giovedì 5 marzo 2009

Pietro Pacciani – Memoriale del 7 marzo 1993 – Quarta parte

Segue dalla terza parte.
Ho citato la verità nei memoriali e non sono stato creduto. Prima di uscire nel 1991 mi vennero in carcere a interrogarmi: la questura, a capo Vigna e il dottor Perugini sui fatti di questo mostro, dicendomi se conoscevo nessuno di persone strane e pazzoidi di Vicchio, che io sono nato là, e queso veniva di là: di aiutarli a scoprirlo. Risposi che tornato di prigione mi misi subito a lavorare come ho citato qui in questo memoriale tutte le date dove ho lavorato, e non avevo certo il tempo di girare per conoscere la gente. Allora mi chiesero: "Cosa ne pensa di questo tizio che ha commesso questi fatti?". Io risposi che non stava a me a giudicare, essendo io un povero contadino ignorante, ma il mio cervello mi suggeriva che bisognava cercare questo tizio tra i malati di mente, uno che non sa quello che fa, una persona istruita che conosce tutte le strade, perché corre tra tutti i posti della provincia, ora qua ora là, dove sono accaduti questi fatti. Una persona che ha una macchina a disposizione, sicuro di arrivare ovunque senza fermarsi per i guasti, uno che campa senza lavorare, perché se lavorasse non avrebbe il tempo di girare. Un malato che non sa quello che fa perché, in quei fatti, non ci sono motivi di interesse, né di gelosia, né rancori personali derivanti da offese subite. E allora perché vengono colpiti quei poveri ragazzi che si divertivano come abbiamo fatto pure noi, da giovani, quando andavamo nei boschi e nei prati assieme alla nostra fidanzata che poi un giorno sarebbe diventata nostra moglie? C’è da ritenere che questo tizio sia una persona sola, senza moglie, perché se avesse avuto moglie non avrebbe guardato quello che fanno gli innamorati, l’avrebbe fatto con sua moglie, perché i rapporti di coppia sono tutti uguali. Dissi che per me doveva essere una persona alta, molto forte, ancora giovane, che aveva lottato con giovani forti, vincendo, uno che ci vedeva di notte meglio che di giorno.
Questo dissi al procuratore, ma da allora sono stato travolto dalle accuse finendo su tutti i giornali, svergognandomi io e la mia famiglia con offese infamanti, telefonate anonime tutti i giorni compreso la notte, e sempre pedinato da agenti in borghese cioè poliziotti, e perfino due giovani donne in borghese che erano due poliziotte, fingendosi due studentesse, sempre alle calcagna, creando la curiosità di tutto il paese. Eravamo tutti amici, e la vergogna di questa parola “mostro”, che tutti quelli che mi conoscono lo sanno che io la mattina mi recavo al mio lavoro con la mia vecchia 600 FIAT e tornavo la sera. Ogni giorno così, e ho adempito sempre al mio dovere, senza aver fatto del male a nessuno, nel duro lavoro dei campi per campare la mia famiglia e tutte le spese che corrono. Ho citato passo passo il percorso della mia vita vissuta: datori di lavoro dove ho lavorato, posti e luoghi di lavoro, tutti i libretti sindacali di lavoro dal 1965 al 1987, giorno del mio arresto delle figlie, compresi i memoriali delle testimonianze dei fatti. E sono pronto a dare il mio sangue per il DNA.

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