Segue dalla prima parte.
Ma vediamo cosa succede dopo: è importante. Il bambino viene portato via subito dopo, a una distanza di 2 chilometri e mezzo, 3.
Il bambino - è pacifico - aveva i calzini, non aveva le scarpe, e i calzini non portano tracce né di sporco, né tantomeno, essendo la strada non asfaltata, segni di tagli o contusioni. Suona un campanello e dirà: 'Mamma e zio sono morti. Il babbo è a letto ammalato'. È evidente, perché il bambino fu portato là? È questa la domanda che noi ci dobbiamo porre, ed è una domanda evidente. Fu portato là perché doveva dire 'il babbo è a letto ammalato', e dargli il tempo di andare a casa. Certamente Stefano Mele doveva sapere che il bambino avrebbe detto 'Il babbo è ammalato'. Perché sennò non avrebbe senso: questo è un alibi. E l'alibi gli può essere fornito soltanto da qualcuno a cui il bambino è molto legato – non certo Pietro Pacciani. Non solo. Il bambino dirà prima: 'Sono venuto da solo'. È una bugia, che gli hanno detto anche questa: 'Di' che sei venuto da solo'. Non è vero, lo hanno portato. Poi dirà 'È stato il babbo; zio Pietro'. Dirà
tante cose, ma è chiaramente finalizzato ad un solo scopo: salvare il babbo. Quel babbo che, la mattina arrivano i Carabinieri da lui, ed è vestito, con le mani sporche di morchia. E dice: 'L'avete già saputo?' L'avete già saputo? Quindi, va bene, è una persona - come a voi vi ha detto il Pubblico Ministero - allora seminfermo di mente, oggi totalmente infermo. Non riusciva a tenere nemmeno niente, 'nemmeno il
semolino', dicono i bambini. E dice subito ai Carabinieri, confessa: 'Guardate che io so che è avvenuto il delitto'. Portato in caserma, incredibilmente senza difensori - incredibilmente, a quel tempo era così la procedura - ma col Mucciarini, incomincerà a dire tante cose. Ma alcune importanti: il tipo di pistola. Era una pistola con la canna lunga. Col silenziatore, dirà. E anche questa è una cosa molto importante, un po' trascurata: lui dirà allora 'col silenziatore'. Dirà poi... Li porterà sul luogo del delitto. È verissimo quello che dice il Pubblico Ministero, si sbaglierà. Ma cercate di capire che è una persona con la testa in quel modo e quella, sera andò là con un batticuore particolare. Dirà poi altre circostanze sulla scarpa che aveva perso, mi sembra, il Lo Bianco, sulla freccia, sullo sportello. Tante circostanze, precise tutte, che inequivo... in maniera certa dicono: Stefano Mele era sul luogo del delitto. Da solo? Un po' difficile da solo, perché non può aver portato lui il bambino. È illogico che abbia portato il bambino: il bambino è il suo alibi. Lui aveva la bicicletta. E dicono allora - è tutto in quella famosa sentenza Rotella, che riporta i brani processuali - e dicono allora: 'Lui non poteva, non sapeva guidare un motorino'. Quindi doveva andare per forza in bicicletta. Qualcuno lo ha portato... Poi doveva tornare indietro, gli ci voleva tempo, perché il bambino dice subito: 'Sono morti'. Infatti quelle persone si muovono immediatamente. Poteva anche darsi che addirittura i Carabinieri arrivassero a casa di lui prima dello Stefano Mele stesso, il quale doveva essere già a casa quando il bambino è arrivato da queste persone. Mi sembra che gli indizi sono tanti, ma tanti! A cui vanno aggiunti quelli successivi.
Non sto a parlar dei depistaggi, perché questo è il processo Pacciani. Dirà che era Salvatore Vinci, dirà che era Francesco Vinci. Poi Natalino dirà una cosa più importante: 'Comunque mi disse: "La verità io non la dirò mai" - quando poi ritratta, perché ritratta – “perché io paura per te”. Io ho paura per mio figlio. E nel 1982 dirà Natalino Mele: 'Il babbo mi disse, dopo i primi omicidi dell'81 - i due dell'81 - "Sono stati quelli che uccisero allora a compiere questi delitti"'. E usa il plurale. Natalino Mele qui smentisce tutto, non vuol rispondere. Non capisco perché non sia stato forse incriminato, perché aveva detto cose talmente precise. Lì non si ricorda nemmeno quel che ha detto qualche anno fa. Comunque sia, non mi importa: abbiamo i verbali. E nei verbali è chiarissimo. Ma c'è di più. Quando viene celebrato in Corte d'Appello il processo contro Stefano Mele, la moglie del Lo Bianco viene avvicinata – anche questo è in atti - viene avvicinata non si sa bene se da un Mele, cosi parrebbe, o da un Vinci, che gli dicono: 'Signora, ci dispiace per suo marito', e lei lo riferisce subito ai Carabinieri. Però quella donna era già morta. Vi era una condanna nei suoi confronti, era solo questione di tempo. L'abbiamo uccisa perché doveva morire. Non volevamo, e ci dispiace, uccidere suo marito. Anche questo è importante. Il 1968 è veramente
importante. Però ricordiamoci bene, visto che vi è questo continuo conflitto che nel '68 non è un delitto
psicotico, non è un delitto psicopatico, comunque sessualmente abnorme: è un'esecuzione, fredda. Doveva morire: è morta. Quante sono le persone non lo sappiamo. Certamente per me sono più d'una. I protagonisti sono i fratelli Vinci, che erano gli amanti della donna, che vivevano con lei in casa, in un ménage a tre col marito: andavano tutti a letto insieme. Ma normalmente era uno dei Vinci e la donna ad
andare a letto e il marito a fare, poveretto, da servitore: gli portava il caffè a letto la mattina, vedeva i loro giochi, era obbligato a vederli. È importante questo? Sì. Perché questo atteggiamento di onnipotenza delle persone che frequentavano la donna è rimasto per molto tempo uno dei cardini d'accusa contro di loro; un
atteggiamento sicuramente psicotico. Ma vi erano altri possibili omicidi. Chi - e noi li potremmo rivedere insieme - erano? Mele e Mucciarini, cioè le persone, secondo un certo discorso fatto a quei tempi dall'accusa, che odiavano la donna perché, non soltanto svergognava il nome della famiglia, ma anche perché dilapidava i pochi soldi di costoro. Ma questo a noi non ci interessa, in questo momento, se non perché dopo li potremo in qualche modo rivedere o, comunque, queste figure valutare ma non è compito di una parte civile soltanto enunciarle, perché il nostro compito era, i dubbi: il Pacciani lì non c'era. Non vedo, non riesco a capire - ma voi mi potete dare una risposta diversa, ci mancherebbe altro - perché lui doveva sparare per salvare il bambino, perché doveva preoccuparsi di portarlo lontano? Perché doveva preoccuparsi di salvare Stefano Mele, procurandogli un alibi? È assurdo. Queste persone che hanno patito, tutte, colpevoli o non colpevoli, per queste vicende, i Vinci, ma non hanno mai detto: chissà, ma era una persona diversa? Si sono sempre accusati fra di loro. Ma nessuno ha detto: poteva essere un terzo. Fatto sta che, a mio avviso, questa storia è sicuramente importante. E forse per una deformazione, scusatemi, storica; ho vissuto dal '74 questa storia, mi sono affezionato forse troppo al '68. Ma forse non c'entra veramente niente, perché quel delitto non è psicotico. Forse la pistola è veramente cambiata. Certo è difficile che un assassino dia via la pistola con cui ha fatto un omicidio, perché se poi magari questa persona viene catturata con questa pistola e si scopre che è dell'omicidio, viene imputato dell'omicidio, e subito dice: no, fermi Io l'ho comprata da Tizio e da Caio. Avrò fatto una rapina, avrò fatto un furto, avrò tenuto abusivamente l'arma, ma mai e poi mai ho commesso un omicidio, me l'ha data Francesco, me l'ha data Salvatore, me l'ha data Tizio, Caio e Sempronio. È difficile, ma non impossibile. Anche un cambio di pistola. Non lo so, a noi mancano sicuramente degli anelli in questo processo: è questo il guaio. Dare giudizi, chi ci crede - accusa o difesa, è un’altro discorso - ma una parte esterna dare un giudizio, mettersi a fare immaginazioni su degli anelli mancanti è difficile. È un fatto, Pacciani in questo omicidio non può entrare. Lui non è tipo da salvare bambino e fornire alibi.
Ma andiamo avanti, passano sei anni e si arriva al '74. Delitto per noi fondamentale. E state attenti, anche qui un grande magistrato il P.M., il dottor Mario Persiani, persona esperta, persona estremamente combattiva. Mi disse e lo disse pubblicamente: 'Misi a ferro e fuoco il territorio'. C'è da credergli conoscendolo. Rivoltò le famiglie come un guanto perché aveva un'intuizione precisa.
Presidente (fuori microfono): Che ganzo! Che ganzo!
A.S.: Il delitto è avvenuto di impeto da una persona esperta dei luoghi e delle persone. Lo ripeteranno i modenesi, è un delitto di impeto: mentre quegli altri sono freddi, premeditati, questo è un delitto di impeto. Che cosa vuol dire, che succede quel giorno? Vengono sparati tredici colpi, si trovano cinque bossoli. Ma insomma, che i Carabinieri, sempre sbaglino su una cosa importante che sanno i bambini. Cioè i bossoli vanno cercati, normalmente si trovano, ci sono i metal detector, si chiamano i sommozzatori, figuriamoci se non si cercano i bossoli. Non si trovano. E ne manca tanti, ne manca otto. Quindi vedete che l'ipotesi di due pistole, di più persone è sempre valida. Ma poi verrà smentito anche questo, perché noi dobbiamo dire le cose che vediamo sotto il profilo scientifico, ma verrà smentita nel delitto dell'85. Che cosa succede? Perché di impeto? Il ragazzo viene ucciso e la ragazza riceve questi colpi di pistola, ma ancora in vita - dirà Maurri incomincia ad essere accoltellata. Quindi viene tirata fuori dalla macchina, in "limine vitae", e viene accoltellata. Novantasei coltellate. Voi provate a tirare venti coltellate a un pezzo di pane. Dopo venti coltellate avete il braccio stanco. Venti, quaranta, sessanta, ottanta, novantasei. Una
furia, una furia. Non basta. Alla fine si è sfogato? L'omicida o gli omicidi sono stanchi? No, prendono un tralcio di vite, gli apre le gambe e glielo infila nella vagina in maniera di ulteriore spregio. Attenzione però, su questo tralcio non c'è macchie di sangue. Domanda mia a Maurri: 'C'erano… l'assassino si è sporcato le mani?' 'Si, anche perché i primi colpi erano tirati in vita, quindi lo spruzzo di sangue è sicuramente
stato notevole'. Lo dice il professor Maurri è agli atti. Non sto a leggere perché sennò la difesa diventerebbe impossibile. Ma c'è un altro dato che non ci deve far dubitare, pensare, una furia selvaggia, una furia cannibalica quasi, sul corpo di questa ragazza. E sotto una vite si trovano i vestiti della ragazza
piegati senza macchie di sangue. Chi ce l'ha messi? Ora non veniamo a dire un'altra volta i Carabinieri perché, insomma, non si può dare sempre a loro la colpa per fare quadrare il cerchio. Com'è possibile, non li può avere lasciati la ragazza mi sembra che siamo a ottobre, fine settembre, ottobre, anche se uno si spoglia nudo, va a mettere i vestiti sotto una vite lontano dalla macchina una decina di metri, sette/otto metri, poi torna in macchina... Siamo pazzi! No, perché? Ecco, questa è una risposta. Innanzi tutto il fatto che non siano macchiati di sangue ci fa pensare che non sia stato l'assassino. Ma perché questa cosa così diversa? Da una parte ingiuriare il corpo e dall'altra andargli a mettere i vestitini per bene lontani. Pare quasi che sia presente un'altra persona, anche questa sconvolta, che compie qualcosa di diverso. Non lo so. Ma sangue non verrà trovato nemmeno sulla borsa abbandonata poco lontano. Quindi, da parte nostra, l'idea delle più persone si rinforza e ve la passiamo. Ma soprattutto - e , lo vedremo dopo, quando parleremo del Pacciani -che questo delitto sia avvenuto da una persona che passava di lì. È un luogo, non è vero che sono luoghi inaccessibili, non la penso come il Pubblico Ministero. Il '74, per uno che viene da Rabatta, Borgo San Lorenzo, Rabatta, gira a destra, scende, si vede da lontano. Uno cammina per la strada in macchina e vede le macchine che sono in quel piazzale. La strada è sempre lì, il piazzale è sempre lì. Una persona che forse da quella stradina passava spesso. Una persona che quella sera non ne ha potuto più, una o più persone e ha commesso questo delitto. Qualcuno, in quella strada specifica, dopo dieci anni, lì vicino, a pochi chilometri, colpirà ancora. Però rimane un problema. Il problema è, passeranno altri sei anni, arriviamo all'81, perché il "mostro" colpisca. E qui viene fuori un'altra domanda: ma che serial killer è mai questo che colpisce sei anni, poi smette sei anni. È questo è il problema vero. Il problema che ha... Io quando parlavo, e gli altri difensori di parte civile che da tanto tempo anche loro seguono queste vicende, si parlava con i P.M., si parlava con i giudici, si parlava con gli investigatori perché? tutti a domandarsi perché. Non lo si riesce a capire. Si disse '68-'74 - lo dicono i modenesi - vi è stata un'evoluzione psicotica dell'omicida. Va bene e '74-'81? Ritorneremo a Pacciani perché forse nell'omicidio del '74 nonostante la grande bravura di questo P.M., che veramente fece l'impossibile, bisogna dargliene atto, chi ha vissuto quel tempo lo sa, delle indagini terribili, estesissime, aveva talmente paura che qualcuno facesse due più due che si è ben guardato dal colpire; aspettava la mannaia della giustizia da un momento all'altro. È una mia impressione. Certo se si fosse allora pensato al '51 Mario Persiani avrebbe fatto veramente fuoco e fiamme; lì vicino un altro delitto, nessuno ci pensò. Io oggi so che il '74 è la chiave vera. È la bilancia, il perno della bilancia. Si inizia sei anni prima, '68, sei anni dopo una serie di sei delitti, sempre questo numero presente. Veniamo all'81. '81 cambia completamente la scena. Nell'81 non c'è più questa ferocia generale ma c'è un atto premeditato certamente, il taglio del pube da parte dell'omicida. Viene, mi sembra, ma non è importante, poco dopo arrestato lo Spalletti. Dopo c'è un altro omicidio, questo è giugno, vi è un'alternanza fra l'altro, non sono cosa voglia dire. I delitti avvengono sempre settembre, ottobre, giugno; poi settembre-ottobre, giugno-luglio: un'alternanza specifica, no? '74 è settembre-ottobre, ottobre mi sembra; '81, giugno; settembre '81 ancora; poi si ritorna al giugno '82; '83, siamo a settembre-ottobre e via discorrendo. Ecco, ma noi ci si pone una domanda: che cosa era successo? C'è qualche fatto storico importante? Un fatto storico c'è, per quello prima ho parlato di Stefano Mele, ho parlato di Vinci, ho parlato degli altri: nell'81 esce dal carcere il Mele, Stefano Mele. E si è pensato, è un unico riferimento storico che abbiamo e che ci aggancia al '68, abbiamo pensato non è forse casuale questo fatto. Ma il perché? Uh, di ipotesi ne abbiamo fatte tante, non voglio tediare la Corte che ci può arrivare da sola. Che cosa è successo? Può avere scatenato qualcosa questo fatto? Può avere ricominciato, può essere ricominciato quel gioco perverso di coppie, di gruppo che si muovevano insieme, perché? Perché si disse che nel '68 uno degli amanti, o tutti e due gli amanti della Locci, dissero al marito: 'Tua moglie - questa era la logica del rapporto - ci tradisce, uccidila'. E questo servo sciocco, questa persona senza volontà, zero, lo fece. Questa fu l'ipotesi che poi trovare spazio nell'82. Questo fu l'etimo della situazione, di queste persone di cui avete intravisto una sessualità più fantasiosa, più a 360 gradi ancora di quella che può essere del Pacciani, è tutto dire. Qualcuno ha definito, il Pacciani è un boy-scout nei confronti di costoro, perché avevano realmente un'audacia, un carattere prepotente, forte. Noi lo vedevamo quando parlavano con i giudici, un arroganza che Pacciani si mette a piangere; loro erano arroganti, superiori, diversi. Ma siamo nell'81. Verrà arrestato lo Spalletti, verranno prese delle piste diverse a quel tempo e mi fa piacere ricordarle perché si pensò a uno psicotico allora - ancora non si sapeva del '68 - e tutti coloro, o uno che avesse un Edipo tragico, tutti coloro che erano dei single, cioè non sposati, vivevano con la madre nella zona del Mugello, vennero martirizzati, sospettati, medici, queste persone qui. E un pochino si cercava una persona tipo "Psycho" - non so se avete visto il primo film di "Psycho" - il ragazzo che vive solo con la madre, commette gli omicidi in una forma schizofrenica e lì fu una caccia sfrenata. La caccia viene interrotta quando, per un principio che si chiama quello di equazione a ripetere, cioè si dice che persone che compiono questi atti in realtà non fanno che rappresentare nuovamente un trauma antico: '68 si disse, e si scoprì il '68 per il gruppo sardo, chiamiamolo così. Dirà oggi il Pubblico Ministero: No, è il '51, per Pietro Pacciani. Comunque è sempre un'equazione a ripetere, un trauma specifico, e sono una l'immagine speculare per l'altro. Ma fino a quel momento, salvo l'arresto di Francesco Vinci, noi abbiamo la caccia a questo tipo psicotico, ipotesi che poi viene abbandonata ma noi dobbiamo pur tenerne conto perché ha avuto una larga risonanza.
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