Il 14 novembre 1982, il quotidiano La Città, pubblicò l'intervista al dottor Adolfo Izzo che segue.
Dottor Adolfo Izzo: Stefano Mele dice la verità, non ci sono problemi. Resta da vedere se è una verità precisa. Le sue accuse contro Francesco Vinci non sono dettate dal desiderio di vendetta, e lo dimostra il fatto che siamo stati noi ad andarlo a cercare e non lui a venire da noi.
Mele è sempre stato una vittima del Vinci. Questo invece non è stato tenuto nella dovuta considerazione nel famoso processo. Forse Stufano Mele non è stato adeguatamente difeso, perché la difesa poteva anche tentare di dire che era stato costretto dal Vinci a seguirlo la sera del delitto del ‘68 limitando cosi l’entità della sua responsabilità. Oltretutto, perché il Mele avrebbe dovuto uccidere sua moglie? Non certo per gelosia, dal momento che sapeva benissimo da tanto tempo delle varie relazioni extraconiugali di Barbara Locci, soprattutto con Francesco Vinci e suo fratello Salvatore. Il Mele durante il dibattimento disse una frase importante: “Tanto io in galera comunque ci devo andare”. Era impaurito, entrò mille volte in contraddizione, pensava a salvarsi la pelle. Quella frase, a rileggerla ora fa intuire tante cose. Ho sempre pensato che fosse stato Francesco Vinci a portare il piccolo Natale alla casa vicina, come vi ha detto ieri il Mele. Secondo me, inoltre, il marito della donna uccisa non è tornato a piedi in paese, anche se su questo punto si possono fare davvero tante ipotesi.
Anche lei pensa, come il Mele, che c’è il gravissimo rischio che la pistola calibro 22 possa tornare a colpire?
Penso che i delitti non siano stati commessi da una persona sola, per una serie di semplici
argomentazioni logiche. Mi chiedo: è possibile che l’assassino abbia potuto agire sempre
con tanta tranquillità? Probabilmente ha potuto contare sulla copertura di qualcuno, in che misura è impossibile dirlo, non ci sono prove.
E il silenziatore descritto da Mele?
E’ un particolare importante, che spiegherebbe come mai nessuno ha mai sentito nulla.
La calibro 22 fa un rumore secco, ben individuabile. Ma né a Borgo San Lorenzo, né a Scandicci, né a Calenzano, né a Montespertoli nessuno ha sentito nulla.
Stefano Mele ha fatto riferimento a «altre persone», senza però precisare che cosa volesse
esattamente dire. Ha detto solo che «sono abituati ad uccidere le coppie».
Siamo molto preoccupati ho già detto che secondo me non c’è un solo responsabile. Sul secondo argomento, posso dire che abbiamo ravvisato un movente passionale che si rinnova e rivive in presenza di determinate circostanze.
Dottor Adolfo Izzo: Stefano Mele dice la verità, non ci sono problemi. Resta da vedere se è una verità precisa. Le sue accuse contro Francesco Vinci non sono dettate dal desiderio di vendetta, e lo dimostra il fatto che siamo stati noi ad andarlo a cercare e non lui a venire da noi.
Mele è sempre stato una vittima del Vinci. Questo invece non è stato tenuto nella dovuta considerazione nel famoso processo. Forse Stufano Mele non è stato adeguatamente difeso, perché la difesa poteva anche tentare di dire che era stato costretto dal Vinci a seguirlo la sera del delitto del ‘68 limitando cosi l’entità della sua responsabilità. Oltretutto, perché il Mele avrebbe dovuto uccidere sua moglie? Non certo per gelosia, dal momento che sapeva benissimo da tanto tempo delle varie relazioni extraconiugali di Barbara Locci, soprattutto con Francesco Vinci e suo fratello Salvatore. Il Mele durante il dibattimento disse una frase importante: “Tanto io in galera comunque ci devo andare”. Era impaurito, entrò mille volte in contraddizione, pensava a salvarsi la pelle. Quella frase, a rileggerla ora fa intuire tante cose. Ho sempre pensato che fosse stato Francesco Vinci a portare il piccolo Natale alla casa vicina, come vi ha detto ieri il Mele. Secondo me, inoltre, il marito della donna uccisa non è tornato a piedi in paese, anche se su questo punto si possono fare davvero tante ipotesi.
Anche lei pensa, come il Mele, che c’è il gravissimo rischio che la pistola calibro 22 possa tornare a colpire?
Penso che i delitti non siano stati commessi da una persona sola, per una serie di semplici
argomentazioni logiche. Mi chiedo: è possibile che l’assassino abbia potuto agire sempre
con tanta tranquillità? Probabilmente ha potuto contare sulla copertura di qualcuno, in che misura è impossibile dirlo, non ci sono prove.
E il silenziatore descritto da Mele?
E’ un particolare importante, che spiegherebbe come mai nessuno ha mai sentito nulla.
La calibro 22 fa un rumore secco, ben individuabile. Ma né a Borgo San Lorenzo, né a Scandicci, né a Calenzano, né a Montespertoli nessuno ha sentito nulla.
Stefano Mele ha fatto riferimento a «altre persone», senza però precisare che cosa volesse
esattamente dire. Ha detto solo che «sono abituati ad uccidere le coppie».
Siamo molto preoccupati ho già detto che secondo me non c’è un solo responsabile. Sul secondo argomento, posso dire che abbiamo ravvisato un movente passionale che si rinnova e rivive in presenza di determinate circostanze.
Rif.1 - La Città - 14 novembre 1982 pag.9
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