giovedì 20 gennaio 2022

Salvatore Vinci: “Signori, vi sembro il mostro?”

 
“Il 22 agosto 1968, a Signa, in una stradina di campagna era parcheggiata una macchina. All’interno i corpi senza vita di Antonio Lo Bianco, 29 anni, e Barbara Locci di 32. I due amanti stavano facendo l’amore mentre il figlio della donna, Natalino Mele di sei anni, dormiva sul sedile posteriore, l’assassino lo aveva risparmiato.”  

Per questo primo duplice omicidio attribuito al cosiddetto mostro di Firenze, il 26 marzo 1970, fu condannato a 16 anni e dieci mesi di reclusione, Stefano Mele, il marito di Barbara Locci. Pene poi ridotte in Appello e in Cassazione. Nel corso delle indagini, Stefano Mele fu sentito più volte dall’autorità giudiziaria; in un’altalena di ammissioni e ritrattazioni, ammise d’aver ucciso la moglie e Lo Bianco pur accusando anche alcuni tra coloro che erano stati gli amanti della moglie: Carmelo Cutrona, Francesco e Salvatore Vinci. In un verbale del 23 agosto 1968, Stefano Mele, riporta la circostanza che segue:  “Io avevo paura del Vinci Salvatore. Mi disse che aveva ucciso la sua prima moglie. Disse, che aveva ammazzato la moglie lasciando di proposito la bombola del gas aperta. Il fatto si è verificato in Sardegna, a casa dei genitori del Vinci.”

Nel gennaio del 1960 a Villacidro, era morta in circostanze mai del tutto chiarite la prima moglie di Salvatore Vinci: Barbarina Steri di appena 19 anni. Anche in questo caso, come nel duplice delitto del ‘68, negli atti d’indagine, si legge di relazioni clandestine, di ammissioni ritrattate, di due donne uccise di nome Barbara il cui amante si chiama Antonio, ma soprattutto di un bambino, che fortunatamente era stato risparmiato. 

Villacidro. Anni ‘50 del secolo scorso. Diecimila abitanti per un paese che si estende a 45 chilometri a nord ovest di Cagliari, sotto le pendici della catena dei monti Linas. In quegli anni molti Villacidresi, come gli abitanti di altri comuni del circondario, sono stati assunti nelle miniere di Montevecchio e Ingurtosu ma l’economia del paese si fonda perlopiù sull’agricoltura e la pastorizia. 17:00 - “Un paese di caprai e di briganti che non hanno mai tollerato padroni. Gente aspra e qualche volta anche cattiva.” Come ebbe a scrivere lo scrittore Giuseppe Dessì, che a Villacidro visse l’infanzia e l’adolescenza. 

Francesco Steri è uno dei tanti braccianti agricoli di Villacidro. Vive con la moglie ed i cinque figli in Vico II S.Antonio, dietro la chiesa di S.Antonio da Padova, il cui sagrato è il luogo di incontro per tutti gli abitanti del “rione basso”. Anche Salvatore, il figlio maggiore è bracciante agricolo. Giuseppina e Barbarina negli anni hanno lavorato come domestiche presso alcune abitazioni a Villacidro, ma anche a Monserrato e Serramanna. Anna Maria ed Emilia sono ancora delle bambine e tuttalpiù aiutano la madre, Maria Tibet, in casa. Barbarina, da quando ha 13 anni, nutre una simpatia per un giovane di Villacidro, Antonio Pili di due anni più grande. I due si vedono nei pressi di un casello ferroviario, dove il padre di Antonio fungeva da custode. La relazione è eccessivamente prematura e pertanto osteggiata dalla famiglia di Barbarina. Il fratello, Salvatore, vorrebbe legarla ad un caro amico, Salvatore Vinci. Questi da sempre frequenta la sua abitazione; Salvatore Vinci e Salvatore Steri, qualche anno addietro, hanno frequentato un corso di musica ed il sabato sera si ritrovano spesso per suonare assieme delle serenate: il Vinci la fisarmonica, lo Steri il banjo o la chitarra. Antonio Pili, il fidanzatino di Barbara, Salvatore Vinci e Salvatore Steri, in più occasioni, vengono alle mani, volano spesso provocazioni e minacce, fin quando il 5 giugno del 1957, il padre di Antonio per lavoro dovette trasferirsi con tutta la famiglia a Villanova Tulo, a 70 km da Villacidro. Antonio e Barbarina si perdono di vista per due anni fin quando, il 6 agosto 1959, il padre di Antonio, raggiunta l’età pensionabile, fece ritorno con tutta la famiglia a Villacidro. Antonio e Barbarina riprendono a vedersi, benché questa, il 31 gennaio 1959, si sia sposata con Salvatore Vinci nella chiesa di S.Antonio, e due settimane dopo, il 15 febbraio, abbia avuto un figlio a cui ha dato il nome di Antonio. Barbarina e Salvatore abitano in condizioni precarie in Via Iglesias n.91, in una porzione (due locali) dell’abitazione di proprietà di Raimondo Steri. (Nonostante il medesimo cognome Barbarina e Raimondo non sono parenti). Il 3 dicembre 1959, Barbarina, con la scusa di recarsi a lavare il bucato, ha fissato di vedersi con Antonio presso un lavatoio in località Sa Mitza Manna. I due, vengono sorpresi, sotto un albero di ulivo, da due contadini della zona, Francesco e Ignazio Spada, che li redarguiscono e li obbligano ad allontanarsi. Gli amanti trovano quindi un po’ d’intimità poco più in là, dietro ad una vasca irrigua, su di un terreno di proprietà della famiglia Pili. Qui, all’improvviso, compaiono Mario Aresti, sordomuto e Gesuino Pilleri, quest’ultimo con una macchina fotografica in mano. Il Pilleri è un noto pregiudicato, in passato ha scattato fotografie compromettenti ad alcune donne per poi ricattarle obbligandole a prostituirsi. Verosimilmente, anche in questo caso, ha scattato delle foto. Barbarina, accortasi della malaparata, scoppia a piangere e fugge verso casa. Al marito racconterà la storia di una donna vestita di nero che l’ha attirata in un tranello e di un'aggressione subita da tre individui, di cui uno armato di pistola, intenzionati a violentarla. Salvatore Vinci si precipita alla caserma di Villacidro per denunciare quanto riferito dalla moglie; la storia pare non convincere del tutto i Carabinieri che si recano presso l’abitazione in via Iglesias per riceverne conferma dalla diretta interessata. Barbarina non desiste dalla sua versione dei fatti benchè i militari dell’arma, a seguito di alcuni accertamenti, le contestino talune circostanze. Solo due giorni dopo, il 5 dicembre, racconterà la verità, giustificando la denuncia della falsa aggressione subita, col timore d’essere vittima delle rappresaglie del marito, che in più occasioni, in passato, si è dimostrato violento con lei. Sono noti in paese i brutali litigi tra i due coniugi, come lo sono le privazioni, le umiliazioni e l’indifferenza a cui troppo spesso è costretta Barbarina. Raimondo Steri, verbale del 15 gennaio 1960: “Ero a conoscenza che i predetti coniugi Vinci non andavano troppo d’accordo ed erano soggetti a continui litigi.” Francesco Steri, verbale del 19 gennaio 1960: “Recentemente sono intervenuto per sedare gli screzi sorti fra mia figlia e mio genero poiché la condotta che questi due mantenevano lasciava alquanto a desiderare in considerazione che gli stessi non andavano d’accordo.” Barbarina Steri ed Antonio Pili, a seguito di quanto acccertato dai Carabinieri di Villacidro vengono denunciati a piede libero ed il 10 dicembre 1959 deferiti all’autorità giudiziaria. Barbarina deve rispondere di simulazione di reato ed atti osceni. Antonio Pili di atti osceni e porto abusivo di armi; questi dal 10 ottobre 1959 dispone di una pistola Beretta, calibro 22 modello 948, che ha acquistato a Cagliari. A riguardo, in un verbale del 09 ottobre 1985, il Pili riporta: “Comprai la pistola calibro 22, marca Beretta dall’Armeria Pinna nell’autunno del 1959 per motivi di difesa personale. Io andavo spesso in campagna e pertanto mi faceva comodo un’arma. Tra l’altro, attraverso la Barbara, avevo ricevuto delle minacce, venendo a conoscenza che il fratello ed il marito avevano manifestato l’intenzione di appostarsi in campagna, sorprendermi e tagliarmi le palle, per meglio dire “castrarmi”. 

14 gennaio 1960. È nevicato a Villacidro, fa freddo ed i camini sono accesi fin dalla mattina presto. Barbarina, sta vestendo il piccolo Antonio quando tra le 11:00 e le 11:30, Salvatore giunge a casa assieme ad un amico di Pabillonis e al cognato, Salvatore Steri. Salvatore con un cenno invita la moglie a preparare qualcosa per pranzo, Barbarina neanche lo guarda e presa la porta se ne esce con il figlio verso l’abitazione dei genitori. Amerigo Cadoni, verbale del 15/01/1960 – “Ricordo che verso le ore 12:00 vidi la Steri Barbarina mentre si recava dalla sua casa a quella dei genitori ed aveva il bambino in braccio. La donna nella circostanza mi è sembrata molto triste e depressa.” Tra le 14:00 e le 15.00 Salvatore Steri e Salvatore Vinci raggiungono Barbarina a casa dei genitori, consumano un frugale pasto, dopodiché Salvatore Steri va a coricarsi; Salvatore Vinci torna in paese. Questi si ripresenta a casa dei suoceri intorno alle 17:00 e prelevata la moglie, in compagnia del cognato fa ritorno verso la propria abitazione in via Iglesias. Mentre Salvatore accende il camino, Barbarina si reca dal vicino di casa, Raimondo Steri; la bombola del gas è ormai esaurita e lei deve scaldare del latte per il figlio di undici mesi. Consumata una merenda a base di ravanelli, cardi e pane i due cognati fanno per uscire quando Barbarina, contrariata, si scaglia verbalmente contro il marito rimproverandolo della condotta dissoluta (Rapporto giudiziario del 19 gennaio 1960: “Delinquente. Che giudizio di uomo sposato hai a ritornare fuori dopo aver trascorso un'intera serata a diporto?”) Il marito ed il fratello escono di casa non badando alle parole della donna. Alle 21:00, Barbarina torna da Raimondo Steri per scaldare nuovamente del latte per il piccolo Antonio. Qui trova anche il vicino di casa, Francesco Usula. I due le offrono un po’ di fave ed un piatto di pasta e fagioli che Barbarina accetta con riconoscenza. Cambio di scena - Esterno notte. Salvatore Vinci e Salvatore Steri appena usciti di casa, in Piazza dello zampillo, hanno incontrato un comune amico, Felice Cannas. Fanno due chiacchiere per poi prendere via Roma e raggiungere la sala biliardi di Pasqualino Collu. Non c’è granchè con cui svagarsi a Villacidro e la gente pare essersi equamente distribuita tra la sala biliardi, affollatissima, ed il cinema, gremito. Sono circa le 22:30 quando Salvatore Vinci e Salvatore Steri si recano al bar di Amerigo Cadoni in via S.Antonio 45. Giocano a dama e consumano dell’anice con alcuni avventori. Intorno a mezzanotte, la televisione ha appena trasmesso il telegiornale della notte, i due cognati escono dal locale e si salutano. Salvatore Vinci torna verso casa. Le dichiarazioni che rilascia il 19 gennaio ai carabinieri della stazione di Villacidro riportano la sua versione dei fatti riguardo quanto avvenuto quella notte. “Varcai l’ingresso di casa. Accesi la luce e notai insolitamente la culla contenente il mio bambino vicino al caminetto privo di fuoco, mentre intravedevo dalla fessura della porta della camera da letto, la luce della lampadina. Rimasi completamente sconvolto, mi precipitai alla porta della camera da letto per chiamare mia moglie. Bussai una sola volta e chiamai Barbarina ma non ebbi nessuna risposta; pensai immediatamente che mia moglie fosse in compagnia dell’amante e così mi precipitai all’esterno della casa temendo di essere aggredito. Nel raggiungere il cortile mi sembra di aver sentito una voce sconosciuta” non escludo però “si sia trattato di un’allucinazione, dato lo stato di agitazione” Salvatore Vinci, incurante del figlio che ha lasciato solo in casa, corre in strada verso Vico II S.Antonio, che dista circa 600 metri, dove chiede aiuto al suocero e al cognato.

I tre tornano in via Iglesias. Non appena varcano l’ingresso notano un intenso odore di gas. Sia Salvatore che Francesco Steri, il 19 gennaio 1960, riferiranno questo dettaglio ai Carabinieri. Il piccolo Antonio piange disperato nella sua culla. Francesco Steri chiede al figlio di chiamare il vicino di casa, Francesco Usula, dopodichè irrompe con una spallata nella camera da letto. Nella stanza vi era un forte ed irresistibile odore di Gas” riferì Francesco Steri “Un forte ed irresistibile odore di gas inondava la camera” dichiarò il vicino di casa, Francesco Usula. La stanza è sommariamente illuminata da un abat jour. Barbarina giace a terra bocconi, “indossa una maglia di lana, (...) la parte inferiore del corpo, è coperta da un soprabito di color verde”. Si trova ai piedi del letto priva di sensi, ha la testa volta verso la porta d’ingresso. Il padre le solleva il polso destro, dalla mano le cade la chiave della porta. Per lei non c’è più niente da fare. Accostata al letto una bombola marca “LIQUIGAS” da cui diparte un tubo che giunge fino al guanciale destro. Salvatore Vinci, verbale del 19 gennaio 1960: “Mio suocero assicurava il regolatore di pressione della bombola che trovavasi completamente aperto.” Salvatore Steri, verbale del 19 gennaio 1960: “Detta bombola irrogava ancora gas e mio padre assicurò la chiusura” Francesco Steri: “la bombola irrogava gas” Mentre Salvatore Steri si precipita alla caserma dei carabinieri per denunciare l’accaduto, Francesco Steri rinviene sul comodino accanto al letto un foglio manoscritto: “Avevo un grande amore ma nell'ansia tutto m’è svanito ed ecco che non resisto più. Tutto mi è insopportabile nel vivere sotto degli occhi oscuri. Ansiosamente penso e ripenso di essere amata ed anche invidiata eppure nello spasimo prego per il bambino. E Buona fortuna.” Il testo ha la calligrafia di Barbarina ed è scritto su di un foglio, proveniente da un quaderno che risulterà di proprietà di Salvatore Vinci. Da lì a poco giungono in via Iglesias il brigadiere comandante Delio Pisano, il vice brigadiere Gavino Sale ed il carabiniere Vittorio Gallorini. Viene quindi convocato il medico del paese dr Antioco Angelo Vacca. Questi giunto presso l’abitazione dei coniugi Vinci, intorno alle ore 01:20, esaminata la salma e valutato il rigor mortis, fece risalire la morte alle ore 23:00 della notte appena trascorsa. Poco dopo l’ufficiale sanitario, dr Giorgio Zuddas, ordinò la rimozione del cadavere ed il suo trasferimento presso l’obitorio. Il professor Raffaele Camba, aiuto e docente di medicina legale e delle Assicurazioni dell’Università di Cagliari, nella sua relazione di perizia medico legale, disposta dal Sostituto procuratore della Repubblica di Cagliari dr Ubaldo Coi, il 15 gennaio 1960, riporta : “La causa di morte della Steri Barbarina risiede in una sincope respiratoria. A procurarla è stata l’inalazione di gas liquido,” il comune GPL “(formato da una miscela di butano e propano). La Steri non aveva ingerito sostanze alcoliche. La Steri non era incinta.” Si tratta di suicidio." Il GPL ha una bassissima tossicità per l’organismo ma quando la concentrazione nell’atmosfera supera il 30%, inizialmente, interviene un effetto narcotico da privazione di ossigeno, dopodichè gli organi inevitabilmente collassano. Al rapporto giudiziario fu allegata anche una lettera datata 24 dicembre 1959 nella quale suor Maria Gabriella del brefotrofio di Cagliari proponeva, dietro la prestazione di servizi collaborativi, un’ospitalità retribuita pari a 120.000 lire annue per la Steri ed il figlio. La lettera si concludeva con “l’attendiamo il 15 gennaio con ansia”. Il 31 marzo 1960, il Giudice Istruttore di Cagliari, su conforme richiesta del P.M., archiviò la morte di Barbarina Steri come suicidio per insussistenza di ipotesi di reato. Non occorre essere Sherlock Holmes per accorgersi di alcune evidenti discrasie, di alcuni aspetti discordanti che fanno sospettare non si sia trattato esattamente di un suicidio. 

La Steri prima di suicidarsi si recò due volte dal vicino di casa per riscaldare il latte per il figlio poichè, la bombola di cui disponeva era esaurita. Come fece allora il gas della stessa bombola a provocarle la morte? 

La lettera dell’orfanotrofio di Cagliari era l’opportunità che avrebbe consentito alla Steri di chiudere definitivamente con la vita di vessazioni e miseria a cui l’obbligava il marito. Che motivo aveva allora la Steri di uccidersi se una nuova prospettiva le si sarebbe dispiegata di lì a breve? 

Ma soprattutto, l’alibi di Salvatore Vinci, sorretto dal solo cognato, è davvero così solido da escludere un suo coinvolgimento nella morte della moglie? 

Salvatore Vinci, dopo aver partecipato come teste al processo di Antonio Pili, rinviato a giudizio per atti osceni e porto abusivo di armi, si trasferì in Toscana, a Lastra a Signa, presso l'abitazione del fratello Giovanni. Molti anni dopo, la giustizia tornerà a chiedergli di rendere conto di quanto avvenuto nella notte tra il 14 ed il 15 gennaio 1960.

2 commenti:

Venti² ha detto...

Nel rapporto Torrisi il colonnello aveva idee precise riguardo la retrospettiva delle carte, sulla morte di Barbarina S., e sul delitto di Castelletti di Signa
Il 22 o 23 agosto '68 - per il suddetto duplice delitto- vengono sottoposti al guanto di paraffina Carmelo C., Francesco V., Stefano Mele, solo quest'ultimo risulta positivo -nonostante varie macchie di tenace grasso- e (come) sa, prima degli inquirenti, che i corpi dei 2 amanti sono stati attinti da un totale di 8 colpi
SV non è sottoposto a detta prova di sparo forse perché Stefano lo tira in ballo subito dopo
Cmq SV non ha l'altezza stimata dello sparatore di v. di Giogoli ad es.,che invece guarda caso (tranne un foro di proiettile più in alto) corrisponde a quella di Pietro Pacciani mt. 1,66/68 all'epoca ch'era in buona salute -tra l'altro "Vampa" usava calzare scarpe a suola robusta, non bassa -
Sebbene non avulso a fatti poco chiari - vedi straccio con tracce ematiche e di sparo in suo possesso - SV non si lega nè agli identikit nè ad elementi fattuali di responsabilità nei duplici delitti mdF, neanche come profilo del sk, ritenuto un iposessuale dagli esperti...ed anche qui tornerebbe Pacciani.....

fele ha detto...

Uno dei tanti problemi della vicenda MdF, per cui ancora oggi ci sono più dubbi che certezze, è che ci sono troppi personaggi dal profilo "turpe" e dal passato delinquenziale ed abietto: assassini, violentatori, puttanieri, pederasti repressi, impotenti, guardoni, vagabondi, cerebrolesi, approfittatori, maligni e chi più ne ha più ne metta... Troppi soggetti che avrebbero potuto essere o avrebbero potuto partecipare. Lascerei stare per lo meno il capitolo profilo FBI, perché non avevano idea del retroterra culturale di certe aree della Sardegna e della Toscana...