giovedì 28 maggio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 20 febbraio 1998 - Prima parte

Presidente: Allora, Elisabetta, prendiamo atto della posizione delle parti. Ah, Zanobini? 
(voce fuori microfono)
Presidente: Ah, va bene. Allora, Vanni presente, con i suoi difensori Mazzeo e Filastò. Bagattini e Fenies per Faggi, sempre contumace. Zanobini per Corsi, assente. Diamo atto che si presenta Lotti Giancarlo, che vedo ora che siede accanto al difensore Bertini. E poi l'avvocato Curandai per gli altri e l'avvocato Pellegrini per le parti civili. Allora, Pubblico Ministero.
P.M.: Sì, Presidente, grazie.
Presidente: Possiamo riprendere.
P.M.: Senz'altro. Signori Presidente, signori Giudici. Stavamo esaminando ieri i tempi, i modi della ammissione di responsabilità da parte di Lotti Giancarlo e avevo evidenziato loro che questa ammissione di responsabilità avviene in due tempi: una prima che è ancora caratterizzata da una parte di reticenza e una seconda nella quale invece si tratta di una confessione sicuramente spontanea, E mi preme, a questo punto, sottolineare ancora - come ho fatto bene ieri - che la parte in cui Lotti si decide, in buona sostanza, a confessare le sue responsabilità, in un primo momento solo per i fatti dell'84 e dell'85, avviene perché c'è una forte contestazione di elementi obiettivi. È solo per quel motivo che matura questa convinzione e quindi quella era la costrizione. E quindi dobbiamo riconoscere tutti che, stando così le cose, si arriva a questa svolta, in questo processo, in questa indagine, unicamente per il lavoro puntuale, specifico, attento della Polizia di Stato. Dobbiamo tutti riconoscere alla Squadra Mobile di Firenze, al suo dirigente, dottor Giuttari e al dirigente della Squadra Omicidi, il dottor Vinci, e a tutti i ragazzi di quella squadra, che gli elementi che hanno poi portato a quella ammissione sono elementi che sono stati evidenziati da un'indagine puntuale di Polizia. Solo, esclusivamente per questo, c'è stato questo assaggio, questo mutamento di impostazione del Lotti. Che da teste diventa indagato. E, solo successivamente - facevo presente ieri - si arriva a quella che è invece la fase delle ammissioni spontanee. Cioè quella fase in cui Lotti oramai ha capito che l'unica soluzione è dire tutta la verità, perché una mezza verità non serve né alla Giustizia, né a lui come oramai indagato, imputato. E a questo punto della indagine, lo abbiamo ricostruito in quest'aula, allora Lotti effettivamente si siede al tavolo e racconta tutto ciò che ulteriormente sa o ha vissuto personalmente. E ci parla quindi, diffusamente, con dovizia di particolari, anche di quegli altri due omicidi di cui è imputato: quello dell'83 e quello del 1982. Giogoli e Baccaiano. Qui effettivamente, in questa parte della sua ammissione, Lotti va. da solo. Nessuno ha da contestargli niente, non abbiamo ancora elementi specifici, come gli altri omicidi. Questo lo abbiamo visto bene in quest'aula e quindi è giusto oggi riconoscerlo. Perché per quei due omicidi, '83 e '82, c'era solo la ricostruzione oggettiva. Come sono andati i fatti ce l'ha spiegato Lotti e abbiamo potuto poi verificare in questo dibattimento che dice la verità anche su quello. Ma attenzione, è importante anche in questo momento riconoscere che, nella confessione, nel dirci: guardate, io ero presente in quei due episodi, vi spiego perché e ce l'ha spiegato. Niente so dei precedenti, dei due omicidi dell'81 e di quelli ancora pregressi che, come sappiamo, sono commessi con la stessa arma. Lui, dei due omicidi dell'81, sa solo degli elementi per uno di questi, di quello di Calenzano e ce lo racconta. Eh, anche qui dobbiamo crederlo. Ma non dobbiamo crederlo perché oramai è persona sulla quale noi abbiamo un debito di credibilità. No, perché ci spiega come obiettivamente sono andate le cose. Ci spiega che la maturazione di questa complicità con i due oramai amici, Vanni e Pacciani, che risale nel tempo, come minimo, a metà degli anni '70, a volte ci ha detto '78, ma comunque sicuramente prima. Ci potrebbe far credere che lui è coinvolto nei fatti dell'81. Però ci spiega come mai, solo dall''82 in poi a Baccaiano, è stato coinvolto. Gliene avevano parlato e solo nell'82, a seguito di quell'episodio in cui fu costretto a subire quelle attenzioni particolari di Pacciani, ebbe poi il coinvolgimento totale. Lui diceva: non ci credo, sempre cercato di .farci capire di come, anche in questo fatto, era marginalmente invischiato. ma poi andai, vidi e mi resi, conto. Allora qui vediamo come, in una fase di questo genere,, è chiaro che, se avesse saputo qualcosa di ; specifico del resto, lo avrebbe detto. Lui sa solo quello che ci ha raccontato di quell'omicidio di Calenzano dell'81, che vedremo fra un attimo. Ma il fatto che del resto non sa nulla, ci fa capire come è, anche in questo, credibile. Perchè se uno, come vi è stato fatto credere, con illazioni pure e semplici, avesse inventato,, poteva inventare l'81, l'80, se c'era, o tutto quello che doveva essere inventato di questo sodalizio. No, qui le illazioni non hanno più assolutamente spazio. Qui, chi continuasse a fare illazioni in quest'aula davanti a voi, come è stato fatto nel corso del dibattimento, dicendovi: guardate, qui c'è un suggeritore. È qualcuno che deve portare elementi oggettivi per fare questi discorsi, perché noi abbiamo dimostrato in quest'aula che le cose stanno in modo ben diverso. Per le illazioni ci sono solo responsabilità di chi le fa. Non si può assolutamente inventare o gettare il dubbio su chi ha fatto queste indagini, sulla Polizia di Stato, se non ci sono elementi. I fatti oggettivi sono quelli che vi ho descritto. Ma non ve li ho descritti io perché mi è venuto in mente di descriverli così. Perché oggettivamente sono andati in questo modo. Allora noi abbiamo questo debito di credibilità totale, nei confronti del Lotti anche per questo comportamento molto chiaro e lineare e perché, quando si è seduto finalmente e veramente con l'intenzione di collaborare, ha descritto fatti, quelli dell'83 e del 1982, che obiettivamente ha descritto di sua spontanea volontà. Ha spiegato come e perché era presente e ha dato la possibilità di verificare che ciò che ha detto è la verità. E quello che è più importante, per questo debito di credibilità che abbiamo, è che ha spiegato, narrato, per quella che è la dinamica materiale di questi ulteriori delitti, l'83 e l'82, ha spiegato circostanze che noi non conoscevamo, assolutamente. E abbiamo potuto, ex post, verificare che diceva il vero. E quindi, siccome ha spiegato delle circostanze che nessuno sapeva, capite, chi glielo faceva fare di inventare. Ecco un altro elemento che deve essere molto ben presente davanti a voi. E dall'altra parte, ha... non si è dilungato su circostanze invece che noi conoscevamo, sulle quali poteva benissimo darci ulteriori elementi. Ad esempio, molto onestamente - anche questo è un fatto che dimostra quanto questo imputato sia stato leale con la Giustizia, fra virgolette -dice: io, di quella lettera di cui mi parlate, spedita nell'85 a quel magistrato donna, la dottoressa Della Monica, di cui voi dite, mi dite voi inquirenti, voi investigatori, che avete un sacco di particolari, che era un pezzo di un lembo del seno della ragazza. Io non so niente, l'hanno fatto evidentemente loro. Capite che, se era uno che aveva una verità preparata, non aveva altro di meglio che dare conforto inventando su questo fatto. No, è stato leale. È venuto, dice: 'io di quello lì non so assolutamente niente. È inutile che mi chiediate'. E, coinvolto com'era, evidentemente si tratta di una circostanza che è stata gestita da altri. Perché, come sapete, lui, al contrario, ha raccontato fatti che noi non conoscevamo, a proposito di queste lettere. Le vedremo fra un attimo. Quindi, capite, una persona... io ci ritorno su questo discorso, perché mi ha veramente dato fastidio che si sia insistito sul fatto di una verità che qualcuno gli ha suggerito. Ma se uno gli suggerisce, gli suggerisce quello che già si sa. È elementare. No, quello che già si sa, se Lotti non sa niente, giustamente ha détto: io non so niente, cosa volete da me, chiedetelo... Proprio è cascato dalle nuvole. Ci ha spiegato allora, sedendosi a quel tavolo di cui parlavo, perché si è unito a loro. All'inizio, per quanto riguarda l'82, dice: sì, li conoscevo. Li conoscevo da tempo. Andavo a casa di Pacciani. Un giorno dipingeva la casa, è successo questo benedetto episodio. Non sappiamo gli esatti contorni, però la cosa sicura di questo episodio è che il Lotti si è sentito costretto, soggiogato, si è sentito nelle mani della persona che gli aveva fatto quelle avances, o aveva tenuto quel comportamento. È chiaro che quindi ha dimostrato e ha spiegato il perché si è trovato in quella situazione. È sufficiente per dire, sulla base di quello, vieni con noi a vedere, o a fare un omicidio, a fare da palo. Assolutamente no, per carità. C'è una componente di partecipazione attiva, di coscienza e volontà di andarci inequivocabile, di cui il Lotti deve rispondere. È dal suo punto di vista che ce lo racconta: guardate, io mi sono sentito obbligato. Poi, privilegia quindi, in questo contesto, l'aspetto della costrizione: mi sono sentito costretto. Ma non ha dubbi a dire: no, ci sono andato. E qualche frase, qualche frase se la lascia scappare in questa fase della contestazione in cui gli si dice: ma cosa ci sei andato... ma perché ci sei andato? Ma come è possibile? Eh, dice: un po' mi piaceva anche vedere. Non ci credevo. Io qualche coppia in qua e in là l'ho guardata. Ecco che, con le difficoltà sempre, o con la attenzione che ha a difendersi - perché, anche qui è un altro elemento, è persona sicuramente attenta a proteggere se stesso -: "Mi hanno costretto. Io non avevo capito bene cosa si andava a fare. Mi parlavano di cosa facevano". Ecco le frasi che vengono fuori molto chiaramente. "Io non ci credevo. Ci sono andato per vedere. Sono stato più indietro con la mia macchina. Ho visto. Poi sono stato coinvolto" definitivamente, tanto che per quel delitto successivo, dell'83, Pacciani ha voluto in qualche modo legarmi indissolubilmente a loro, costringendomi, nei modi che ci ha descritto, a sparare perché così io c'ero dentro fino al collo come loro. È ovvio che nell'economia, nella dinamica di un delitto di quel tipo, non è tanto la massa di fuoco che può avere armato, prodotto la mano di Lotti. È il coinvolgimento. Tant'è che poi sappiamo, in quel racconto, è stato il Pacciani a prendere la pistola e a finire l'opera. Perché Lotti ci dirà: io non so se li ho presi. Con tutte quelle descrizioni che vedremo fra un attimo. E allora vedete che si siede davanti a questo tavolo, racconta, spiega; spiega cose che noi non sappiamo. Ma insomma, anche il solo pensare che un imputato, oramai imputato, con tanto di difensore, e che viene sottoposto a interrogatori, non solo i ammette i fatti, ma dice di sua spontanea volontà: ho sparato anch'io. Signori, ma insomma, cosa altro vogliamo da un imputato che è comunque persona che ha capito a quali conseguenze può andare incontro. No, è persona che addirittura nessuno poteva pensare, ma nemmeno ipotizzare che avesse lui stesso sparato. E quindi capite il debito di credibilità che a questo punto abbiamo nei confronti di questa persona, imputato, che risponde davanti a voi, che pagherà sicuramente le conseguenze. Ma il debito di credibilità che abbiamo è quanto è impossibile ancora oggi pensare a ipotesi che sono solo illazioni. Non ci voglio più tornare, ma è una cosa che ce l'ho dentro fino dal primo momento di questo processo, quando sento dire, ho sentito dire: c'è un suggeritore. Gli elementi oggettivi li avete voi. Ci direte, al momento opportuno, qual è la verità ricostruita in questo dibattimento. Questo è l'iter, questo è il procedere di questo imputato. Abbiamo quindi già degli elementi, e ne avremo tanti altri, io voglio andare sicuramente per ordine, per crederlo, sulla base di questi semplici elementi che nascono dalla sua condotta, al di là degli elementi obiettivi, e dei riscontri che vedremo più avanti. 

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