Segue da LUdm3
Sabato 14 Settembre 1974 - Loc. Rabatta, Borgo San Lorenzo.
Qui, sia che l’azione si sia svolta nel primo o nel secondo modo, l’assassino si trova di fronte allo sportello passeggero con due corpi privi di vita all’interno della macchina.
L’omicida sfila la ragazza dalla macchina, la quale cade a terra vicino allo sportello. La afferra per i piedi e la trascina dietro la vettura.
Le mutandine indossate dalla giovane vengono ritrovate strappate e sporche di sangue. Segno che queste fossero indossate dalla giovane quando è stata colpita. I verbali indicano che queste siano state rinvenute in due lembi (uno più grande ed uno più piccolo), distanti circa 8 mt l’uno dall’altro e strappati, non tagliati. È opportuno domandarci se queste si siano lacerate a causa del trascinamento del corpo della giovane sul terreno o che sia stato l’omicida stesso a strapparli con le mani per denudare completamente il corpo della ragazza. Nel caso propendessimo per la prima ipotesi, risulterebbe strana la posizione dei lembi, ovvero distanti l’uno dall’altro e non adiacenti alla traiettoria dello spostamento della giovane; diversamente, nel secondo caso, ci si presenterebbe una condotta da parte dell’omicida non coerente con quanto accadrà poi nei delitti successivi, ove, gli indumenti femminili, come quelli intimi, vengono recisi con l’arma bianca, senza quindi essere toccati dalle mani dell’omicida. Da qui, allora, si potrebbe ipotizzare la condizione per la quale le mutande della ragazza si strappano accidentalmente o nell’azione delittuosa o nel trascinamento del corpo (anche perché se fosse stato l’omicida a strapparle queste si troverebbero, almeno per un lembo, sotto il sedere della ragazza). L’omicida poi, una volta inferti i colpi d’arma bianca sulla ragazza, nel modificare la scena del crimine (condizione che si è più volte ripetuta nei delitti seguenti) raccoglie una stralcio degli slip poi poi gettarlo via qualche passo dopo. Difficilmente si potrebbe ipotizzare, quantomeno a livello criminologico, un omicida giovane (dopotutto è il primo, o il secondo delitto da lui commesso, quantomeno come mostro) che strappa brutalmente quelle mutande che sette anni dopo, più maturo e maggiormente sicuro di sè, avrebbe reciso col coltello senza toccarle con le mani. A livello pratico, invece, forse l’azione di recisione degli indumenti intimi con la lama del pugnale potrebbe essere dovuta all’acquisto di una maggior abilità dell’omicida con questa anche se, torniamo a dire, riteniamo più plausibile l’ipotesi prima richiamata delle mutande stralciatesi accidentalmente e spostate dall’omicida nella sua azione di manomissione della scena del crimine.
È difatti interessante notare - qualora non volessimo accettare la succitata ipotesi che siano stati i giovano ragazzi a spogliarsi lontano dalla macchina e tornarvi poi all’interno - come l’omicida, ripulisca la zona intorno alla vettura, da vestiti, indumenti strappati e fazzoletti. Come se volesse ordinare la scena, focalizzandola sull’autovettura, secondo una propria rappresentazione più chiara, limpida e definita.
Una volta trovatosi di fronte al corpo della ragazza, le divarica le gambe, afferra il coltello e con quello pratica 96 piccole coltellate (alcune profonde anche meno di 1 cm) sul corpo dello schema seguendo uno schema così esemplificato nella figura sottostante.
Dalla figura ritraente la mappa delle ferite d’arma da punta e da taglio si intuisce - dicono alcuni - una particolare attenzione dell’autore per le zone del seno sinistro e quella pubica. Mentre per il secondo, potremo sì individuare una circoscrizione di questo, il primo (A ben vedere però, i colpi sono purtroppo così tanti che ognuno riesce a vederci quel che vuole, 96 coltellate in sul corpo - o meglio, sul tronco - di una ragazzina di 1,60 mt rischiano di risultare fin troppo ravvivate e sovrastanti, indistintamente tutto il corpo) viene attinto da colpi a questo limitrofi, ricalcando quelle che sarebbero divenute poi le zone escisse. Dieci anni dopo, infatti, a pochi km di distanza, l’assassino si sarebbe trovato di fronte un corpo nudo di giovane donna dalle medesime caratteristiche di nudità della vittima femminile del 1974. Diversamente, però, da quanto accaduto nel decennio precedente, l’assassino avrà alle sue spalle 5 (o 6) duplici omicidi, due dei quali lo hanno visto utilizzare il coltello per praticare due escissioni post mortali delle zone pubiche di due vittime femminili. Ed è qui, alla Boschetta, che si manifesterà - per la seconda volta dopo i due duplici omicidi del 1981 - la condizione giustificatrice di evoluzione dell’iter omicidiario come il corpo seminudo (se non per le mutandine) di una ragazza. Le escissioni eseguite sul corpo nudo della Rontini ricalcheranno, difatti, quelle zone su cui dieci anni prima lo stesso assassino si era concentrato con l’arma bianca scoprendo una situazione a lui a quel tempo (’74) ignota, come due ragazzi seminudi intenti ad amoreggiare in macchina ed i lori cadaveri a propria disposizione. Dopo 10 anni alla stessa situazione l’omicida risponderà praticando ciò che negli anni precedenti aveva eseguito sui corpi delle vittime femminili dei duplici delitti del 1981, ovvero offendere, tagliare e portare via, ma le quali si trovavano in una condizione però diversa - maggiormente vestite - rispetto sia alla vittima del 1974 e del 1984. Di questo ultimo tema - ovvero di quello che a parere dello scrivente è erroneamente vista come una “evoluzione” dell’azione escissoria - ne parleremo poi più approfonditamente nel capitolo circa il focus criminologico sul modus operandi di tutti ed otto i duplici omicidi.
Qui, sia che l’azione si sia svolta nel primo o nel secondo modo, l’assassino si trova di fronte allo sportello passeggero con due corpi privi di vita all’interno della macchina.
L’omicida sfila la ragazza dalla macchina, la quale cade a terra vicino allo sportello. La afferra per i piedi e la trascina dietro la vettura.
Le mutandine indossate dalla giovane vengono ritrovate strappate e sporche di sangue. Segno che queste fossero indossate dalla giovane quando è stata colpita. I verbali indicano che queste siano state rinvenute in due lembi (uno più grande ed uno più piccolo), distanti circa 8 mt l’uno dall’altro e strappati, non tagliati. È opportuno domandarci se queste si siano lacerate a causa del trascinamento del corpo della giovane sul terreno o che sia stato l’omicida stesso a strapparli con le mani per denudare completamente il corpo della ragazza. Nel caso propendessimo per la prima ipotesi, risulterebbe strana la posizione dei lembi, ovvero distanti l’uno dall’altro e non adiacenti alla traiettoria dello spostamento della giovane; diversamente, nel secondo caso, ci si presenterebbe una condotta da parte dell’omicida non coerente con quanto accadrà poi nei delitti successivi, ove, gli indumenti femminili, come quelli intimi, vengono recisi con l’arma bianca, senza quindi essere toccati dalle mani dell’omicida. Da qui, allora, si potrebbe ipotizzare la condizione per la quale le mutande della ragazza si strappano accidentalmente o nell’azione delittuosa o nel trascinamento del corpo (anche perché se fosse stato l’omicida a strapparle queste si troverebbero, almeno per un lembo, sotto il sedere della ragazza). L’omicida poi, una volta inferti i colpi d’arma bianca sulla ragazza, nel modificare la scena del crimine (condizione che si è più volte ripetuta nei delitti seguenti) raccoglie una stralcio degli slip poi poi gettarlo via qualche passo dopo. Difficilmente si potrebbe ipotizzare, quantomeno a livello criminologico, un omicida giovane (dopotutto è il primo, o il secondo delitto da lui commesso, quantomeno come mostro) che strappa brutalmente quelle mutande che sette anni dopo, più maturo e maggiormente sicuro di sè, avrebbe reciso col coltello senza toccarle con le mani. A livello pratico, invece, forse l’azione di recisione degli indumenti intimi con la lama del pugnale potrebbe essere dovuta all’acquisto di una maggior abilità dell’omicida con questa anche se, torniamo a dire, riteniamo più plausibile l’ipotesi prima richiamata delle mutande stralciatesi accidentalmente e spostate dall’omicida nella sua azione di manomissione della scena del crimine.
È difatti interessante notare - qualora non volessimo accettare la succitata ipotesi che siano stati i giovano ragazzi a spogliarsi lontano dalla macchina e tornarvi poi all’interno - come l’omicida, ripulisca la zona intorno alla vettura, da vestiti, indumenti strappati e fazzoletti. Come se volesse ordinare la scena, focalizzandola sull’autovettura, secondo una propria rappresentazione più chiara, limpida e definita.
Una volta trovatosi di fronte al corpo della ragazza, le divarica le gambe, afferra il coltello e con quello pratica 96 piccole coltellate (alcune profonde anche meno di 1 cm) sul corpo dello schema seguendo uno schema così esemplificato nella figura sottostante.
Dalla figura ritraente la mappa delle ferite d’arma da punta e da taglio si intuisce - dicono alcuni - una particolare attenzione dell’autore per le zone del seno sinistro e quella pubica. Mentre per il secondo, potremo sì individuare una circoscrizione di questo, il primo (A ben vedere però, i colpi sono purtroppo così tanti che ognuno riesce a vederci quel che vuole, 96 coltellate in sul corpo - o meglio, sul tronco - di una ragazzina di 1,60 mt rischiano di risultare fin troppo ravvivate e sovrastanti, indistintamente tutto il corpo) viene attinto da colpi a questo limitrofi, ricalcando quelle che sarebbero divenute poi le zone escisse. Dieci anni dopo, infatti, a pochi km di distanza, l’assassino si sarebbe trovato di fronte un corpo nudo di giovane donna dalle medesime caratteristiche di nudità della vittima femminile del 1974. Diversamente, però, da quanto accaduto nel decennio precedente, l’assassino avrà alle sue spalle 5 (o 6) duplici omicidi, due dei quali lo hanno visto utilizzare il coltello per praticare due escissioni post mortali delle zone pubiche di due vittime femminili. Ed è qui, alla Boschetta, che si manifesterà - per la seconda volta dopo i due duplici omicidi del 1981 - la condizione giustificatrice di evoluzione dell’iter omicidiario come il corpo seminudo (se non per le mutandine) di una ragazza. Le escissioni eseguite sul corpo nudo della Rontini ricalcheranno, difatti, quelle zone su cui dieci anni prima lo stesso assassino si era concentrato con l’arma bianca scoprendo una situazione a lui a quel tempo (’74) ignota, come due ragazzi seminudi intenti ad amoreggiare in macchina ed i lori cadaveri a propria disposizione. Dopo 10 anni alla stessa situazione l’omicida risponderà praticando ciò che negli anni precedenti aveva eseguito sui corpi delle vittime femminili dei duplici delitti del 1981, ovvero offendere, tagliare e portare via, ma le quali si trovavano in una condizione però diversa - maggiormente vestite - rispetto sia alla vittima del 1974 e del 1984. Di questo ultimo tema - ovvero di quello che a parere dello scrivente è erroneamente vista come una “evoluzione” dell’azione escissoria - ne parleremo poi più approfonditamente nel capitolo circa il focus criminologico sul modus operandi di tutti ed otto i duplici omicidi.
Tornando alla dinamica omicidiaria, dopo aver inferto i colpi sull’esanime Stefania, l’assassino strappa poi dal filare di vite poco distante un ramo che inserisce, marginalmente, nella vagina della ragazza.
Tornato allo sportello del passeggero, sposta il ragazzo sul sedile del guidatore e gli infligge due coltellate all’emitorace destro. Considerato che appare se non certo, altamente verosimile, che il corpo del ragazzo sia stato spostato dalla suo originaria posizione, c’è da chiedersi le motivazioni di questa scelta da parte dell’omicida. Analizzate le scene del crimine degli anni successivi, e quella dell’anno precedente, possiamo notare un certo interesse nell’omicida per le attività di modificazione della scena del crimine consistenti nel riposizionamento, dei cadaveri - oltre che di quelli femminili - anche di quello maschile. Si pensi, ad esempio, alle posizioni fetali assunte dalla vittima maschile nell’Ottobre del 1981 e del 1984, o alla compostezza di quello del 1968 o del Giugno 1981. Sembrerebbe quasi che l’assassino si ritagli una porzione di tempo utile alla fuga per il riordino di una scena “caotica” - o almeno così da lui considerata - creatasi con l’azione omicidiaria al fine di ricreare una compostezza da lui apprezzabile o comunque utile ad un suo fine, sia esso personalistico o utilitaristico (Anche questo punto verrà approfondito in un apposito capitolo).
Circa poi l’esatto luogo di ritrovo della borsetta e del reggiseno della ragazza, non comparendo alcun dato certo (se non una sommaria indicazione dei mt di distanza dall’abitacolo), chi scrive non ritiene utile né corretto addentrarsi in pericolose ipotesi circa i perché della direzione presa dall’omicida per sbarazzarsi degli oggetti in questione. A riguardo, già ne è stato ampiamente parlato da altri autori a cui - con piacere - rimandiamo.
Venendo ora alla introduzione della trattazione criminologia del duplice delitto del 1974, che sarà oggetto di apposito capitolo - non possiamo esimerci da una riflessione circa l’assoluto disordine - unico, considerati gli altri delitti - che caratterizza la scena del crimine di Rabatta. Difatti, diversamente da quanto accaduto sei anni prima a Castelletti, l’omicida sembra apparire meno meticoloso e preciso rispetto a quanto già operato in precedenza, mostrando maggiori difficoltà sia nell’abilità sparatoria sia nella gestione della situazione omicidiaria.
Spesso, si è stati soliti attribuire la cruda violenza ed il furor omicidiario del ’74 ad una probabile conoscenza - anche solo unilaterale - da parte dell’omicida quantomeno della vittima femminile. Tale eventualità non è stata tralasciata neanche da la già precedentemente citata perizia del pool modenese che, in relazione al presente delitto, sottolinea come “molte delle ferite da arma da punta e taglio inferte alla donna sono state vibrate con molta forza, mentre il corpo era appoggiato su piano fisso (terreno o sedile), tanto da penetrare profondamente in organi vitali o da trapassare il tavolato osseo eternale, disarticolando l’appendice xifoide. E’ quindi evidente che le ferite da arma da taglio inferte alla donna, per qualità e quantità, appaiono il frutto di un impulso e/o di una volontà che andavano ben oltre la semplice intenzione di essere certo della morte della vittima”.La vittima femminile del 1974 rimane l’unica ragazza, fra le vittime attribuite al c.d. Mostro di Firenze, uccisa con l’arma bianca (in questo caso la lama di un coltello). È necessario però specificare che, considerati i dati a nostra disposizione, l’utilizzo della lama sia stato reso necessario dall’aver esploso tutti i colpi della Beretta - sprecandone la maggior parte - senza riuscire ad uccidere i due giovani. I colpi inferti alla giovane presentano, difatti, indici di vitalità tali da considerarla ancora viva in un tempo successivo agli spari ed ancora capace di movimento e, soprattutto, di gridare. Si spiegherebbe così forse l’accanimento sul volto della giovane, l’estesa ferita lacero-contusa alla testa e quella vicino alla bocca. Ma perché, domandiamoci, l’omicida esaurisce il caricatore (almeno 10 colpi) verso due bersagli certo non di più difficile mira rispetto alle vittime del delitto del 1968. Sei anni prima, l’omicida (nell’ipotesi che sia stata la stessa persona a sparare nel 1968 e poi nel 1974), quantomeno anagraficamente sei anni più giovane del suo io del 1968, si trovava ad affrontare un uomo ed una donna di circa trent’anni uccidendoli con precisione e freddezza, il tutto alla presenza di un bambino. Sei anni più tardi, con già un duplice omicidio alle spalle, più maturo e con di fronte due ragazzi appena maggiorenni si dimostra un impreciso sparatore sprecando i suoi colpi verso parti anatomiche non vitali senza riuscire a centrare i suoi obbiettivi, vicini e racchiusi dentro l’abitacolo di una macchina.
È forse lecito credere che questo disordine sia dovuto alla inesperienza dello sparatore, o alla sua giovane età, ma ciò striderebbe con l’attribuzione del delitto del ’74 alla mano, fredda e precisa, del 1968. Ancora, potremmo forse attribuirla ad una conoscenza diretta - o unilaterale - della coppia, tale da incrementare la componente eccitativa dell’azione delittuosa. Potrebbe invece essere dovuta ad un imprevisto accorso durante il delitto, come ad esempio un tentativo di fuga o un effetto sorpresa non del tutto riuscito (anche se questa eventualità mal si concilierebbe con la direzione e l’inclinazione dei colpi ricevuti dal ragazzo che non fanno presagire alcun movimento da parte della vittima). O, ancora, al fatto che per la prima volta l’omicida si trovava davanti due corpi seminudi mentre sei anni prima i corpi erano maggiormente vestiti.
Non avendo ulteriori basi probatorie o indiziarie su quale posizione prendere - sebbene lo scrivente propenda per la prima delle ipotesi succitate - rimandiamo tale questione al capitolo centrale di questi lavori.
In conclusione, risulta ora necessario soffermarsi sull’attività di overkilling compiuta dall’omicida sul corpo della vittima di sesso femminile.
E’ lecito credere che quella fosse la prima volta che l’omicida si trovava di fronte al corpo nudo, privo di vita, di una donna da lui uccisa (Sei anni prima difatti - nell’ipotesi che lui stesso fosse stato l’autore dell’omicidio di Castelletti - il corpo della Locci si presentava ai suoi occhi, maggiormente vestito rispetto a quello della giovane Stefania).
Esauritosi la violenza che aveva poco prima caratterizzato l’azione omicidiaria, l’assassino vive con apparente quiete - e qui risulta davvero sorprendente questo repentino mutamento emotivo - i momenti che sarebbero invece, comprensibilmente, utili ad una fuga, per chinarsi e “saggiare” con la lama del suo coltello - utilizzata qui con la sua azione “da punta” - il corpo della giovane. Sul tema: “l’azione esploratoria è stata inoltre condotta con un’altra modalità, attraverso l’uso dell’arma da
punta e da taglio, con la quale l’omicida ha quasi circoscritto la zona del ventre attorno all’ombelico e la linea superiore del pube, e ha descritto linee o cerchi sulle cosce (o forse è più appropriato dire che ha inferto colpi indirizzati casualmente, che non loro insieme descrivono due linee ed un cerchio sulle cosce); questi colpi sembrano essere stati inferti senza molta forza, o quasi per saggiare la resistenza della cute all’arma da puntataglio, usata in senso verticale e quindi con l’efficacia lesiva della punta. Come si è detto, la disposizione delle ferite attorno al pube suggerisce l’ipotesi che si sia fatta strada nella mente dell’omicida, o che fosse già presente in fantasia, quanto meno a livello embrionale, l’idea di asportare quella parte del corpo, non ancora perfezionata processualmente o non ancora sorretta da idonea capacità tecnica”.Tornato allo sportello del passeggero, sposta il ragazzo sul sedile del guidatore e gli infligge due coltellate all’emitorace destro. Considerato che appare se non certo, altamente verosimile, che il corpo del ragazzo sia stato spostato dalla suo originaria posizione, c’è da chiedersi le motivazioni di questa scelta da parte dell’omicida. Analizzate le scene del crimine degli anni successivi, e quella dell’anno precedente, possiamo notare un certo interesse nell’omicida per le attività di modificazione della scena del crimine consistenti nel riposizionamento, dei cadaveri - oltre che di quelli femminili - anche di quello maschile. Si pensi, ad esempio, alle posizioni fetali assunte dalla vittima maschile nell’Ottobre del 1981 e del 1984, o alla compostezza di quello del 1968 o del Giugno 1981. Sembrerebbe quasi che l’assassino si ritagli una porzione di tempo utile alla fuga per il riordino di una scena “caotica” - o almeno così da lui considerata - creatasi con l’azione omicidiaria al fine di ricreare una compostezza da lui apprezzabile o comunque utile ad un suo fine, sia esso personalistico o utilitaristico (Anche questo punto verrà approfondito in un apposito capitolo).
Circa poi l’esatto luogo di ritrovo della borsetta e del reggiseno della ragazza, non comparendo alcun dato certo (se non una sommaria indicazione dei mt di distanza dall’abitacolo), chi scrive non ritiene utile né corretto addentrarsi in pericolose ipotesi circa i perché della direzione presa dall’omicida per sbarazzarsi degli oggetti in questione. A riguardo, già ne è stato ampiamente parlato da altri autori a cui - con piacere - rimandiamo.
Venendo ora alla introduzione della trattazione criminologia del duplice delitto del 1974, che sarà oggetto di apposito capitolo - non possiamo esimerci da una riflessione circa l’assoluto disordine - unico, considerati gli altri delitti - che caratterizza la scena del crimine di Rabatta. Difatti, diversamente da quanto accaduto sei anni prima a Castelletti, l’omicida sembra apparire meno meticoloso e preciso rispetto a quanto già operato in precedenza, mostrando maggiori difficoltà sia nell’abilità sparatoria sia nella gestione della situazione omicidiaria.
Spesso, si è stati soliti attribuire la cruda violenza ed il furor omicidiario del ’74 ad una probabile conoscenza - anche solo unilaterale - da parte dell’omicida quantomeno della vittima femminile. Tale eventualità non è stata tralasciata neanche da la già precedentemente citata perizia del pool modenese che, in relazione al presente delitto, sottolinea come “molte delle ferite da arma da punta e taglio inferte alla donna sono state vibrate con molta forza, mentre il corpo era appoggiato su piano fisso (terreno o sedile), tanto da penetrare profondamente in organi vitali o da trapassare il tavolato osseo eternale, disarticolando l’appendice xifoide. E’ quindi evidente che le ferite da arma da taglio inferte alla donna, per qualità e quantità, appaiono il frutto di un impulso e/o di una volontà che andavano ben oltre la semplice intenzione di essere certo della morte della vittima”.La vittima femminile del 1974 rimane l’unica ragazza, fra le vittime attribuite al c.d. Mostro di Firenze, uccisa con l’arma bianca (in questo caso la lama di un coltello). È necessario però specificare che, considerati i dati a nostra disposizione, l’utilizzo della lama sia stato reso necessario dall’aver esploso tutti i colpi della Beretta - sprecandone la maggior parte - senza riuscire ad uccidere i due giovani. I colpi inferti alla giovane presentano, difatti, indici di vitalità tali da considerarla ancora viva in un tempo successivo agli spari ed ancora capace di movimento e, soprattutto, di gridare. Si spiegherebbe così forse l’accanimento sul volto della giovane, l’estesa ferita lacero-contusa alla testa e quella vicino alla bocca. Ma perché, domandiamoci, l’omicida esaurisce il caricatore (almeno 10 colpi) verso due bersagli certo non di più difficile mira rispetto alle vittime del delitto del 1968. Sei anni prima, l’omicida (nell’ipotesi che sia stata la stessa persona a sparare nel 1968 e poi nel 1974), quantomeno anagraficamente sei anni più giovane del suo io del 1968, si trovava ad affrontare un uomo ed una donna di circa trent’anni uccidendoli con precisione e freddezza, il tutto alla presenza di un bambino. Sei anni più tardi, con già un duplice omicidio alle spalle, più maturo e con di fronte due ragazzi appena maggiorenni si dimostra un impreciso sparatore sprecando i suoi colpi verso parti anatomiche non vitali senza riuscire a centrare i suoi obbiettivi, vicini e racchiusi dentro l’abitacolo di una macchina.
È forse lecito credere che questo disordine sia dovuto alla inesperienza dello sparatore, o alla sua giovane età, ma ciò striderebbe con l’attribuzione del delitto del ’74 alla mano, fredda e precisa, del 1968. Ancora, potremmo forse attribuirla ad una conoscenza diretta - o unilaterale - della coppia, tale da incrementare la componente eccitativa dell’azione delittuosa. Potrebbe invece essere dovuta ad un imprevisto accorso durante il delitto, come ad esempio un tentativo di fuga o un effetto sorpresa non del tutto riuscito (anche se questa eventualità mal si concilierebbe con la direzione e l’inclinazione dei colpi ricevuti dal ragazzo che non fanno presagire alcun movimento da parte della vittima). O, ancora, al fatto che per la prima volta l’omicida si trovava davanti due corpi seminudi mentre sei anni prima i corpi erano maggiormente vestiti.
Non avendo ulteriori basi probatorie o indiziarie su quale posizione prendere - sebbene lo scrivente propenda per la prima delle ipotesi succitate - rimandiamo tale questione al capitolo centrale di questi lavori.
In conclusione, risulta ora necessario soffermarsi sull’attività di overkilling compiuta dall’omicida sul corpo della vittima di sesso femminile.
E’ lecito credere che quella fosse la prima volta che l’omicida si trovava di fronte al corpo nudo, privo di vita, di una donna da lui uccisa (Sei anni prima difatti - nell’ipotesi che lui stesso fosse stato l’autore dell’omicidio di Castelletti - il corpo della Locci si presentava ai suoi occhi, maggiormente vestito rispetto a quello della giovane Stefania).
Esauritosi la violenza che aveva poco prima caratterizzato l’azione omicidiaria, l’assassino vive con apparente quiete - e qui risulta davvero sorprendente questo repentino mutamento emotivo - i momenti che sarebbero invece, comprensibilmente, utili ad una fuga, per chinarsi e “saggiare” con la lama del suo coltello - utilizzata qui con la sua azione “da punta” - il corpo della giovane. Sul tema: “l’azione esploratoria è stata inoltre condotta con un’altra modalità, attraverso l’uso dell’arma da
Ora, benché sia dallo schema dei colpi inferti sia dalle foto del cadavere sia possibile evincere una certa attenzione per quelle zone che negli anni successivi sarebbero state oggetto di esportazione, non si direbbe falsità alcuna se ci riferissimo alle ferite da punta come inferte omogeneamente, ma in senso casuale, sul corpo della giovane in un’area estesa dall’interno coscia fino al petto. Ognuno è libero di poter interpretare l’ordine di ferite a suo modo, vedendoci linee, curve, forme, allusioni esoteriche, numerologiche o altro ancora perché, sfortunatamente - e drammaticamente dato che parliamo non di un gioco sulla settimana enigmistica ma del corpo di una diciottenne - il c.d. gioco di unire i puntini può condurre ad innumerevoli interpretazioni.
Certo è, che difficilmente potremo ricondurre i colpi inferti ad una mera “sperimentazione” o “saggio” della lama sulla carne visto l’elevatissimo numero di ferite inferte, abbondantemente oltre il numero necessario per constatare l’effetto lesivo dell’arma da punta. Allora, forse, sarebbe necessario chiederci cosa si cela dietro quelle ferite. Cosa ha spinto l’omicida a soffermarsi così lungamente sul corpo esanime della ragazza. E’ probabile, quindi, che dietro questo disegno si nasconda una fantasia, un intento, un ordine, difficilmente riconducibile ad un mero e semplicistico “canovaccio” delle sue - orribili - gesta future.
Circa, invece, il ramo di vite inserito all’interno della vagina della ragazza, possiamo affermare che questo rappresenti un unicum nell’insieme di tutti ed otto i duplici omicidi. Mai, difatti, l’assassino si era spinto ad un’azione di overkilling sui corpi delle vittime che esulasse dalle escissioni o dai fendenti post mortem.
L’introduzione del tralcio è stata più volte associata ad un chiaro segno, o spregiativo, o di assonanza sessuale (inteso quindi come la proiezione di membro maschile). E’ necessario, però, dire a riguardo che sia per le caratteristiche del ramo in sé - un ramoscello esile, molto lungo e diramato - che per le modalità con cui questa è stato inserito - senza troppa forza, né reiterandone l’ingresso nel cavo vaginale, come appunto in una simulazione dell’atto sessuale - ma solo attraverso una sua apposizione, scevra di una sua componente lussuriosa, sarebbe forse più corretto avvicinare tale atto ad un significato simbolico, non necessariamente sessuale, ad ora sotteso e non purtroppo compreso ma di cui avanzeremo alcune interpretazioni più avanti. Difatti, chi scrive, non ritiene il tralcio di vite un simbolo spregiativo del corpo della donna, anzi. Qui tornano d’ausilio le fotografie della scena del crimine, nelle quali si può denotare una quasi leggerezza ed armonia nella scelta del tralcio di vite, e non di un ramo più grosso o comunque maggiormente lesivo dei genitali femminili. Il ramo non sembra richiamare alcuna componente fallica, né tantomeno virile. L’aspetto del tralcio, lasciato integro anche delle foglie e dei piccoli ramoscelli che dal busto principale si dipanano, non acquistano la forma di una violenza sessuale, né tantomeno offensiva del corpo della giovane (di questo intento offensivo del corpo l’assassino ne aveva già dato prova alcuni istanti prima, per 96 volte). Sembra più un simbolo decorativo, o votivo, quasi a voler ricreare un’immagine nell’omicida che suggella la scena da lui manomessa e ricreata, una volta interrotto l’unione tra i due. Addenda che è possibile che l’omicida abbia anche commesso nei delitti successivi ma rimasta celata, o mal interpretata, nel corso dell’analisi della scena del crimini. Scambiata talvolta per un errore, una casualità o coincidenza o perfino una posizione innaturale del corpo. Invece quindi di continuare - sconfessando perfino quanto da noi riferito supra - a considerare il tralcio di vite un unicum fra i delitti commessi dall’assassino, potremo provare a reinterpretarlo e collocarlo nella coerenza degli altri delitti, fra quelle condizioni, non lesive del corpo (o spregiative) ma di alterazione della scena del crimine e personation. È la trasposizione fisica e materiale di una fantasia dell’omicida, a lui solo comprensibile ma non per questo indecifrabile. Fantasia fin troppo ridondante e selvaggia in questo delitto e col tempo, solo affinata e resa meno palese ma soltanto nascosta e camuffata in un qualcosa che o non è stato visto o male interpretato ma rimasto lì, sempre, davanti ai nostri occhi, ancora una volta, sulla stessa scena del crimine. Come vedremo.
Segue...
2 commenti:
Come al solito complimenti, Professore.
Per quanto riguarda i colpi inferti alla povera Stafania, le chiedo se, liberandosi da preconcetti, si possa essere di fronte ad un solo piacere che definirei "necrosadico" (non so se il termine sia giusto e le chiedo consiglio), ovvero il semplice piacere di perforare la carne umana. Non di un piacere sadico, visto che la vittima è deceduta, ma del poter disporre del suo corpo per "giocarci".
Grazie!
Salve Giuseppe e grazie infinite per i complimenti.
E' interessante questa tua osservazione in merito e purché la risposta risulti assai ardua mi sentirei di risponderti come segue.
Quando l'omicida si trova di fronte il corpo nudo della ragazza, la sua fase maniacale ha subito un arresto, tanto da poter modulare la sua forza - prima dirompente come ahinoi abbiamo potuto vedere - condizionandola non ad un furor bensì ad una quiete. Solitamente i colpi inferti in stato eccitativo - come spesso accade dei fenomeni di overkilling, si trovano raggruppati, per quanto riguarda le armi bianche, a colpi di tre. Si troverebbero quindi piccoli raggrumanti sparsi di tre colpi l'uno vicino all'altro.
L'azione dell'omicida della coppia del 1974, direzione invece omogeneamente i colpi in un'area compresa tra le cosce e il seno dosando la sua forza fino a infliggere colpi che non raggiungevano il mezzo centimetro.
Ora, verrebbe quindi meno - almeno a mio parere - la componente violenta ed oltraggiosa nei confronti della donna, come quella di esaurire una volontà mortifera nei confronti dei corpi. Prende invece campo, come meglio poi si evidenzierà per i delitti successivi, l'idea di corpo come mezzo e strumento di proiezione di una fantasia, disegno, messaggio, idea dell'omicida, che nel '74 proverà ad abbozzare da assassino ancora "giovane".
Spero di poterle essere stato d'aiuto.
A presto,
E.O.
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