lunedì 9 aprile 2018

L'Uomo dietro il mostro 2 di E. Oltremari

Segue da LUdm 1

di E. Oltremari (dr.oltremari@gmail.com)

Passando ora ad una analisi criminologica circa questo primo, almeno cronologicamente, duplice omicidio, è parere di chi scrive considerarlo necessariamente come peculiare rispetto ai successivi sette. La diversità è da riscontrare sia sul piano motivazionale che modale. La comunanza, (per quanto riguarda il collegamento  della pistola, essendo sempre stata la stessa per tutti ed otto i duplici omicidi, parleremo infra) palese questa volta, con gli altri delitti della serie è da riscontrare, invece, nella sola situazione generale che si rinviene in tutti ed otto i duplici omicidi della serie: una coppia appartata.
Le motivazioni che sembrano però identificare questo duplice omicidio esulano da una componente sessuale intesa, secondo il pool di criminologi modenesi diretti da De Fazio, come tale da giustificare l’appellativo di lust murder per l’omicida delle coppie. Il lust murder eleverebbe e vivrebbe l’evento sadico come vero e proprio atto sessuale, rimanendone come egualmente appagato. Tale affermazione, benché criticabile se riferita all’assassino dei colli fiorentini, ci porta correttamente verso una caratteristica propria dell’atto sessuale e dei delitti oggetto della nostra discussione: l’intimità. Come vedremo negli otto duplici omicidi l’omicida cerca di insinuarsi nell’intimità vera mostrata dalla coppia avvicinandosi progressivamente a questi senza però entrarvi mai in contatto diretto (se non quando necessario da imprevisti tentativi di fuga) lasciando sempre la vettura tra sé e la coppia. L’intimità viene così raggiunta dall’omicida solo successivamente alla eliminazione delle altre parti che non possono più interagire con il nostro soggetto attivo, libero, ora, di vivere quel momento in una macabra solitudine.
Diversamente da quanto accadrà successivamente, nell’Agosto del 1968 l’omicida sembra più interessato alla eliminazione fisica delle vittime che ad instaurare un rapporto con loro, tanto da aggredirle violentemente commettendo un’ingerenza fisica nella loro intimità, ovvero aprire lo sportello e riversare 8 colpi in rapida successione. Anzi, fa di più. L’omicida nel momento immediatamente successivo all’attività di sparo ricompone i corpi, nel senso che li adagia ordinatamente sul sedile dove erano seduti sistemandone lievemente le vesti. Atteggiamento questo che si pone in forte contrasto con quanto invece accadrà gli anni successivi.
L’intimità altrui viene difatti infranta ed offesa, denudata, marchiata e pubblicizzata dall’omicida che ricompone la scena del crimine stravolgendo quella iniziale di cui lui non ne era parte. Ad esempio distanzia tra loro i corpi, talvolta li occulta, li denuda, li offende con colpi post mortem o con le escissioni.
Tale disturbata intimità però nel duplice delitto del 1968 viene manifestamente a mancare. Diacronia questa che non è sfuggita neanche al pool di criminologi modenesi a cui fu demandato (Indagine peritale criminalistica e criminologica in tema di ricostruzione della dinamica materiale e psicologica di delitti ad opera di ignoti verificatosi in Firenze nel periodo dal 21 Agosto 1968 al 29 Luglio 1984. Periti: Prof. Francesco De Fazio, Prof. Ivan Galliani, Prof. Salvatore Luberto) nel 1984 di stilare una propria indagine peritale circa i delitti verificatosi a Firenze tra il 1968 ed il 1984 (Una “addenda” successiva venne richiesta ai Professori in seguito al duplice delitto del Settembre 1985).
I professori rilevarono, infatti, che “di per sé considerato, dunque, il caso in esame (duplice omicidio 1968, n.d.a.) non si qualifica come omicidio sessuale. Manca un qualsiasi interesse per le parti sessuali, non sono state usate armi da taglio né ci sono segni di violenza di altro genere sui corpi, in via o in morte; nessuna attenzione sembra essere stata prestata dall’omicida ad oggetti presenti sulla scena del delitto.
[…] Chi ha commesso il delitto, dunque, anche nell’ipotesi che sia l’autore dei successivi delitti, non sembra sia stato mosso da motivazioni sadico-sessuali, bensì da motivazioni comuni; motivazioni cioè che portano a desiderare l’eliminazione fisica delle vittime, secondo una modalità ed una dinamica psicologica del tutto svincolata da elementi sessuali abnormi e, ancor più, da impulsi sadistici."

Circa la possibilità che la componente sadico-sessuale fosse stata appannata o elisa dalla presenza del piccolo Mele, i Professori modenesi riferirono che "anche volendo considerare le eventuali remore che potrebbe aver comportato la presenza del bambino (specie se rilevate improvvisamente dopo il delitto nell’atto di avvicinarsi ai corpi per l’eventuali inizio di macabri rituali), si può affermare che tale ipotesi mal si concilierebbe con quella di un delitto sadico-sessuale, in quanto si dovrebbe supporre un imprevisto e completo passaggio da una condizione di liberazione pulsione ad una, opposta, di autocontrollo inibitorio, suscitato quest’ultimo da un imperativo morale di un nuocere ad una terza persona (sorto immediatamente dopo, o contestualmente, all’uccisione dei due individui ! )".
Nell’ipotesi, dunque, di un mancato accorgimento preventivo da parte dell’omicida circa la presenza del bambino in macchina, la sola presenza di quest’ultimo avrebbe potuto difficilmente sedare il furor omicida dello sparatore. Impeto omicida visto necessariamente con gli occhi di chi, come i Professori, era in grado di ragionare ex post avendo già avuto modo di saggiare nei delitti successivi al ‘68 la ferocia col quale l’assassino era solito agire. Forti dunque ti tale perplessità, De Fazio e colleghi si lanciano in una diversa, quanto suggestiva, ipotesi: "ovvero l’ipotesi che questo primo delitto abbia costituito, per l’autore o per qualcuno che vi ha assistito, uno stimolo qualificato per una ulteriore evoluzione in senso criminoso di motivazioni che sono alla base della dinamica dei delitti. Vale a dire che l’aver compiuto tale delitto (anche per motivi inerenti alle passioni e/o debolezze umane, di per sé stesse non necessariamente abnormi o patologiche) o l’avervi assistito da “complice” non materialmente esecutore, anche da semplice “spettatore”, può aver innescato un processo psicologico di slatentizzazione di impulsi sadico-sessuali, che ha poi condotto alla perpetrazione di altri delitti, con ben diversa matrice motivazionale. Sono noti in letteratura scientifica casi in cui tale processo di slatentizzazione e di successivo passaggio all’atto si sono verificati in soggetti senza alcun precedente comportamentale specifico, per il solo fatto di aver letto sul giornale il resoconto di particolari delitti; si trattava però, in questo casi, di delitti la cui descrizione, per la tipologia delle vittime (ad es. bambini) e per le modalità della dinamica materiale, suggerivano direttamente ed inequivocabilmente le componenti “sadico-sessuali”, e trovavano quindi il loro potere segusino nel fatto di costituire rappresentazioni “dirette” di fantasie ed impulsi latenti."
Passando poi alle ipotesi più probabili, "il caso in questione (omicidio Locci-Lo Bianco) non può avere tale potere di influenzamento che per due vie-stimolo, entrambe qualificate; la prima, come si è detto, costituita dall’aver assistito al delitto; la seconda, di meno intuitiva comprensione, ma di minor efficacia psicologica, consistente nel possesso dello strumento (l’arma da fuoco) unitamente alla conoscenza (diretta, o secondo una ipotesi psicologicamente non inverosimile, anche soltanto mediata) delle circostanze e della situazione in cui fu usata.
[…] molto spesso il delitto sessuale in senso proprio (quello definito lustmurder nella letteratura scientifica e nel diritto dei tedeschi, e che d’ora in poi designiamo con tale termine) prima di divenire azione rimane a lungo un fatto puramente psichico, vale a dire che è a lungo oggetto di fantasie attivate a scopo di eccitazione e gratificazione sessuale, prima di venire effettivamente agito. Tali fantasie possono venire alimentate, rinnovate, stimolate, dal possesso tangibile di oggetti-feticcio, quali possono essere, ad es., oggetti appartenuti alla vittima fantasticata (o ad una precedente vittima, nel caso sia già stato commesso un delitto) oppure oggetti particolarmente pregnanti per la dinamica dell’azione fantasticata, quale può essere per l’appunto l’arma o lo strumento con cui si fantastica di compiere il delitto."

Concludendo il pool modenese riferisce che "in definita, di per sè considerato, il caso Locci/Lo Bianco si discosta nettamente dai successivi fatti delittuosi sia per le dinamiche materiali che psicologiche, mentre appare legato ad essi da circostanze situazionali (coppia di amanti su un auto in un luogo appartato) e, soprattutto, dal mezzo lesivo usato (arma da fuoco), la cui costante presenza nella serie di delitti sembra poter assumere significati psicologici che vanno ben al di là di semplici questioni di funzionalità materiale e di opportunità".

Sebbene, dunque, i professori modenesi si concentrino su ipotesi frutto di apprezzabilissime conoscenze psicologiche e criminologiche, restano con i piedi per terra formulando quello che sembra essere il maggior fondamento alla teoria dell’unicità della mano per tutti ed otto i duplici omicidi a svantaggio di quella stonatura percepita da questi tra il ’68 ed i successivi: l’arma da fuoco. Pertanto sono costretti ad elevare la pistola (unica per tutti ed otto i duplici omicidi) ad oggetto-feticcio che lega tra loro i delitti per aver sparato in tutti questi ma che, solo nel primo (Castelletti, 1968), può essere stata azionata da mano diversa.
Da qui nasce l’immenso ed infinito dibattito che aleggia senza dar segno di cedimento: la mano che ha sparato nel 1968 è la medesima per i delitti precedenti?
E se la pistola è la stessa allora è impensabile che questa sia passata di mano tra il 1968 ed i successivi delitti. Ma se la Beretta era appartenuta al gruppo dei sardi e questi hanno commesso il delitto del 1968, allora saranno colpevoli anche dei successivi. Oppure i sardi col 1968 non hanno niente a che fare e chi ha veramente sparato quella notte di Agosto ha avuto un incredibile colpo di fortuna nel trovare persone appartenenti ad una cricca di individui così particolari e dalle vicende così torbide da aver creato, inconsapevolmente, un incredibile abbaglio/depistaggio investigativo. Oppure chi ha sparato quella notte conosceva le abitudine della Locci, ma non era conosciuto a sua volta da lei o dalla compagine sarda rimanendo poi in sordine per 6 anni prima di tornare a colpire.
Oppure ci può essere altra possibilità che approfondiremo prossimamente.
Segue...

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