venerdì 20 novembre 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 6 marzo 1998 - Settima parte

Segue dalla sesta parte.

Avvocato Filastò: Questo, specialmente dopo la istituzionalizzazione di un servizio speciale, di uno speciale Dipartimento dell'FBI - al quale questo Pubblico Ministero si è rivolto per avere un quadro - e la generalizzazione di una certa metodologia di indagine, che consiste proprio in quella metodologia che, a un certo punto di questa indagine, di questa indagine infinita, si decide di iniziare: nell'84, eh, mica prima. Vale a dire, si chiamano degli esperti, della gente che ha spiegato il problema, che è andata a interrogare nelle, carceri i serial-killers che sono già stati condannati, che li ha esaminati, che ha fatto delle indagini di tipo psichiatrico, psicologico e tutto il resto. E gli si dice: guardate, questi sono i dati obiettivi; fateci un quadro del personaggio. E questi, questo Dipartimento, ci riesce a farlo, li fa. E questo consente agli inquirenti di circoscrivere il quadro delle loro indagini. Perché qual’è il problema più grave nel caso dei serial-killers? Che cosa rende particolarmente difficili, complicatissime, quasi impossibili le indagini, quando si ha a che fare con un serial-killer? La mancanza di relazione fra vittima e carnefice. Nella maggior parte dei casi degli omicidi, se voi guardate come funzionano le indagini, su cosa indaga la Polizia? Indaga sulle relazioni della vittima: l'amante, il datore di lavoro, il marito. Tutte le persone che, in qualche modo, hanno avuto a che fare con la vittima e che potrebbero avere un movente, un interesse, o una situazione di qualsiasi genere. Ma quando si ha a che fare con una serie di delitti come quelli che ci riguardano, in cui si capisce immediatamente che la relazione non c'è; ed è stato lì l'errore gravissimo, iniziale, del processo del 1968. Quello di aver ritenuto che il delitto nascesse da una relazione Barbara Locci, con qualcuno che gli era vicino: il marito. Il marito, eh, si sa, il marito che è marito... Per forza, questa era una, come si dice? Una "belle de jour", un po' dilettante e un po' no, per parlarci chiari, la Barbara Locci. Poverina parlandone da viva. Una donnina di costumi piuttosto allegri e che aveva tutta una serie di relazioni. E lì non si va a guardare, in quel caso, il fatto che lo Stefano Mele portava il caffè a letto agli amanti della moglie, perché era uno così, poveretto. Si dice: beh, te, l’hai ammazzata te perché... prima si dice per gelosia, poi si leggerà nella sentenza di I Grado del processo Pacciani, che lo ha fatto per 23.000 lire. Bene, lasciamo perdere. E quindi l'investigazione quel dirizzone lì. Ecco come avviene, secondo me, l'errore giudiziario Stefano Mele. Quando poi arriva il collegamento, nessuno ha detto: mah, allora si è sbagliato. Nessuno ha avuto il coraggio civile di dire: si è fatto un errore. Eh, lì è stato un errore grave. Ecco gli errori; gli errori di questa indagine stanno qui. Quando si scopre che la Calibro 22 ammazza poi a Borgo San Lorenzo, poi a Scandiccì, poi, poi, poi a Scandicci ancora... No, a Scandicci... No, poi dopo, il secondo è a Calenzano, il terzo è a Calenzano, e così via, si doveva dire: ah, allora che c'entrava poveraccio? E invece, no. E invece no, c'è ancora la spinta, la resistenza del vecchio processo che ha portato in galera Stefano Mele. E si continua ad indagare nel clan dei sardi. Ecco, e si fanno degli altri errori. Francesco Vinci, per il primo; Mele e Mucciarini, per gli altri due; Salvatore Vinci, numero 4. E, allora, io dico che, se si vuole andare a cercare gli errori nelle indagini, invece di prendersela con una ipotesi che poi vedremo perché la esamineremo in dettaglio e ci costerà un po' di fatica e un po' di lavoro, in quella impostazione data dall'equipe di Modena e non solo da loro -sapete quanti sono gli esperti che se ne sono occupati? Otto, otto - invece di prendersela con questa impostazione, che poi corrisponde alla metodologia che altrove si usa. Perché, ripeto, si tratta di trovare il classico ago nel pagliaio. E prima di trovarlo... Perché, capite, in un delitto normale non è che gli inquirenti debbono indagare tutto il mondo; in un delitto normale vanno a indagare quelle che sono le relazioni. Delitto dei coniugi Bebabi, va be', insomma. Il marito, la moglie, tutti e due. O tutti e due, o uno, o quell'altro. Delitto della cosiddetta "Circe". Quell'altro delitto di quell'altra signora che sta in galera e che dice che è innocente, non mi ricordo qual è. Insomma, anche lì, relazioni, si capisce. Voglio dire, cioè, questa signora, per esempio, poi fra l'altro quella processata a Lucca, no? Come si chiama?
Avvocato Mazzeo: Regoli.
Avvocato Filastò: Regoli, ecco. Insomma, mica per parlarne male. Lì bastava che nel capo di imputazione ci fosse scritto che poteva essere stato un sicario per far quadrare tutto. Va be', lasciamo perdere, lasciamo perdere. Ma insomma, voglio dire, si fa; si va a indagare nelle relazioni, nei rapporti, nella sua vita, nei suoi vissuti, nei suoi . dissapori, odii, nei confronti della vittima. Eh, e allora il quadro... Ma qui, qui .gli inquirenti si_ trovarono davanti tutto il mondo. Come si trovarono' davanti tutto il mondo gli inquirenti quando indagarono il povero Girolimoni. Perché, capite, non è che questo è: il primo fatto di questo genere che avviene in Italia. Eh, in tutto il periodo che va dagli anni '30 fino alla guerra, che cancella un po' il ricordo di tutto, le mamme di Roma, quando volevano rimproverare il bambino perché faceva le bizze, dicevano: 'stai buono, sennò chiamo Girolimoni'. E Girolimoni era innocente come l'acqua. Perché le ragazzine ammazzate nel quartiere romano erano le vittime di un serial-killer. Popolano, fra l'altro, tutt'altro che super-uomo; pazzo come una capra; cattivo, che stava lì. E che lui è morto nel suo letto; Girolimoni, invece... E quindi è necessario, diventa indispensabile, capite? Indispensabile quello' di riuscire, in qualche modo, a circoscrivere l'indagine. E come si può fare? Lo si può fare soltanto individuando, dai fatti, dalla osservazione dei fatti, dalla osservazione dei delitti, dall'osservazione di certi dati che li riguardano, individuando una persona. Individuandola sotto il profilo del tipo speciale, particolare, di pulsione psicopatologica di cui soffre, di eventuali suoi precedenti che possono essere messi in relazione con questo tipo di pulsione, di certe sue caratteristiche fisiche: l'altezza, ovviamente, la forza, l'età. E tutte quelle cose per cui, ad un certo punto, gli inquirenti, sulla base... l'identikit, le fattezze. Importantissimo l'identikit. Per cui, ad un certo punto, facendo le indagini, cercandolo, questo ago, alla fine, nel momento in cui hanno trovato qualcuno, lo paragonano a questo - hanno trovato, hanno un sospetto - lo paragonano a questo, come dire, non proprio identikit, ma insomma, quadro complessivo e dicono: sì, collima, non collima, si va avanti su questo. Oppure, non si va avanti. Se si dovevano individuare degli errori, bastava, da questo punto di vista, riflettere alle critiche rivolte dal Presidente del processo Pacciani durante il dibattimento, alla faciloneria, alla negligenza, al ...disordine, al pressappochismo con cui furono svolte le indagini iniziali. Quelle che decidono, perché sono"le prime 24 ore di indagini che decidono i risultati. Di facilonerie che riguardavano i luoghi dei delitti, le macchine, le impronte digitali. E per concludere che la ragione di risultati negativi non sta nell'obiettiva difficoltà delle indagini, in tema di omicidi in linea generale, come ha detto il Pubblico Ministero, ma nell'obiettiva difficoltà di indagini riguardanti questo tipo di delitti. E anche nella faciloneria, nella negligenza, nel pressappochismo che avevano caratterizzato quelle indagini nei primi momenti, facendo in modo che la raccolta delle tracce utili era particolarmente scarna. E per fare un esempio di questa negligenza, faciloneria: le impronte digitali sulla Panda coinvolta sul luogo dell'omicidio di Vicchio, 1984. Ma siamo certi che non siano comparabili? La comparazione con le impronte digitali di Pacciani o di Vanni, è stata fatta, o no? Non è stata neppure tentata. Ma non è stata... P.M.: (voce fuori microfono)
Avvocato Filastò: Eh, sì, ma prima di dire questo, signor Pubblico Ministero, mi ci vorrebbe una perizia a me. Abbia pazienza. Non solamente l'indaginetta del laboratorio di polizia Scientifica, scusi, eh. Perché oggi a me consta che esistono degli strumenti anche computerizzati che consentono, da un frammento di impronta digitale, di ricostruire l'intero. Può darsi che mi sbagli, ma mi pare che non ci sia... 
P.M.: (voce fuori microfono)
Avvocato Filastò: Come? Eh? 
P.M.: Sarebbe grave riuscire a ricostruirlo.
Avvocato Filastò: Come grave? Perché no, grave? No, non è affatto grave; si può fare. 
P.M.: (voce fuori microfono)
Avvocato Filastò: Però, una perizia almeno, fatta in un laboratorio di analisi che abbia, così, dei crismi, degli strumenti, anche. Ma insomma, io ho visto, io ho seguito il processo della Moby Prince, lì c'è stata una superfetazione di strumenti tecnici. Per arrivare a quel bel risultato a cui siamo arrivati, vero, e proprio funzionale a quel pessimo risultato, dico io, c'è stato addirittura... niente, siamo andati in Inghilterra a fare delle prove, delle cose, con gli strumenti, col computer. Roba da perderci la testa. E qui invece no. Ma comunque andiamo avanti. lo spolverino sequestrato al Vanni. Sì, è stato analizzato, dice. Ma come? Anche qui poteva essere materia di perizia anche questo, magari collegiale. Per la ricerca delle emazie. Sarà stato lavato, si capisce. Ma accidenti, se se n'è servito per fare quella cosa lì, ma voglio dire, in una cucitura, da qualche parte poteva essere trovata una minima traccia. E fino, queste analisi e queste ricerche frammentarie, fino alla omessa perquisizione della casa di Lotti vicino alla draga. Che è, come dire, la quintessenza del ritenere quel soggetto processuale la bocca della verità. Lui ha detto che era semplicemente quasi uno spettatore. E noi gli crediamo. Tanto è vero che sta dall'81-'82, fino all' 88 ma in questa casa enorme, dove ci può essere nascosto tutto, e non ci si va nemmeno a vedere. 
P.M.: Ci si andò.
Avvocato Filastò: Sì, ma dopo sette anni, ma certamente. Ma abbia pazienza, il famoso proiettile trovato da Pacciani, o non sarebbe stato lì da cinque anni? 
P.M.: Ci stava lui...
Avvocato Filastò: Come? Anche nella, casaccia di... Guardi, Pubblico Ministero, ho parlato con la signora Scherma, io. E ho cercato di introdurla questa circostanza portando le fotografie, eccetera. Eventualmente, poi, si può anche fare, si può sentire la signora Scherma: andato via lui, non c'è stato più nessuno in quella casa. Come si vede da quelle foto fatte ora. È una casa che è rimasta abbandonata. 

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