Segue dalla decima parte.
Avvocato Filastò: E qui, da questo punto di vista, noi troviamo degli accenni, capito? Come degli sprazzi, delle affermazioni che restano lì. I rapporti pretesi fra Vinci, Indovino e Pacciani? Vanni, no, fra parentesi; di Vanni e i rapporti con l'Indovino non ce se ne occupa, di Vanni, da questo punto di vista. Tanto che in questa, o forse, in qualche altra occasione il Vanni interloquisce e dice:
'Ma, Presidente' - dice - 'qui dei testimoni non mi rammenta nessuno, io posso andare a casa? Mi faccia la gentilezza'.
"Rapporti - dice il dottor Giuttari - "tali e così ben radicati che possono giustificare un omicidio."
Questo lo dice... no, questo non lo dice il dottor Giuttari, lo dice proprio il Pubblico Ministero, durante l'esame del dottor Giuttari, a paqina 81, del verbale del 26 giugno '97. Io non c'ero, l'ho letto.
"Tali" in che senso? Cosa si sottointende con questo "tali"?
Certamente non solo il fatto che i tre fossero amici e che si conoscessero, più o meno, intimamente. Perché, anche ammesso che ci fosse questa conoscenza, e che uno dei tre fosse finito in carcere - si sta parlando di questa triade: Pacciani, Salvatore Indovino e Francesco Vinci -che uno di questi finisse in carcere accusato ingiustamente di essere il "mostro di Firenze", mah, certamente non è sufficiente l'amicizia sia pure intima, che non è assolutamente esistente, né provata, è completamente fuori dal mondo, ma insomma, mettiamo così, anche strettissima, affinché Pacciani si attivi per uccidere i due giovani tedeschi, allo scopo di far scarcerare Francesco Vinci. Non l'ho mica capito, io. C'è l'amico in galera, dice: vabbè, vabbè noi siamo generosi, lo vogliamo far scarcerare e andiamo ad ammazzare... Poi procurandosi, con la stessa arma: andiamo ad ammazzare due, perché a noi ci sembra giusto così. Non lo so, non si può, ovviamente; questa è un'ipotesi che non regge.
E Salvatore Indovino che cosa c'entra, allora, se fosse così? Ammettiamo Pacciani, che Pacciani un bel giorno dice: va be', poveraccio, c'è Francesco Vinci in galera non c'entra nulla; e lo so che non c'entra nulla, perché sono stato io. Ora vo a ammazzare una coppia, perché così la gente si rende conto che non è lui e lo scarcera. Mettiamo che Pacciani, il tirchio Pacciani, sia dotato di questa generosità. A guardare la persona, ho l'impressione non avrebbe sprecato nemmeno il prezzo delle pallottole per questo, senza contare il rischio, il signor Pacciani. Forse che Vinci era uno dei "compagni di merende"? Fra l'altro il più sfortunato, perché lui è stato ammazzato poi, davvero, il 9 agosto del '93, a dieci giorni di distanza di un'altra duplice uccisione: quella di Milva Malatesta e del suo bambino. Uccisi, con modalità analoghe, il 20 agosto 1993, vale a dire a distanza solo di dieci giorni, come del resto dice anche il dottor Giuttari, a pagina 78 di questo verbale; aprendo, fra l'altro, uno spiraglio, una fenditura, uno squarcio nella oscurissima cappa di mistero che tutt'oggi incombe su questi due misteriosi delitti; rispetto ai quali non si è saputo niente: né chi, né perché.
E su questo, io dico - non per integrare la prova, ma per integrare e per rendere, in qualche modo, intelligibile l'ipotesi accusatoria - bisogna ahimè, affidarsi al signor Calamosca. Ed è tutto dire, ehi Non per trovare il riscontro, ma per capire che cosa c'è dietro a questa storiaccia; per capire che cosa si vuole andare a parare da parte dell'accusa. Qual è il tema dell'indagine? É questo che io sto cercando di individuare. Quindi, si tratta... e qual è il tema? Non solo di capire perché, e quale addentellato storico può avere la frase di Lotti: "si uccise a Giogoli per far scagionare Francesco Vinci", ma che cosa c'è dietro a tutto questo, nella ipotesi accusatoria.
Si cerca, con questa situazione, di dissipare o di chiarire in qualche modo il mistero dei misteri del caso del "mostro di Firenze". Quella che poi in apparenza del mistero dei misteri, perché poi in realtà si spiega in un modo semplicissimo; ed è una sorta di rebus, ed è una tessera mancante del puzzle che riguarda, in qualche modo, anche gli "amici di merende" ed anche il processo Pacciani, una tessera, senza la quale, tutto il disegno diventa confuso e indistinto e l'immagine non di forma. Cioè dire si tratta di spiegare in che modo la stessa pistola, la famosa calibro 22 che uccide la coppia Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, a Signa nell'agosto del 1968 - e son passati quasi trent'anni, accidenti al "metabolismo lento" di questa indagine - uccide ancora negli anni successivi: '74, '81 giugno, '81 ottobre, '83, '84, '85. Questo è il tema, il più generale -vedete? - rispetto al quale si confronta due ipotesi.
Seguitemi, non è del tutto semplice, questa disamina mia, ma vi porterà avanti se l'affronterete come l'ho affrontata io.
Qui si confrontano due ipotesi. La prima che è la "lectiò facilior", quella che io condivido, quella che il difensore di Vanni condivide e ritiene l'unica possibile. E qual è? Il delitto del '68, del 1968, è il primo delitto della serie. La condanna del marito di Barbara Locci, Stefano Mele, è stata un errore giudiziario. "Nel 1968, per la prima volta" - come dice l'FBI in quel suo studio - "il serial-killer della provincia di Firenze uccide questa coppia." E fra l'altro, io dico e aggiungo, che se questa "lectio facilior", la più semplice, la più piana, la più ovvia, si fosse seguita, c'erano buone probabilità di trovarlo. Perché? Perché seguendo, naturalmente, quelle che sono le indicazioni dei criminologi su questa situazione. Vi dicono: la prima volta la persona agisce in casa sua; vale a dire nel posto dove abita.
Quindi, rispetto a tutte le migliaia di persone, lì, l'indagine poteva inizialmente cominciare con l'eliminare tantissima gente.
Perché questa è una persona che abitava a Lastra a Signa, dice l'FBI, e secondo me ha ragione. E questo spiega perché Vinci lo conosceva; e questo spiegherebbe anche perché Vinci è morto. E se qui sarà necessario, e dovremo andare in Appello, in Appello, qui, faremo intervenire il professor Cabras, che è stato il perito di Vinci, al quale Vinci ha confidato, varie volte, di sapere qualcosa.
E questa è la "lectio facilior"; quella che mette a posto tutto, quella che, fra l'altro, era condivisa anche da questo Pubblico Ministero durante il processo Pacciani. Mi dica se non è così: che lei disse, sia nella sua introduzione preliminare che in sede requisitoria finale, che i delitti del "mostro di Firenze" cominciavano nel 1968. Ma, capite, se voi seguite questa "lectio facilior", a questo punto, gli "amici di merende" e Vanni, li mettete immediatamente da parte, perché nel 1968 questa gente non si conosceva, vero? Vero? Ora non mi dica di sì un'altra volta, Vanni, che mi arrabbio.
IMPUTATO Vanni: (voce fuori microfono)
AVVOCATO Filastò: Lei lo conosceva nel 1968, Pacciani?
IMPUTATO Vanni: No.
AVVOCATO Filastò: Oh, ovvio. Ha detto di no.
IMPUTATO Vanni: Dopo.
AVVOCATO Filastò: Dopo.
E quindi, naturalmente, per reggere questa ipotesi e questa struttura accusatoria, bisogna scegliere la "lectio difficilior". E la "lectio difficilior", qual è? Che la pistola sia passata di mano. Va bene?
Dallo sparatore del 1968, vale a dire uno del gruppo dei sardi - che sia Stefano Mele, no, che sia Francesco Vinci o chi volete - questa pistola passa di mano. Questa pistola che ha ucciso per un movente di relazione nei confronti di Barbara Locci, che è una che si prostituisce, che fa la cattiva, che il clan dei sardi vuole vendicarsi su di lei, si spara a Barbara Locci, si ammazza anche Antonio Lo Bianco; poi si passa la pistola a qualcun altro.
Si trasferisce la pistola a qualcun altro, agli "amici di merende", no... agli "amici di merende" non torna mica tanto. Perché qui, a rendere più difficile e complicata questa pur complicatissima, "lectio difficilior", si pone una considerazione oppure, se volete, una domanda, che qualsiasi persona di senso comune, si pone. E qual è questa domanda?
Eccola: se questa pistola passa di mano, così semplicemente, perché qualcuno la compra o perché qualcuno la dà, la regala a qualcun altro; o perché qualcun altro la trova nascosta da qualche parte, il che è anche più strano, come è possibile, per quale ragione questa pistola, continua ad uccidere negli anni successivi coppie sorprese di notte a far l'amore, in auto, durante la fase dei preliminari amorosi? Cos'è, una coincidenza? Certamente no, è escluso.
Forse dobbiamo, allora, a questo punto scomodar qualche maga che ci dice: perché l'oggetto in sé, intrinsecamente, è animato da una sorta di intimo destino, di propensione, lui, come oggetto, come pistola, ad uccidere in quelle specialissime congiunture?
L'auto, la coppia in amore, i preliminari amorosi,
la fase lunare, tutto quello che sapete, la ritualità; certamente, no, eh. Diventa leggermente più razionale, a questo punto, ritenere un'ipotesi di lavoro, tanto per cercare di tirarla fuori... perché io, mi sembra di essere uno che sta a cercar di tirar fuori da un buco, qualche cosa, no? Che rimane in questo processo nascosto, che rimane indeterminato, apposta insomma, proprio perché voi... Quindi, lo sforzo mio è questo qua.
Un'ipotesi, dicevo, di lavoro investigativa che consideri questa coincidenza non da un punto di vista oggettivo, vale a dire dal punto di vista della pistola - perché la pistola non può averlo questo destino maligno - ma da un punto di vista soggettivo, vale a dire come intenzione del compratore o dell'acquirente - perché a questo punto non è quello che la trova per caso, ma che la vuole - il quale, per certi suoi fini, vuole disporre per l'appunto di quell'arma. Perché di quell'arma? Perché quell'arma per l'appunto è servita per uccidere in quel modo. Va bene?
Ma in questo modo l'ipotesi magico-esoterica che noi abbiamo buttato dalla finestra, sotto il profilo della oggettività dell'arma - che tipo la "mano d'angoscia" dei romanzi gotici dell'800, cammina da sé e va a strangolare le persone - così resterebbe connaturata all'oggetto, rientra dalla finestra. Perché chi potrebbe desiderare acquistare un'arma, non per certe sue caratteristiche tecniche, perché per esempio è un'arma che funziona bene, che spara bene, eccetera, ma perché essa rappresenta una specie di simbolo, è portatrice l'arma in sé, di una storia di sangue di un certo tipo. Chi? Come una sorta... sì, allora sì. Io desidero quell'arma, perché quell'arma a me mi richiama l'idea della "mano d'angoscia"; mi richiama l'idea dell'arma che già è servita a questo scopo, che insomma, per una questione di carattere esotericomagico io voglio possedere, perché voglio continuare quest'opera fatta da questa arma, in questo modo e che cosa. Quindi, chi ha preso o chi ha acquistato dopo il 1968 quell'arma, voleva appunto quella e non un'arma qualsiasi, non una pistola a calibro 22 qualsiasi che avrebbe potuto acquistare da qualsiasi armaiolo; bensì proprio quell'arma, appunto perché quell'arma aveva già ucciso in quel modo una coppia.
E quindi, esclusa la destinazione intrinseca dell'arma, escluso che l'arma in sé si tiri dietro questo singolare destino ad uccidere coppie in quella singolare situazione. Ci vuole quell'arma, perché è una specie - eccola la parola - di feticcio, anche l'arma. Un oggetto maledetto da inserire in un altrettanto maledetto rituale, da seguire poi, per tutti gli anni a venire, in un programma altrettanto maledetto, in un'altra ritualità altrettanto identicamente sanguinaria. E chi potrebbe fare una cosa di questo genere? Guardate che tutte queste cose me le sto inventando io, eh. Io sto cercando di far venire fuori quella che è un'ipotesi accusatoria, perché non vi sono state mica dette queste cose, eh.
E le sto tirando fuori per evitare che a queste cose ci pensiate voi, magari, in Camera di Consiglio. Magari senza nemmeno esprimerle voi, e tenendole come una sorta di riserva mentale, per motivare una sentenza.
Allora, chi? Un pazzo da legare, no. Un maniaco, uno così, che poi potrebbe anche essere quel pazzo che uccide le coppie dopo; che fra le tante cose, potrebbe avere anche questo tipo di pazzia di
volere i feticci. Va be', se l'è lui, è il serial-killer di Firenze, siamo tutti pari.
Mah! Strano, vero? Singolare, assurdo, poi come l'avrebbe acquistata, perché, insomma... Comunque se è lui, allora è stato lui ad ammazzare Francesco Vinci; allora torna tutto.
Pazzo da legare, ma proprio di quelli... paranoico, vero? Eccezionale, straordinario.
Ma non è certamente questa l'ipotesi accusatoria, sennò non saremmo qui, saremmo a cercarlo questo signore. Non saremmo qui a processare Mario Vanni, saremmo a cercarlo.
E allora? Il mago, no. Il mago dedito alla magia nera, a capo o ispiratore di un gruppo dedito a riti, a pratiche di magia nera.
E' questa l'ipotesi, no? Diteci la verità, è questa, no, l'ipotesi?
Quest'ipotesi sottointesa di questo processo, alla quale io sto cercando di dare consistenza facendola uscire dalle ombre per poterne parlare, facendola uscire dall'inespresso, dal sottointeso, dal presupposto investigativo centrale del quale, però, non bisogna poi parlar troppo, perché le indagini sono in corso, e perché sappiamo noi, e perché indaghiamo noi e non disturbiamo il
manovratore. E no, Signori. No, no, si disturba eccome.
Qui si sta parlando dell'ergastolo per un uomo. L'ipotesi investigativa suggerita, forse più che detta, da quella battuta del Pubblico Ministero in quell'occasione:
"Rapporti così stretti fra i tre da suggerire un delitto."
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