questo punto noi avremmo idee certamente più chiare su tutto. Però vedete che, dalle richieste del Pubblico Ministero, manca qualche cosa di fondamentale. Il carattere familiare di questo omicidio viene oggi messo in dubbio. Però se lo vogliamo mettere in dubbio dobbiamo affrontarlo a 360 gradi, non lasciarne qualche cosa fuori. Qualche cosa di estremamente importante, inquietante e difficile. Ma questa scansione dei fatti, storica, guardate bene, i moventi storici, non psicologici, continua col 1974. Perché il 1974? Si disse allora, signori, passa in giudicato, vi è la sentenza della Suprema Corte di Cassazione nei confronti di Stefano Mele. Qualcuno volle lanciare un messaggio. Messaggio peraltro non recepito. Ecco il perché dell'omicidio del 1974. Era una data precisa che si ricollega esattamente al 1968, come si ricollega quella dannata pistola che ancora quella volta colpì con modalità completamente diverse, perché la ragazza di cui io assisto i familiari, la ragazza venne oltraggiata. 96 colpi inferti - dico 96 colpi - inferti al suo corpo e il tralcio di vite infilato nel pube, nella vagina. Passa il tempo: 1981. Perché 1981? E siccome il Pubblico Ministero - ricordiamoci bene che, se non erro, nell'ordinanza di custodia cautelare del Pacciani, non si parla del '68, è un'ipotesi aggiunta dopo - 1981, giugno, mi sembra l'omicidio, il nuovo omicidio. Da due mesi Stefano Mele è in libertà. Allora, casi, sempre casi, può essere. Oh! Ci mancherebbe altro! Può essere un caso. Per noi non lo è. Noi diciamo questo, in chiave critica, ma non negativa del Pubblico Ministero. Ecco cosa lo distingue la parte civile. Le interazioni del 1968... è come una piovra: la testa l'ha nel 1968, ma i tentacoli vanno molto più lontano. Io non so le interazioni tra i personaggi tutti, tutti da noi citati oggi - Pietro Locci, Giovanni Locci, Salvatore Vinci, Pietro Mucciarini, Giovanni Mele. Le interazioni fra quel gruppo e il Pacciani, o persone vicine al Pacciani, devono essere tutte dimostrate. Io non ho capito oggi, nella relazione introduttiva del Pubblico Ministero, cosa volesse dire quando ha detto: "Stefano Mele non ha ucciso". Vuol dire: Stefano Mele si è accusato di un delitto che non ha commesso e di cui non sa nulla? Oppure: Pietro Mele si è accusato di un delitto che non ha commesso, ma di cui sa tutto? Perché, nella prima ipotesi, è smontabile forse troppo facilmente. La seconda, molto più suggestiva, deve però dimostrare le interrelazioni fra quel gruppo di quel persone. I suoi odii profondi, di Stefano Mele, nei confronti di Francesco Vinci e Salvatore Vinci, che lui dice: "facevano all'amore con mia moglie, davanti a me", nella sua casa, nel suo letto, davanti a lui - un odio profondo - e l'attuale imputato. Interrelazioni che scandiscono il tempo, lo scandiscono nel 1974, nel 1981: queste vanno dimostrate. E noi abbiamo chiesto testimonianze su questo punto, che non può essere tralasciato; è questa la chiave del processo. O noi rifiutiamo assolutamente, dicendo: Stefano Mele è un pazzo che si accusa di un delitto di cui non sa nulla. Oppure noi andiamo a scavare e costruiamo questa interrelazione. Questo è il primo punto. La seconda serie di domande è questa: perché gli omicidi avvengono soltanto intorno a Firenze? È la seconda connotazione di questo processo, e ci abbiamo pensato, in questi anni, infinitamente. Se è un serial killer, troverebbe oggetto per la sua passione più facilmente in altri posti. Basta andare d'estate sulle Apuane, troverebbe centinaia di coppiette facilmente eliminabili. Basterebbe andare sull'Appennino Tosco-Romagnolo per trovare vicino a questi paesini, dove ci sono discoteche e balere, occasioni infinite. No! Sempre e soltanto intorno a Firenze. Anche questa domanda deve trovare risposta. Noi vogliamo prima le risposte a queste domande e dopo il nome di un colpevole. Ci devono essere delle motivazioni logistiche: non ha la macchina. Oppure, è sottoposto a pressione, è sempre stato sottoposto a pressione di organi di Polizia Giudiziaria, non necessariamente in colleganza al "mostro"; può essere anche per altri motivi. Ma noi una risposta la vogliamo. Perché se un serial killer - lo sappiamo - percorrono la Russia, l'America, la Francia, la Germania - abbiamo un'abbondantissima documentazione in atti fornita dalla Scuola di Modena - per colpire dove è più agevole. Lui no: colpisce dove è più disagevole. Perché, ricordiamoci almeno questo, nel 1984 partecipai a delle riunioni con la Procura della Repubblica, era presente l'allora Ministro Scalfaro: c'era una pressione, controlli dappertutto in queste zone. Ciò nonostante, lui nel 1985 continua a colpire proprio lì. È un messaggio, è un caso, oppure è una necessità, per questa persona? Ma la risposta la dobbiamo trovare. Prima di pensare al proiettile inesploso trovato nel giardino, prima di pensare ad altre cose, dobbiamo rispondere a questo, dobbiamo indagare su questo. Io penso che i testimoni portati dal Pubblico Ministero, dalla difesa e, particolari, anche da questa parte civile, devono rispondere a questo.
Segue...

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