lunedì 10 settembre 2018

L'Uomo dietro il mostro 10 di E. Oltremari

Venerdì 06 Settembre 1985 o Sabato 07 Settembre 1985 - Loc. Scopeti, San Casciano Val di Pesa. “50”

50 anni. Cinquanta.
Molto di più di quanto quei ragazzi abbiano mai vissuto. 
Non si sono mai visti crescere, non si sono mai lasciati e poi rincontrati, non si sono mai guardati negli occhi davanti ad un altare, né hanno mai avuto alternativa alla loro relazione. Non hanno mai supportato l’altro durante la gravidanza, né dibattuto sul nome da dare al nascituro. Non lo hanno mai visto nascere, né crescere, studiare, vincere, perdere, amare, piangere, mettere su famiglia, invecchiare. Un po' come loro. 
Tanti anni fa ebbi la fortuna di parlare con un amico della coppia uccisa a Calenzano. Stefano e Susanna. Ero agli inizi dei miei studi e gli chiesi di raccontarmi di quei giorni. Mi raccontò di come seppe della morte dei suoi amici, della incredulità, della disperazione e della paura. Mi disse che a volte pensava al fatto che se quella notte di Ottobre i suoi amici non avessero avuto voglia di far l’amore, magari, oggi, i loro figli avrebbero avuto la stessa età dei suoi. Magari sarebbero cresciuti assieme, avrebbero frequentato le stesse scuole e magari, sì, giocato insieme a pallone. Un po' come loro. 
Ho una sorella molto più piccola di me. Ha la stessa età di Pia. Una bambina. Non una ragazza, ma una bimba. Non riesco a vederla altrimenti. E per deformazione professionale penso a chi, Pia, se l’è trovata di fronte quella notte di Luglio. A chi le ha rivolto contro un’arma. Non ha visto quei tratti dolci del viso o la pelle ancora levigata dalla natura. Non ha visto tutte le possibilità che la sua età le poteva offrire. Ha visto altro e lo ha preferito a Pia e Claudio. 
A volte li dimentico, tutti loro. Tutti e sedici. 
Li abbiamo trascinati in chiacchiere da tastiera in quel becero vocio da social network che ha gravemente confuso il diritto di libertà di manifestazione del pensiero con quello di dire quel che si vuole. 
E credo che nessuno potrà mai perdonarci per questo. Soprattutto Loro. 

Anni fa mi trovai bordo lago (non Trasimeno, tanto per sviare dubbi sul tema) seduto su una panchina a parlare con uno dei protagonisti di questa storia. Gli raccontavo le mie idee, i miei dubbi, gli spunti e quelle che narcisisticamente ritenevo essere validissime intuizione riguardo a chi, quelle notti, aveva ucciso sedici ragazzi senza…
Lì mi fermo e mi chiese perché sedici. 
Sorpreso, risposi che era il numero dei ragazzi uccisi. Otto duplici omicidi, quindi sedici corpi.
Mi interruppe nuovamente e con la mano mi fece cenno che no, non erano sedici, ma molte di più.
Intuii dove voleva andare a parare, così fui io ad interromperlo quella volta assecondando la sua correzione e suggerendogli - per mostrarmi preparato - che, certo, si riferiva alle morti collaterali, le prostitute, chi incaprettato e mutilato, chi impiccatosi coi piedi che strusciavano per terra… 
Ancora quella mano che diceva no, no Enea, sono ancora molte di più. 
Pensai di rispondere aggiungendo il lavoratore della terra agricola col maglione tirato su, ma prima di pronunciare il suo nome capii che forse, quel signore di fronte a me, voleva solo che rimanessi in silenzio, perché la risposta non era in nessun nome. 
Siamo noi, mi disse. Io e te. Ma non solo. Chi sulle scene del delitto si è chinato sui corpi per descriverli nel verbale, chi in divisa si trovava ogni estate col timore di sentire i rintocchi della Calibro 22 che sancivano un loro nuovo fallimento e chi ci credeva davvero; chi era in quell’aula di tribunale a prendere appunti da trasporre in un articolo di giornale, o chi sui banchi nella convinzione di far giustizia e chi invece deciso a difenderla; chi era lì a decidere; chi a casa davanti alla tv; chi dentro quelle macchine ci ha lasciato un amico, un amore mancato, una sorella, un fratello, un figlio o una figlia o un nipote o chi in quegli occhi spenti ha visto solo sé stesso e da quel giorno non ha fatto altro che collezionare articoli di giornale; chi ha aperto un blog, chi ha passato le notti a ricopiarvi sentenze, chi ci ha scritto un libro, chi due, chi ci ha fatto un film o un documentario dvd con contenuti speciali, chi si mette un microfono in mano per parlare ad una folla di appassionati in un qualche circolo toscano, chi ne parla alla radio, chi ne scrive per lavoro e chi passa le giornate a spulciare e commentare pagine Facebook dedicate al tema. 
Siamo noi, che ci pensiamo ogni singolo giorno della nostra vita. Vittime collaterali di questa storia. Certamente non equiparabili a quei ragazzi, ma comunque vittime, chi in un modo o chi nell’altro, di quegli spari nel buio. 
Siamo noi che mentre ne parliamo, scriviamo ed ascoltiamo di questa triste vicenda ci lasciamo trasportare dall’entusiasmo di scoprire chi li ha uccisi. Chi è l’uomo che si cela - appunto - dietro il Mostro. Altre volte, invece, ci sorprendiamo quando alla letta di un articolo su un giornale o di una news su qualche blog ci prende il timore che alla fine quel mostro non sia poi il nostro mostro. La percepiamo, distintamente, quella punta di timore di vedersi sfuggire dalle mani la propria idea e che tutto questo ricercare, sia ormai finito. 
Io la sento e me ne vergogno. Terribilmente. 
Abbiamo paura - tutti - di rimanere delusi dall’avvilente banalità che talvolta si nasconde dietro il male. E prima lo confessiamo a noi stessi, prima riusciremo ad affrontare il nostro mostro che ci ha reso vittime inconsapevoli (solo per noi, non per lui sia chiaro) delle sue azioni. 
Perché a cinquant’anni da quel 21 Agosto 1968 siamo ancora qua ad affrontare il nostro mostro. Galleggiamo alla deriva nella vergognosa speranza di non vederci disillusi dalla verità e nell’eccitante timore che il nostro più inconfessabile tra i pensieri non si realizzi.
Mai più.
21.08.2018

                                                                                                    E. Oltremari


Diversamente dal solito, per questo nuovo appuntamento, ho preferito iniziare con alcune righe scritte il ventun agosto scorso in quello che è stato il cinquantesimo anno dopo il delitto di Castelletti del 1968. 
Non lo pubblicai al tempo solo perché il clima di quei giorni le avrebbe poste nella coda delle tante parole, trasmissioni, dirette, presentazioni, articoli che si sono susseguiti. Adesso, invece, rappresentano quanto di meglio avrei mai voluto considerato che stiamo arrivando ad un punto nevralgico del nostro percorso. 

Sarebbe pretenzioso ed assolutamente riduttivo trattare, anche solo per il poco spazio fruibile al lettore, di un delitto come quello del Settembre del 1985 dove si è già scritto così tanto e bene da rinviare con piacere - e massimo rispetto - ai lavori di altri Autori (F. Cappelletti, V. Adriani, P. Cochi, M. Bruno solo per citarne alcuni delle più recenti pubblicazioni) che hanno dettagliatamente già analizzato quello che rappresenta uno dei più complessi tra i delitti dell’assassino delle coppiette.
Così, dato la superfluità di ritrattarlo dal punto di vista criminalistico,
preferiamo trarre a nostro vantaggio la componente criminologica utilizzando questo ultimo delitto come conferma (o smentita, sia chiaro) di quanto fin ora raccolto nei nostri precedenti appuntamenti. Questo nuovo incontro sarà suddiviso in due parti, la prima come raccolta e schematizzazione dei dati ad ora emersi e la seconda di raffronto con l’ultimo delitto della serie e la predisposizione analitica di un profilo. 
Ci poniamo, quindi, nell’ottica di chi si trova dopo il 29 Luglio 1984 - e prima del Settembre dell’anno successivo - quando un omicida ha appena trucidato due fidanzati appena diciottenni e ci chiediamo: quali dati abbiamo fino ad ora? 

Circa la profilazione prettamente biografica abbiamo ipotizzato un soggetto di sesso maschile, residente all’interno della provincia fiorentina, buon conoscitore delle aree dove ha colpito, abile nel muoversi in condizioni di sfavore (al buio e nella boscaglia), medio sparatore e buon utilizzatore della lama, capace di modulare le proprie reazioni in base alle circostanze che gli episodi - anche imprevisti - richiedono. 
In sette duplici omicidi non contiamo alcuna segnalazione certa. Nessuno lo ha visto in azione se non, forse, un bambino che poca ricorda e quel poco è molto confuso ed un guardone che magari ha visto soltanto dei corpi privi di vita ma non quanto accaduto poco prima. Considerato i luoghi dove ha colpito (aree che seppur appartate non si presentavano come totalmente al riparo da vie asfaltate o comunque sguardi indiscreti) è plausibile che l’omicida li conoscesse molto bene o che comunque avesse avuto il tempo ed il modo di studiare i suoi assalti così da rendere maggiormente efficace l’aggressione soprattutto in relazione all’economia dei tempi non certo esigui dato ciò che sarebbe andato a realizzare. Ci è lecito altresì ipotizzare un’appartenenza dell’omicida ai luoghi dove ha colpito. Tutti circoscriventi l’area fiorentina ma nessuno all’interno del comune del capoluogo toscano. Punto, quest’ultimo, che verrà trattato in un capitolo specifico sul tema del profilo geografico.
Circa invece la componente soggettiva, il nostro omicida sembra rispettare rigidi canoni di comportamento che dirigono il suo agire verso il più spietato dei fini. L’assassino - come già descritto nel precedente appuntamento a cui rimandiamo - sembra rispondere ad un proprio codice che applica all’azione postasi di fronte a lui. E quale è questa condizione? 
Due persone appartate tra loro in apparenti atteggiamenti amorosi ed in un luogo pubblico durante un giorno festivo o prefestivo.
Fra queste condizioni che potrebbe comportare un minimo di dibattito è quella degli atteggiamenti amorosi applicabile al duplice delitto del 1983 (di cui però abbiamo già trattato ed a cui rinviamo per le conclusioni sul tema L'uomo dietro il mostro 8) ma le altre - vittime, luogo e tempo - appaiono costanti in tutti e sette i casi da noi esaminati. 
Sembrerebbe, dunque, che l’omicida abbia diretto la propria azione mortifera all’interno di una situazione che riteneva così biasimevole da applicargli una pena - la morte - e delle pene accessorie - colpi post mortem ed escissioni - come corrispettivo di quanto concretamente le coppie stavano facendo, calibrando quindi la sua offensività sui cadaveri in relazione alla colpa commessa in un lineare principio di legalità e certezza della pena. 
Proviamo, allora ad analizzare analiticamente questi condizioni che creano la situazione meritevole di punizione.
In tal senso aiutiamoci con una rubricazione, approssimativa ma utile alla comprensione, che suddivide questi termini in comportamentale, modale, locale e temporale
Il primo fra questi, comportamentale, si riferisce alla colpa principale delle vittime, a loro tutta comune e cioè il compiere atti sessuali non in costanza di matrimonio o in atto di adulterio o comunque non ai soli fini procreativi
Il secondo, modale, ricomprende - invece e più nello specifico - la concreta azione svolta dai giovani al momento della loro uccisione o comunque dell’aggressione. Fra queste possiamo considerare - ad ora - i soli c.d. preliminari visto che nessuna coppia al momento dell’aggressione stava avendo un rapporto sessuale completo, mentre forse solo una di questa (Vicchio 1984) vi fosse andata molto vicino. Come preliminari dobbiamo qui considerare sia le semplici effusioni, sia gli strofinamenti, sia fellatio o azioni manuali, ovvero tutti quei comportamenti che precedono l’atto sessuale completo. 
Il terzo, locale, si riferisce ai luoghi dove l’azione sessuale viene commessa. Sono tutti luoghi pubblici. Stradine sterrate, spiazzi lungo una via, campi e tratturi a non più di 50m da una via principale. In ogni caso, si trattano, tutti, di luoghi pubblici e manifesti, cioè all’aperto, non fra quattro mura e dove nessuno avrebbe potuto limitare l’accesso ad occhi di terzi indiscreti. L’azione sessuale benché compiuta all’interno di una vettura era comunque parcheggiata in uno spazio aperto passibile quindi di essere visti da terzi o ancor peggio, come sappiamo essere accaduto, da un bambino. 
Il quarto ed ultimo, temporale, si riferisce a quando questi delitti venivano posti in essere. Ricordiamo allora i venerdì, i sabati e le domeniche fra le quali contiamo anche una pentecoste ed un’altra esaltazione della santissima croce ricalcante una festività cristiana - di origine però celtica - chiamata delle c.d. tempora, da celebrarsi quattro volte l’anno (una per ogni stagione). Così riassunte queste quattro regole (che saranno meglio approfondite nella seconda parte di questo episodio), descrivono di volta in volta quella situazione che l’omicida ripaga con la morte prima (per i rei, in funzione retributiva) e con le escissioni post mortem poi (per i posteri, in ottica deterrente). Ed è questa una situazione questa - in tal modo suddivisa - che verrà soddisfatta anche da quella del Settembre 1985 dove due turisti francesi verranno uccisi mentre erano nudi all’interno della loro tenda da campeggio piantata in una piccola radura a lato di una via trafficata in un venerdì (o sabato)
settembrino. 
E sarà anche qui rispettato lo stesso principio di colpa e pena come espresso negli anni precedenti dove il maggior avanzamento dell’atto sessuale della coppia, intuibile dalla maggior nudità dei corpi, verrà ripagato dall’assassino con l’escissione del pube e del seno sinistro della vittima femminile e con i molti colpi inferti a quella maschile (di cui comunque parleremo nella seconda parte). 
Ci troveremo allora anche qui di fronte a quella scena ricercata e punita dall’omicida rispondente a quei quattro termini sopra esposti che compongono l’oggetto della sua missione. 
Solo che questi quattro termini, che troviamo violati in ogni delitto attribuito al Mostro di Firenze non me li sono inventati ora io - non vagliatemene per il piccolo bluff - estrapolandomi ex post dall’analisi delle scene, ma sono già stati descritti da qualcuno qualche tempo fa. 
Niente di male se non fosse che la predica circa la commissione di questi peccati mortali, così descritta in questi quattro canoni e così rispondenti a questi delitti, sia stata scritta prima della commissione di questi. Più precisamente nel 1477. 
(segue…)

7 commenti:

Enrico Marletti ha detto...

Complimenti per questo bellissimo articolo e per le sue considerazioni iniziali. Purtroppo è proprio vero, quello del mostro di Firenze è diventato un giochino o peggio ancora una crociata per difendere le proprie teorie ed è un virus che contagia tanti vecchi appassionati della vicenda come me. Le vorrei chiedere, sulla base dei suoi studi, se si può escludere la leggenda di un mostro affetto da impotenza o disfunzioni sessuali. L'accanirsi sulle vittime e lo scempio dei corpi delle povere ragazze sono semmai manifestazioni di una sessualità malata e abnorme (ipersessualità). Cosa ne pensa?

Unknown ha detto...

Salve Enrico,

A mio modesto avviso non credo ad un omicida affetto da una qualche impotenza o disfunzione sessuale. Non vedo nei delitti una compensazione a tale incapacità se non una vera e propria negazione prima e punizione poi dell'atto sessuale in sé come evento, non come atto.
Allora stesso modo non intravedo forme di ipersessualità. Spesso accade che tali disturbi si palesino in comportamenti sessuali compulsivi proprio sui cadaveri (a meno che ovvio questi non venissero eseguiti sui feticci asportati ma in luogo diverso rispetto alle scene del crimine), cosa che non accade in questi delitti che come ahinoi ben sappiamo sono stati caratterizzati da altri comportamenti di c.d. overkilling.
Vedo più, sul tema, una sorta di visione distorta della sessualità come evento di coppia. Ma di questo parleremo nei prossimi appuntamenti.

Ci tengo comunque a precisare che queste son solo mie considerazione personali, niente purtroppo da poter siglare come "certamente veritiero".

La ringrazio per i complimenti ed a presto,

E.O.

Piper ha detto...

Concordo su molte cose esposte nell'introduzione, nell'articolo e nel commento che mi precede, soprattutto il cauto tentativo di voler provare a mettere in discussione una delle "verità" che riguardano l'insieme di elementi mitologici che contraddistinguono questo caso: la supposta incapacità a livello sessuale (che da supposizione - come sarebbe giusto che fosse - si è tramutata in un punto fermo).

Sono in disaccordo solo per quanto riguarda la scelta di interrompere il discorso sempre nel momento preciso in cui il lettore, ormai al culmine dall'attenzione, segue il pifferaio ad occhi chiusi per poi risvegliarsi all'improvviso sospeso a tre puntini. Si attende con ansia la prossima puntata!

MiniRombo ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Dom ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Dom ha detto...

Buon giorno! Quindi per lei il mdf è da schedarsi come probabile predicatore?

Unknown ha detto...

Salve Domenico,
Dipende da cosa si vuole intendere per "predicatore".
Provo a spiegarmi: la classificazione che noi diamo ai vari omicida seriali - così rubricata come da prassi nel C.C.M. - è un tentativo del soggetto terzo di spiegare (e poi raggruppare) l'agire dell'omicida in relazione a quello che lo ha spinto a compiere l'insano gesto.
Ora, questa razionalizzazione del comportamento dell'omicida è utile per chi, appunto, classifica.
Spesso però non corrisponde affatto al reale movente dell'omicida che agisce, invece, spinto, ad es. da un altro "trauma" che lui stesso proietta - perché incapace di risolverlo - in una giustificazione, come lei suggeriva, predicatoria ad il suo agire.
Ed è lì, a mio modesto avvisto, il terreno su cui dovremo muoverci ponendoci questa domanda: la spiegazione che noi cerchiamo di trovare in questi delitti è la stessa che muove l'agire dell'omicida o solo una proiezione giustificativa di questa?
E' un terreno impervio anche di difficile indagine.

Speriamo di riuscire a dare il miglior contributo possibile per la comprensione di tale aspetto.

E.O.