martedì 23 giugno 2020

Le mondane uccise a Firenze dal 1982 al 1984



Negli anni in cui nella periferia fiorentina il cosiddetto Mostro di Firenze uccide giovani vittime in cerca di intimità, un altro terribile assassino dal 1982 al 1984, uccide quattro prostitute nel capoluogo Toscano: si tratta di Giuliana Monciatti, Clelia Cuscito, Giuseppina Bassi, Luisa Meoni.

Giuliana Monciatti, 41 anni, ex-ballerina di origine emiliana, vive con la madre ed una vecchia zia in via dell’Anconella.
Giovedì 11 febbraio 1982 a bordo della propria Renault Rossa, intorno alle 21:00, si reca in via del moro 27. Qui dispone di un pied à terre che condivide con Roberta.
Si prostituisce saltuariamente, perlopiù con clienti abituali.
La mattina del 12 febbraio, Roberta passa dal seminterrato per controllare che tutto sia in ordine. La porta non è chiusa a chiave come al solito. Entra nello scantinato e nota il corpo senza vita a terra di Giuliana. Ha addosso un maglione ed i pantaloni semi abbassati, gli occhi aperti; è stata raggiunta da innumerevoli coltellate al petto.
Interviene il capo della Squadra mobile dr Giuseppe Grassi ed il Sostituto Procuratore dr Ubaldo Nannucci. Da medicina legale giungono il dr Maurri e la dr.ssa Tartaro.
La perizia medico legale riporta 17 coltellate, una ha reciso l’aorta, altre hanno compromesso il fegato ed un polmone. Emorragia interna la causa del decesso.
Le indagini escludono fin da subito si sia trattato di un omicidio per rapina, benché sia sparito un borsello a tracolla con l’incasso della serata.
Le donne che furono ascoltate dalla Buoncostume perlopiù negarono di conoscere la Monciatti, altre la descrissero come una persona riservata tutt’altro che volgare ed appariscente.
Probabilmente Giuliana conosceva il suo assassino, sfortunatamente, quella sera, ha concesso fiducia a chi non la meritava.
L’autore del delitto è tutt’ora ignoto.

Clelia Cuscito, 37 anni, originaria di Gioia del Colle, in provincia di Bari. Ex-infermiera, vive in via Gianpaolo Orsini in un piccolo appartamento arredato con gusto moderno per l’epoca: una cucina gialla e blu, un salottino con i mobili verdi e due lunghissimi specchi alle pareti, con lampade alogene e un televisore a colori con annesso videoregistratore. Videoregistratore e due televisori anche nella camera da letto ma anche un letto tondo ed altri specchi. Tv anche in cucina e nell’ingresso un impianto stereo.
Da alcuni anni si prostituisce. Riceve a casa, dalla mattina a tarda notte. Ha clienti provenienti anche da fuori città, “un gran viavai” dicono i vicini di casa.
Mercoledì 14 dicembre 1983, Clelia viene svegliata dalla signora delle pulizie; Carla, terminato il suo lavoro, intorno alle 10:00. se ne va.
Verso le 11:00 Bruno Cuscito, fratello di Clelia, suona il campanello di via Giampaolo Orsini, deve consegnare un pacco. Nessuno risponde. Prova a telefonare a Clelia ma il numero risulta occupato. Intorno alle 14:30, allarmato, decide di passare dal retro del palazzo, scavalca la balaustra del balcone al primo piano e sfonda la porta a vetri del salottino.
Clelia giace a terra bocconi in camera da letto. Indossa scaldamuscoli di lana ed una canottiera, ha il cavo del telefono attorno al collo. È immersa in un lago di sangue.
È stata raggiunta da non meno di 15 coltellate; cinque ferite sono state inferte al collo, una ha reciso la carotide. Ha ferite da difesa agli arti superiori e sulla schiena. La perizia medico legale presume sia stata attinta da un coltello a scatto o a serramanico, un’arma robusta dalla lama tagliente e acuminata.
Gli agenti della terza sezione della squadra mobile intervenuti presso l’abitazione sequestrano una mazzetta di banconote da 100.000 lire ed escludono fin da subito il movente per rapina. La casa è sottosopra, i cassetti e molti oggetti sono buttati a terra.
Ventiquattrore dopo presso l’appartamento giungono il dr Maurri direttore dell’istituto di medicina legale di Careggi, il dr Castiglione, Dirigente del gabinetto regionale di polizia scientifica, il Maggiore di Polizia Vincenzo Canterini e il Maresciallo Andropoli.
In bagno viene rinvenuta l’orma di un piede che ha calpestato del sangue. Su di un cassetto della camera viene fotografato il palmo di una mano insanguinato.
Vengono sentite numerose prostitute ma anche tutti coloro che risultano citati in un’agendina di proprietà della vittima. Tra gli esercizi commerciali di via Giampaolo Orsini in pochi riconoscono Clelia nelle foto che gli vengono mostrate, l’unico che fornisce uno spunto investigativo interessante è Ettore R.. Ha una sartoria di fronte al portone d’ingresso del palazzo dove viveva Clelia Cuscito. Il 14 febbraio, intorno alle 10:00, mentre stava andando a fare colazione, ha notato un signore di mezz’età suonare il campanello di Clelia. Non vi ha prestato molta attenzione, non riferisce ulteriori elementi utili alle indagini.
Seguendo le indicazioni di quanti abitano nella zona vengono realizzati dalla Polizia scientifica due identikit che ritraggono due persone decisamente diverse tra loro: l’uno quasi calvo, di corporatura robusta con un vistoso giubbotto a quadri bianchi e neri; l’altro ben pettinato con un elegante soprabito grigio.
Gli identikit vengono pubblicati dai quotidiani locali giovedì 22 dicembre. Molte le segnalazioni, gli avvistamenti, le situazioni insolite messe a verbale dalla Squadra mobile; purtroppo gli elementi raccolti non hanno ad oggi fatto luce su ciò che accadde a Clelia quella mattina del 14 febbraio.
Nel corso delle indagini sul cosiddeto “mostro di Firenze”, mentre la Procura sta ancora raccogliendo elementi per il processo contro i compagni di merende, Lorenzo Nesi, amico di Mario Vanni il 26 febbraio 1997, presso gli uffici della squadra mobile della Questura di Firenze fece mettere a verbale: “Vanni mi diceva di trovarsi bene con una prostituta che abitava in fondo ai viali, al ponte di ferro, poiché questa era gentile ed educata. Questa donna, da notizie apprese dalla stampa circa 7/8/10 anni fa è stata ammazzata.”
Confermò quanto dichiarato il 28 gennaio 1999: “Quando lessi la notizia dell’uccisione della prostituta, ne parlai con Mario che mi confermò che era quella la prostituta dove lui andava e dove intendeva portarmi. Nel riferirmi ciò non notai alcun turbamento in Vanni che si limitò ad aggiungere che era un periodo che ammazzavano le prostitute.”
Gli furono mostrati gli identikit realizzati nel 1983 al che Nesi esclamò: “Questo è il Lotti negli anni ‘80! Non come è adesso. È proprio lui. Ha lo steso viso, la stessa espressione, gli stessi capelli pettinati e folti ai lati così come li portava Lotti quando aveva la Fiat 124”.

Giuseppina Bassi, Pinuccia per gli amici, ha 55 anni, è originaria di Rovigo, si è trasferita a Firenze nei primissimi anni ’60. Ex-modella, ha una figlia che si è fatta una famiglia a Milano e che certo neppure sospetta che la madre si prostituisca per mantenersi.
Pinuccia ha un appartamento in via Fiesolana ma da circa dieci anni ha preso in affitto un bilocale in Via Benedetta, a circa 300 metri da dove è stata uccisa Giuliana Monciatti l’11 febbraio 1982.
L’arredamento è essenziale: un letto da una piazza e mezzo, un tavolino con abatjour, due poltrone e un divano di broccato, un tavolinetto con una pila di riviste porno, vasi di fiori finti qua e là.
Alcuni piccoli quadri dozzinali ed una gigantografia di Marylin Monroe.
Qui riceve i suoi clienti dal primo pomeriggio fino alla notte.
Nella mattina di venerdì 27 luglio 1984, Pinuccia ha un appuntamento con un amico, Umberto Cirri, sono rimasti d’accordo di vedersi per andare assieme all’ospedale dove la moglie del Cirri è ricoverata.
Pinuccia non si presenta all’appuntamento ed il Cirri dopo averla chiamata telefonicamente più volte, intorno alle 13:00, decide di recarsi in via Benedetta. La porta del bilocale è socchiusa, in camera da letto, il cadavere nudo, supino di Pinuccia. Ha gli occhi sbarrati, è stata strangolata. Sotto il letto giace avvilito Puffy, uno yorkshire di 4 anni che pare vegliare il corpo della sua padrona.
I medici legali dr Mauro Maurri e Mario Graev datano la morte intorno alle 2:00 di venerdì 27. La vittima non ha opposto resistenza. Non ha segni di colluttazione, solo ecchimosi sul collo procurate da mani robuste.
I coinquilini la definiscono come una persona gentile e rispettosa, riservata e discreta. Non hanno udito né rumori né grida.
“Escluderei un legame con le altre mondane uccise negli ultimi due anni” dichiarò ai cronisti il Sostituto Procuratore Ubaldo Nannucci. Le modalità con cui è stata uccisa Pinuccia in effetti non hanno niente a che vedere con la sorte subita dalla Monciatti e dalla Cuscito.
Interrogati amici, clienti e mondane della zona, la Squadra Mobile arresta Salvatore F., che viene accusato di sfruttamento della prostituzione e indiziato dell’omicidio.
Il 20 ottobre 1984 il giudice istruttore dr Stefano Campo rinvia a giudizio Salvatore F. per sfruttamento della prostituzione ma stralcia il procedimento riguardante l’omicidio volontario.
Salvatore F il 28 novembre 1984 è stato condannato a un anno e cinque mesi di reclusione e 400.000 lire di multa “per aver sfruttato Giuseppina Bassi facendosi consegnare somme di denaro fino al 26 luglio 1984”. Il nome di chi ha ucciso Pinuccia è a tutt’oggi ignoto.

Luisa Meoni ha 46 anni, da tre si è separata dal marito. Ha una figlia di nome Barbara che vive con il padre poiché così ha stabilito il Tribunale.
Barbara, 11 anni, sta con la madre il giovedì, il sabato e la domenica di ogni settimana.
Luisa abita in Via della Chiesa, nel quartiere fiorentino di San Frediano, in una piccola abitazione al primo piano costituita da due vani più servizi. Si prostituisce a casa ma adesca i clienti nella zona della Stazione.
Il 13 ottobre 1984, Adriana S., intorno alle 11:00, viene accompagnata dal marito Lando L. presso l’abitazione della Meoni. Dal mese di aprile del 1983 si occupa delle pulizie e di sbrigare alcune commissioni per la Meoni. Giunta in via della Chiesa, pur disponendo delle chiavi dell’appartamento, Adriana suona il campanello ma nessuno risponde. Decide quindi di recarsi nel bar vicino per una colazione con il marito. Fa ritorno in via della Chiesa, chiede a Lando di seguirla. Sale una breve rampa di scale, apre la porta di casa e trova l’appartamento a soqquadro.
Qualcuno ha rovistato nei cassetti e negli armadi, sul letto è stato riversato il contenuto di alcune borse ed adagiata l’anta di un comodino.
 In camera da letto, giace a terra supina, Luisa Meoni. Indossa un golf di lana azzurro le cui estremità delle maniche sono annodate con doppio nodo. Ha addosso collant, slip ed una gonna di velluto nero. Ha al polso un orologio Kessen fermo sulle ore 6:00.
È stata soffocata da una garza avvolgente del cotone idrofilo applicata alle aperture aeree.
Sul tavolo di cucina vengono rinvenuti tre piatti da dessert, tre bicchieri, un bottiglione semivuoto di vino bianco ed un portacenere con vari mozziconi di sigarette.
Nel lavandino del cucinotto, perlopiù in ordine, vi sono tre bicchieri per liquore, tre piatti fondi e due piani sporchi di cibo consumato.
La perizia medico legale affidata al dr Mario Graev riporta la pressoché totale assenza di lesioni ed un decesso dovuto ad asfissia meccanica per chiusura delle aperture aeree (naso e bocca).
Presume che lo stato di ebbrezza alcolica era tale da non consentire alla vittima alcuna resistenza.
Delle indagini si occupa il Sostituto Procuratore dr.ssa Emma Boncompagni coadiuvata dal nucleo operativo carabinieri di Firenze.
Sulla la scena del crimine non vengono rinvenute impronte utili ad eventuali esami comparativi.
Vengono repertati alcuni monili di scarso valore;
-3 cartucce calibro 6,35;
-440.000 lire in contanti
-6 fotografie effigianti un certo Fabio per il quale la Meoni pare avesse una leggera infatuazione;
Questi viene sentito fin da subito ma viene ritenuto del tutto estraneo all’episodio delittuoso.
Dalle indagini emerge che l’omicidio non è stato consumato né a scopo di rapina, né a fine maniacale. Si pensa ad una vendetta ad opera di chi la Meoni, tempo addietro, aveva segnalato alla Polizia come suo protettore ma la pista pare non trovare sufficienti riscontri.
Delle indagini si occupano anche il Maresciallo Congiu ed il Tenente Colonnello Nunziato Torrisi a lungo impegnati nella ricerca dell’assassino che la stampa ha definito “il mostro di Firenze”, a cui certo non è sfuggita, tra gli oggetti repertati in casa della Meoni, una ricevuta della PIC, Pronto Intervento Casa, il cui titolare è Salvatore Vinci.
Salvatore Vinci è stato amante della prima vittima femminile del mostro di Firenze ed a lungo indiziato d’essere l’autore dei duplici omicidi delle coppiette.
Il primo settembre 1987, il Sostituto procuratore Emma Boncompagni, trasmette il fascicolo processuale relativo a Luisa Meoni al Giudice Istruttore dr Mario Rotella per valutare l’opportunità di unirlo al procedimento relativo al mostro di Firenze che vede indagati molti dei soggetti legati alla cosiddetta “pista sarda”. Il 13 dicembre 1989 il Giudice Istruttore dr Mario Rotella con una sentenza ordinanza di oltre 160 pagine dichiara non doversi procedere contro Salvatore Vinci e gli altri imputati e riguardo a Luisa Meoni afferma:
“Singolare è anche l'accostamento della circostanza del ritrovamento di una ricevuta della ditta del Vinci, datata 1982, in casa di Meoni Luisa, uccisa da ignoti il 13 ottobre 1984, con il fatto che, sentito dai carabinieri intorno al suo alibi circa l'omicidio dei tedeschi in via di Giogoli (9 settembre 83), Vinci abbia asserito di avere proprio la sera di quel duplice omicidio, effettuato (alle ore 16) un intervento in via della Chiesa, edificio occupato dalla Meoni. Il teste Casini ha dichiarato al P.M., il 19 aprile 1985, circostanze tali da far stimare una relazione con la prostituta uccisa. Nel rapporto si formula un'ipotesi di lavoro, che non si è avuto modo di vagliare con attività istruttoria, apparendo l'omicidio della Meoni caso di per sé complesso, sottoposto ad altra attenzione, e non direttamente connesso con quelli in oggetto.”
Ed anche il caso di Luisa Meoni è finito negli archivi della Procura della Repubblica tra gli episodi omicidiari senza colpevole. Ci vorrebbe proprio un detective come Henry Bosch che si occupa di vecchi casi irrisolti.

“Sembra una maledizione”, come ebbe a scrivere Franca Selvatici de “La Repubblica” diversi anni addietro: molti dei delitti avvenuti a Firenze sono ripetizioni di altri delitti. Lo sono gli omicidi del mostro di Firenze, lo sono i delitti delle prostitute come lo sono i due omicidi rimasti irrisolti di Gabriella Caltabellotta e Miriam Ana Escobar, ma di questi ne parliamo la prossima volta.

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