lunedì 19 dicembre 2011

Nino Filastò - Intervista su Visto n.28 – 18 luglio 1997

La rivista Visto, nel luglio del 1997, pubblicò l'intervista che segue.

“Ho abbandonato la difesa di Vanni il 6 giugno scorso perché mi sono trovato in conflitto con il mio collega. Io volevo la perizia psichiatrica, un elemento di difesa fondamentale. Bisogna capire infatti se questa persona ha dei vissuti, delle componenti di carattere psicologico che lo rendono affine a questo tipo di omicidi. L'avvocato Pepi, difensore storico di Vanni, si è opposto. Del resto la perizia psichiatrica non è stata fatta neppure per Pacciani e per Lotti. Una lacuna gravissima. Oltre al contrasto con il mio collega ho dovuto subire anche un attacco gratuito al personale da parte del pubblico ministero Paolo Canessa. Ho preferito andarmene. Questo che si sta celebrando a Firenze è chiaramente un processo di supporto all'accusa contro Pacciani. L'aveva già detto, del resto, la sentenza di secondo grado che aveva assolto il contadino di Mercatale, quando definì “surrettizia” l'ipotesi dei complici. Ma se il ”mostro” non è Pacciani perché mai dovrebbe essere un poliziotto o comunque un uomo in divisa? Quali sono le ragioni che mi spingono a fare un'affermazione così drastica e così grave? Cercherò di spiegarlo, rivelando particolari inediti, evidenziando le lacune delle indagini e citando alcuni testimoni che sono stati colpevolmente trascurati. Andiamo con ordine. Dalle indagini, e dalle perizie fatte per gli otto duplici omicidi emerge chiarissimo un primo dato: nessuna delle sedici vittime ha accennato a una difesa e tanto meno a una reazione. E nessuno ha tentato la fuga. Perché? Perché chi non ha niente da nascondere non fugge e non reagisce di fronte a un uomo in divisa. Si fida, è una presenza rassicurante, sa che non ha da temere. Il jazzista francese Michel Kraveichvili, ucciso il 9 settembre 1985, con l'amica Nadine Mauriot, a San Casciano, ha tentato una fuga disperata solo quando è stato raggiunto dai primi colpi di pistola. Gli altri sono stati uccisi tutti in auto, seduti, tranquilli. Anche i due tedeschi, attenzione, due uomini giovani, che non erano distratti da pratiche amorose, perché leggevano. E non è vero, come spesso si dice, che le coppiette sorprese dal mostro fossero in mezzo al bosco, circondate dalla vegetazione. Quasi sempre erano a pochi metri da strade statali con molto traffico, su piazzuole pulite, dove sarebbe stato facile vedere arrivare qualcuno e prepararsi alla fuga o a difendersi. Questo particolare ha cominciato a insospettirmi anche perché dopo i delitti del 1981, sulle colline attorno a Firenze, la psicosi del mostro si era diffusa. Se ne parlava. Le coppiette lo sapevano, prendevano precauzioni. Eppure il mostro ha continuato a uccidere fino al 1985, cogliendo sempre di sorpresa le sue vittime. Perché? La risposta l'ho già data: alle coppie si avvicinava un uomo in divisa che scendeva da un'auto con il lampeggiante. Insomma, secondo me, il mostro andava ad uccidere con l'auto di servizio. Lo conferma un testimone frettolosamente trascurato. Si chiama Fosco Fabbri, un guardone. A chi lo interrogava sui suoi movimenti la sera del delitto del 6 giugno 1981 a Scandicci (vittime Carmela Di Nuccio e Giovanni Foggi), insieme all'amico Enzo Spalletti (altro guardone), senza che nessuno glielo chiedesse, parlò di un incontro fatto quattro anni prima. Raccontò che mentre una sera “ batteva” il bosco si imbatté in un uomo che lo minacciò con la pistola, dicendogli prima di essere una guardia forestale e poi un poliziotto. Ma perché Fosco Fabbri raccontò questo particolare? Perché, a mio parere, lo aveva confidato prima al suo amico Spalletti che, attenzione a quel che dico, è stato certamente testimone oculare del duplice omicidio di Scandicci. Spalletti secondo me ha, ancora oggi, la chiave per risolvere il caso. Ma non parla perché non vuole fare la fine di Francesco Vinci e del suo servo, di Milva Malatesta e del figlioletto Mirko, altre quattro vittime del mostro. Ma c'è ben altro, un particolare veramente inquietante, del quale non si è mai parlato. È l'analogia sconvolgente fra il delitto di Borgo San Lorenzo (14 settembre 1974: vittime Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini) e quello di Vicchio (29 luglio 1984, il massacro di Pia Rontini e Claudio Stefanacci). A Borgo San Lorenzo Pasquale e Stefania vengono uccisi a colpi di pistola. Nell'auto vengono ritrovati sparsi i documenti personali di Stefania e il libretto di circolazione. La borsetta della ragazza verrà ritrovata, grazie a una telefonata anonima, a 250 m dall'auto. Mi chiedo: perché i documenti erano sparpagliati sui sedili, fuori dalla borsetta, e soprattutto perché il libretto di circolazione non era nel cassettino del cruscotto, dove in genere lo custodiscono gli automobilisti, ma aperto su uno dei sedili? Come se i due ragazzi, prima di morire, lo avessero dovuto esibire a qualcuno. E a chi si mostrano in genere i documenti? Mi pare una domanda inutile. Passiamo al delitto del 1984. I pantaloni di Claudio Stefanacci vengono ritrovati ripiegati sotto il sedile anteriore. La tasca posteriore e bucata da un colpo di pistola che ha trapassato, in senso perpendicolare, il portafogli. Ma sul gluteo del ragazzo non c'è traccia di ferita. I pantaloni quindi sono stati colpiti quando non erano indossati dallo Stefanacci. E neppure quando erano sotto il sedile, altrimenti si sarebbe trovato il foro sul pavimento dell’auto. Qual è la mia ipotesi? Semplice: i pantaloni sono stati colpiti quando il ragazzo li teneva in mano, mostrando all'assassino la tasca posteriore che teneva il portafogli. Una rapina forse? No, perché i soldi erano al loro posto. E allora? Resta l'ipotesi dell'esibizione dei documenti. All'uomo che si era avvicinato, probabilmente già con la pistola in pugno, Claudio mostra i pantaloni dove è custodito il portafogli con i documenti. Ecco l'impressionante analogia con il duplice delitto di 10 anni prima. A Borgo San Lorenzo Stefania Pettini viene raggiunta da una gragnuola di colpi quando ha in mano i suoi documenti e il libretto di circolazione. Li sta esibendo, povera ragazza! Passiamo al delitto del 19 giugno 1982. A Montespertoli vengono massacrati Antonella Migliorini e Paolo Mainardi. Gli inquirenti sostengono che Mainardi è stato ucciso al posto di guida mentre tentava la fuga. Raggiunto dai colpi di pistola e finito con l'auto in una cunetta. Non è vero. C'è un errore clamoroso. I bossoli infatti vengono ritrovati nello spazio di 30 centimetri. Tutti raggruppati. Se il mostro avesse sparato mentre il ragazzo tentava la fuga, i bossoli avrebbero dovuto essere a qualche metro di distanza. E non è vero che Mainardi fosse al posto di guida quando è stato ucciso. Amoreggiava con Antonella sul sedile posteriore. Me lo ha rivelato l'autista dell'ambulanza che è stato il primo a giungere sul posto e ha estratto dall'auto il ragazzo agonizzante. Quindi non può sbagliare. E dopo cosa accade? Mainardi viene trasportato in ospedale ancora vivo. Si spera di salvarlo ma Paolo muore senza aver ripreso conoscenza. Un magistrato abile e intelligente come la dottoressa Silvia Della Monica fa pubblicare ad alcuni giornali una notizia falsa: che Paolo Mainardi di prima di morire ha parlato. Lo fa per provocare una reazione del mostro. E ci riesce. Il giorno dopo i funerali l'autista dell'ambulanza riceve a casa una telefonata. Parla una persona educata, senza accenti, dice di essere della Procura e vuole sapere cosa ha detto Mainardi mentre in ambulanza veniva portato in ospedale. Le telefonate si susseguono il tono è cambiato: l'anonimo dice chiaro di essere il mostro e aggiunge: “Se non mi dici cosa ha rivelato Mainardi, faccio un'altra strage a Baccaiano”. Terrorizzato l'autista se ne va in ferie, a Rimini, e si rifugia in una pensioncina. L'anonimo lo raggiunge per telefono anche lì. Chi poteva conoscere il nome e il numero di telefono di quell'autista? E chi poteva sapere che si era rifugiato in una pensioncina di Rimini? Una persona molto vicina all'ambiente degli inquirenti. Forse, addirittura dentro quell'ambiente. E perché il telefonista minaccia una strage a Baccaiano? Perché lui solo sa che proprio a Baccaiano, quella sera, qualcuno lo ha notato. Questo è un particolare mai emerso che ho scoperto io e del quale ho già fatto una relazione alla Procura. La sera del delitto di Montespertoli, Baccaiano è illuminato a giorno perché c'è una sagra. Un uomo, il cui nome ho già fornito al magistrato, sta uscendo di casa quando lungo la via principale vede arrivare, a passo d'uomo, un'auto: “Sembrava in perlustrazione”, mi ha detto. “Incuriosito l’ho seguita. Quando mi è passata accanto ho notato due particolari. A bordo c'era una sola persona, in divisa, che, come infastidita, ha tentato di nascondere il viso”. Era un'auto della polizia con la scritta sulla fiancata! Mezz’ora dopo, a pochi chilometri da Baccaiano, sono stati massacrati Paolo Mainardi e Antonella Migliorini. Su quell'auto c'era l'assassino che cercava le sue vittime, perché io credo che il mostro non colpisse a casaccio fra le coppiette appartate, ma adocchiasse prima le sue vittime e le seguisse, aspettando il momento opportuno. Faccio queste affermazioni perché ho le prove. Barbara Locci, StefaniaPettini e Susanna Cambi, prima che fossero uccise, avevano confidato ad amici di essere seguite, di aver fatto incontri che le avevano turbate. La stessa Pia Rontini, se n’è parlato ancora nei giorni scorsi, si sa benissimo che era tenuta d'occhio al bar dove lavorava. E tutti sanno che a pedinarla non era Vanni! Il mostro ha tenuto una relazione perversa con gli inquirenti, fin dall'inizio. Ne volete una prova? Eccola. La serialità dei delitti viene individuata dopo l'omicidio del giugno 1981 a Scandicci. Si scopre, grazie ai segni sui bossoli, che a sparare è stata la stessa pistola ca.22. Dopo il secondo delitto dell'81 nasce il mostro e nell'82 (omicidio Mainardi e Migliorini) gli inquirenti sono già sulle tracce di Francesco Vinci. Perché? Un anziano sottufficiale si è ricordato del delitto del ’68, dirà il dottor Perugini, capo della SAM. Non è vero. In realtà al dottor Vincenzo Tricomi, pubblico ministero a Firenze, è arrivato un biglietto anonimo. È lo stesso magistrato a rivelarlo a un giornalista. “Sono molto vicino a voi”, c’è scritto nel messaggio, “ andate a riguardarvi un delitto del 1968. È stata uccisa una coppia. Il fascicolo è depositato in procura a Perugia”. Si tratta del duplice omicidio di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, archiviato con una sentenza passata in giudicato che aveva condannato Stefano Mele, marito della Locci. Come faceva l'anonimo a sapere che il fascicolo era a Perugia? Comunque questo fascicolo viene ritrovato. Contiene anche i bossoli che hanno ucciso, perché nel 1968 la perizia balistica l'aveva fatta il generale Innocenzo Zuntini, che aveva l'abitudine di non consegnare i bossoli rispettati alla direzione di artiglieria ma di allegarli al fascicolo chiudendoli in bustine di plastica. Vengono quindi ritrovati e analizzandoli si scopre che sono stati esplosi dalla stessa calibro 22 che ha ucciso a Borgo San Lorenzo, Calenzano, a Montespertoli e a Scandicci. Il mostro ha cominciato a uccidere nel ‘68 ed è lui stesso a farlo sapere agli inquirenti, inviando al magistrato di Firenze il messaggio anonimo. Per il delitto del ’68 Stefano Mele ha scontato 13 anni di carcere. Ed era innocente!"

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