Segue dalla prima parte.
P.M.: Esaminiamo quelle circostanze di fatto perché sono negli atti, sono in quei fascicoli fotografici, sono in quelle autopsie che sono già negli atti del dibattimento e per le quali io già oggi stesso, se ci sarà il tempo, inizierò a dare la prove documentale e testimoniale. Quali sono queste circostanze di fatto? Sono poche ma sono significative. Riguardano il fatto, lasciamole da parte le dichiarazioni di Mele che come abbiamo visto in questo momento non ci interessano. Cosa successe allora non fa parte di questo processo. Le circostanze significative sono poche, ma bisogna tenerle ben presenti oggi. Mele disse confessando: "Ho gettato via la pistola", indicò il luogo, fu cercata - c'è la dimostrazione che fu cercata con la massima attenzione, con il massimo scrupolo, con il massimo dispiego di mezzi - ma quella pistola non fu trovata. Elemento importantissimo, perché quella pistola, sappiamo, ha sparato per tanti anni ancora. Mancò allora il primo riscontro sulla credibilità di Stefano Mele. Dice di aver aver gettato la pistola accanto all'auto, la pistola non si trova, questo elemento non viene preso in sufficiente considerazione. Non si fecero - secondo elemento – accertamenti sulla capacità o meno di questo signore di conoscere le pistole, di saperle usare. Sentiremo su questo i testimoni, non voglio anticipare nulla. Ma, e questo è l'elemento macroscopico che io voglio sottoporvi, non fu eseguita sui corpi delle vittime alcuna perizia medico-legale che consentisse di ricostruire la dinamica degli spari, la successione di questi, la direzione degli otto colpi sparati quella notte. È un dato importantissimo, lo vedrete fra poco. Normalmente - i signori Giudici lo sanno, io lo spiego per i Giudici Popolari - quando avviene un omicidio è prassi che si dia incarico a medici legali, oltre di fare la semplice autopsia sui corpi, si dà un incarico a medici legali di ricostruire l'azione dell'omicida, il comportamento complessivo dell'omicida, soprattutto per vedere la traiettoria dei colpi che si desume dalle ferite, per vedere se si riesce, attraverso questo mezzo, a avere indicazioni utili alle indagini. Questa perizia riepilogativa del comportamento dell'omicida, allora non fu fatta. Ma non fu fatta perché allora non interessava, è ovvio. C'era la confessione dell'autore, nessuno poteva pensare ai risvolti successivi di quel sopralluogo, di quei primi accertamenti medico¬legali. Anzi c'è un dato ulteriore che oggi pesa nella ricostruzione del fatto, ma ci deve far riflettere. Non solo non fu fatta una perizia riepilogativa, ma essendoci due cadaveri - quello della Barbara Locci e quello del Lo Bianco - furono dati incarichi distinti a due diversi medici legali - è prassi normale - per fare l'autopsia. Cosicché oggi noi abbiamo nella ricostruzione due distinti verbali di autopsia – sono già a vostra disposizione, sentiremo i medici che hanno fatto quelle autopsie - che sono completamente scollegati fra loro, nel senso che ogni medico non tiene in considerazione i colpi che sono sul corpo dell'altra parte, non fa necessariamente alcun raffronto, ognuno opera per suo conto. Quindi: nessuna indagine precisa sulla esatta dinamica di quel fatto, primo fatto, 1968. Dico questo per un solo motivo, non per allungare questa introduzione, e il motivo l'avrete già capito qual è. Il P.M. non si è fermato davanti a questo dato incompleto, ma successivamente, nel 1984 e nel 1985, ha affidato una perizia medico-¬legale riepilogativa sulla dinamica di tutte e otto le aggressioni - e per prima su quella prima aggressione - al fine di compararle fra loro perché, come vi ho detto, comparandole siamo arrivati alla prova dell'unico omicida. Facendo questa operazione, comparando quindi i risultati degli esami autoptici fatti nel 1968, sono venuti fuori degli elementi sulla dinamica degli spari di quella notte, dell'agosto del 1968, che io vi proverò che sono assolutamente incompatibili con la confessione di Stefano Mele. Lo vedremo durante il dibattimento. Perché sono incompatibili? Perché Mele Stefano sostiene nella sua confessione – verbalizzata all'epoca del fatto, poi ritrattata, riportata in tutte le sentenze di condanna - un dato. Mele Stefano sostiene di aver trovato il finestrino posteriore sinistro della Giulietta semiaperto, lo vedremo nelle foto. Da questo finestrino, secondo punto, Stefano Mele dice: "Io da quel finestrino ho sparato in un'unica direzione, su entrambe le vittime", importantissimo, vi chiedo attenzione. Su entrambe le vittime che giacevano entrambe sul sedile di destra dell'autovettura, sedile davanti che era reclinato, davanti accanto al guidatore, reclinato e le vittime erano una sull'altra. Era un sedile di destra che era abbassato, non interamente perché l'auto non consentiva a quel sedile di prendere la forma lineare, ma era leggermente piegato, aveva un arco di circa 30 gradi, lo vedrete nelle foto. Dice Stefano Mele: "Le due vittime erano l'una sull'altra nel sedile accanto al guidatore. Io, Stefano Mele, ho sparato dal finestrino posteriore sinistro e le ho colpite mentre l'una era sull'altro". Questa è la ricostruzione, questa è la credibilità. Mi rendo conto che con le foto si farà meglio, ma intanto bisogna solo tenere presente: c'è questo sedile anteriore destro accanto al guidatore lievemente abbassato o parzialmente abbassato con le due vittime, l'una - la donna - sull'uomo e Stefano Mele che dal finestrino posteriore sinistro spara su di loro. Ora vedrete che questa ricostruzione, attraverso il riscontro comparato degli esami autoptici, è assolutamente incompatibile con i colpi di arma da fuoco rinvenuti sui cadaveri. Cosa appare, in estrema sintesi, dai verbali autoptici? Primo: che i colpi furono sparati dal davanti e non dal di dietro sui corpi. "Probabilmente", dicono i medici dell'Università di Modena che hanno fatto quelle comparazioni nel 1984 e '85 per il P.M., "non solo furono sparati dal davanti ma probabilmente dalla portiera davanti sinistra lato guidatore, sicuramente non a quella posteriore. Come dimostrano le traiettorie dei colpi sui corpi che hanno una direzione anteroposteriore" - cioè dal davanti - "con scarsa obliquità". Sarebbero dovute essere oblique, massima obliquità se fossero, come diceva Stefano Mele, sparati dal finestrino di dietro. In più, questo è un altro dato, Stefano Mele dice: "Ho sparato da un'unica direzione sui due che erano l'uno sull'altro", ma emerge dall'esame comparativo di questi esami autoptici, che sia più verosimile, non solo che i colpi sono stati sparati dalla portiera davanti, ma anche e soprattutto che: "almeno una delle due vittime" - cercheremo di dimostrarlo dall'esame di quei corpi - "sicuramente la donna che era sopra reagì, si mosse, e fu attinta da quattro fori d'entrata al dorso sinistro". Cosa vuol dire questo? Vediamole, quando sarà il momento, quelle foto. I colpi sul corpo della donna sono sul dorso sinistro, sono tre sul dorso sinistro, uno addirittura apparentemente sulla parte destra della schiena. Allora io vi dico, tenetelo presente fin d'ora e lo vedrete, se la donna era sull'uomo e se Stefano Mele ha sparato da sinistra, come ha fatto a colpire la donna sul dorso suo sinistro? Penso che questo semplice elemento, unito al fatto che la donna ha colpi sia a sinistra che a destra si concilia in maniera assolutamente non corretta con le dichiarazioni di Stefano Mele. Io vi dico, quindi, già da oggi che solo per questo fatto, cioè l'esame dei corpi, abbiamo fondati dubbi che quella confessione di quella notte fatta da Stefano Mele è priva - io dico solo questo - di quei riscontri significativi che ci consentano oggi di dire che Stefano Mele quella notte sparò, che Stefano Mele quella sera c'era. Basta aggiungere qualcosa, lo vedremo nel dibattimento, io lo anticipo soltanto, sono cose che cercheremo di capire dai testi. Non solo che appare improbabile che Stefano Mele abbia colpito dalla sinistra quei due corpi che erano davanti a lui, uno dei quali si è mosso e quindi non può avere traccia a sinistra e a destra, ma appare improbabile perché nello stesso racconto di Stefano Mele si dice che quel sedile era abbassato, i due corpi erano l'uno sull'altro bassi, e che nel mezzo, nella traiettoria del colpo da questo finestrino ai due corpi, c'era il bambino, signori. Il bambino: Natalino Mele che era sdraiato accanto alla donna, la mamma, e all'uomo che erano sdraiati, si dice, non è vero. Dimostreremo come è chiaro che i due, invece, erano seduti entrambi sul sedile davanti e non erano sdraiati dietro, quindi non possono essere stati attinti dal dietro, quindi non da quel finestrino ma dimostreremo come il racconto di Stefano Mele non regge perché se i due corpi erano sdraiati avevano accanto a loro il bambino e, sparando di notte da un finestrino è difficile avere la possibilità di sparare e che nella traiettoria non ci sia il rischio di colpire il bambino, soprattutto se i due si sono mossi. Vi daremo la prova che i due erano seduti davanti; la donna probabilmente era seduta sul sedile guida - ci sono le foto - l'uomo era seduto, come sostengono i periti nominati dal PM e quindi nessuno sparò dal dietro; e quindi la ricostruzione fatta da Stefano Mele in quella confessione è quantomeno priva di riscontri. Non vogliamo ovviamente rifare quel processo, né lo possiamo; però dobbiamo tener presente che questi fatti sono per noi importanti perché sono fatti che nella loro materialità sono addebitati oggi a Pietro Pacciani. Vedremo allora nel corso del dibattimento quanto questo dato pesa. Perché? Perché se arriveremo a un punto in cui dovremo dedurre soltanto che, non essendo più stata trovata quella pistola dopo quell'omicidio, dovremo accontentarci di dire che è passata di mano. Ma non è così perché abbiamo cercato di dimostrarvi che siamo in grado di mettere in dubbio quella confessione. Oppure se potremo dire, al termine di questo dibattimento, se riusciremo a dimostrarlo - ma i dati di fatto sono verso questa direzione - che, come ritiene l'accusa, avendo sparato in tutti gli omicidi sempre la stessa arma, non ritrovata, questa è sempre stata nelle mani di un unico autore: l'odierno imputato. Vedremo. C'è un dato in più: Stefano Mele sicuramente andò in carcere, quindi non può essere autore dei delitti successivi; ma bisogna ricordarci - anche questo è un dato, perché lo avrete davanti ai vostri occhi - che, nel momento in cui disse: "No, quella confessione non è vera, io non ci sono stato", lui ha sempre caparbiamente detto che l'autore di quei delitti era stato Francesco Vinci. Ora, anche su questo, che Francesco Vinci non possa essere l'autore di questi delitti, è provato nelle carte perché nell'occasione di uno degli omicidi della serie era in carcere. Allora, torniamo all'arma. Teniamo presente questo: il '68 fa parte di questo processo per i motivi che vi ho detto, perché non è vero che c'è la prova sicura che c'è un autore certo di quel delitto, diverso dall'odierno imputato. Anzi, non c'è alcuna prova oggi che quei fatti siano stati commessi proprio da quell'autore. Veniamo all'arma un po' più nei dettagli. Perché insistiamo sull'arma? Perché sull'arma, che si tratti di un'unica arma, sono state esperite numerose perizie balistiche comparative. Vi accennavo alle macrofotografie, che toglieranno ogni dubbio. Ma la più importante di queste perizie comparative, che direi oggi veramente non lascia dubbio - ce ne sono una dell'82, una dell '84, sono numerose - è quella del 1987. È redatta da tecnici del Banco Nazionale di Prova di Gardone. Una perizia che fu richiesta a iniziativa di questo PM. È una perizia forse la più completa, non perché le altre non siano complete, ma perché è venuta dopo tutti gli omicidi. E è la più convincente, lo vedrete, avrete i documenti, sentiremo insieme i periti. Fugheremo ogni dubbio su questo. È una perizia che ci dice: "le 8 coppie di bossoli di cartucce calibro 22 LR marca Winchester, consumati nel '68, '74, due nell'81, uno nell'82, nell'83, nell'84 e nell'85, provengono" - le 8 coppie di bossoli, che loro hanno esaminato - "tutte da munizioni che sono state esplose da un'unica arma". "Anche le pallottole", non solo i bossoli trovati, ma le pallottole trovate e sul luogo e sui corpi, "repertate in occasione dei duplici omicidi, devono ritenersi provenienti da un'unica pistola". "Non è stato possibile", ci diranno, "individuare esattamente il modello". Ci diranno: "è sicuramente un modello Beretta calibro 22 serie 70, sicuramente della serie 71, 72, 74, 75 o 76. Si esclude la 76, perché è commercializzata dopo il '68". Questo dicono i periti, questo verranno a spiegarvi meglio. Avrete, come già noi abbiamo, la prova che l'arma è unica. Lo stesso discorso vale per le cartucce. Anche questo è importante, non è poco. "Le cartucce sono tutte marca Winchester, sia ramate che a piombo nudo, con una lettera "H" sui fondelli" - vedremo quanto è importante questa "H" per noi - "e sono tutte impresse da un solo unico punzone, la fabbrica, con un unico punzone". Lo chiariranno, nei limiti di quanto ancora necessario, i periti. Il secondo fatto certo, oltre l'arma, è quello cui ho accennato e riguarda la circostanza che sono state uccise, dicevo, coppie appartate in atteggiamento intimo in ora notturna. Perché è importante? Perché ci consente di capire quali sono le modalità di azione dell'autore; ci consente di valutare quegli elementi indiziari sul punto che ad oggi esistono a carico di Pacciani. Ma c'è un ulteriore elemento comune che ci fa capire come mai gli omicidi sono tutti dello stesso autore, perché dalle perizie mediche emerge chiaramente che l'autore dei delitti usa uno strumento da punta e da taglio con il quale opera la asportazione di parti anatomiche. Perché questo è importante? Perché attraverso questo mezzo si può dire, e dimostrare, che l'autore è unico - l'ho già accennato, lo spiego meglio -. È un autore unico perché non solo usa la stessa pistola, ma perché lo ricaviamo dalle escissioni fatte su quei corpi. Ricordiamo che nel 1974 furono rilevate 12 ferite localizzate alla mammella sinistra di Pettini Stefania. Ricordiamo che dal corpo di Di Nuccio Carmela, nel giugno '81, fu escissa in regione pubica un'ampia zona alveolare... ovalare, chiedo scusa. Dal corpo di Cambi Susanna, nell'81, fu escissa un'ampia zona interessante il tubo... il pube, scusate. Vedremo le foto. Dal corpo di Rontini Pia furono asportati la mammella sinistra nonché il pube. Dal corpo di Mauriot Nadine, nell'85, venne asportata la mammella sinistra e al corpo veniva apportata altra mutilazione localizzata alla regione pubica. È difficile perfino sintetizzare, ricordarle queste mutilazioni. Lo ammetto. In proposito a queste mutilazioni, i periti indicati dal PM potranno chiarire una cosa, e definirla meglio: il coltello usato e la meccanica dei movimenti dell'autore nel produrre le lesioni e le escissioni dimostrano che: "primo, l'autore è probabilmente destrimane; usa uno strumento di tipo tagliente, probabilmente monotagliente; terzo, più importante, l'analisi delle lesioni e delle escissioni di parte della regione genitale di tre delle vittime di sesso femminile dimostra che, al di là delle identiche caratteristiche tecniche di produzione della stessa, vi sono inequivocabili analogie tra le lesioni, portando così ad avallare" - dicono i periti - "l'ipotesi che l'azione sia di una stessa persona e ad escludere il concorso di complici". Non solo l'arma, ma le lesioni e le escissioni ci dimostrano un unico autore. Si cercherà, così, di dimostrare con questo quanto infondate, signori Giudici, siano quelle voci - per la verità al momento extraprocessuali - che hanno lamentato come l'indagine, anziché nei confronti dell'odierno imputato, non si sia rivolta verso più autori, non si sa se membri di sette, od altro. L'autore è unico: ce lo prova l'arma, ce lo prova l'azione. Vedremo nei dettagli, quando sarà il momento, come e perché è la stessa mano. Passiamo, finalmente, dai fatti, da questa lunga esposizione doverosa dei fatti, agli indizi. Il PM ha chiesto di sentire una lunga serie di Ufficiali di Polizia Giudiziaria, della Polizia di Stato e dei Carabinieri, che dovranno spiegare innanzitutto che cosa? Il perché del loro interesse investigativo per Pietro Pacciani. Anche questo vogliamo dimostrare. Non è vero - vogliamo dimostrarvi - che si è proceduto nei confronti di Pietro Pacciani perché è stato individuato dal computer. Fughiamo questo dubbio. Abbiamo certezze negli atti, vediamo perché. Vi spiegheremo che l'indagine, è vero, da un certo momento ha chiesto aiuto alla elaborazione informatica. Nessuno lo nega. Però elaborazione informatica di dati, ma non per individuare l'autore a macchina, come ci è stato sempre in sede extraprocessuale contestato. L'elaborazione informatica ci è servita - è vero - o meglio è servita alla Polizia Giudiziaria per elaborare, come era necessario, una serie imponente di dati di fatto su più persone diverse; che potevano comunque essere - questi dati di fatto da elaborare - di utile supporto all'indagine. Indagine fatta dalla Polizia e dagli inquirenti nel modo però più tradizionale, come è stata quella a carico di Pacciani. E quella a carico di tutti gli altri che sono stati indagati in silenzio. Sono dati di fatto, questi, che riguardano Pietro Pacciani e che sono stati elaborati e tirati fuori un po' alla volta, che oggi non sono dubitabili. Quando si dice perché abbiamo indagato Pacciani, e perché, la Polizia Giudiziaria, vi spiegherà il perché di questa scelta investigativa, i dati oggettivi pacifici erano numerosi. Sintetizziamoli. Era libero nei periodi in cui erano stati commessi. Sappiamo che è stato in carcere più volte e per tanti anni. Era originario del Mugello. Sono dati di scarsa rilevanza in questo momento o meglio, oggi sono importanti; erano importanti allora soltanto per iniziare l'indagine. Egli era originario del Mugello, dove aveva vissuto per anni e si era trasferito poi nella zona di Mercatale Val di Pesa. Era ed è una persona con precedenti giudiziari specifici. Questo è vero, è un dato che fu rilevato attraverso l'elaborazione informatica al Ministero di Grazia e Giustizia. Pacciani infatti aveva precedenti specifici, e vediamoli una buona volta nei dettagli, perché interessano, questi precedenti. Era stato arrestato nel 1951, rimanendo detenuto fino al 1964, per un fatto di omicidio verificatosi proprio nel Mugello. Vedremo come questo fatto è molto più importante per capire tutta la sua vita successiva, di quanto oggi non si possa pensare. In quella occasione, nel 1951, Pacciani uccise una sorta di rivale in amore, mentre amoreggiava in compagnia della fidanzata. Agì con un coltello al viso della vittima, oltre che al petto e agì con ben 20 coltellate, dirà la sentenza. Vedremo gli atti anche di quel '51. Agì in quel modo così violento nei confronti di un rivale in amore perché lei, la donna, la sua fidanzata dell'epoca, acconsentì alla proposta fattale dal rivale e si sdraiò supina tenendo le gambe aperte, denudando - dice la sentenza - il seno sinistro. A seguito di tale fatto importante, dopo quell'omicidio col coltello, emerge dalla sentenza come si comportò Pacciani Pietro. La prima operazione che fece dopo aver ucciso quel Bonini nel 1951 col coltello - lo uccise col coltello, un uomo che aveva una prestanza fisica che furono necessari quattro Carabinieri per trasportarne il cadavere, dice la sentenza, e che invece Pacciani spostò da solo occultandone il cadavere - quell'uomo fu ucciso con un coltello, con 20 coltellate di cui molte al viso importantissimo per capire la violenza - subito dopo si mise a fare che cosa? Primo, a riaddirizzare quel coltello davanti alla fidanzata, alla quale disse: "Preparati, ora tocca a te" - lo dice la sentenza, lo dicono quegli interrogatori -. Vediamo qualcosa di più, dopo aver dimostrato la violenza già di un Pacciani ventiseienne. Perché di quell'omicidio è sicuramente confesso, ma è un omicidio che ho cercato di accennarlo per le sue modalità di esecuzione: uccidere l'uomo e voler uccidere la donna, che non si uccide, vedremo perché, è significativo di una condotta che, lo dimostreremo, Pacciani ha tenuto e ha ossessionato la sua esistenza per tutti gli anni successivi. E per gli anni e per quegli episodi per i quali oggi è processo. Il Pacciani, dopo quell'episodio così violento, dopo che addirizzò il coltello e minacciò la donna di ucciderla - perché questa era l'intenzione - fece l'amore con lei solo e perché questa acconsentì di sposarlo e perché, dice la sentenza: "E solo per questo motivo - dice la sentenza - gli risparmiò la vita". Questo è Pacciani: è uno che nel 1951 si comporta in questo modo.
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