"Come il lettore potrà - spero - apprezzare, da oggi i brani de L'Uomo dietro il mostro verranno corredati da disegni da me realizzati ritraenti, nel modo più fedele possibile, la scena del crimine. Tale scelta, seppur combattuta, è dovuta alla necessità di dirimere i dubbi -che spesso leggo come causati dalla mancanza di materiale fotografico - sulla dinamica, sul ritrovamento dei corpi e più in generale sulla scena del crimine. Spero in cuor mio che, per il rispetto necessario e indiscutibile che meritano i soggetti ritratti, che tali figure vengano utilizzate al solo scopo di ausilio alla lettura ed alla comprensione. Pertanto - certo comunque di vostra lealtà e collaborazione - mi trovo costretto a vietarne la diffusione, riproduzione e divulgazione senza il consenso del sottoscritto rivendicandone la proprietà intellettuale.
Nella speranza di aver fatto cosa gradita, vi ringrazio e vi auguro buona lettura."
E.O.
Sullo spazio che forma l’angolo fra due strade sterrate a lato di Via dell’Arrigo si trova la Fiat Ritmo 60, di color rame, della vittima maschile. L’automobile è parcheggiata leggermente in obliquo, poco distante da un cipresso e dal ciglio della stradina sterrata. Ha gli sportelli chiusi, con quelli posteriori a sicura inserita. Il cristallo dello sportello anteriore sinistro è in frantumi. Vicino a questa, sono rinvenuti 4 bossoli cal. 22 (a 90 cm, 75cm ed 80 cm dalla ruota posteriore sinistra). Sempre sul lato sinistro della vettura, si trova una borsetta da donna in paglia a bordi metallici, una carta d’identità, un mazzo di chiavi, due biglietti A.T.A.F. ed alcuni oggetti per il trucco come un rossetto ed un pettine.
Il sedile anteriore destro ha la spalliera reclinata all’indietro. Sopra il cruscotto si rinvengono un fazzoletto di stoffa ed un pacchetto di fazzoletti di carta. Nel porta oggetti, troviamo invece un mazzo di chiavi, alcune monete ed una cartuccia di fucile cal. 12; sul tappetino anteriore destro, una bustina vuota per profilattici marca “Durex supersensital”; lo specchietto retrovisore è inclinato a sinistra; nello spazio tra la pedaliera ed il sedile, un paio di scarpe da uomo marroni ed una bianca da donna; sul sedile posteriore due maglie ed una coperta; all’interno del bagagliaio, due racchette da tennis ed un coltello “machete” ancora riposto nella custodia.
All’interno della vettura, sul pannello dello sportello anteriore destro (cm. 35 dal bordo destro e 19 cm da quello superiore) è presente una soluzione di continuo a forma ellissoidale ci circa 2 cm, mentre sotto di questo si osservano tracce ematiche di forma circolare e lineare. Sul sedile anteriore destro, nella parte superiore si trova un’altra larga chiazza di sangue coagulato, che interessa sia il coprisedile che il bordo in pelle sul quale si evidenzia sia un piccolo foro che alcuni capelli attaccati alla traccia ematica. Sempre sulle stesso sedile, più in basso, e sulla stessa spalliera destra sono presenti due fori, uno di entrata ed uno di uscita per un traiettoria che per il tramite di questa si esaurirà sul montante dello sportello anteriore destro.
Sul sedile posteriore si rinviene un bossolo cal. 22, come altro - uguale - viene ritrovato sul tappetino posteriore destro. Sotto di questo, vengono repertati un altro bossolo ed un proiettile cal. 22 deformato. Uno della stessa indole verrà infine estratto dal foro presente, in alto, sulla spalliera anteriore destra.
Si trovano infine macchie di sangue, a spruzzo, con rivoli discendenti sulla manovella di apertura del finestrino anteriore destro i quali, seguendo una linea di gravità, formano una macchia di sangue raggrumato sul terreno sottostante.
Sul sedile del guidatore, giace il corpo del ragazzo. Poggia con la regione temporale destra sul bordo superiore sinistro della spalliera, ha la bocca leggermente aperta mentre gli occhi guardano verso il sedile del passeggero. Il braccio destro è disteso e la mano tocca leggermente sulla leva del freno a mano, quello sinistro poggia con il palmo della mano il sedile. Il bacino aderisce allo spigolo anteriore destro del sedile e le gambe, unite e distese, poggiano coi talloni sul tappetino anteriore destro, quindi dove era seduta la fidanzata.
Il ragazzo indossa una camicia di colore chiaro, per lo più abbottonata (risultano sbottonati solo gli ultimi bottoni in basso); slip blu a righe bianche (dal quale fuoriesce una porzione del glande); un paio di jeans infilati solo alla coscia destra fino all’inguine ed un paio di calzini chiari; una catenina al collo in metallo bianco ed al polso un orologio.
È stato attinto sia da colpi di arma da fuoco che da fendenti d’arma bianca.
Quest’ultimi sono stati vibrati sul corpo del ragazzo in limine vitae (risultando difatti poco infiltrate, evidenza quest’ultima - seppur approssimativa - di un indice di vitalità al momento in cui sono state inferte) e lo hanno colpito due volte alla regione antera-laterale sinistra del collo ed a pochi centimetri l’una dall’altra ed entrambe con angolo acuto superiore. Una terza ferita da punta e da taglio - non infiltrata - è invece localizzata all’emitorace sinistro al di sopra del capezzolo e, con profondità di circa 5 cm, attraversa il lobo inferiore del polmone, il diaframma, terminando nel parenchima splenico.
Questi invece i colpi d’arma da fuoco rinvenuti sul corpo della vittima maschile:
- in regione pettorale sinistra un foro di ingresso con proiettile ritenuto nel corpo dell’ottava vertebra dorsale. Si sottolinea che la camicia indossata dal ragazzo presenta segni di affumicatura in prossimità del foro tanto da far propendere per un colpo esploso ad una distanza non superiore ai 20 cm;
- un foro di ingresso in regione nucale sinistra con proiettile ritenuto nei tessuti molli nucali;
- poco distante dal precedente, altro foro d’ingresso anche qui con proiettile ritenuto a livello encefalico.
Per ultimo, si segnalano, sempre in regione nucale, numerose escoriazioni.
A circa 13 mt dalla vettura, al di sotto (1,5 mt) della strada principale viene ritrovato il corpo della vittima femminile. È distesa supina; la testa, reclinata verso sinistra, guarda leggermente in direzione opposta, gli occhi sono aperti mentre le labbra stringono parte della colonnina che indossa al collo; il braccio destro è disteso e ruotato verso l’esterno mentre il sinistro aderisce al corpo; gli arti inferiori sono in direzione di via dell’Arrigo, il destro disteso mentre il sinistro ha la coscia piegata in avanti (e verso l’esterno) mentre la tibia verso l’interno.
La ragazza porta due collane, un bracciale di metallo giallo al polso e tre anelli all’indice; indossa una camicia chiara e strappata ove sulla parte anteriore si evidenziano tracce ematiche; un paio di jeans tagliati all’altezza del cavallo fino alla cintura, tanto da lasciar vedere la parte anteriore delle cosce e la zona pubica; un paio di slip azzurri strappati (sic) nella parte laterale sinistra.
Come per il fidanzato, l’assassino ha agito nei confronti della ragazza sia con la pistola che con l’arma bianca.
Circa i colpi di arma da fuoco questi possono essere così riassunti:
- un colpo d’arma da fuoco ha interessato la regione del mento producendo un’area ecchimotica escoriata;
- un altro colpo ha interessato la regione laterale sinistra del collo, con foro di entrata sul lato sinistro e di uscita sul lato destro dopo aver attraversato la seconda vertebra;
- altro colpo di arma da fuoco all’avambraccio sinistro, trapassante, con direzione latero-mediale;
- colpo d’arma da fuoco all’avambraccio destro, entrato a livello della regione laterale e fuoriuscito alla base della mano destra, lato palmare;
- ultimo colpo al dorso, zona sottoscapolare sinistra, trapassante polmone sinistro, cuore e polmone destro con proiettile ritenuto in zona mammaria destra. Anche qui, come per il fidanzato - seppur in modo meno evidente - è presente il segno di affumicatura, c.d. tatuaggio, intorno alla ferita. Segno, quest’ultimo, che l’omicida ha sparato da distanza ravvicinata.
Presenta inoltra una piccolissima escoriazione all’altezza del seno sinistro ed altri evidenti escoriazioni in zona dorsale-scapolare.
Per la prima volta, nei delitti del Mostro di Firenze, l’omicida asporterà la ragione pubica per un’ampia zona ovlare con asse longitudinale di 16 cm e trasversale di 10 cm. I margini appaiono molto netti, non infiltrati, con una sola incisura a lembo dalle ore 10 con lievi irregolarità solo nel tratto compreso tra le ore 6 e le ore 7. La lesione ha una profondità di circa 5 cm con fondo modicamente regolare. In conclusione risultano asportati la cute ed i peli della regione pubica fino alle grandi labbra, risparmiate in larga misura.
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Questo duplice omicidio presenta alcune peculiarità degne di nota e di indubbio interesse ai fini della nostra disanima.
Prima fra queste è l’evoluzione del modus operandi rispetto all’omicidio di Rabatta di 7 anni prima.
In questo ultimo delitto l’omicida riversa i colpi sui giovani riuscendo ad arrivare molto vicino ai due ragazzi, intenti, questa volta, ad amoreggiare tra loro. Particolare quest’ultimo, desumibile dallo stato di svestizione della coppia. Soprattutto in base alla nudità della vittima di sesso maschile possiamo presupporre, lecitamente, che questo avesse steso le gambe sul poggiando i piedi sul tappetino del lato passeggero e che si trovasse col busto e la fronte rivolte verso la compagna. Il tutto, in pieno stato eccitativo come la porzione di glande, fuoriuscente dalle mutande, e bloccato dall’elastico di queste, farebbe ipotizzare. I colpi vengono esplosi, come accennavamo, ad estrema vicinanza denotando in tal senso una certa abilità dello sparatore quantomeno a giungere in prossimità del finestrino di guida senza essere scoperto dalla coppia, tanto che questa rivolge la nuca all’omicida. Su questo punto, sarebbe irrispettoso tralasciare quanto è stato detto sul tema dall’ottimo Avv. Filastò circa la possibilità che l’assalitore palesasse alle vittime una propria condizione travisata (l’uomo in divisa) in modo da far abbassare loro la guardia ed indurli ad una (ri)vestizione o a cercare i documenti nella borsa o pantaloni. In ogni caso l’omicida impiega la sua abilità per giungere vicino alla coppia tanto da potersi soffermare su cosa loro stessero facendo ed osservare la situazione che andava cercando. Al contrario, dovremo pensare ad un soggetto che aggredisce ciecamente sparando contro un auto senza prima aver visto chi vi fosse all’interno e cosa stesse facendo. Eventualità quest’ultima difficilmente compatibile con l’azione di mirare in zone vitali quali appunto la testa del primo soggetto bersaglio dei suoi spari, in questo caso la vittima maschile. Quest’ultima viene difatti attinta alla nuca, rivolta verso gli spari, così da far presupporre un’azione a sorpresa da parte dell’omicida ed una piena mancanza di reazione da parte della vittima. Diversamente, potremo dire circa la vittima femminile la quale dopo i primi colpi verso il proprio fidanzato, che le sta accanto, tenta una difesa estrema - ed inutile - cercando di parare i colpi con gli avambracci a scudo e ad ultimo, voltandosi verso il proprio sportello e rivolgendo allo sparatore quel dorso che verrà attinto da quel colpo che le trapasserà il cuore. Colpo, questo che dovrà essere stato sparato presumibilmente a distanza molto ravvicinata - in tal senso depone il segno di affumicatura dei vestiti intorno al foro d’ingresso - e quindi con l’omicida che, a finestrino ormai esploso aveva immesso la mano e l’arma fin dentro l’abitacolo.
Questo attacco si presenta come più ordinato, preciso e calcolato rispetto a quanto l’omicida aveva fatto sette anni prima a Rabatta.
Innanzitutto attende una condizione di favore data dalla distrazione delle vittime alle quali si avvicina e verso cui mira i colpi in zone vitali, soprattutto per quanto riguarda il soggetto più pericoloso della coppia, ovvero l’uomo. Si pensi che viene colpito alla nuca, quindi profittando di un suo sguardo o della sua attenzione volta verso la fidanzata.
Rivolge poi l’arma verso la donna sparando nell’immediatezza considerato il suo eventuale moto di fuga tardivo ed il tentativo di parare i colpi con le braccia. Diversamente, dovremo ipotizzare un omicida che, per sadismo, giochi con le (future) vittime lasciandole in un limbo d’attesa tra l’arma rivolta verso di loro ed il momento degli spari. Circostanza che ad avviso di chi scrive stride con i colpi poi inferti dall’omicida, diretti all’eliminazione delle vittime, e non ad un prolungamento della vita stessa quanto più ad una più celere privazione di questa.
Diversamente da quanto accaduto nel 1974 l’omicida qui, più che dimostrare una miglioria della sua perizia di mira, modifica il suo modus operandi giungendo più in prossimità delle vittime, fino quasi a toccare con l’arma il corpo dei ragazzi. La vicinanza gli permette di semplificare l’esecuzione dei colpi in zone vitali (nuca, cuore) più agevoli da raggiungere a bersaglio fermo e da brevissima distanza. Sul tema si è spesso supposto di un’abilità sparatoria dell’omicida migliorata nel corso dei delitti come frutto, magari, di un suo esercizio ai poligoni di tiro. A ben vedere, però, l’esercizio al poligono non sembra così idoneo a incrementare l’abilità dello sparatore dato che il bersaglio al poligono certo non si trova a pochi centimetri di distanza, ma ad una distanza diversa. Difatti, nel caso in cui l’omicida avesse voluto dar senso ai suoi allenamenti, sarebbe riuscito a colpire i ragazzi da distanza maggiore, evitando quindi il rischio di essere scoperto giungendo in prossimità di questi o che i ragazzi si accorgessero di qualcosa. Diversamente, con l’aumentare del tempo utile ad un esercizio per l’assassino, minore diventa la distanza tra lui ed i suoi bersagli. Diventa lecito pensare quindi che proprio la sua volontà mortifera si traduca non in un incremento della mira, quanto del raggiungimento della vicinanza tra i corpi, così da ridurre la distanza fra sé ed le sue future vittime.
Azione, questa, che deporrebbe per una precisa e primaria volontà di privazione della vita da parte dell’assassino che, almeno questa volta - magari memore delle difficoltà riscontrate sette atti prima - raggiunge una posizione tale da poter sparare a circa 20-30 cm dal suo obiettivo, senza aprire lo sportello ma parandosi dietro il finestrino, ponendo quindi una barriera tra sé e le vittime. Condizione che, paradossalmente, seppure di maggior favore non avrebbe adoperato neanche al suo primo (forse) delitto, ovvero quello dell’Agosto 1968, dove, ben 13 anni più giovane rispetto ad ora, aveva ucciso una coppia senza anteporre tra sé ed i bersagli alcun elemento ostativo magari utile, al tempo, per placare una paura, una incertezza o una inesperienza coerente con questa su prima volta.
In tal senso, quindi l’assassino indirizza il suo assalto verso non tanto un effetto sorpresa irruento, quanto più un azione silente sia di appostamento che di aggressione. Evidenza, questa, che potrà rinvenirsi anche nei delitti successivi (quantomeno per quello dell’Ottobre successivo) ove l’omicida assiste alla scena, non in senso voyeristico, ma solo utilitaristico al fine di poter colpire la coppia nella condizione di miglior favore. Ed è la condizione, ovvero il momento in cui si trova la coppia, che spinge l’omicida a colpire.
Nel delitto in esame, l’assassino agisce sistematicamente sia dal punto di vista dell’aggressione, sia quando decide di portare la vittima femminile lontano dalla vettura ed in luogo difficilmente visibile dalla strada principale, ovvero in un campo sottostante questa. Immaginandoci la scena - cioè di uomo che di notte solleva di peso il corpo di una ragazza e con questa in braccio percorre una decina di metri per poi discendere da lato strada - potrebbero presentarsi due considerazioni: 1) la prima è che tutta la dinamica acquista ancor più visibilità se si considera che l’omicida è costretto ad attraversare la strada con la ragazza fra le braccia aumentando considerevolmente le possibilità di essere visto (e forse, come sappiamo, qualcuno può aver visto); 2) la seconda è che quanto scritto nel punto precedente sconfessa un altro elemento comune, spesso gridato ed ormai facente parte dell’immaginario coriaceo e collettivo, cioè che il Mostro tocca i corpi femminili, non denotando alcuna paura di questi.
L’attività lesiva dell’arma bianca, con i fendenti post mortem e poi, questa volta, l’escissione viene sì attuata con la recisione degli indumenti intimi con la lama del coltello, però questa avviene quando l’omicida ha già posato il cadavere della ragazza a terra, si china su di questa, accende la torcia (sia questa una frontale o una “a terra” ), e lì decide di utilizzare la lama del coltello per ampliare la zona che voleva tagliare. Potrebbe quindi essere questa una condizione di agevolazione per l’omicida, cioè usare la lama che comunque sapeva utilizzare, rispetto a sfilare dei jeans ad una ragazza, cosa che avrebbe comportato una impossibilità di divaricazione delle gambe di questa perché, come sappiamo, avrebbe dovuto calare i pantaloni della giovane quantomeno fino all’altezza della tibia, perché fino a sopra il ginocchio, l’effetto sarebbe stato “fasciante”. L’omicida, quindi, semplifica l’operazione recidendo i pantaloni all’altezza del cavallo, scoperchiando la zona pubica eludendo così il fastidio dei jeans calati e sfilati e compie così la solita operazione con le mutandine della ragazza sia per comodità, avendo comunque già la lama in mano, sia per le medesime considerazioni poste per i pantaloni. Le foto, in tal senso, seppur non condivisibili - fortunatamente - in tale sede, risultano utili a comprendere questo punto. La ragazza, indossante dei jeans presenta le gambe divaricate e poste, dall’omicida, nel modo più consono alla realizzazione dell’escissione. I pantaloni solamente calati non sarebbero riusciti a scoprire la stessa area e con lo stesso arco di apertura delle gambe così da rendere necessario un abbassamento di questi fin sotto le ginocchia. Che poi tale impedimento sia stato eluso grazie all’arma bianca - la cui scelta rappresenta quindi più pratica che psicologica - per chi scrive rappresenta una eventualità ben più plausibile rispetto ad un millantato timore a toccare il corpo della donna con le proprie mani quando questo viene invece trascinato, preso in braccio e spostato dall’omicida.
Abbiamo prima accennato all’accensione di una lampada o di una marcia per eseguire le operazioni di escissione della zona pubica. A tal riguardo preme sottolineare come l’ausilio di una sorgente di luce, capace di non essere presa in mano ma poggiata a terra, risulti altamente probabile ai fini della ricostruzione della dinamica omicidiaria. Si potrebbe, pertanto, ipotizzare - come già è stato correttamente fatto da altri autori - l’ausilio di una lampada frontale, o di una piantana da terra, di quelle simili alle lanterne ma con base quadrangolare e lente circolare, stabili, passibili di essere poggiate a terra senza rischiare un loro sbilanciamento.
Sempre a tal riguardo, risulta necessario soffermarci sull’abilità dell’omicida nell’utilizzo dell’arma bianca rispetto a quella di sparatore. Già abbiamo detto di un omicida che si dimostra uno sparatore non certo eccellente, ma lo stesso non potremo dire per la sua manualità con l’arma bianca. Per i dati in nostro possesso sappiamo che nel considerare i delitti commessi dall’omicida nel conto di 8 duplici omicidi, in almeno 7 di questi (escludiamo il ’68) l’omicida aveva con sé l’arma. Certo, nei delitti del Giugno ’82 e Settembre ’83 non ne fa uso, ma una volta che l’aveva usato gli anni precedenti - e come sappiamo anche in quelli successivi - risulta improbabile che non se la fosse portata dietro per questi due. Mentre, quindi, si è soliti dire che l’arma principale sia la pistola e quella accessoria il pugnale, potremo ritenere corretta tale affermazione se considerassimo l’accezione principale/accessorio a livello funzionale. La prima serve per ottenere la morte, la seconda per poter eseguire azioni post mortem sul corpo delle vittime. A ben vedere però - forti anche di quanto detto prima circa l’interesse dell’omicida di raggiungere immediatamente la morte della coppia - volessimo dare una sfumatura diversa a tali accezioni, l’arma principale, in quanto di maggior dimestichezza per l’assassino e per il significato che per lui quei corpi rappresentano, sembrerebbe rappresentata dall’arma bianca. La pistola, come mero mezzo mortifero si presenta quindi come strumentale ed accessoria alla realizzazione di quella situazione richiesta dall’omicida per l’esecuzione di quella attività post mortem, sia essa costituita da colpi inferti post mortem, escissioni o anche - ma di questo ultima possibilità parleremo poi - niente.
L’assassino è sicuro nell’uso della lama, riesce a padroneggiarla e calibrarla a seconda del fine richiesto. La usa con violenza per uccidere, con delicatezza per saggiare, con determinazione per ledere e buona precisione e sicurezza nel recidere. Da prova di tali abilità già dall’utilizzo che fa di questa per recidere, qui, gli indumenti della vittima femminile. L’omicida si crea la condizione migliore per eseguire l’escissione adoperando l’arma sugli indumenti della vittima femminile (jeans e mutandine) senza lasciare tracce sulla pelle della ragazza. Ora, i pantaloni indossati dalla ragazza non erano certo degli skinnyjeans tali da essere totalmente aderenti al corpo ma comunque abbastanza da dover necessitare una certa abilità con la lama difficilmente attribuibile ad un profano della materia. Considerazione che potrebbe farsi anche per le stesse mutandine, non più strappate, ma recise con la stessa lama impugnata dall’omicida. Concludendo, per ora, sul tema, non possiamo certo non considerare tale manualità come improvvisata. Dovremo, quindi, iniziare ad ipotizzare tra le quotidiane - o quantomeno seriali - attività dell’omicida l’uso di una lama o quantomeno un’educazione che abbia implicato l’apprendimento di questa, di più difficoltoso utilizzo rispetto all’arma da sparo.
L’aspetto psicologico, invece, potrebbe più essere sottolineato in altre peculiarità dell’azione post-omicidiaria, come il perché l’assassino scelga il solo pube e non si addentri in zone che già sette anni prima aveva interessato, come i seni o il ventre; o quale fosse l’area di interesse dell’escissione; o perché l’omicida riversi i due fendenti post mortem anche alla vittima maschile.
In quest’ottica vediamo che l’assassino, una volta esplosi i colpi e presumibilmente (dato il grado infiltrazione delle ferite) prima di compiere l’escissione sulla ragazza, infligge 3 fendenti all’uomo ormai esanime sul sedile. E’ un’azione, questa, che già aveva compiuto sette anni prima a Rabatta sul corpo del ragazzo, ma in zona emitoracica. E’ un’azione questa che potrebbe suggerire diverse interpretazioni: la prima è da ricondursi ad una volontà di accertamento della morte dei soggetti uomini, colpiti in zona - come in questo caso - vitale, come il collo; la seconda di una ulteriore violenza nei confronti dell’uomo che prima giaceva vicino alla donna forse punitiva o comunque spregiativa del cadavere. A pervenire ad una plausibile ipotesi potrebbe aiutarci l’insieme dei colpi post mortem inferti alle vittime maschili (Breve anticipazione su quanto verrà poi riferito più avanti.) ove è possibile vedere che non si concentrano nei soli punti vitali, ma che nei delitti successivi al Giugno 1981, ampliano il loro raggio d’azione fino a giungere ad aree limitrofe (esemplificativo il caso del duplice omicidio del Luglio ’84) all’inguine maschile. Verrebbe quindi meno l’ipotesi di colpi inferti per assicurarsi la morte del soggetto maschile, prendendo campo quelle stesse ipotesi che potranno, come vedremo, essere avanzate per le attività post mortem sul corpo della donna.
C’è dell’altro oltre la morte. C’è ben altro oltre l’omicidio.
Segue...
In questo ultimo delitto l’omicida riversa i colpi sui giovani riuscendo ad arrivare molto vicino ai due ragazzi, intenti, questa volta, ad amoreggiare tra loro. Particolare quest’ultimo, desumibile dallo stato di svestizione della coppia. Soprattutto in base alla nudità della vittima di sesso maschile possiamo presupporre, lecitamente, che questo avesse steso le gambe sul poggiando i piedi sul tappetino del lato passeggero e che si trovasse col busto e la fronte rivolte verso la compagna. Il tutto, in pieno stato eccitativo come la porzione di glande, fuoriuscente dalle mutande, e bloccato dall’elastico di queste, farebbe ipotizzare. I colpi vengono esplosi, come accennavamo, ad estrema vicinanza denotando in tal senso una certa abilità dello sparatore quantomeno a giungere in prossimità del finestrino di guida senza essere scoperto dalla coppia, tanto che questa rivolge la nuca all’omicida. Su questo punto, sarebbe irrispettoso tralasciare quanto è stato detto sul tema dall’ottimo Avv. Filastò circa la possibilità che l’assalitore palesasse alle vittime una propria condizione travisata (l’uomo in divisa) in modo da far abbassare loro la guardia ed indurli ad una (ri)vestizione o a cercare i documenti nella borsa o pantaloni. In ogni caso l’omicida impiega la sua abilità per giungere vicino alla coppia tanto da potersi soffermare su cosa loro stessero facendo ed osservare la situazione che andava cercando. Al contrario, dovremo pensare ad un soggetto che aggredisce ciecamente sparando contro un auto senza prima aver visto chi vi fosse all’interno e cosa stesse facendo. Eventualità quest’ultima difficilmente compatibile con l’azione di mirare in zone vitali quali appunto la testa del primo soggetto bersaglio dei suoi spari, in questo caso la vittima maschile. Quest’ultima viene difatti attinta alla nuca, rivolta verso gli spari, così da far presupporre un’azione a sorpresa da parte dell’omicida ed una piena mancanza di reazione da parte della vittima. Diversamente, potremo dire circa la vittima femminile la quale dopo i primi colpi verso il proprio fidanzato, che le sta accanto, tenta una difesa estrema - ed inutile - cercando di parare i colpi con gli avambracci a scudo e ad ultimo, voltandosi verso il proprio sportello e rivolgendo allo sparatore quel dorso che verrà attinto da quel colpo che le trapasserà il cuore. Colpo, questo che dovrà essere stato sparato presumibilmente a distanza molto ravvicinata - in tal senso depone il segno di affumicatura dei vestiti intorno al foro d’ingresso - e quindi con l’omicida che, a finestrino ormai esploso aveva immesso la mano e l’arma fin dentro l’abitacolo.
Questo attacco si presenta come più ordinato, preciso e calcolato rispetto a quanto l’omicida aveva fatto sette anni prima a Rabatta.
Innanzitutto attende una condizione di favore data dalla distrazione delle vittime alle quali si avvicina e verso cui mira i colpi in zone vitali, soprattutto per quanto riguarda il soggetto più pericoloso della coppia, ovvero l’uomo. Si pensi che viene colpito alla nuca, quindi profittando di un suo sguardo o della sua attenzione volta verso la fidanzata.
Rivolge poi l’arma verso la donna sparando nell’immediatezza considerato il suo eventuale moto di fuga tardivo ed il tentativo di parare i colpi con le braccia. Diversamente, dovremo ipotizzare un omicida che, per sadismo, giochi con le (future) vittime lasciandole in un limbo d’attesa tra l’arma rivolta verso di loro ed il momento degli spari. Circostanza che ad avviso di chi scrive stride con i colpi poi inferti dall’omicida, diretti all’eliminazione delle vittime, e non ad un prolungamento della vita stessa quanto più ad una più celere privazione di questa.
Diversamente da quanto accaduto nel 1974 l’omicida qui, più che dimostrare una miglioria della sua perizia di mira, modifica il suo modus operandi giungendo più in prossimità delle vittime, fino quasi a toccare con l’arma il corpo dei ragazzi. La vicinanza gli permette di semplificare l’esecuzione dei colpi in zone vitali (nuca, cuore) più agevoli da raggiungere a bersaglio fermo e da brevissima distanza. Sul tema si è spesso supposto di un’abilità sparatoria dell’omicida migliorata nel corso dei delitti come frutto, magari, di un suo esercizio ai poligoni di tiro. A ben vedere, però, l’esercizio al poligono non sembra così idoneo a incrementare l’abilità dello sparatore dato che il bersaglio al poligono certo non si trova a pochi centimetri di distanza, ma ad una distanza diversa. Difatti, nel caso in cui l’omicida avesse voluto dar senso ai suoi allenamenti, sarebbe riuscito a colpire i ragazzi da distanza maggiore, evitando quindi il rischio di essere scoperto giungendo in prossimità di questi o che i ragazzi si accorgessero di qualcosa. Diversamente, con l’aumentare del tempo utile ad un esercizio per l’assassino, minore diventa la distanza tra lui ed i suoi bersagli. Diventa lecito pensare quindi che proprio la sua volontà mortifera si traduca non in un incremento della mira, quanto del raggiungimento della vicinanza tra i corpi, così da ridurre la distanza fra sé ed le sue future vittime.
Azione, questa, che deporrebbe per una precisa e primaria volontà di privazione della vita da parte dell’assassino che, almeno questa volta - magari memore delle difficoltà riscontrate sette atti prima - raggiunge una posizione tale da poter sparare a circa 20-30 cm dal suo obiettivo, senza aprire lo sportello ma parandosi dietro il finestrino, ponendo quindi una barriera tra sé e le vittime. Condizione che, paradossalmente, seppure di maggior favore non avrebbe adoperato neanche al suo primo (forse) delitto, ovvero quello dell’Agosto 1968, dove, ben 13 anni più giovane rispetto ad ora, aveva ucciso una coppia senza anteporre tra sé ed i bersagli alcun elemento ostativo magari utile, al tempo, per placare una paura, una incertezza o una inesperienza coerente con questa su prima volta.
In tal senso, quindi l’assassino indirizza il suo assalto verso non tanto un effetto sorpresa irruento, quanto più un azione silente sia di appostamento che di aggressione. Evidenza, questa, che potrà rinvenirsi anche nei delitti successivi (quantomeno per quello dell’Ottobre successivo) ove l’omicida assiste alla scena, non in senso voyeristico, ma solo utilitaristico al fine di poter colpire la coppia nella condizione di miglior favore. Ed è la condizione, ovvero il momento in cui si trova la coppia, che spinge l’omicida a colpire.
Nel delitto in esame, l’assassino agisce sistematicamente sia dal punto di vista dell’aggressione, sia quando decide di portare la vittima femminile lontano dalla vettura ed in luogo difficilmente visibile dalla strada principale, ovvero in un campo sottostante questa. Immaginandoci la scena - cioè di uomo che di notte solleva di peso il corpo di una ragazza e con questa in braccio percorre una decina di metri per poi discendere da lato strada - potrebbero presentarsi due considerazioni: 1) la prima è che tutta la dinamica acquista ancor più visibilità se si considera che l’omicida è costretto ad attraversare la strada con la ragazza fra le braccia aumentando considerevolmente le possibilità di essere visto (e forse, come sappiamo, qualcuno può aver visto); 2) la seconda è che quanto scritto nel punto precedente sconfessa un altro elemento comune, spesso gridato ed ormai facente parte dell’immaginario coriaceo e collettivo, cioè che il Mostro tocca i corpi femminili, non denotando alcuna paura di questi.
L’attività lesiva dell’arma bianca, con i fendenti post mortem e poi, questa volta, l’escissione viene sì attuata con la recisione degli indumenti intimi con la lama del coltello, però questa avviene quando l’omicida ha già posato il cadavere della ragazza a terra, si china su di questa, accende la torcia (sia questa una frontale o una “a terra” ), e lì decide di utilizzare la lama del coltello per ampliare la zona che voleva tagliare. Potrebbe quindi essere questa una condizione di agevolazione per l’omicida, cioè usare la lama che comunque sapeva utilizzare, rispetto a sfilare dei jeans ad una ragazza, cosa che avrebbe comportato una impossibilità di divaricazione delle gambe di questa perché, come sappiamo, avrebbe dovuto calare i pantaloni della giovane quantomeno fino all’altezza della tibia, perché fino a sopra il ginocchio, l’effetto sarebbe stato “fasciante”. L’omicida, quindi, semplifica l’operazione recidendo i pantaloni all’altezza del cavallo, scoperchiando la zona pubica eludendo così il fastidio dei jeans calati e sfilati e compie così la solita operazione con le mutandine della ragazza sia per comodità, avendo comunque già la lama in mano, sia per le medesime considerazioni poste per i pantaloni. Le foto, in tal senso, seppur non condivisibili - fortunatamente - in tale sede, risultano utili a comprendere questo punto. La ragazza, indossante dei jeans presenta le gambe divaricate e poste, dall’omicida, nel modo più consono alla realizzazione dell’escissione. I pantaloni solamente calati non sarebbero riusciti a scoprire la stessa area e con lo stesso arco di apertura delle gambe così da rendere necessario un abbassamento di questi fin sotto le ginocchia. Che poi tale impedimento sia stato eluso grazie all’arma bianca - la cui scelta rappresenta quindi più pratica che psicologica - per chi scrive rappresenta una eventualità ben più plausibile rispetto ad un millantato timore a toccare il corpo della donna con le proprie mani quando questo viene invece trascinato, preso in braccio e spostato dall’omicida.
Abbiamo prima accennato all’accensione di una lampada o di una marcia per eseguire le operazioni di escissione della zona pubica. A tal riguardo preme sottolineare come l’ausilio di una sorgente di luce, capace di non essere presa in mano ma poggiata a terra, risulti altamente probabile ai fini della ricostruzione della dinamica omicidiaria. Si potrebbe, pertanto, ipotizzare - come già è stato correttamente fatto da altri autori - l’ausilio di una lampada frontale, o di una piantana da terra, di quelle simili alle lanterne ma con base quadrangolare e lente circolare, stabili, passibili di essere poggiate a terra senza rischiare un loro sbilanciamento.
Sempre a tal riguardo, risulta necessario soffermarci sull’abilità dell’omicida nell’utilizzo dell’arma bianca rispetto a quella di sparatore. Già abbiamo detto di un omicida che si dimostra uno sparatore non certo eccellente, ma lo stesso non potremo dire per la sua manualità con l’arma bianca. Per i dati in nostro possesso sappiamo che nel considerare i delitti commessi dall’omicida nel conto di 8 duplici omicidi, in almeno 7 di questi (escludiamo il ’68) l’omicida aveva con sé l’arma. Certo, nei delitti del Giugno ’82 e Settembre ’83 non ne fa uso, ma una volta che l’aveva usato gli anni precedenti - e come sappiamo anche in quelli successivi - risulta improbabile che non se la fosse portata dietro per questi due. Mentre, quindi, si è soliti dire che l’arma principale sia la pistola e quella accessoria il pugnale, potremo ritenere corretta tale affermazione se considerassimo l’accezione principale/accessorio a livello funzionale. La prima serve per ottenere la morte, la seconda per poter eseguire azioni post mortem sul corpo delle vittime. A ben vedere però - forti anche di quanto detto prima circa l’interesse dell’omicida di raggiungere immediatamente la morte della coppia - volessimo dare una sfumatura diversa a tali accezioni, l’arma principale, in quanto di maggior dimestichezza per l’assassino e per il significato che per lui quei corpi rappresentano, sembrerebbe rappresentata dall’arma bianca. La pistola, come mero mezzo mortifero si presenta quindi come strumentale ed accessoria alla realizzazione di quella situazione richiesta dall’omicida per l’esecuzione di quella attività post mortem, sia essa costituita da colpi inferti post mortem, escissioni o anche - ma di questo ultima possibilità parleremo poi - niente.
L’assassino è sicuro nell’uso della lama, riesce a padroneggiarla e calibrarla a seconda del fine richiesto. La usa con violenza per uccidere, con delicatezza per saggiare, con determinazione per ledere e buona precisione e sicurezza nel recidere. Da prova di tali abilità già dall’utilizzo che fa di questa per recidere, qui, gli indumenti della vittima femminile. L’omicida si crea la condizione migliore per eseguire l’escissione adoperando l’arma sugli indumenti della vittima femminile (jeans e mutandine) senza lasciare tracce sulla pelle della ragazza. Ora, i pantaloni indossati dalla ragazza non erano certo degli skinnyjeans tali da essere totalmente aderenti al corpo ma comunque abbastanza da dover necessitare una certa abilità con la lama difficilmente attribuibile ad un profano della materia. Considerazione che potrebbe farsi anche per le stesse mutandine, non più strappate, ma recise con la stessa lama impugnata dall’omicida. Concludendo, per ora, sul tema, non possiamo certo non considerare tale manualità come improvvisata. Dovremo, quindi, iniziare ad ipotizzare tra le quotidiane - o quantomeno seriali - attività dell’omicida l’uso di una lama o quantomeno un’educazione che abbia implicato l’apprendimento di questa, di più difficoltoso utilizzo rispetto all’arma da sparo.
L’aspetto psicologico, invece, potrebbe più essere sottolineato in altre peculiarità dell’azione post-omicidiaria, come il perché l’assassino scelga il solo pube e non si addentri in zone che già sette anni prima aveva interessato, come i seni o il ventre; o quale fosse l’area di interesse dell’escissione; o perché l’omicida riversi i due fendenti post mortem anche alla vittima maschile.
In quest’ottica vediamo che l’assassino, una volta esplosi i colpi e presumibilmente (dato il grado infiltrazione delle ferite) prima di compiere l’escissione sulla ragazza, infligge 3 fendenti all’uomo ormai esanime sul sedile. E’ un’azione, questa, che già aveva compiuto sette anni prima a Rabatta sul corpo del ragazzo, ma in zona emitoracica. E’ un’azione questa che potrebbe suggerire diverse interpretazioni: la prima è da ricondursi ad una volontà di accertamento della morte dei soggetti uomini, colpiti in zona - come in questo caso - vitale, come il collo; la seconda di una ulteriore violenza nei confronti dell’uomo che prima giaceva vicino alla donna forse punitiva o comunque spregiativa del cadavere. A pervenire ad una plausibile ipotesi potrebbe aiutarci l’insieme dei colpi post mortem inferti alle vittime maschili (Breve anticipazione su quanto verrà poi riferito più avanti.) ove è possibile vedere che non si concentrano nei soli punti vitali, ma che nei delitti successivi al Giugno 1981, ampliano il loro raggio d’azione fino a giungere ad aree limitrofe (esemplificativo il caso del duplice omicidio del Luglio ’84) all’inguine maschile. Verrebbe quindi meno l’ipotesi di colpi inferti per assicurarsi la morte del soggetto maschile, prendendo campo quelle stesse ipotesi che potranno, come vedremo, essere avanzate per le attività post mortem sul corpo della donna.
C’è dell’altro oltre la morte. C’è ben altro oltre l’omicidio.
Segue...
3 commenti:
Salve, una cosa che non capisco, secondo me una figura chiave di questa vicenda è Vincenzo Spalletti, che per forza di cosa sa qualcosa e non ha mai parlato. è stato in prigione fino al secondo omicidio dell'81 senza parlare e prendendosi la responsabilità degli omicidi.
il secondo omicidio dell'81 è stato realizzato per scagionare V.S. che era accusato in quel momento di essere il mostro.
come mai nessuno, sia gli investigatori, sia voi scrittori/giornalisti vi occupate di questa figura e sul come mai "non ha mai parlato" pur sapendo qualcosa?? è una domanda che mi pongo da quando mi sono avvicinato a questa storia e non riesco a darmi una risposta
grazie e complimenti per "L'Uomo dietro il mostro"
Alessandro
Salve Alessandro,
Dopo tutto il tempo trascorso, credo che se davvero V.S. avesse visto più dei soli cadaveri dei ragazzi ad omicidio ormai avvenuto, avrebbe parlato. Senza contare il fatto che in quei mesi di arresto su di lui pendeva il rischio di una condanna di non poco conto.
Credo oltretutto che anche dopo la sua scarcerazione il V.S. sia rimasto nei taccuini degli inquirenti. Vado a memoria ma credo che la sentenza ordinanza di Rotella dell'89 sia stata emessa, oltre che per i sardi, anche nei suoi confronti.
Ringraziandola per i complimenti Le porgo un caro saluto,
E.O.
Buonasera Enea, ti conosco da poco ma apprezzo decisamente il tuo lavoro. Un'idea, o semplice suggestione se preferiamo. Dal tuo testo "...la seconda di una ulteriore violenza nei confronti dell’uomo che prima giaceva vicino alla donna forse punitiva o comunque spregiativa del cadavere", ora, se consideriamo un profilo seriale di tipo Missionario, invece di un Lust Murder, sembra quasi che ci sia un overkilling, una punizione dell'uomo, come se questo venisse identificato come la vera causa di quello che viene fatto alla ragazza.
Ovvero, la ragazza viene punita dal SK o SI se preferiamo, che nella sua patologia si considera del tutto estraneo, ed innocente quindi, alla cosa, poichè il gesto "andava fatto", e la parte del diavolo tentatore, del serpente biblico, è posta in capo all'uomo. Se questo può avere un minimo di senso, allora ci potrebbe dire anche qualche cosa sulle motivazioni profonde che hanno mosso il SK. A completamento del fatto,consideriamo Giogoli 1983, non ci sono overkilling sui due tedeschi, forse perchè non c'era niente, e nessuno, da punire.
Grazie
F
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