lunedì 25 gennaio 2016

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 10 marzo 1998 - Nona parte

Segue dall'ottava parte.
Avvocato Filastò: Poi dice ancora Allegranti, a pagina... Leggetevelo tutto, perché vale la pena. Gli si contesta quello che dicono le altre persone. Il Pubblico Ministero: "No, sono addirittura intervenuti prima da soli e poi col signor Allegranti. Così dicono loro." E io dico: "Però non sono tra quelli della Croce d'Oro, vero?" "No, non sono quelli della Croce d'Oro." Dice il Pubblico Ministero. "Allora..." Interviene l'Allegranti, dice: "E allora io non li posso avere nemmen visti, no?" Poi c'è, lui riferisce di questa voce che circolava, di uno visto con le mani sul volante su questa automobile. Eh, se si fossero fatte le indagini su Baccaiano davvero! Si fosse approfondito tante cose, anche il perché di quel posto. Come mai questo qui è andato a colpire proprio lì, quella sera. Tra le tante cose che potevano essere indagate c'era anche questo personaggio visto con le mani sul volante, un po' prima, da qualcuno; sembra da due ragazzi in motorino. C'è una mia istanza in questo senso, chiedendo che la Polizia Giudiziaria li identifichi, che si portino qui a testimoniare. Va be ' questa è una delle cose che la Corte ha rigettato. Va bene, si vede che, effettivamente, qui non si tratta di scoprire chi è il vero e autentico "mostro di Firenze", ma si tratta di valutare - come dice il professor Voena - l'ipotesi del Pubblico Ministero e basta. Va bene, con questo posso essere anche d'accordo che non si debba scoprirlo noi qui, ci mancherebbe altro. Non si fa i processi per questo motivo. Però per, come dire, valutare una certa situazione poteva essere utile anche quell'accertamento. E il Pubblico Ministero alla fine, però, correttamente, a pagina 69, dice: "Ci sono delle deposizioni, ovviamente dell'Allegranti di cui ho parlato." La deposizione dell'Allegranti al Pubblico Ministero all'epoca, che sostanzialmente, devo dire la verità, nonostante le contestazioni del Pubblico Ministero, analoga, a parte gli orari, a quello che dice oggi. Poi, addirittura, si ipotizza di sentire la dottoressa Della Monica, non sarebbe stato male. Glielo chiesi anche io, non so se il Codice lo consenta, non l'ho guardato, ma insomma, forse sì. E poi, va be', e poi l'Allegranti racconta questa storia delle telefonate. La storia delle telefonate è importante, perché esclude nettamente che a fare queste... è importante, perché è possibile escludere nettamente, chiaramente, che a fare queste telefonate siano state uno: Pietro Pacciani; due: Mario Vanni. Pietro Pacciani, perché l'Allegranti la voce del Pacciani la conosce, l'ha sentita in televisione, l'ha visto un sacco di volte. E' una voce che -come certamente è esperienza comune di questa Corte, come di tutti i cittadini della Repubblica Italiana - è una voce con un forte accento, con una forte inflessione dialettale, chiariamola dialettale; insomma, dialettale toscana, fiorentina in particolare, come quella che ho io, che per quanti sforzi faccia non riuscirò mai a toglierla, me la porterò... Ma poi, perché mi devo sforzare, scusate? Non l'ho capito io. Si deve essere tutti qui a parlare con linguaggio radiofonico, in questo italiano assurdo che non esiste da nessuna parte? Calamandrei parlava come me e io sono orgoglioso di parlare come Calamandrei. Un amico milanese tutte le volte che mi vede, dice: "Ma corregiti la dizione!" Ma che corregiti la dizione; ma per quale motivo? Non l'ho capito, io. Perché non si sente di dove sono? Sono nato a Firenze, sono orgoglioso di essere nato a Firenze; amo questa città. Una delle ragioni per cui ce l'ho a morte con questa belva è che lui la odia, invece. La odia a morte come odia le donne; tanto è vero che la assedia, se guardate il giro che fa con i suoi delitti. E più ancora amo la campagna toscana. Insomma, Pacciani parla in un certo modo, non c'è niente da fare. E Pacciani non è; e Vanni? Vanni gliel'abbian fatto sentire. Eh: 'Vanni', si è detto. "Vanni, dica qualche cosa, lei'. Io avevo addirittura ipotizzato di farglielo sentire al telefono, insomma cose un po ' troppo complicate. E dice: "Vanni dica qualche cosa, lei. " Si aspettava Vanni che dicesse qualche cosa di nuovo, per dire la verità. Invece lei ha detto: "L'è du' anni che sono in carcere e sono innocente e ho tre operazioni da farmi. La mi' moglie, lei la cascò a terra e la non po vene' nemmeno a vedermi, sicché, io la senta, non ne posso più. La mi fa questa gentilezza di..." E poi infatti la gentilezza, che non era una gentilezza, secondo me, è un atto di giustizia, gliel'hanno fatta, benissimo è andata bene così, per ora. E, sentita la voce, risposta del testimone: 'No, no non c'entra proprio niente'. Allora sarà un altro, sarà il misterioso dottore, non lo so io. Il Lotti nemmeno lui dovrebbe essere, perché anche lui come inflessione dialettale ce l'ha abbastanza notevole. Sarà il mago Indovino, che lo so io, che fa queste telefonate? Un burlone non è di sicuro, Signori, perché l'ipotesi alternativa del Pubblico Ministero, veramente alternativa, è che sia un burlone. Un burlone da attaccare al muro, da imbullettarcelo, vero, per bene e che non si muova di lì come burlone. Perché accidenti a lui, vero! Telefonata alle due di notte a questo povero signore Allegranti, dicendogli: 'te sei un uomo finito, te muori; succede una strage a Baccaiano'. Una volta fa finta di telefonare dalla Procura. E che vuol sapere questo signore? Ce lo dice 1'Allegranti, per quello che intuisce lui: lui vuol sapere se il Manardi ha detto qualcosa. Torna? Torna. Ho depositato quei giornali, che una volta tanto sono utili in questa inchiesta. La stampa in questa inchiesta, in questa indagine non ha fatto un gran bel lavoro, per dire la verità; in questi ultimi tempi poi, non se ne parla. Lasciamo perdere. Ma lì non c'è nulla da fare, eh, i giornali parlano chiaro. Viene pubblicata la notizia che questa persona, il Mainardi, era vivo e aveva detto qualche cosa. Questo vuol sapere. Vuol sapere, teme, ha paura che il Mainardi abbia detto qualcosa; cosa? Abbia potuto dire... Certo, un poveraccio come Mainardi, nelle condizioni in cui l'ha lasciato, il massimo che può dire può individuare una qualità della persona che l'ha colpito a morte. Può dire un suo aspetto significante che lo identifica, che lo identificherebbe molto bene; che so io: una divisa, un distintivo. Ed ecco perché questo è lì: che le sue telefonate non sono - guardate - solo per sapere: soprattutto sono per intimidire, per impaurire la persona, terrorizzarla. Sono telefonate in cui si vuol sapere qualcosa e con delle frasi: 'sta attento, perché se tu lo dici, qui finisce male'. E signor Presidente e Signori Giudici, l'ultima di queste telefonate interviene nell'anno 1984 di agosto, a Rimini. Si credeva, e credevo io, che quest'ultima telefonata si fosse avuta nello stesso anno: nell'82. No, avviene due anni dopo, nel 1984; se non sbaglio il 18 di agosto, perché c'è il verbale dei Carabinieri. E cosa è successo il 29 di luglio del 1984, signor Pubblico Ministero? La burla, eh? La burla; altro che burla: sono morti altri due ragazzi, un po' meno di un mese prima. E l'inchiesta sta rivitalizzandosi, e c'è il rischio che qualcuno recuperi il signor Allegranti per chiedergli qualcosa. Ecco perché gli si telefona a Rimini, nella pensioncina dove lui va a passar le vacanze, appena due giorni dopo che è arrivato, perché è arrivato da due giorni; informato eh, il burlone, oltretutto. Informato bene, eh: quando è arrivato, dove è arrivato, a quale pensione è sceso, l'Allegranti. Meno di un mese dopo dall'omicidio Pia Rontini e Claudio Stefanacci arriva questa telefonata del burlone. E va be', lega? Ammettendo che questa telefonata, come io ritengo fermamente, queste telefonate, poi il Pubblico Ministero si affanna a dire: 'ma qui, questo signore, non si ricorda nemmeno quando è avvenuto l'omicidio; questo signore confonde: qui ci ha detto dieci telefonate, là ha detto due'. No, ai Carabinieri di Rimini non è che dica "due"; non vi sto a leggere il verbale, leggetelo da voi. Dice: "Ma io questo numero sul verbale non l'ho visto." Ed ha ragione, non c'è. I Carabinieri parlano di due telefonate, perché lui ne ricorda due; lui parla, anche a voi, se leggete il verbale, a voi vi ha raccontato due telefonate: quello del falso Procuratore della Repubblica, e quella di quello che dice: "una strage a Baccaiano." E poi c'è quell'ultima fatta a Rimini; lui ne racconta tre. E molte di queste telefonate - e per questo che il numero aumenta, dieci - lui non le riceve neppure. Lo sapete, l'avete letto? C'è scritto a verbale, rileggetelo. C'è scritto che molte di queste telefonate gli arrivano o a casa o nel posto di lavoro, quando lui non è a casa e non è nel posto di lavoro, gli vengon dette. Dice: 'guarda ha telefonato quel tizio'. Quindi, andare a inficiare l'attendibilità, la sicurezza, la genuinità di questo testimone che vi riporta una circostanza importantissima, che collima perfettamente con quel personaggio che abbiamo cercato di descrivere ieri: questo senso di onnipotenza, con la sua strafottenza, con la sua cattiveria, con la sua volontà di interferire nelle indagini. Cosa che fa fin dal 1981, nel mese di ottobre, quando lui ammazza a quattro mesi di distanza Susanna Cambi e Stefano Baldi; li ammazza, perché in galera c'è Spalletti e Spalletti vuol parlare. Se questo processo si fosse occupato anche di quel delitto, allora questo difensore avrebbe portato testimoni a confermare questa circostanza, sarebbe nato un altro caso Allegranti; persone che non solo sapevano questo. Primo: facciamo conto di averlo fatto questo processo, per dire che cosa avrebbe portato questo difensore a suffragare questa ipotesi, a questa ricostruzione; primo: avrei portato il signor Enzo Spalletti. Al signor Enzo Spalletti il difensore gli avrebbe fatto questa domanda: 'scusi, ma lei quando ha detto ai Giudici Izzo e Della Monica che loro sapevano benissimo che lui non era un colpevole? E che lo tenevano in galera, lasciando, ipotizzando, lo tenevano in galera, perché cosi...' Tanto questi due bravissimi, solerti, integerrimi magistrati si allarmano: ma allora cosa vuol dire, scusi, con questa frase? Ed è rimasto, questo, per aria, questo sospetto, questa idea. Cosa voleva dire questo signore? Ha visto qualcosa lui, quel giorno? Sì, che ha visto qualcosa. E poi lì interrogato. E poi avremmo sentito il fratello, avremmo sentito la madre, avremmo sentito un altro familiare; che ricevono telefonate, anche loro, da parte di una persona che parla un italiano corretto. E dice: 'dite al vostro familiare che non si allarmi, che prima o poi esce di galera'. 'Anche lui, però...', una volta, durante una di queste telefonate, questa persona dice: 'Anche lui, però, che si mette a parlare del giornale, che è uscito il giorno dopo? Gli sta bene se sta dentro.’ Ma tutte queste cose, voi... Ora ve le accenno io, sono tutte documentate però, sono tutte lì agli atti, eh, di quel processo. Però il dato storico, che avviene questo delitto a quattro mesi di distanza - questi due delitti avvengono nel periodo di tempo più breve, quattro mesi di distanza l'uno dall'altro - questo voi lo avete, non c'è niente da fare. E Spalletti è in galera. Poi si mette in galera Francesco Vinci. E come finisce in galera Francesco Vinci? Anche qui lo vedremo fra un po', parlando di un'altra questione; per ora accantoniamola. La pista sarda e tutto il resto. E Francesco Vinci è scelto male anche lui, per andare a finire in galera, perché anche Francesco Vinci ha visto qualcosa, guarda caso, nel 1968 alle Cascine del Riccio di Signa. Poi dopo Francesco Vinci fiondano in galera Mele e Mucciarini; la pista sarda pac ! delitto della Rontini. E poi, alla fine, si vede che alla fine gli è andata bene così come andava l'indagine, che la persona era giusta da metter dentro. Dentro al suo giustizialismo, il porcaccione - per modo da dire, parlandone da vivo - Pacciani gli stava bene. 

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