lunedì 19 aprile 2010

Piero Luigi Vigna - Intervista su L'ultimo mostro - 14 dicembre 1993

Dottor Vigna, l’inchiesta sul mostro è conclusa. Quale impegno ha significato per la Procura di Firenze?
L’inchiesta sui duplici omicidi verificatisi dal 1968 al 1985 ha dimostrato, al di là degli esiti processuali, che l’impegno della magistratura fiorentina è stato fortissimo per l’accertamento della verità e per dare una risposta alle domande della collettività. In questi anni ci sono stati momenti in cui all’opinione pubblica sembrava che le indagini fossero sospese o addirittura archiviate come un residuo storico mentre invece anche in quei momenti c’è stato un lavoro costante per non tralasciare nessuna ipotesi investigativa.
Dunque è stato fatto un buon lavoro?
Senz’altro, se si tiene conto che la Procura non si è occupata solo dell’inchiesta del maniaco ma anche di tantissime altre delicate indagini. Non è passato giorno che non si facesse qualcosa per indagare su questi duplici omicidi.
L’indagine cosa ha rappresentato per i magistrati e gli investigatori?
Un laboratorio di esperienze nuove che hanno arricchito il metodo di indagine. Abbiamo usato nuove metodologie, provato nuovi strumenti e apparecchiature sofisticate. Nella realtà criminale del nostro paese il fenomeno dei serial killer non era conosciuto. Quindi siamo partiti da zero. Per individuare il tipo di autore di questi delitti siamo ricorsi ad una equipe composta da psichiatri, psicologi, periti balistici, medici legali. La perizia ha fornito diverse risposte. Ogni omicidio è stato analizzato, comparato, confrontato per individuare le analogie sul tipo di ferite inferte alle vittime. Psichiatri e psicologi hanno invece tratteggiato la personalità del possibile autore. Gli esperti balistici hanno dato risposte sull’uso della pistola, la traiettoria dei proiettili. Per esempio durante la perquisizione in casa di Pietro Pacciani abbiamo usato apparecchiature sofisticate per individuare oggetti sotterrati o nascosti dietro le pareti. Apparecchiature che servono anche per individuare cadaveri sepolti. Abbiamo usato anche le riprese televisive anziché ricorrere al fotografo. Il ritrovamento del proiettile è stato interamente filmato. Dal momento che è stato scoperto, chi lo ha individuato, quante persone erano presenti al sopralluogo. I giudici possono così rendersi conto assai meglio che consultando le fotografie.
Nuove metodologie che hanno permesso anche di non compiere gli errori del passato?
Senz’altro. Basti pensare, ad esempio, come gli investigatori si sono mossi durante i sopralluoghi. Il luogo dove era stato commesso il delitto veniva isolato per evitare che lo stesso investigatore, inconsapevolmente, potesse diventare un inquinatore. Faccio un esempio. Se in una stanza o in un altro luogo si trova una macchia di sangue, l’investigatore dovrà stare attento a non starnutire se vogliamo sottoporla all’esame del Dna.
È stata davvero «l’inchiesta dei grandi numeri»?
Sì. Abbiamo computerizzato centinaia di targhe d’auto, migliaia di nominativi, catalogato centinaia di tipi di reati sessuali. Questo è stato possibile grazie alla collaborazione di polizia e carabinieri e alla creazione della squadra antimostro che ha lavorato egregiamente. Un pugno di uomini che si sono dedicati esclusivamente a questa inchiesta, con grande impegno e professionalità. Nei «grandi numeri» rientra anche l’indagine sulle auto. La direzione dell’autostrada ci ha fornito i numeri di targa di centinaia e centinaia di auto che ad una certa ora transitavano dai caselli intorno alla città. Naturalmente riguardavano auto condotte da una sola persona.
Quante persone sono state «osservate» in questi anni?
Migliaia. Siamo stati sommersi dagli anonimi. Migliaia di lettere che indicavano questa o quella persona. Persone ascoltate come parti offese per calunnia. Se nel corso di un interrogatorio compariva qualche ombra si procedeva immediatamente alla perquisizione domiciliare. Un lavoro delicato, scrupoloso, compiuto senza arrecare danno alla persona. Solo in pochi casi si è verificato una fuga di notizie. L’inchiesta sui duplici omicidi è stata corposa. Da tenere presente che sono stati controllati anche i fascicoli di tutte le Procure e le Preture della Toscana, oltre quelli di Firenze, che riguardavano i delitti contro la libertà sessuale dal ‘68 in poi. Migliaia di fascicoli di imputati per atti di libidine violenta e violenza carnale. I casi più «interessanti» -ad esempio le violenze compiute con la minaccia di coltelli - sono stati poi immessi nel computer e analizzati alla luce di quanto via via gli investigatori raccoglievano su questo o quel soggetto. Un lavoro imponente.
La Beretta calibro 22. Quante ne sono state controllate?
Abbiano fatto il censimento di tutte le pistole calibro 22 vendute prima del 1968 a Firenze, in Toscana e altrove. Siamo partiti dalla fabbrica Beretta. Migliaia di pistole vendute ai commercianti. Quindi siamo risaliti all’acquirente. Ma non è finita. Perché chi aveva aquistato una pistola poteva averla ceduta ad un’altra persona, magari che non abitava neppure a Firenze. La stessa arma poteva aver passato più mani. Si è trattato quindi di controllare tutti i passaggi. Un lavoro certosino che ha richiesto mesi e mesi di esami.
Ma tutti questi controlli non hanno portato al ritrovamento della maledetta calibro 22. Dove può essere stata nascosta? Dove l’avete cercata?
In qualsiasi posto. Niente è stato trascurato. È stata cercata ovunque. Anche nelle cassette di sicurezza degli istituti di credito. Gli investigatori hanno controllato le cassette di coloro che avevano avuto modo di usarle nei giorni prima del delitto o dopo l’omicidio. Non abbiamo trascurato niente. Ma un’arma può essere nascosta in qualsiasi luogo. Ricordo due episodi piuttosto significativi riguardo ai nascondigli delle armi. A Firenze uno squilibrato uccise un pensionato mentre passeggiava tranquillamente per la strada. Pochi giorni dopo due carabinieri furono uccisi a Siena dove venne catturato l’omicida. Nel corso dell’interrogatorio gli chiedemmo dove aveva tenuto nascosto la pistola. L’imputato ci accompagnò alle Cave di Maiano e indicò un masso. Sotto quel masso trovammo i proiettili. Se non ce l’avesse indicato, come sarebbe stata trovata l’arma di quei tre omicidi? Lo stesso avvenne con un pregiudicato implicato nei sequestri di persona. La sua casa venne rivoltata come un guanto ma le armi e il denaro del riscatto non saltarono fuori. Le forze di polizia quella casa la perquisirono almeno una decina di volte. Un giorno l’uomo chiese di parlare. «Le armi sono a casa mia» disse. Increduli ci recammo nella sua abitazione. L’uomo incominciò a scrostare l’intonaco di una parete della cucina. Venne alla luce una nicchia dove erano state nascoste le pistole. Ma la sorpresa più grossa avvenne quando ci portò in un appartamento di un complice che era stato ammazzato qualche tempo prima. Battendo il tacco della scarpa sul pavimento, l’uomo ad un certo momento si fermò. «Guardate qui sotto» Sollevate le mattonelle gli agenti videro una damigiana. Conteneva banconote per milioni e milioni di lire. I soldi del riscatto.
Rif.1 – L’ultimo mostro pag.71

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