martedì 8 giugno 2010

TG2 Pegaso - Fatti & opinioni

Nel gennaio del 1993, nel programma "TG2 Pegaso - Fatti & opinioni", condotto da Michele Cucuzza, fu intervistato il capo della SAM: Ruggero Perugini.
Michele Cucuzza: Ripercorreremo venticinque anni d’indagini sul cosiddetto mostro di Firenze, fino all’arresto del presunto colpevole Pietro Pacciani. Con noi il vicequestore Perugini che negli ultimi sei anni ha dato la caccia al pluriomicida. È la prima volta, non era mai stata creata una struttura del genere?
Perugini: Effettivamente è la prima volta che viene creata una struttura specializzata nell’investigare casi del genere.
Adesso è stata sciolta la SAM?
Assolutamente, la SAM continua ad esistere e ad operare finchè il caso non sarà concluso definitivamente, anche sul piano penale.
Dunque la svolta, l’abbiamo accennato poco fa, è stato il 16 di questo mese, con l’arresto di Pietro Pacciani, un contadino già condannato due volte ed ora indicato dalla magistratura come l’autore, come il presunto autore di questa catena di delitti di coppie. Vediamo quindi chi è Pietro Pacciani in un servizio di Pietro Cappelli...
-Servizio-
Michele Cucuzza: Vogliamo capire bene da dove muovono le accuse degli investigatori, come si è svolta questa inchiesta complicata, lunghissima, che dura da sette-otto anni. Ecco, commissario, lei ha parlato a lungo con Pacciani.
Perugini: Ebbene sì, cosa vuole sapere?
Pacciani non sembra così a prima vista una persona, una personalità così collegabile ad accuse così pesanti, almeno così a prima vista, dopo una superficiale impressione.
Innanzitutto le potrei dire che noi miriamo alla sostanza delle cose, non alla apparenza. Secondo luogo vorrei anche chiederle -chi si avvicina di più al ruolo del padrino di mafia secondo lei, Toto Riina oppure Marlon Brando nelle scene del film?- Quindi torniamo al discorso: l’apparenza inganna; noi ci siamo, sempre basati su quelli che sono dati oggettivi. In fondo, questa indagine aveva bisogno di dati oggettivi, di elementi concreti, proprio perché anche più esposta a rievocare le fantasie, le suggestioni, le emozioni, qualche volta con le radici nelle storie lontane dì ognuno di noi: quello che è lo stereotipo del mostro, che molto spesso non è corrispondente a quello che la verità oggettiva, scientifica dei dati. Noi stessi che abbiamo investigato questa serie di delitti maniacali ci siamo ritrovati a studiare a lungo, a lavorare prima di doverci liberare dello stesso tipo delle suggestioni e degli stereotipi che, sono convinto, affliggono la maggior parte delle persone.
Torneremo fra un momento sugli indizi che avete raccolto, dicevamo delle difficoltà degli investigatori che durano da venticinque anni, quattro persone sono state accusate dei delitti nel corso degli anni e poi regolarmente scagionate dal cosiddetto mostro che continuava ad uccidere. Vediamo dunque questa lunga catena d’omicidi.
-Servizio-
Michele Cucuzza: Dottor Perugini, le indagini non hanno seguito dei criteri molto precisi durante questi anni, avete fatto prima dei controlli sui single, poi su chi girava in macchina da solo e poi anche una perquisizione in ospedale, vero?
Perugini: Si cercavano dei proiettili dello stesso calibro, della stessa marca.
Poi c’è stata la fase in cui si pensava che il mostro fosse un esperto di armi da taglio, e quindi in quel periodo avete indagato sui chirurghi, è vero?Guardi, "il si pensava" non va generalizzato. Questa è un’inchiesta che ha avuto molti, molti piloti che non erano addetti ai lavori:la stampa in primo luogo, naturalmente. Noi ci siamo sempre attenuti ai dati oggettivi, la pluralità di quelle che erano le piste battute nel corso degli anni va a favore dell’intenzione di arrivare al termine, di arrivare a qualche risultato. Se si vuole, a favore della serietà con la quale l’indagine è stata condotta, non è dovuta certamente ad approssimazione.
Come mai c’è stato questo passaggio da chirurghi a una persona che lavora la terra?
Ci sono naturalmente degli elementi che compaiano nel modus operandi del maniaco, chiamiamolo così, per cui certamente vanno presi in considerazione. Il fatto che si servisse del coltello con una qual certa abilità non ha risparmiato non solo chirurghi, gli esperti del settore quali macellai, calzolai, ma avere la certezza di poter risalire da un tipo di taglio, dal tipo di lesioni inferte, ad una professione, devo dire che non abbiamo mai avuto quel tipo di presunzione. Per quanto riguarda il discorso delle suggestioni, è questo che vorrei riprendere visto che lei mi parla del taglio: prima mi accennava ai chirurghi, e non a caso, perché questa è proprio la categoria degli insospettabili, dei quali peraltro essendo della categoria degli insospettabili si sospetta per primi.
A questo punto vorrei... Se vogliamo vittime dello stereotipo del cosiddetto mostro...però ci sono anche gli ex mostri, quattro o cinque, e questo non rischia di poter indebolire anche i risultati delle vostre indagini, anche le più recenti?
Lei non deve far alcuno sforzo per convincermi del fatto che siamo fallibili, questo fa parte della nostra umanità. Io sono stato sempre convinto che non esiste il delitto perfetto, esiste l’indagine imperfetta. Per quanto riguarda può essere imperfetta per una serie di circostanze non sempre attribuibili agli operatori. Per quanto riguarda il discorso dei precedenti tentativi finiti male, senza esito, o con esito nefasto, perché il momento in cui è stata arrestata una persona innocente io non posso che definirlo nefasto, non ha avuto alcuna influenza, almeno a mio avviso, sulla nostra inchiesta, perché la nostra indagine poggia su un altro tipo, che s’incardini sul passato, se non come sequenza oggettiva dei delitti...
Questo per quanto riguarda il lavoro della SAM, però a queste persone rimane il bollo di essere state additate all’opinione pubblica come presunti, anzi senza presunti, come mostri.
Voglio dire che è stato sempre un vanto della SAM quello di aver investigato su uno straordinario numero di persone senza che costoro, non solo fossero additate come sospetti mostri, ma senza che se ne avvedessero loro stessi. D’altronde, e naturalmente l’esperienza è maestra, man mano che ci si addentra, ci si fa le ossa in questo tipo di inchieste e ci si accorge anche di quali sono i punti da perseguire e quelli da evitare, anche nei comportamenti operativi.
-Viene letta la lettera anonima che indicava Pietro Pacciani come il "mostro di Firenze"
Michele Cucuzza: Furono larghe le maglie della Giustizia o voi non deste importanza a quella denuncia anonima?
Perugini: Ma in realtà nel 1985 il Pacciani fu perquisito in una delle sue abitazioni, certamente non gli furono sondati né i muri e né i pavimenti, una perquisizione convenzionale. Per quanto riguarda il discorso della lettera anonima, di lettere anonime non soltanto in coincidenza coi delitti del mostro, ne sono arrivate in quantità impressionanti che noi abbiamo puntualmente registrato e verificato. Le maglie troppo larghe, le maglie troppo larghe, qualche volta è un’espressione assolutamente, assolutamente impropria, soprattutto quando si tratta di approfondire vicissitudini, vicende di persone che rientrano nel novero dei sospetti, che supera le decine di migliaia e quindi, necessariamente no, non è possibile se non si adotti quello che è un metodo di ricerca, io sono convinto che in un inchiesta, un’indagine come questa poggia su tre elementi fondamentali: un metodo, che sia un metodo specifico, preciso, appositivamente studiato per il tipo di fine che deve conseguire, per il tipo di panorama investigativo che si trova davanti; una collaborazione più totale, diretta, di tutti coloro che possono essere in qualche modo d’aiuto; la terza cosa è la fatica. Vorrei aggiungere la fortuna, ma non ci possiamo fare affidamento.
-Servizio di Giovanni Spinoso-
Michele Cucuzza: In quale momento si è convinto che tutti gli indizi cominciavano a corrispondere?
Perugini: Grazie a Dio la libertà di opinione e di espressione è piena e riconosciuta.
Quando ha cominciato a pensare di essere, secondo il suo punto di vista e le sue indagini, arrivato alla verità?Quello che voglio dirle, noi nel corso degli anni abbiamo maturato il convincimento che la tecnica d’indagine, di accertamento doveva essere ribaltata.., ribaltata e controriferendoci soltanto ai dati oggettivi che si rivelavano. Uno dei dati oggettivi che abbiamo sempre cercato, il momento in cui investigavamo su un soggetto, naturalmente non abbiamo investigato soltanto su Pacciani in profondità, era l’elemento discriminante ...qualunque elemento che ci consentisse di escluderlo dal panorama dei sospetti. Questo è stato il primo oggetto di ricerca...
E cioè?
Cioè, se avessimo scoperto che in un determinato momento in cui l’assassino aveva colpito, la persona era ammalata o impossibilitata a commettere il fatto, certamente questo sarebbe stato un elemento escludente. Altro elemento escludente, e gli elementi escludenti sono anche di natura diversa, non materiali ma ugualmente e scientificamente validi e sono di natura psicologica...
Ma molti telespettatori, perlomeno si chiedono, ma come mai uno che era stato già perquisito dovrebbe mantenere oggetti compromettenti come il portasapone, il blocco da disegno tedesco, e poi lui dice che gli sono stati messi da qualcuno?Lui può dire ciò che vuole, naturalmente e questo in sede processuale si vedrà di chiarirlo. Quello che volevo dirle, e lei mi fatto questa domanda - perché una persona che è stata già oggetto delle attenzioni degli investigatori dovrebbe tenersi degli elementi compromettenti in casa? - ecco, io vorrei chiederle per quale motivo una persona apparentemente normale potrebbe desiderare di uccidere giovani coppie. Dobbiamo fare sempre riferimento a quella che è la personalità di colui che compie questi delitti. Certamente, conservare il souvenir, il ricordo del delitto commesso, e che vissuto con una situazione di grande soddisfazione, necessita di un desiderio di protrarre il ricordo, la memoria di quanto è stato compiuto, che gli ha procurato un godimento che coinvolge anche un ulteriore momento gratificante che è anche il rischio, che non è un rischio realmente grave, ma è quel tanto di rischio che dà sapore alla sfida.

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